Riflessioni sul rapporto tra uomo e natura: alcuni esempi
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Riflessioni sul rapporto tra uomo e natura: alcuni esempi
Riflessioni sul rapporto tra uomo e natura: alcuni esempi UOMO E NATURA Non è possibile separare l’Uomo dalla Natura considerata nella sua interezza di pianeta Terra (per non parlare di nostro sistema solare, di nostra galassia, di universo…). Non pensiamo quindi a “Uomo e Natura separati”, ma a “Uomo parte integrante della Natura”. Questo ci porta inevitabilmente a considerare non il “naturale” contrapposto all’“artificiale”, facendo parte della natura anche tutto ciò che l’“homo faber” ha costruito o modificato. Le città, le zone industriali, le cave, le strade sono equiparabili a una città delle formiche, a una colata di lava, a un monte franato, a un bosco percorso da un incendio, con ecosistemi all’inizio molto semplici e poi via via relativamente più complessi. Questo concetto non sarà ben digerito né da chi considera la natura al semplice servizio dell’uomo, né da chi considera l’uomo il cattivo e la natura, idealizzata bella, da preservare dall’invadenza umana (tipo: “se non ci fosse l’uomo sarebbe meglio”), né da chi definisce la natura “matrigna”, cioè nemica dell’uomo. Il concetto di Uomo parte integrante della Natura risulta più facile da accettare se si considera il pianeta Terra non solo nell’oggi, ma anche nei milioni di anni della sua vita, durante i quali ha visto alzarsi e spianarsi le montagne, muoversi i continenti, prosciugarsi mari interni, formarsi deserti, avvicendarsi periodi caldi e glaciali, comparire nuove specie animali (uomo compreso) e vegetali, estinguersi interi gruppi a seguito di eventi catastrofici. I VARI APPROCCI NEL NOSTRO RAPPORTO CON LA NATURA Sfera razionale Da spettatore distaccato Se si considerano le modifiche che l’uomo apporta all’ambiente per migliorare le proprie condizioni di vita (abitazioni, campi coltivati, cave, strade, ecc.) equiparabili ai cambiamenti naturali, anche le “ferite” più profonde inferte al territorio non sono irreparabili, dato che col tempo finiranno per rimarginarsi e si imporranno situazioni nuove e sempre mutevoli (livelli climax). Pure le introduzioni di specie animali e vegetali da un continente all’altro, accidentalmente od intenzionalmente, vengono giudicate con quest’ottica non diverse dagli spostamenti naturali su vasta scala. Per lo spettatore distaccato non è quindi necessario intervenire, ci penserà prima o poi Madre Terra. E’ quanto si sta verificando in piccolo nell’entroterra della Provincia di Pesaro e Urbino dal dopoguerra ad oggi: con lo spopolamento delle zone più disagevoli, il bosco ha riconquistato quelli che erano campi coltivati, pascoli e strade, e continuerà a crescere se lo si lascerà evolvere. I versanti più acclivi sono inoltre modellati dall’erosione verso nuovi equilibri e i fiumi portano via i sedimenti per depositarli in mare e sulle spiagge. L’approccio da spettatori distaccati non comporta alcun coinvolgimento personale né spesa per la comunità. Ma se è facile rimanere spettatori osservando eventi lontani nello spazio e nel tempo, ben altra cosa è trovarsi coinvolti in una frana o in un’alluvione. Da persona pratica e senza troppi sensi di colpa Il modo più spontaneo ed efficace a breve termine per la specie umana, analogamente a quanto fanno tutte le altre specie viventi, è considerare la natura una risorsa apparentemente inesauribile dalla quale trarre sostentamento e da modificare a proprio piacimento per rendere più facile e gradevole la vita. In questo approccio non esistono eccessivi sensi di colpa né per un futuro disastrato che potrebbero ereditare le prossime generazioni, né per i danni causati da comportamenti negativi per l’ambiente alla cerchia di umanità fuori dell’ambito strettamente familiare o di gruppo ristretto. Da persona informata e coinvolta nella protezione ambientale Per un presente migliore o quanto meno stabile per la specie umana, non si può non intervenire con interventi continui per contrastare localmente gli inquinamenti, il dissesto idrogeologico e le altre minacce al nostro benessere. Per chi si preoccupa poi del futuro, è importante impegnarsi anche a favore di azioni a livello internazionale per combattere il riscaldamento globale e la desertificazione, salvaguardare l’acqua potabile e trovare soluzioni alternative prima che si esauriscano le fonti energetiche non rinnovabili. Per chi, senza fini strettamente egoistici, ha a cuore pure la natura “extra umana”, è doveroso intervenire con azioni dirette e con forme di tutela passive (divieti, limitazioni) per restaurare, mantenere o difendere territori particolari, singoli ecosistemi e singole specie animali e vegetali minacciate di estinzione. Nell’ambito dei parchi e delle riserve naturali si opera in questo modo nelle zone definite “aree di tutela orientata”. Questi interventi presuppongono una buona conoscenza della natura e dei meccanismi che la regolano e spesso sono costosi, difficili e politicamente impegnativi. Per aree non o scarsamente abitate è conveniente non intervenire e lasciar fare alla natura, anche attraverso interventi specifici di tutela ambientale (“aree wilderness” che prevedono forti limitazioni all’intervento umano e “aree di tutela integrale” nei parchi e nelle riserve naturali). Sfera morale ed emotiva Approccio etico Si può essere contro le uccisioni di specie animali (da un elefante a un topo e a un moscerino) a meno che non siano fonte importante di cibo e che non rechino danni gravi a persone o cose. Possiamo inoltre pensare alla specie umana come un “Fratello maggiore” per gli altri esseri viventi, un fratello maggiore che si sente eticamente responsabile del loro benessere e sopravvivenza non per un interesse personale, ma per il loro valore intrinseco e per il solo fatto di esistere. Anche la Religione Cattolica tratta il rapporto tra l’Uomo e il resto del Creato (1). Approccio estetico L’approccio estetico nei confronti della natura è importante e diffuso. La natura e il paesaggio attorno a noi sono da rispettare e da proteggere perché considerati belli. Questo concetto ha prodotto in Italia una specifica normativa (vincolo paesaggistico) che tutela le “bellezze naturali”. Anche nelle religioni si ritrova il concetto di bellezza del creato. Come non ricordare il Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi (1182 - 1226): (…..) Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature, spetialmente messor lo frate Sole, lo qual è iorno, et allumeni noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de Te, Altissimo, porta significatione. Laudato si', mi Signore, per sora Luna e le stelle: in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato si', mi' Signore, per frate Vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento. Laudato si', mi' Signore, per sor Aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si', mi Signore, per frate Focu, per lo quale ennallumini la nocte: ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. (…….) Anche chi possiede questi atteggiamenti mentali di tipo etico ed estetico, al pari delle persone impegnate e coinvolte razionalmente, opera per mettere in pratica o sostenere le azioni di salvaguardia rivolte ad interi ecosistemi (la biodiversità nel mondo, la foresta pluviale, la barriera corallina…) o a singole specie minacciate di estinzione (la tigre, le balene, il lupo, l’orso, il gorilla…). Ognuno di noi ha in sé tutti o una parte di questi atteggiamenti mentali, con vari gradi di prevalenza e di coinvolgimento nelle successive fasi decisionali e di coinvolgimento personale. ESEMPI DI APPROCCI IN CASI SPECIFICI Mentre è relativamente facile prendere posizione su temi quali un inquinamento o la distruzione di un bene ambientale peculiare, risulta più difficile schierarsi su temi dove gli atteggiamenti mentali sopra descritti entrano in conflitto tra loro. Tutto ciò comunque a patto che il problema sia ben conosciuto e che gli interventi proposti siano giudicati efficaci. Impianti fotovoltaici a terra Dal punto di vista della “persona pratica” utilizzare l’energia del sole è positivo, tanto più considerando il basso tornaconto che si può avere oggi dalle produzioni agricole non di pregio. Anche la perdita di naturalità è bassa, dato che una coltivazione a cereali o a foraggiere, condotta coi metodi dell’agricoltura non biologica, non ha una grande biodiversità. Se però prevale l’approccio estetico, è preferibile un campo di grano che biondeggia in giugno, meglio se costellato del rosso dei papaveri. Che fare? Se ne può uscire solo incentivando la sistemazione degli impianti fotovoltaici sui tetti delle abitazioni e dei capannoni industriali. Impianti eolici Dal punto di vista della “persona pratica” utilizzare l’energia del vento è positivo e non presenta lati negativi. Dal punto di vista della “persona informata e coinvolta nella protezione ambientale” vi sono preoccupazioni sul danno che questi impianti arrecano all’avifauna e agli ecosistemi nell’intorno soprattutto quando si scelgono zone poco antropizzate e ricche di naturalità, danno che può superare il vantaggio di sfruttare un’energia rinnovabile. Se si considera l’approccio estetico, molti vedono il paesaggio collinare e montano fortemente deturpato dalle pale eoliche, altri riconoscono a queste strutture una loro bellezza. Che fare? Se si vogliono salvaguardare paesaggi ed ecosistemi peculiari al di fuori dei territori che hanno già una normativa vincolistica severa in rapporto agli impianti eolici, occorrerebbe documentare la notevole rilevanza ambientale e paesaggistica di queste altre zone ed applicare ad esse la stessa normativa restrittiva, nell’ambito comunque di una idonea via legislativa. Per il resto della nostra Provincia valgono le normative vigenti che limitano o regolano la costruzione di impianti eolici. Nutrie La Nutria nella Provincia di Pesaro e Urbino è specie esotica, introdotta a partire dal 1950-60 in allevamenti per utilizzarne la pelliccia, successivamente ambientatasi in ambienti acquatici e ormai diffusasi ovunque trovi le condizioni idonee, fino a ridosso del litorale. Dal punto di vista della “persona pratica” la nutria non è più una fonte di reddito e di cibo come un tempo, e viene ignorata a patto che non causi danni a coltivazioni ed arginature. Dal punto di vista dello “spettatore distaccato” è una specie che ha trovato con l’aiuto dell’uomo un suo nuovo e più ampio areale di distribuzione e non va perseguitata. Dal punto di vista etico sono prevalenti le motivazioni legate al rispetto della vita. Dal punto di vista della “persona informata e coinvolta nella protezione ambientale” vi sono preoccupazioni sui danni che arreca ad ecosistemi acquatici e ad altre specie animali autoctone e potenzialmente a rischio. Che fare? Dal punto di vista del mantenimento degli ecosistemi acquatici di pregio, laddove i danni provocati dalla nutria siano accertati, occorre limitare la diffusione di questa specie mediante l’uso di trappole e successiva uccisione e smaltimento della carcassa. Le operazioni di contenimento e di eradicazione si presentano tuttavia difficili e non risolutive (Cocchi R. e F. Riga, 2001 - Linee giuda per il controllo della Nutria (Myocastor coypus). Quad. Cons. Natura, 5. Min. Ambiente Ist. Naz. Fauna Selvatica). Cinghiali Il Cinghiale nella Provincia di Pesaro e Urbino è specie esotica, introdotta a partire dal 1960-70 per scopi venatori e ormai diffusasi ovunque trovi le condizioni idonee, fino a ridosso del litorale. Dal punto di vista della “persona pratica” il cinghiale è una fonte di reddito e di cibo come un’altra, a patto che non prevalgano i danni arrecati alle coltivazioni. Dal punto di vista dello “spettatore distaccato” è una specie che sta trovando da sola la propria nicchia ecologica ed areale di distribuzione e non va perseguitata. Dal punto di vista etico possono essere prevalenti le motivazioni legate al rispetto della vita. Che fare? A mio avviso aumentando lo studio, la pianificazione e il controllo nelle zone a caccia libera. Per le aree protette, qualora l’elevato numero di cinghiali causi danni documentati ad altre specie animali, agli ecosistemi e alle zone coltivate periferiche, occorre procedere a catture con apparati appositi oppure, nel caso in cui l’attività di cattura sia inefficace, ad abbattimenti col fucile (2). Anche nel primo caso comunque il cinghiale è poi di solito ucciso e la sua carne utilizzata come cibo. NOTE (1) Da: Pace con Dio creatore, Pace con tutto il creato - Messaggio di Giovani Paolo II per la Giornata della Pace, 1990 1. Si avverte ai nostri giorni la crescente consapevolezza che la pace mondiale sia minacciata, oltre che dalla corsa agli armamenti, dai conflitti regionali e dalle ingiustizie tuttora esistenti nei popoli e tra le Nazioni, anche dalla mancanza del dovuto rispetto per la natura, dal disordinato sfruttamento delle sue risorse e dal progressivo deterioramento della qualità della vita. Tale situazione genera un senso di precarietà e di insicurezza, che a sua volta favorisce forme di egoismo collettivo, di accaparramento e di prevaricazione. Di fronte al diffuso degrado ambientale l’umanità si rende ormai conto che non si può continuare ad usare i beni della terra come nel passato. L’opinione pubblica ed i responsabili politici ne sono preoccupati, mentre studiosi delle più diverse discipline ne esaminano le cause. Sta così formandosi una coscienza ecologica, che non deve essere mortificata, ma anzi favorita, in modo che sviluppi e maturi trovando adeguata espressione in programmi ed iniziative concrete. 2. Non pochi valori etici, di fondamentale importanza per lo sviluppo di una società pacifica, hanno una diretta relazione con la questione ambientale. L’interdipendenza delle molte sfide, che il mondo odierno deve affrontare, conferma l’esigenza di soluzioni coordinate, basate su una coerente visione morale del mondo. Per il cristiano una tale visione poggia sulle convinzioni religiose attinte alla Rivelazione. Ecco perché, all’inizio di questo Messaggio, desidero richiamare il racconto biblico della creazione, e mi auguro che coloro i quali non condividono le nostre convinzioni di fede possano egualmente trovarvi utili spunti per una comune linea di riflessione e di impegno. 3. Nelle pagine della Genesi, nelle quali è consegnata la prima autorivelazione di Dio alla umanità (Gen 1-3), ricorrono come un ritornello le parole: “E Dio vide che era cosa buona”. Ma quando, dopo aver creato il cielo e il mare, la terra e tutto ciò che essa contiene, Iddio crea l’uomo e la donna, l’espressione cambia notevolmente: “E Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa molto buona” (Gen 1, 31). All’uomo e alla donna Dio affidò tutto il resto della creazione, ed allora -come leggiamo- poté riposare “da ogni suo lavoro” (Gen 2, 3). La chiamata di Adamo ed Eva a partecipare all’attuazione del piano di Dio sulla creazione stimolava quelle capacità e quei doni che distinguono la persona umana da ogni altra creatura e, nello stesso tempo, stabiliva un ordinato rapporto tra gli uomini e l’intero creato. Fatti ad immagine e somiglianza di Dio, Adamo ed Eva avrebbero dovuto esercitare il loro dominio sulla terra (cfr. Gen 1, 28) con saggezza e amore. Essi, invece, con il loro peccato distrussero l’armonia esistente, ponendosi deliberatamente contro il disegno del Creatore. Ciò portò non solo all’alienazione dell’uomo da se stesso, alla morte e al fratricidio, ma anche ad una certa ribellione della terra nei suoi confronti (cfr. Gen 3, 17-19; 4, 12). Tutto il creato divenne soggetto alla caducità, e da allora attende, in modo misterioso, di essere liberato per entrare nella libertà gloriosa insieme con tutti i figli di Dio (cfr. Rm 8, 20-21). 4. I cristiani professano che nella morte e nella risurrezione di Cristo si è compiuta l’opera di riconciliazione dell’umanità col Padre, a cui “piacque... riconciliare a sé tutte le cose, pacificando col sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli” (Col 1, 19-20). La creazione è stata così rinnovata (cfr. Ap 21, 5), e su di essa, prima sottoposta alla “schiavitù” della morte e della corruzione (cfr. Rm 8, 21), si è effusa una nuova vita, mentre noi “aspettiamo nuovi cieli e una nuova terra, nei quali avrà stabile dimora la giustizia” (2 Pt 3, 13). Così il Padre “ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: cioé il disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose” (Ef 1, 9-10). 5. Queste considerazioni bibliche illuminano meglio il rapporto tra l’agire umano e l’integrità del creato. Quando si discosta dal disegno di Dio creatore, l’uomo provoca un disordine che inevitabilmente si ripercuote sul resto del creato. Se l’uomo non è in pace con Dio, la terra stessa non è in pace: “Per questo è in lutto il paese e chiunque vi abita langue, insieme con gli animali della terra e con gli uccelli del cielo; perfino i pesci del mare periranno (Os 4, 3). L’esperienza di questa “sofferenza” della terra è comune anche a coloro che non condividono la nostra fede in Dio. Stanno, infatti sotto gli occhi di tutti le crescenti devastazioni causate nel mondo della natura dal comportamento degli uomini indifferenti alle esigenze recondite, eppure chiaramente avvertibili, dell’ordine e dell’armonia che lo reggono. Ci si chiede pertanto, con ansia, se si possa ancora porre rimedio ai danni provocati. E’ evidente che un’idonea soluzione non può consistere semplicemente in una migliore gestione, o in un uso meno irrazionale delle risorse della terra. Pur riconoscendo l’utilità pratica di tali simili misure, sembra necessario risalire alle origini e affrontare nel suo insieme la profonda crisi morale, di cui il degrado ambientale è uno degli aspetti preoccupanti. (……………) (2) (Da: Monaco A., Carnevali L. e S. Toso, 2010 – Linee guida per la gestione del Cinghiale (Sus scrofa) nelle aree protette. 2° edizione. Quad. Cons. Natura, 34, Min. Ambiente – ISPRA) Sebbene la manifestazione più eclatante dell’impatto esercitato dal Cinghiale sia indubbiamente quella sulle colture, non va dimenticato che esso è in grado di esercitare considerevoli effetti anche sulle biocenosi naturali. Per quanto concerne le diverse fitocenosi, va sottolineato che in mancanza di studi intensivi e a lungo termine, le conoscenze disponibili sono molto limitate e comunque preliminari. Tra i diversi temi che necessitano di approfondimento, particolare attenzione andrebbe dedicata allo studio dell’impatto derivante dall’attività di scavo (rooting) a carico delle praterie d’altitudine, per i possibili molteplici effetti che questa può implicare su queste tipologie vegetali (alterazione quali-quantitativa delle comunità vegetali, riduzione della capacità portante per gli ungulati selvatici e domestici, alterazione delle capacità idrologiche dei pascoli). In termini di impatto sulle zoocenosi, sono numerose le fonti che riportano fenomeni di predazione attiva o competizione del Cinghiale nei confronti di uno spettro molto ampio di specie animali (dagli Insetti ai Mammiferi). Purtroppo, quasi sempre si tratta di informazioni di carattere qualitativo, che non quantificano la reale entità degli impatti e, conseguentemente, quella dei rischi per le zoocenosi. Ad esempio, è argomento oggetto di controversie l’entità della predazione del Cinghiale sui nidi di uccelli nidificanti a terra (es. Tetraonidi e Fasianidi), da alcuni considerata tale da provocare una contrazione numerica nelle popolazioni che localmente può divenire anche consistente fino ad arrivare all’estinzione. In relazione allo stato di conservazione non certo ottimale o all’elevato valore conservazionistico di molte specie soggette alla predazione o alla competizione da parte del Cinghiale (es. specie presenti nell’Allegato II della Direttiva 92/43 CEE “Habitat”), assume particolare rilevanza ed urgenza la realizzazione di rigorosi studi sperimentali mirati alla definizione qualitativa e quantitativa di questo fenomeno, la cui conoscenza risulta indispensabile per una corretta pianificazione della presenza del Cinghiale sul territorio. Le tecniche di controllo numerico devono coniugare le seguenti caratteristiche: • selettività; • minimizzazione dello stress psicofisico per l’animale; • ridotto o nullo disturbo alle restanti componenti delle zoocenosi; • rapporto credibile tra sforzo profuso e risultati ottenuti; • rispetto assoluto delle condizioni di sicurezza per gli operatori coinvolti e per i frequentatori dell’area protetta. Il disturbo alle restanti componenti delle zoocenosi, già di per sé affatto trascurabile nel territorio ove è permessa l’attività venatoria, assume un’importanza particolarmente rilevante in un’area protetta. Fatte queste premesse, risulta evidente che sia la classica braccata con cani da seguita, normalmente utilizzata per la caccia al Cinghiale nel nostro Paese, che la battuta (analoga alla braccata ma effettuata senza l’ausilio di cani), mal si prestano ad essere adottate come tecniche di controllo numerico del Cinghiale nelle aree protette. Al contrario le restanti tecniche (cattura con trappole o recinti, abbattimento individuale da appostamento e girata), pur con le dovute distinzioni, sono in grado di assicurare il massimo grado di selettività e sicurezza unitamente ad un ridotto disturbo e, se applicate in condizioni idonee, ad un rapporto costi/benefici mediamente elevato. Il sistema di cattura in grado di fornire i migliori risultati in termini di rapporto costi-benefici, è quello che prevede l’uso di recinti o trappole autoscattanti, in cui gli animali vengono attirati con un’esca alimentare. L’efficienza di questo sistema di cattura dipende sostanzialmente dalla densità di strutture attive, dalle loro modalità di gestione, dalla densità di cinghiali e dall’offerta trofica, in termini di quantità e qualità, prodotta dall’ambiente. Poiché tale offerta non è costante durante il ciclo annuale, l’efficienza delle trappole varia considerevolmente a seconda delle stagioni, con picchi che tendenzialmente si collocano nella tarda estate in ambienti di tipo mediterraneo e nella seconda metà dell’inverno in quelli a clima continentale. Accanto agli aspetti positivi di questo tipo di strumenti di controllo numerico vanno citati anche quelli problematici: • i costi di impianto, di manutenzione e di gestione delle strutture sono relativamente elevati quando la loro densità è tale da consentire una ragionevole efficienza; • le difficoltà di gestione logistica possono risultare anche considerevoli in presenza di un cospicuo numero di strutture contemporaneamente operanti sul territorio; • la rigida interpretazione della normativa vigente può portare alla definizione di protocolli operativi estremamente complessi e di difficile applicabilità pratica; • talvolta si verifica un’asincronia tra i periodi di massima efficacia delle catture e massima vulnerabilità di alcune colture; • la ridotta accettazione sociale dell’attività di cattura da parte di soggetti contrari, per motivi diversi, alla rimozione dei cinghiali può comportare l’apertura di contenziosi giudiziari di varia natura o il ricorso a sabotaggi delle strutture; • l’entità dello stress causato agli animali catturati, ancorché di difficile quantificazione, risulta direttamente correlato alle modalità di gestione post-cattura e ai tempi di necessari per il completamento dell’iter previsto per la rimozione; • il destino dei cinghiali catturati non risulta di facile gestione in relazione all’attuale quadro normativo di carattere sanitario. Le tecniche da ritenersi più idonee alla realizzazione di abbattimenti di Cinghiale nelle aree protette sono quella individuale da appostamento con carabina e l’abbattimento in forma collettiva mediante “girata”. Il tiro da appostamento con carabina munita di ottica di puntamento risulta caratterizzato dal miglior grado di selettività e da un disturbo assai limitato; la sua efficienza è invece direttamente proporzionale non solo allo sforzo intrapreso (numero di ore/uomo), ma anche alla professionalità degli operatori. Determinanti, ai fini del successo, risultano anche l’esistenza di strutture, fisse (altane) o temporanee (schermature), utilizzate per gli appostamenti e la predisposizione di siti di alimentazione (anche automatici) sui quali attrarre gli animali per l’abbattimento. La scelta dell’ubicazione e delle caratteristiche degli appostamenti, nonché delle direzioni di tiro, effettuata nel più assoluto rispetto delle norme di sicurezza, deve avvenire ad opera di personale provvisto di adeguata esperienza in materia di balistica e di comportamento della specie. In caso di particolare necessità può essere previsto l’utilizzo (unicamente da parte del personale di istituto) del tiro con carabina di notte, con l’ausilio di automezzo e di faro a mano, per la ricerca attiva degli animali. La girata è una tecnica di abbattimento impiegata con relativa frequenza nei paesi d’Oltralpe e dell’Est europeo, ma ancora poco diffusa nel nostro Paese, anche se le esperienze condotte nell’ultimo decennio ne hanno provato l’efficienza in diversi contesti ambientali dell’Italia centrale e settentrionale. La girata è effettuata dal conduttore di un unico cane che ha la specifica funzione di “limiere”, cioè quella di segnalare la traccia calda dei cinghiali che dopo l’attività alimentare notturna si rifugiano nei tradizionali luoghi di rimessa. Come limiere è possibile utilizzare cani appartenenti a diverse razze; la cosa fondamentale è che il cane sia non solo dotato di ottime qualità naturali, ma che risulti estremamente ben addestrato e collegato al conduttore. Al fine di assicurare la correttezza tecnica e la sicurezza delle operazioni, i cani con funzione di limiere devono essere abilitati per prove di lavoro specifiche da un giudice dell’Ente Nazionale della Cinofilia (ENCI). Il conduttore e il cane formano il binomio di base per questo tipo di attività che si svolge in tre fasi diverse: la tracciatura, la disposizione delle poste e lo scovo. La tracciatura si esegue, nelle prime ore dopo l’alba, facendo lavorare il cane al guinzaglio (detto “lunga”) lungo tutto il perimetro di un’area di bosco delimitata (in genere superfici non superiori a qualche decina di ettari), in modo che il cane segnali con il suo comportamento gli eventuali punti di entrata dei cinghiali. Se il cane segnala un’entrata recente di animali nella zona di rimessa, il conduttore procede alla seconda fase dell’operazione disponendo le poste. Nella girata generalmente le poste sono poco numerose e collocate ad una certa distanza dal bordo del bosco, in corrispondenza delle uscite dei trottoi frequentati dagli animali. Disposte le poste, ha inizio la terza e ultima fase della girata: il conduttore entra nel bosco, in corrispondenza del punto precedentemente segnalato, con il cane alla lunga, o, se l’ambiente non lo permette come avviene nei boschi molto chiusi, liberando il cane che segue la traccia calda degli animali. Il cane arriva sul luogo in cui i cinghiali stazionano per il riposo diurno, li scova e li fa muovere verso le poste senza tuttavia forzarli eccessivamente. I cinghiali, invece di disperdersi a corsa pazza davanti ai cani come avviene nella braccata, tendono a seguire i trottoi abituali da essi normalmente utilizzati per spostarsi nel bosco, escono vicino alle poste, generalmente al passo o al piccolo trotto, e qui possono essere abbattuti. Posto che il binomio conduttore-cane risulti dotato di una buona professionalità e che il conduttore abbia acquisito un’ottima conoscenza del territorio in cui s’intende intervenire, la girata rappresenta un sistema caratterizzato da un positivo rapporto tra sforzo praticato e risultati ottenuti, a fronte di un disturbo assai più limitato rispetto a quello generato dalle braccate.