Strumenti per l`analisi musicale
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Strumenti per l`analisi musicale
Liceo musicale di Forlì – Teoria, analisi e composizione II M, a.s. 2015/16 – Prof. Rocco De Cia [20.12.2015] Strumenti per l’analisi musicale (II) In questa seconda sezione aggiungo altri elementi utili per l’analisi dell’Invenzione a due voci in Do maggiore (BWV 772) di J.S. Bach, in particolare per quanto riguarda l’armonia. 1. Analisi armonica L’analisi armonica deve svolgersi almeno su due piani: uno riguarda la globalità della struttura musicale (alcuni dicono macroforma), l’altro il dettaglio (microforma). La struttura musicale presa nel suo complesso è articolata, almeno a partire dal Barocco per arrivare fino a inizio Novecento, in differenti zone armoniche. Anche i brani più brevi presentano di solito almeno una zona armonica secondaria che entra in rapporto con la tonalità di impianto; le Invenzioni di J.S. Bach, pur essendo brani di sole venti-trenta battute, toccano in medie quattro o cinque tonalità differenti. In epoche successive le possibilità di articolazione armonica si sono via via arricchite, fino ad arrivare ai culmine di complessità di Wagner e Brahms, nella seconda metà dell’Ottocento. L’articolazione del dettaglio interno a una singola tonalità è affidata ai collegamenti fra le armonie, in genere veicolate dal movimento del basso. Per identificare tali collegamenti si utilizzano di solito metodi e simboli legati alla teoria dei gradi o alla teoria delle funzioni armoniche. Per il momento non ci soffermeremo su singoli accordi. Ci limiteremo a identificare le aree armoniche sulle quali il brano è fondato. L’occhio dovrà abituarsi a riconoscere certi indizi: i principali sono le alterazioni transitorie e il movimento della linea del basso. 2. Tonalità vicine Ogni tonalità ha cinque tonalità vicine. Per individuarle si fa riferimento al circolo delle quinte. Tonalità maggiori. Quali sono le tonalità vicine a Do maggiore? La relativa minore, La m, e le tonalità adiacenti nel circolo delle quinte, ovvero Sol M, Fa M, Mi m, Re m. Fa M Re m 1 Tonalità minori. Quali sono le tonalità vicine a Do minore? La relativa maggiore, Mi M, e le tonalità adiacenti nel circolo delle quinte, ovvero Sol m, Fa m, Si M, La M. Do M Sol M La m Mi m 1 La M Fa m 4 Mi M Si M Do m Sol m 3 2 3. Da una tonalità a un’altra Il passaggio da una tonalità a un’altra si chiama modulazione. L’Invenzione in Do M, ad esempio, modula nelle tonalità di Sol M (V) e La m (VI). Il segno distintivo della modulazione è la cadenza (cfr. 1.4), grazie alla quale viene stabilita una nuova tonalità. Il passaggio da una tonalità a un’altra non avviene esclusivamente tramite modulazione: a volte le tonalità secondarie non sono stabilite e fissate da una cadenza, che è un mezzo estremamente forte e deciso per articolare l’armonia (e la forma). Spesso le tonalità secondarie sono soltanto attraversate, senza essere confermate: ciò avviene molto spesso nelle progressioni modulanti del Barocco (e, in epoca successiva, nelle zone di sviluppo della forma-sonata). Nell’Invenzione in Do M si attraversano in tal modo le aree armoniche 1 Liceo musicale di Forlì – Teoria, analisi e composizione II M, a.s. 2015/16 – Prof. Rocco De Cia [20.12.2015] di Re m (per andare poi a La m) e Fa M (per tornare a Do M a fine brano). Non conosco un termine tecnico specifico per definire questo fenomeno.1 Ancora differente è il caso delle dominanti secondarie: con esse non si modula, si rimane all’interno della tonalità di riferimento, mettendo in rilievo le funzioni armoniche secondarie. Quest’ultimo argomento sarà affrontato più avanti: prima è necessario affrontare le basi dell’armonia. 4. Come identificare le tonalità Come capiamo quando, all’interno di un brano, passiamo da una tonalità a un’altra? In base alle alterazioni transitorie.2 Siamo in Do maggiore e, nel corso del brano, troviamo un Fa: è estremamente probabile che siamo andati in Sol M (V). Se invece troviamo un Si, probabilmente saremo in Fa M (IV). Se troviamo un Sol, sensibile di La, andiamo a La m (VI); stesso discorso se troviamo Fa e Sol, riferibili alla scala melodica ascendente di La m.3 Se troviamo Si e Do, andiamo in Re m (II). Leggermente più complesso il discorso per le tonalità minori. Siamo in Do minore, caratterizzato dalla sensibile Si. Ad un certo punto non compare più il Si, e al suo posto troviamo il Si: molto probabilmente stiamo andando in Mi M, ovvero al III (ipotesi verosimile soprattutto se al basso vediamo il salto Si-Mi). Se invece compaiono La e Fa, stiamo andando in Sol m (V). Le tonalità minori possono creare maggiori difficoltà rispetto alle tonalità maggiori perché sono “mobili”, come si evidenzia nella scala minore melodica: possiamo trovare sia VI e VII naturali, sia VI e VII alterati. Dobbiamo tenere presenti tutte queste possibilità. Ad esempio, in un brano in Do m appaiono ad un certo punto un La, un Mi, e un Fa. Il La ci potrebbe far pensare alla tonalità di Si M, ma la escludiamo perché appare anche il Mi. Il Fa invece ci indirizza decisamente verso la tonalità di Sol m, di cui è sensibile. Ma il Sol m ha il Mi in chiave: come mai appare il Mi? Perché stiamo facendo riferimento alla scala melodica ascendente di Sol minore. In realtà, potremmo trovare a poche note di distanza l’uno dall’altro il Mi e il Mi, il Fa e il Fa: tutti suoni che appartengono alla tonalità di Sol m. L’indizio più rilevante è in ogni caso rappresentato dalla sensibile: se andiamo in Sol m potrebbero non comparire Mi, Mi e Fa, ma sicuramente ci sarà il Fa. Nel periodo Barocco le aree armoniche toccate nel corso di un brano sono di norma rappresentate dalle tonalità vicine (ovviamente le eccezioni sono numerose e significative). Teniamo quindi presente – per fare riferimento a una tonalità maggiore e a una minore – che in un brano in Do maggiore sicuramente Bach toccherà, ad un certo punto, le tonalità di Sol maggiore (V) e Fa maggiore 1 Qualcuno dice tonicizzazione: una tonalità secondaria viene momentaneamente percepita come tonalità di riferimento. Il che è corretto; ma il termine non mi convince del tutto perché il riferimento alla tonica rimanda a un’idea di stabilità armonica, mentre questi passaggi sono essenzialmente dinamici, instabili. 2 Non tutte le alterazioni implicano una modulazione; potremmo ad esempio avere una dominante secondaria, oppure un cromatismo di passaggio: vedremo più avanti questi casi. 3 Cfr. Strumenti per l’analisi musicale (I). 2 Liceo musicale di Forlì – Teoria, analisi e composizione II M, a.s. 2015/16 – Prof. Rocco De Cia [20.12.2015] (IV), e molto probabilmente le tonalità di La minore (VI) e Re minore (II); la tonalità di Mi minore (III) sarà invece – statisticamente – meno frequente (soprattutto nei brani brevi). In Do minore, sicuramente in Bach troveremo momenti in Mi maggiore (III), in Fa m (IV) e in Sol m (V); e sarà altrettanto probabile toccare La M (VI) e Si M (VII). 5. Cadenze Qui parliamo non delle cadenze virtuosistiche che ascoltiamo nei Concerti per strumento solista, né delle altrettanto virtuosistiche cadenze vocali delle Arie da melodramma. Parliamo della più discreta – ma indispensabile – cadenza che punteggia e dà respiro a un brano musicale. Cadenze di questo genere possiamo trovarne almeno a partire dal Gregoriano per arrivare fino ai nostri giorni. Ci concentreremo però, come ho premesso, sul periodo Barocco. Non è semplice trovare una definizione chiara e univoca del concetto di cadenza, né è semplice – almeno all’inizio – identificarla in partitura. Un po’ più facile è individuarla all’ascolto, se la si cerca con attenzione e si sa grosso modo come può suonare e a cosa può servire. Grazie all’allenamento non sarà difficile riconoscerla: è costituita principalmente da formule ricorrenti (ovviamente anche a questo proposito troviamo notevoli differenze a seconda dell’epoca e dello stile musicale). Non è raro, in Bach come in altri compositori, che le cadenze si affranchino dai legami col materiale fino a quel momento oggetto di sviluppo, riconducendosi a una formula stereotipata, oppure espandendosi fantasticamente, come per esaurire l’inerzia accumulata. La cadenza serve per concludere una sezione di un brano. Può rappresentare una conclusione sia melodica sia armonica, e spesso le due cose coincidono. Quando avvertiamo che una parte del brano finisce, e ne inizia una nuova, molto probabilmente abbiamo sentito una cadenza. La cadenza è quindi uno strumento fondamentale per dare forma a un brano, e anche per orientarsi nell’ascolto. Per quanto riguarda l’armonia, la varietà delle cadenze è pressoché infinita. Mi limito però a considerare le cadenze che definiscono una tonalità. Fra tutte, la più importante è senza dubbio la successione V-I (dominante-tonica). Più avanti prenderemo in considerazione gli accordi, per ora limitiamoci a osservare il movimento della linea del basso. Se all’ascolto avvertiamo la conclusione di una sezione del brano, controlliamo il basso: probabilmente troveremo una successione V-I realizzata con un salto di quinta discendente o di quarta ascendente. Ad esempio, se troviamo il basso Sol-Do saremo in Do M (o, a seconda dei casi, in Do m); se troviamo il basso Si-Mi saremo in Mi M (oppure in Mi m); se troviamo il basso Do-Fa saremo in Fa M (oppure in Fa m). Le cadenze rappresentano quindi un indizio utile per capire in quale tonalità ci troviamo. Fra le formule tipiche, il salto di ottava sulla dominante. Questa è una cadenza a La m: il movimento V-I è Mi-La. Al basso troviamo il salto di ottava discendente Mi-Mi, e poi di seguito la risoluzione sul La (subito dopo c’è il salto di ottava discendente sulla tonica, La-La: altrettanto caratteristico dello stile barocco, ma meno frequente). Altro elemento caratteristico della cadenza è la risoluzione della sensibile, che sale alla tonica. In quest’ultimo esempio, è il Sol che sale al La. Spesso, nelle Invenzioni, la risoluzione non è diretta: qui il La arriva sei note dopo il Sol. 3 Liceo musicale di Forlì – Teoria, analisi e composizione II M, a.s. 2015/16 – Prof. Rocco De Cia [20.12.2015] Oltre alla cadenza perfetta V-I la teoria musicale cataloga numerose tipologie di cadenza. Fra di esse, per il momento ne ricordiamo almeno due: la cadenza d’inganno dove il basso, anziché risolvere sulla tonica, sale di grado, con un movimento V-VI, e la cadenza sospesa dove il fraseggio si arresta sulla dominante.4 Dovremmo anche aggiungere la distinzione fra cadenza perfetta e cadenza imperfetta – ma per classificarle dovremo prima conoscere i rivolti degli accordi. Per ora ci limitiamo ad anticipare che nella cadenza perfetta gli accordi di V e I sono entrambi in stato fondamentale (in una cadenza in Do M avremmo al basso il Sol nel V e il Do nel I); nella cadenza imperfetta uno o entrambi gli accordi sono in rivolto (in una cadenza in Do M avremmo al basso il Si o il Re nel V; oppure potremmo trovare al basso il Mi nel I). 4 4