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Alice Roland è nata nel 1982. Scrive e danza. Ha preso parte agli spettacoli dei coreografi Philippe Decouflé et Gaëlle Bourges. A occhio nudo è il suo primo romanzo, pubblicato in Francia nel 2014, e frutto di una approfondita esperienza nel mondo del porno. Gare du Nord La frenesia e la multiculturalità della parigina Gare du Nord raccontano il carattere composito della collana di narrativa contemporanea di Edizioni Clichy, dedicata alla scrittura di stampo letterario, principalmente francofona ma non solo: storie, esseri umani, vite, colori, suoni, silenzi, tematiche forti, autori dal linguaggio inconfondibile, senza timore di assumere posizioni di rottura di fronte all’establishment culturale e sociale o di raccontare abissi, sperdimenti, discese ardite ma anche voli e flâneries. «À l’Œil Nu» de Alice Roland © 2014 P.O.L. Éditeur - Paris Per l’edizione italiana: © 2015 Edizioni Clichy - Firenze Edizioni Clichy Via Pietrapiana, 32 50121 - Firenze www.edizioniclichy.it Isbn: 978-88-6799-193-8 Alice Roland A occhio nudo Traduzione di Tania Spagnoli Edizioni Clichy Sommario Al lavoro Il mondo mi si è aperto attraverso il culo Inventario Regolamento interno Grand-Guignol Una o due domande che mi hai fatto Quello che, dai nomi, differisce Cronache del Sex-Show La ragazzina alla sua grossa preda Dove vivono quelli che contano La prova del peggio 11 23 79 91 93 123 131 177 197 201 239 A occhio nudo Ringrazio Sandrine B. per la sua presenza, la sua assenza, la sua presenza Al lavoro Viviana Boudu (Vénus) «Pensate che il sesso sia interessante. Ciò che lo riguarda. Qualsiasi cosa. Che dire. Forse dei poemi. Un trattato didattico?» A mo’ di preambolo, o di avvertimento, e perché capiate il desiderio che mi ha spinto a raccogliere i testi che vi accingete a leggere, devo informarvi di quanto segue: Il mio corpo è in tutto e per tutto riconoscibile come quello di una donna e, una volta spogliata, non lascia spazio a nessuna ambiguità. Questo fa una grossa differenza rispetto al mio accesso a certi mestieri e alle situazioni che vivo. Mi è ad esempio molto facile diventare spogliarellista nel mercato eterosessuale. Il che è perfetto. È quello che ho fatto. Ed è in questo modo che ho incontrato tutti i testimoni, donne che, come me, esercitavano questa professione e che hanno partecipato alla stesura di questo libro, alla compilazione dei testi per essere precisi. Mi sarebbe piaciuto approfittare della letteratura - cioè dello strumento che fa sì che un lettore venga messo in contatto con il testo di un autore senza mai avere accesso al suo corpo, e senza alcuna possibilità di verificare che quel corpo sia conforme al modo in cui è descritto, quando il libro dice «io» - approfittarne per crearmi un al11 Alice Roland tro corpo, per assumere delle identità che gli sono attribuite (corpo di donna, corpo di giovane, corpo del XXI secolo), altrettanti nomi che gli si addicono, altrettanti nomi ai quali posso corrispondere. Rimando questo progetto a un secondo momento.1 Per il momento parliamo collettivamente, in tante, di una situazione che abbiamo vissuto, e che abbiamo potuto vivere solo grazie alla nostra appartenenza al genere femminile, all’Occidente del XXI secolo, alla giovinezza. Siamo state tutte assunte dal locale A Occhio Nudo, il sex-show in boulevard de l’Est (alla diramazione della circonvallazione che permette di non entrare in città), grazie a questo corpo, a condizione di questo corpo - di questo aspetto. A condizione di questa congiunzione di corpo, luogo e tempo. Magari siete in tanti ad aver già messo piede in un sex-show, o in un peep-show, o in un live-show - ma anche quando si frequentano con assiduità, certi luoghi tendono a mantenere una punta di mistero, qualcosa di irrisolto, di ambiguo (che si ama o si rifugge). Vero? Si trattava del nostro posto di lavoro - per tanti anni per alcune, per qualche mese per altre. Per questo, il libro che avete in mano non parlerà tanto di sesso quanto di lavoro - di lavoro con il sesso (il proprio, ma soprattutto quello degli altri, di coloro che amano eccitarsi in compagnia). Di lavoro, ovvero di uno degli elementi che più modellano la vita di coloro che devono guadagnarsi da vivere, in questi tempi di crisi, di crisi che non finisce più - la vita di chi vive di rendita non sarà quindi affrontata, non più di quella delle suore di clausura, ahimè. Ho sempre pensato di avere avuto fortuna a conoscere i sex-show nel loro periodo d’oro, all’epoca in cui la maggior parte delle donne che ci lavoravano erano simpatiche, indifferenti (il più delle volte) alla competizione, esperte in campi che allora mi erano del tutto estranei. 1 Ma per quanto io non faccia uso di questo potere di travestimento che la letteratura offre, siate liberi voi che leggete di goderne. Ignoro il mio interlocutore, chiunque voi siate mi rivolgo a voi: di conseguenza siate chi volete. Non esitate a trasformarvi, se questo vi aggrada. Leggendo Fante, appassionatevi al culo delle donne, leggendo Burroughs al culo degli uomini, leggendo Sade al culo di tutti, leggendo i pensieri di qualche spogliarellista, al pensiero stesso. Vi cambierà. 12 A occhio nudo Un’emerita fortuna. Ma forse ogni donna, anche tra quelle che non mi piacevano, anche tra quelle che hanno lavorato prima o dopo di me, pensa di aver conosciuto prima o poi quel periodo d’oro. Ho lasciato il sex-show da molti anni, abbastanza da non conoscere più nessuno nell’ambiente. Due o tre anni dopo la mia partenza sono tornata nel quartiere, con l’idea di salutare almeno il cassiere, più fedele di un ubriacone, o una delle mie ex-colleghe divenute ormai veterane nel loro campo. Il quartiere: strano posto per un sex-show. Il più delle volte si raggiunge in macchina o con lo scooter, o peggio ancora con un autobus il cui capolinea, in quel senso di marcia, è un po’ più lontano, verso la zona di attività della Croce Bianca, in un grande capannone dove gli autobus aspettano, in fila indiana, di ripartire. A tre fermate da lì si trova la stazione che collega la banlieue alla città. Per quanto gli autobus siano express, a chi viene da fuori il tragitto sembra sempre troppo lungo - e lì tutti vengono da fuori, non ci sono abitanti, nessun immobile residenziale, nessun appartamento, nessuna terrazza, nessuna piazza - solo uffici, bretelle autostradali, viali, autobus, baracchini che vendono patatine fritte e kebab per gli impiegati e, immerso nel viale, il locale A Occhio Nudo. Ovvero una strana visione: una villetta vecchia di almeno mezzo secolo, isolata tra due edifici più moderni che ospitano sedi centrali e uffici. Una traccia dei tempi antichi. Una villetta in mattoni intonacati, con tuttavia un fregio di brik a vista intorno a ogni finestra, e una pensilina di vetro sopra il portone d’ingresso. Una stradina stretta di cemento simile alla ghiaia costeggia la facciata, unico ricordo dell’aiuola che i vecchi proprietari devono aver faticato a tenere in vita. Un tempo qualcuno ci ha abitato. Gente eccentrica piena di eccentricità. Il tetto poggia sulle crepe così come sui muri. Malgrado i difetti, il locale A Occhio Nudo è sempre sembrato una villetta d’oro in mezzo al grigiore del quartiere. Per coloro che ci andavano a rifarsi gli occhi, certo, ma anche per me, per noi che ci lavoravamo e pensavamo che non era per niente male stare lì, avere un lavoro, bere caffè liofilizzato mentre l’una o l’altra faceva ammirare il proprio culo a quei tizi. Certo, la giornata non era dedicata solo al caffè in polvere. 13 Alice Roland Un tempo la villetta è appartenuta a un macellaio che è morto tre mesi dopo aver firmato l’atto di vendita - aveva avuto giusto il tempo di trasferirsi - e ancora prima a una coppia partita per Guadalcanal. Almeno è quello che raccontano. Non ho mai saputo chi l’ha fatta costruire né in che anno. L’inverno lasciava il posto alla primavera quando ci sono tornata con lo stesso autobus che mi aveva condotto lì così tante volte. Faceva freddo, un freddo rinvigorente, ma scendendo dall’autobus ecco cosa mi aspettava: lì dove un tempo c’era un sex-show, adesso non c’era più niente. La villetta era in rovina. Quindi niente più villetta. Niente più sex-show, niente più teatro, niente più erotico. Più nessuno di quelli che ci bazzicavano un tempo, neanche un vecchio habitué matto da legare. Scomparso il cliente che puzzava di cantina stantia, che veniva tutti i sabati - quel giorno era sabato -, che non mancava mai. Scomparso l’omone un po’ triste che passava lì diversi pomeriggi a settimana e che a volte ci portava delle bibite in lattina. Scomparso il cliente arrogante che tirava fuori il giornale e iniziava a leggere palesemente quando una di noi non gli piaceva. Più nessuno di quei tizi nei paraggi, più nessuno in generale nel sex-show che si era trasformato in una rovina fresca fresca. Quella visione, col primo piano mezzo demolito, ricordava una Venere sventrata: ciò che fino a quel momento aveva formato un tutto coerente, un edificio, per quanto misero, netto e intero, ben raccolto, ci offriva adesso il suo interno, che non avremmo mai dovuto vedere dalla strada, che sembrava attendere che il vento del viale gli areasse le viscere. Alla fine non c’era motivo di preoccuparsi per le crepe (all’epoca le guardavo regolarmente quando entravo, domandandomi se avrebbero retto per un altro giorno). La grossa massa tonda dei lavori pubblici aveva avuto la meglio e in un colpo solo aveva soppresso le crepe e i muri. Verso nord e verso sud sul viale, ovunque guardassi, gru e betoniere costruivano non so cosa, mentre davanti a me la villetta già distrutta aspettava di scomparire. Quel non so che e quell’incertezza avevano qualcosa di inebriante. Malgrado lo stupore che provavo, che sensazione di libertà in quei luoghi in costruzione! Non soltanto il viale ma tutte le strade intorno. Un peso 14 A occhio nudo dondolava in cima a una gru sulla destra, ne osservavo l’oscillazione dal marciapiede, immobile. Tutto a est, nel cielo nuvoloso - e sulla sinistra, verso nord, circolava o fuoriusciva del fumo. È stato sul marciapiede tra la villetta distrutta e le immense gru che mi è venuta l’idea del libro: poiché il locale A Occhio Nudo non esisteva più, dovevo far parlare quelle che lo avevano conosciuto come si intervista l’ultimo locutore quasi centenario di una lingua morta, o una vecchia coppia di contadini sui costumi locali. Quando ci lavoravamo, ci eravamo dette spesso, con una certa preveggenza, che un giorno avremmo rimpianto i bei tempi in cui ci bastava il nostro corpo per guadagnarci da vivere. Ho pensato che le ragazze con cui avevo scambiato questi discorsi avrebbero acconsentito a testimoniare, a scrivere tutte insieme una raccolta di piccoli testi su quel periodo della nostra vita e su ciò che aveva rappresentato il sex-show. In realtà, dall’istante in cui ero entrata nella villetta, avevo deciso di fare tutto da un punto di vista documentaristico, di considerare quel lavoro come un’inchiesta che prendeva vita sotto i miei occhi. Avevo già preso la stessa decisione per una sfilza di lavoretti prima - cameriera in un bar, promoter in un supermercato, sostituta di una portinaia - ma questa volta non si trattava più di un lavoretto. Non soltanto era un’esperienza nuova, ma anche un campo d’azione intenso della società, un vortice attraverso cui il mondo defluiva nel mio cervello per farsi analizzare. Sì, in quel deserto umano che era il boulevard de l’Est, in quel buco di culo del mondo, risiedeva qualcosa di fondamentale la congiunzione del desiderio e del denaro, la dipendenza inestricabile dell’individualismo più profondo e di una libido di massa. Certo, ero abbastanza poco informata sulle questioni economiche o di altro tipo relative al sex-show, e non mi era dato capirle dal mio ristretto punto di vista - questo si è verificato fino alla fine, del resto, poiché mi è stato impossibile svelare il mistero della chiusura del sex-show e della sua distruzione (e alla fine ci ho rinunciato, pensando che quello che abbiamo vissuto noi aveva più importanza delle ragioni corrotte di un agente immobiliare, del comune o dei proprietari stessi che aveva15 Alice Roland no fatto distruggere la baracca). Ho imparato molto. Per alcune mie colleghe l’esperienza è stata simile alla mia, per altre assolutamente diversa, ho scoperto in seguito. Sì, ho considerato tutto quello che accadeva all’Occhio Nudo come un’inchiesta, o un potenziale documentario offerto ai miei occhi; centinaia di esempi e di minuscole osservazioni quotidiane che avrei potuto inserire in un documento reale, ben filmato, ben fatto (non ho realizzato niente, per le ragioni che potete immaginare: dovevo agire con discrezione, avrei avuto bisogno del permesso della direzione per filmare, direzione che mi sembrava irraggiungibile poiché tanto fantomatica quanto tutti i vecchi inquilini del sex-show, o della villetta, per intendersi). Ma il film scorreva sotto i miei occhi solo perché anch’io ero implicata personalmente, professionalmente. In effetti, troppo spesso quando vogliamo discutere di desiderio o di sesso, ci troviamo confrontati a due categorie di persone: quelli che considerano il parlare dell’argomento una trasgressione alla regola e fanno in modo di svignarsela appena si affronta, e quelli - per lo più uomini - per i quali, avendo davanti una donna (poiché è assodato che io lo sia), la conversazione è immediatamente viziata da un tentativo di seduzione - dalla speranza, per quanto minima, di avere accesso al mio corpo. O magari non raggiungono neanche lo stadio del desiderio perché non mi trovano desiderabile, ma allora questo desiderio abortito si trasforma in una sorta di gentilezza ancestrale, in una galanteria che li obbliga, avendo le mani legate, ad avanzare proposte cortesi. Sì, il desiderio, come la politica, intrattiene conversazioni epidermiche - tanto è vero che il desiderio È politica. Per sapere, o meglio per restare perplessa, dovevo partecipare. Poco dopo il mio arrivo all’Occhio Nudo, ho sentito parlare di un libro dell’etnologa Jeanne Favret-Saada, Les Mots, la mort, les sorts, uno studio sulle pratiche di stregoneria nel bocage della Normandia. Ho sottolineato qualche frase qua e là, poi le ho ricopiate con cura in uno dei miei quaderni. E mi è stato utile, poiché le ho rilette più di una volta. Da un decennio all’altro, da una situazione all’altra, quelle parole sembravano rivolte proprio a me, la spogliarellista dallo spirito curioso. 16 A occhio nudo Ora, la stregoneria è parola, ma una parola che è potere e non sapere o informazione. Vale a dire che non esiste una posizione neutra della parola: in stregoneria, la parola è guerra. Chiunque ne parli è un belligerante, compreso l’etnografo. Non c’è posto per un osservatore neutrale. Quando si parla di stregoneria non è [mai] per sapere, ma per potere. Comunque per interrogare. Prima ancora di pronunciare una parola, l’etnografo si inserisce in un rapporto di forze, alla stregua di chiunque desideri parlare. Quando parla, il suo interlocutore cerca prima di tutto di identificarne la strategia, di misurarne la forza, di capire se è amico o nemico, se va conquistato o distrutto. Tutto ciò che viene detto della stregoneria è strettamente condizionato dal contesto di enunciazione. Quel che importa quindi non è tanto decifrare gli enunciati - o ciò che viene detto - quanto comprendere chi parla, e a chi. Sostituendo il termine «stregoneria» con «sessualità», o con «culo» se vi aggrada di più, otteniamo un paragrafo conclusivo. Non che noi spogliarelliste fossimo delle streghe moderne, non più di chiunque si dedichi a una qualche pratica sessuale (questione che qui non affrontiamo, e se vi interessa lascio a voi la libertà di rispondere). Ma il sex-show ci dava finalmente l’occasione di affrontare questioni veramente importanti che di solito vengono affrontate solo indirettamente. Come se il taglio fosse meno pericoloso della punta della lama! Ho sempre nutrito una grande curiosità per le pratiche sessuali dei miei congeneri, sia uomini che donne, nello stesso modo in cui potrei interessarmi alla letteratura o all’etnologia: è una passione intellettuale. Questo non ha molto a che vedere con le mie pratiche sessuali. Ed è una passione che al sex-show ci era possibile appagare. Morivo dalla voglia di sapere chi desiderava cosa e perché. Era mol17 Alice Roland to diverso dal lavorare lì e, ad esempio, dal girare un film porno. Al sex-show incontravamo clienti, potevamo parlare con loro. È possibile in questo genere di bettole. Erano loro ad appagare la nostra curiosità, come noi la loro. E perché ci parlassero di questo, dovevamo essere implicate anche noi, dovevamo entrare direttamente nel loro immaginario e diventare personaggi delle loro fantasie. Perché abbandonassero questa pratica malsana delle parole mezze nascoste, delle battute oscene e della galanteria, e passassero ai fatti: esprimersi sulle proprie fantasie, articolare i loro desideri, avere una conversazione apertamente pornografica. Questo era possibile nelle cabine, due minuscole salette in fondo al corridoio oltre alla sala dello spettacolo, dove potevano intrattenersi in privato con la spogliarellista che avevano scelto (e anche con più di una, naturalmente). Ma per ottenere di più, dovevano iniziare a parlare, uscire allo scoperto. Una delle due cabine, del resto, per un tempo assai breve era stata adibita a confessionale, con una piccola griglia dalla quale ci osservavano. E noi raccoglievamo confidenze che non ci avrebbero mai fatto se li avessimo frequentati fuori gratuitamente, in qualità di amanti o di fidanzate ufficiali, officiose o potenziali: lì avevano un’occasione di godere e dovevano pensare che avevamo già incontrato casi ben peggiori del loro, vista la quantità di gente che era passata da quelle cabine. E come Jeanne Favret-Saada costretta a uscire dal suo codice di etnologa per studiare la stregoneria, dovevamo comprometterci un po’: della stregoneria come della sessualità, non si parla a uno sconosciuto senza coinvolgimento. Non si fa niente per niente. Avevo così un buon pretesto per ascoltarli parlare, per lasciarli fare: ero esibizionista, ero venale, ero ninfomane... interpretavo per loro un ruolo riconoscibile - oltre a quello dell’ingenua per la quale mi scambiavano in borghese, una da trattare coi guanti e con cui parlare per sottintesi, anche se per tastarle il culo. Volevo integrarmi nel luogo, senza cambiare niente; si trattava di una sorta di autointossicazione volontaria per soddisfare la mia curiosità e il mio desiderio di capire - capire qualcosa che non riuscivo neanche bene a individuare, che sarei stata incapace di nominare. Così va il mondo, niente di più. Contorni sfumati per ricerche az18 A occhio nudo zardate. Capire attraverso il mio corpo quello che ancora non era stato raccontato. Ma sì, malgrado tutta la mia implicazione, mi consideravo un’osservatrice al sex-show, poiché al contrario di alcune mie colleghe carissime, non ho mai avuto l’ambizione di cambiare niente. Malgrado tutto il mio interesse, non avrei fatto una gran carriera nel mondo dello strip-tease, della pornografia, del burlesque, né quant’altro. Non ho mai inventato un solo numero, non ho mai cercato di influenzare la concezione che i nostri clienti o i nostri superiori avevano dell’erotismo, per mancanza di immaginazione o per pigrizia, ma soprattutto perché allora avevo l’illusione di poter contemplare la realtà del sex-show, la realtà della pornografia, osservando i clienti, il cassiere e i miei colleghi. Mi muovevo in punta di piedi nel teatro buio, di giorno come di sera, ascoltando, osservando, imparando quello che si supponeva essere il desiderio, quello che si supponeva essere l’erotismo. Adesso mi sembra che accordassi a quel che vedevo laggiù un’universalità lontana dalla realtà. Malgrado le numerose critiche che avrei voluto avanzare a tutte quelle persone, i clienti, il cassiere, alcune mie colleghe, non vedevo spazio in quella villetta per un’altra forma di erotismo, di pornografia: quella che avrei potuto inventare io stessa. Mi limitavo a imitare le altre per imparare il più possibile. A dire il vero, all’inizio, quando sono arrivata, non avrei mai immaginato che potessero esistere diversi modi di eccitare diverse persone, e l’idea non mi sarebbe mai venuta in modo così lampante se non avessi incontrato alcune mie colleghe di allora, Marilyn, Jane, Glenda, Mélissa... La questione è che il mestiere non ci richiedeva affatto di proporre la nostra concezione dell’erotismo, di domandarci, ognuno per conto proprio, cosa trovavamo davvero eccitante, e in che modo avremmo potuto adattarlo in scena. Se traspariva un guizzo personale o artistico era puramente fortuito, per lo meno non faceva parte dei termini dell’accordo: è ciò che si chiama lavoro. Del resto non so in che misura mi sarebbe stato possibile, in loco, modificare le linee guida della pornografia locale (che imitava la pornografia di altrove, ovvero un certo numero di regole che si supponeva necessarie e obbligatorie). È per questo che ho deciso di dare la parola ad alcune di noi 19 Alice Roland che, grazie alla loro immaginazione e alla propensione allo strip-tease sperimentale, si piegavano solo in parte alle regole del posto. E ad altre ancora, che applicavano alla lettera le tacite regole della pornografia da grande pubblico e, contrariamente a me, aderivano a quelle regole e le trovavano giuste - ovvero efficaci. Eccitanti. Una marea di punti di vista dentro corpi così vicini, in uno spazio così ridotto, dava vita a una coabitazione appassionante ai miei occhi. Quanto a me, fantasticavo al mio arrivo nei panni dell’osservatrice neutrale, come una Svizzera dello strip-tease, cercando di cogliere l’essenza di quello che vedevo - così come ogni minimo dettaglio. Dimenticavo quasi di prendere parte, di adottare di fatto una posizione, tra tutte quelle che adottavo, più volte ogni pomeriggio e ogni sera. Questa raccolta di testi di cui mi faccio compilatrice, oltre che un’opera comune, testimonia quello che ho appreso all’Occhio Nudo: la pornografia animata ha migliaia di sfaccettature, e i suoi professionisti e amatori ne presentano ancora di più. E poi una cosa fondamentale che ho capito, prima di tutto, è che non c’è nessuna neutralità possibile. Nel caso non l’avessi ancora capito, alcune persone si sono subito incaricate di farmelo notare: il cassiere ha sottolineato a più riprese che nel sex-show mancavano delle Nere, che ne serviva almeno una e che quella era la ragione per cui ero stata assunta. Al tempo stesso ho deluso alcuni clienti, che speravano che avessi qualcosa da raccontare su un paese lontano, in cui c’era il sole, mentre io ero un’abitante della periferia come tutti loro. E poi alcune sere, per consolarmi di non avere avuto successo, il cassiere mi spiegava che dalla sua esperienza con i clienti, molti uomini non fantasticavano sulle Nere, per questo lui non ne assumeva molte (molti uomini bianchi, ho dedotto io, molti uomini per i quali essere nero è una cosa strana). Solo che invece di essere neutra, ero sempre o troppo nera o non abbastanza, a seconda dei casi. Soprattutto troppo. Alla fine forse significa questo essere neutri: essere al tempo stesso troppo o troppo poco. In ogni caso era il mio modo, assolutamente contorto, di essere neutra. Un po’ come lo stesso sex-show, un luogo al tempo stesso deviante e conservatore in materia di sessualità, rock’n’roll e conformista. 20 A occhio nudo Lavorare in un sex-show dà molto da pensare - pensare è un effetto collaterale dello strip-tease. L’esperienza pornografica consiste forse più nel rifletterci che nel praticarla. Ma se lavorare in un edificio consacrato al sesso e al denaro ha perfezionato la mia educazione, leggere mi ha insegnato ancora di più - senza M. Foucault, senza B. Preciado, non avrei mai capito niente di quello che stavo facendo. Ma senza sex-show, niente Preciado né Foucault: è vedendo Marilyn e Mélissa scambiarsi i loro libri che ho scoperto la loro esistenza. Il sex-show era forse la biblioteca ideale. Di ritorno dalla mia passeggiata tra le macerie, ho richiamato le colleghe che preferivo - alcune erano ormai delle amiche - e altre che apprezzavo meno, ma di cui avevo ancora il numero. Alcune hanno accettato subito la mia proposta, altre hanno avanzato qualche dubbio prima di rifiutare, altre ancora mi hanno risposto chiaramente che non avevano niente da dire, e ancor meno da scrivere, sul sexshow (si noti che non chiamavamo quasi mai il posto con il suo nome, A Occhio Nudo, né con i clienti né tra noi spogliarelliste, ma ci limitavamo, per una sorta di familiarità, a usare il termine generico: «il sex-show», o al massimo «il sex-show dell’Est» per differenziarlo dagli altri concorrenti). Alcune infine avevano semplicemente cambiato numero o erano scomparse. Era quindi impossibile riunire tutte le vecchie colleghe come avevo sperato. Eppure mi sono rimaste tutte nella memoria e mi sembra di averle ancora sotto gli occhi, come una carrellata di ritratti: fotografie toccanti di sorrisi accennati, di volti che cercano di apparire belli. Mai in nessun giorno abbiamo potuto dire: oggi è una data storica, e nessuna di noi ha fatto da sola la reputazione del sex-show. Ma tutti quei corpi uno accanto all’altro ogni giorno! Quel misto di volgarità e raffinatezza! Provavamo - o almeno io provavo - un legame affettivo non solo con le persone, le donne, ma anche con il luogo stesso - e il suo contenuto di esseri umani, chiunque fossero. Forse per questo mi è venuto in mente di riunire i testi e coloro che li hanno scritti. Ringrazio calorosamente tutte coloro che hanno voluto partecipare a questo progetto. Ringrazio inoltre l’editore P.O.L., che ha 21 Alice Roland permesso a questa raccolta di nostre esperienze di esistere per un lettore, sotto forma di libro. Così ci ritroviamo insieme in queste pagine, riunite in un nuovo Occhio Nudo. Festeggiamo il nostro ritrovo (di carta)! E siate nostri ospiti. Spero che con questo testo imparerete due o tre cose. 22 Il mondo mi si è aperto attraverso il culo Clémence-Victoria-Olga Il primo giorno Mi presento. Per vedere se hanno un posto per me, per lavorare. Trattengo il sorriso quando imbocco la strada deserta. La vetrina è oscurata, non si vede niente all’interno. Saltando giù dalla bici, mi accorgo che non ho ancora pensato alle prime parole da dire. Opto per: «Volevo sapere se state cercando gente per lavorare». Aggiungo: «Sono un’amica di Florence». «Doveva cominciare da questo!». Il viso del padrone si illumina, da tondo diventa ancora più tondo, è quasi all’altezza del bancone sopraelevato. Allora ricomincio da lì. Per l’occasione indosso la mia mise da lavoro, per essere sicura di non sbagliare, per giocare tutte le mie carte: una gonna molto aderente, di tela spessa che non si sforma quando pedalo, una maglietta a rete a mezze maniche, che ho comprato qualche mese fa per ogni tipo di serata, un corsetto di finta pelle comprato all’usato a metà prezzo. Era un bel po’ che non mi sentivo così trombabile - così femminile, possiamo anche dire. Mi sono pure truccata, ma solo gli occhi. Non ho voglia di esagerare, sennò fa effetto mascherone. 23 Alice Roland Il padrone è oberato di lavoro, si occupa contemporaneamente di un guasto allo scarico del cesso (l’effetto è disastroso sui clienti, spiega al telefono a un idraulico), della caldaia a gas che ha acceso per la prima volta nella stagione, dei clienti che arrivano, di me che probabilmente sorrido troppo, sempre d’accordo su tutto, mi dice che non ne avrà per molto. Mentre lo aspetto, ne approfitto per leggere una rivista porno posata sul tavolino basso. Il tavolino basso è nero, la sedia su cui mi ha invitato a sedermi con lo stesso tono del mio vecchio capo, un agente immobiliare, un mascalzone pieno di rimorsi ma molto educato - è nera, la sedia da cui si alza in continuazione scusandosi è nera, le pareti sono nere, il pavimento è nero. Gli schermi della videosorveglianza nascosti dietro il bancone trasmettono immagini in bianco e nero. Il camerino è grigio. È tutto super tetro. Chic ma tetro. Tranne il camerino che non è affatto chic. O quello che funge da. È in cima a una scala in fondo al corridoio, la porta è socchiusa, il padrone cammina su e giù per le scale per rispondere al telefono. Arrivato sul pianerottolo, spiega a qualcuno che non vedo, a cui dà del lei, come usare un programma al computer posato sulla sedia pieghevole. Un attimo dopo, esce anche l’altro, è una donna, meno vecchia ma non del tutto giovane, con una gonna e una canottiera a costine rosse. Alla fine fanno entrare anche me, è minuscolo, senza nessun abbellimento a smorzare tutto quel grigio, con giusto un frigorifero, un tavolo invaso dai posaceneri stracolmi e una miriade di sedie. Poi riscendiamo e mi mostra il telefono sul bancone a cui sono tenuta a rispondere, anche quello fa parte del lavoro. È a quel numero che chiamano i sottomessi per prendere appuntamento, credendo di parlare con una vera dominatrice. Bisogna tagliare corto e non perdere tempo al telefono, per evitare che ne approfittino per masturbarsi durante la conversazione, mi spiega. Sulla rivista porno, cerco di leggere tra un’interruzione e l’altra un articolo su una crema antirughe a base di sperma inventata dagli Svizzeri. Di sperma umano. In un inserto, un dermatologo spiega perché è uno scandalo, non tanto ricordando ad esempio che la maggior parte delle creme di bellezza sono piene di schifezze pe24 A occhio nudo trolchimiche, ma sostenendo che una forte concentrazione di tutti i prodotti nocivi che assorbiamo sono presenti nello sperma, che costituisce dunque un pericolo per coloro che lo utilizzano. L’uccello discarica del corpo? Il padrone mi spiega che nei privé (due piccole cabine a destra del bancone, in fondo al corridoio) ci sono cose vietate come la penetrazione, la fellatio, la masturbazione di uno per mano dell’altro, l’inserimento di dita dell’uno negli orifizi dell’altro. L’obiettivo è di fare il massimo dei soldi nel minor tempo possibile, di far quindi svuotare (venire) il cliente il più velocemente possibile. Chiedo l’ordine di grandezza. Non ce n’è, né per il tempo né per i soldi. Ma per cinquanta franchi,2 cinque minuti sono più che sufficienti. Il cliente deve andarsene svuotato, palle e portafogli prosciugati, il più rapidamente possibile. È anche nel suo interesse. Aggiunge. Mi spiega inoltre che è vietato truffare il cliente. Gli chiedo come si fa a truffare un cliente, per essere sicura di non farlo per errore. È vietato derubare il cliente. Ah. È vietato digitare due volte l’importo del servizio sul POS. È vietato dire che il conto verrà addebitato in tre rate senza spese perché non è vero - il denaro esce quanto prima, come lo sperma. È vietato tenere per sé i contanti lasciati dal cliente, vanno consegnati immediatamente alla cassa. Stranamente, questa raccomandazione rientra nel pacchetto «non truffare il cliente». Prima di tutto non si deve truffare il padrone. È vietato incontrare il cliente all’esterno, spillargli soldi senza rifilarne una parte al padrone. Capisco dal tono del nuovo capo, che mi ricorda quello del mio vecchio capo nell’agenzia immobiliare in cui lavoravo, che è pulito e onesto con me solo perché desidera apparire tale, ma che potrebbe fregarmi e truffarmi in qualsiasi momento e che non devo accordargli la minima confidenza. Diversi uomini entrano consecutivamente, di cui uno giovane, forse arabo e molto timido. Cosa desidera? Delle informazioni. Se 2 Il libro è stato pubblicato in Francia nel 2014, ma si riferisce a un’esperienza avvenuta prima del 2002, quando l’euro non era ancora entrato in vigore. Per questo si fa riferimento ai franchi. Si ricorda che al momento della conversione, il 1° gennaio 2002, un euro valeva 6,56 franchi [N.d.T.]. 25 Alice Roland ne va in meno di un minuto senza aver chiesto quasi niente. Un altro uomo entra, paga, il padrone pronuncia un nome insipido che finisce in -el, e la donna in rosso e nero esce di nuovo dalla stanzina in alto. Ha i capelli lunghi, spessi, probabilmente piastrati e di uno strano color paglia, un biondo venuto male. Ma è anche vero che c’è una strana luce in questa atmosfera rossa e nera. Lei e il cliente spariscono nel corridoio che porta alle cabine. Non so più dei due chi stia guidando l’altro. È un sottomesso, mi spiega. Poi subito dopo: un cliente abituale. Si rimette a darmi spiegazioni su ciò che si può fare, non fare, il confine è moto labile. Lo Stato non stabilisce una griglia di prezzi sottoposta a un tasso di inflazione. Continuo a sentire solo la metà delle sue parole, e quando parla al telefono o a un cliente, per quanto tenda l’orecchio, non capisco quasi niente. Eppure non c’è musica. Mi spiega anche che si può proporre al cliente un abbonamento. Per quanto possa sembrare incredibile, quando un cliente acquista un abbonamento, si può esser certi che non tornerà più. Per tre mesi ha sborsato almeno due o tremila franchi in tutto con la stessa ragazza e, questo è sicuro, non ha mai avuto problemi. Eppure non torna. Non ha senso ma è così, la questione non è capire ma intascare. Non riesco a ricordarmi, una volta uscita da lì e mentre ricapitolo il tutto sulla mia bici, come si fa a non farsi spaccare la faccia sul campo. Tuttavia, grazie alla legge sullo sfruttamento della prostituzione, il cliente non ha diritto alla difesa legale: non può denunciare una truffa nell’acquisto di servizi sessuali, poiché tale acquisto è vietato (scopro più tardi che non è così e che non ho capito niente, o che forse il padrone non ha capito niente, comunque, fatto sta che i polli troppo fregati non si presentano più). Entra un altro uomo, è alto, abbastanza piazzato, con uno zaino e non molto giovane, paga al bancone, è un turista, parla inglese con il padrone che sa parlare inglese. Quest’ultimo lo spinge in fondo al corridoio verso una delle porte nere, la n° 2. L’altro la richiude alle sue spalle. Poco dopo, la donna col nome che finisce per -el e vestita in rosso e nero esce dall’altra porta, chiede il POS e dell’acqua. Quando 26 A occhio nudo torna indietro col POS e lo scontrino, posa tutto sul bancone e si lascia sfuggire un: «Puzza di sudore». Il padrone la manda a occuparsi dell’altro cliente, quello nella cabina n° 2, mentre il primo, il sottomesso, aspetta rinchiuso lì accanto. La donna appare leggermente sorpresa, ma va a bussare alla porta e si infila nella stanza buia. Nel frattempo, il padrone mi porta nella sala attigua all’ingresso: è la sala per i gruppi, per gli addii al celibato ad esempio, c’è una specie di piccolo palco con dei proiettori ed è anche un posto dove far aspettare i clienti - ci sono diverse sedie. Poi usciamo e mi mostra gli schermi della videosorveglianza in mancanza di una vera e propria visita delle cabine, entrambe occupate. Si accorge allora che il sottomesso è scappato, è uscito dalla cabina n° 1 in cui l’aveva lasciato la donna quando è entrata nella cabina n° 2. Il padrone è un po’ infastidito ma non si sconvolge. Quando esco, un tizio che non ha il coraggio di entrare, che cammina avanti e indietro sul marciapiede di fronte, approfitta della porta aperta per intrufolarsi. Stesso giorno, al bar, e giorni successivi Florence mi parla del sex-show, poiché con sua grande sorpresa le racconto di esserci andata; è prontissima a dirmi tutto ciò che sa (me ne aveva parlato soltanto un po’ l’ultima volta che ci siamo viste, non pensava che ci sarei andata davvero). Mi racconta che la sera prima ha guadagnato bene facendo sborsare a un pollo ben 1.400 franchi. Gli ha detto che il conto gli sarebbe stato addebitato in tre volte, cosa che non ha affatto disturbato il padrone, Vincent scopro così il suo nome, e la sua versatilità, la flessibilità delle regole di quel posto, a patto che scorra la grana. Dal cliente alla ragazza. Dalla ragazza alla cassa. Dalla cassa alla ragazza - non troppo: il 20%, più gli incentivi. Florence, che si fa chiamare anche Rosa, o almeno quando è nel locale, mi racconta quanto è felice di lavorare lì: «Mi sembra che adesso, indipendentemente da quello che dovrò fare, per quanto 27 Alice Roland squallido, lo potrò fare scherzando. Perché alla fine faccio questo mestiere per ridere. Adesso so che posso prendere tutto alla leggera, e la mia vita ci guadagna». Io e Florence cerchiamo un nome per il mio inizio al sex-show; ne voglio uno bello sporco, bello porno - Florence-Rosa rimpiange che il suo non lo sia abbastanza e vorrebbe cambiarlo con un altro. Aggiunge che secondo il padrone, il funk è sexy. Ma non il rock né il reggae. Che gli piace che si metta del funk per creare atmosfera nelle cabine. Dovrei comprarmi dei dischi funk. La mia seconda volta È un sabato pomeriggio, e questa volta devo lavorare. Per una buona parte del pomeriggio resto sola col padrone - e i clienti. Continua la presentazione del sex-show. Tra una spiegazione e l’altra scegliamo il mio nome. Leggo quello che ho annotato sulla mia agenda insieme a Rosa: Gwladys, Samantha (come le due stronze della mia scuola media, che mi impressionavano un po’ perché erano molto più grandi - erano bocciate più volte - e facevano baldoria la sera, e non il pomeriggio come noi, più piccoli), Vanessa, Olivia, Alexia, Kristina, Sasha, Angelina, Dolly, Laetitia, Julia, Oksana, Estelle, Liza, Adriana, Victoria, Thalia, Shana, Crystal, Pamela, Christi, Melissa, Serena, Rebecca, Cindy, Cynthia (come la biondina della mia prima media, figlia di una parrucchiera che le tingeva i capelli fin dall’infanzia e le faceva delle mèches che le davano un’aria da barboncino - si vergognava perché la sua sorella maggiore era stata indirizzata a una sezione tecnica). Il padrone se ne frega abbastanza del mio nome, e anch’io. Mi suggerisce: «Qualcosa di un po’ inglese, per via della pelle bianca e dei capelli rossi». «Victoria?» «Ok». 28 A occhio nudo Figo, sarò la regina d’Inghilterra dei sex-show. «Adesso le devo spiegare il telefono» mi dice. Al telefono, devo essere il più sgradevole possibile, poiché gli uomini che chiamano devono rivolgersi a una dominatrice (questo me l’ha già detto): o sono davvero dei sottomessi e questo gli fa venire voglia di prendere un appuntamento, oppure sono degli indecisi, dei timorati o gente che pensa troppo - tutte categorie che il padrone riunisce sotto il vessillo di «Merde» - e in questo caso tanto vale che riattacchino subito. Bisogna soprattutto evitare che ne approfittino per masturbarsi durante la conversazione, mi ripete; quelli che lo fanno appartengono sempre alla categoria delle «Merde». Il padrone è impressionato perché so essere molto sgradevole al telefono. Sono brusca, fredda, al limite della maleducazione, li mando tutti a quel paese. Brava! Intuisco che mi considera una buona recluta. Qualche mese prima, un tassista della mia età mi ha parlato di sé per tutta la corsa. Era sera tardi, circa l’una, le due. «Lavoro settanta ore a settimana, ma non importa, vado a prendere i bambini a scuola e li accompagno tutte le mattine, ne ho due, ho ventitré anni, devo restituire il prestito per la licenza da tassista e l’auto. Tra due settimane parto in vacanza con la mia famiglia. Sono libero, lavoro quando voglio, prima ero centralinista presso la compagnia telefonica SFR, lavoravo su una piattaforma in cui rispondevo al telefono, tutti sulla piattaforma rispondevano alle chiamate dei clienti scontenti, ascoltavano le nostre conversazioni per controllare che non chiamassimo gli amici, ho sempre lavorato correttamente, e poi sempre peggio quando ho deciso di andarmene via». Ce ne sono altri che chiamano per i massaggi - credono di parlare con un’altra donna. Mi sbaglio, rispondo malamente anche a loro. Mi scuso con il padrone che mi sta di fronte - è quasi sempre lì ad ascoltare, seduto di fianco a me nel piccolo camerino grigio. È lui che digita i numeri da richiamare, poi mi passa il telefono quando il tizio risponde, per essere sicuro che non chiami qualcun altro alle sue spalle, invece di fare un lavoro più produttivo. Uno dei possibili 29 Alice Roland clienti ha lasciato un numero fisso. «È una merda, di sicuro» prevede il padrone. Non lo richiamiamo, per non rischiare di imbatterci in sua moglie. Il padrone è molto fisionomista con i numeri di telefono. Ho dato appuntamento a un tizio il cui numero gli dice qualcosa. Verifica e ritrova il numero: il tizio ha già bidonato, ovvero non si è presentato al primo appuntamento fissato. Il padrone mi chiede il favore di richiamare la merda e di dirgli: «Kevin, sei una merda, ho appena verificato che il tuo numero è nella blacklist, non hai le palle, Kevin», poi riattacco. Gli avevo dato l’indirizzo, sarà un miracolo se non viene a sfondare la porta e a distruggere tutto. Il primo cliente che incontro, senza appuntamento, è un vecchietto privo di segni particolari. Del resto non vuole pagare di più. È seduto sulla sedia a sdraio raso terra quando entro nella stanza buia (la sedia a sdraio è volutamente sistemata così, di modo che tocchino terra col sedere). Per cominciare, mi prendo i seni tra le mani per mostrargli quanto siano degni di ammirazione, e dico: «Tutto naturale!». Sto per vendermi come un sacco di grano. Faccio come mi ha spiegato il padrone: dopo qualche minuto di spettacolo sulla minuscola pedana, mi chino sulla sedia a sdraio di modo che, in posizione d’inferiorità, il cliente non possa rifiutarsi di pagare un supplemento. Non funziona, si rifiuta. Mi siedo allora alla rovescia sulla sedia a sdraio di fronte a lui, allargo le gambe con una spaccata in piena faccia e mi dimeno un po’. Viene subito malgrado l’età. Il secondo ha pagato per seguirmi in fondo al corridoio, poi ha pagato ancora perché pensava di potermi toccare il sesso. Mi sottraggo come posso per impedirglielo. Se ne va arrabbiato, dicendo che non è colpa mia, ma lui non riesce a venire. Si giustifica persino un po’ di fronte alla mia aria desolata, e dice che gli capita ultimamente. Provo imbarazzo davanti a chi non raggiunge l’orgasmo. Se il cliente gode, considero che qualsiasi sia la somma che ha lasciato e la bugia che gli è stata rifilata, non si tratta comunque di una truffa. Anche il padrone preferisce i clienti che vengono. Mi propone un caffè. 30