Museo Egizio
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Museo Egizio
La mummificazione o imbalsamazione è il metodo con cui gli antichi Egizi conservavano i corpi dei defunti, preservandoli dalla decomposizione. Questo risultato era particolarmente importante perché, secondo le credenze religiose, la conservazione del corpo avrebbe garantito al defunto una vita eterna nell‘aldilà. Contrariamente a quello che si è portati a credere, la parola “mummia” non è egizia. Il vocabolo infatti deriva dall’espressione araba “mumia” che significa “bitume”. Quando gli Arabi conquistarono l’Egitto, nel VII secolo d.C., cominciarono a ritrovare i corpi sepolti degli antichi abitanti del paese. Gli oli, le resine e i profumi che gli Egizi avevano utilizzato per migliorare la conservazione dei cadaveri, nel corso dei secoli, si erano trasformati in una sostanza vischiosa e nerastra che spesso fuoriusciva dalle stesse bende. Tale sostanza era molto simile al bitume, una sostanza liquida nera che veniva estratta in Persia e che si riteneva possedesse virtù terapeutiche (la mumia). Così, da allora, il termine passò ad indicare i corpi degli antichi defunti egizi. L’uso di imbalsamare i corpi fu probabilmente suggerito agli antichi Egizi dall’osservazione di un fenomeno naturale: i morti, sepolti originariamente in semplici fosse scavate nella sabbia del deserto, si conservavano a causa dell’estrema aridità del clima. Ma quando gli Egizi cominciarono a seppellire i propri defunti in tombe e sarcofagi, dovettero elaborare una tecnica che permettesse di ottenere lo stesso risultato. Esistevano metodi di imbalsamazione, diversi a seconda delle possibilità economiche della famiglia del defunto. Il metodo più tradizionale prevedeva le seguenti operazioni: per prima cosa il corpo, disteso su un tavolo, era lavato e purificato. Poi veniva estratto il cervello attraverso il naso, utilizzando degli uncini in bronzo. Si passava quindi a rimuovere gli organi interni, mediante un’ incisione effettuata sul lato sinistro del ventre. Da questo taglio venivano estratti intestino, stomaco, fegato e polmoni che, appositamente trattati, erano riposti in quattro vasi detti ”canopi”. L’unico a essere lasciato all’ interno del corpo era il cuore, che per gli Egizi rappresentava la sede dell’ intelletto, delle passioni e delle facoltà umane. Dopo essere stato nuovamente lavato, il corpo veniva immerso in una vasca riempita di “natron”, un sale fortemente disidratante. Qui veniva lasciato per circa quaranta giorni, fino al suo completo disseccamento. A questo punto gli imbalsamatori passavano a riempire le cavità con paglia, stoffa, imbottiture e tamponi per ridare al corpo una forma naturale. Alcune parti, come il naso, venivano rimodellate mentre gli occhi erano rimpiazzati da pietre circolari. Il corpo, cosparso di resine oli e profumi, era pronto per essere bendato. Metri e metri di bende di lino lo avvolgevano strettamente e tra gli strati di tessuti i sacerdoti inserivano gioielli e amuleti, la cui funzione era quella di proteggere la vita nell’aldilà. La testa della mummia era spesso ricoperta da una maschera funeraria. Tutta l’operazione di mummificazione durava settanta giorni, passati i quali il defunto era pronto a ricevere sepoltura. Ma prima di essere chiusa per sempre nella tomba, la mummia era sottoposta al rito dell’ “apertura della bocca “ con il quale i sacerdoti riattivavano simbolicamente le funzioni vitali del defunto. La mummificazione non era riservata solo agli esseri umani, ma era applicata anche agli animali, sia a quelli domestici, sia a quelli sacri alle divinità. Moltissime mummie sono state ritrovate in Egitto e tra le più famose vi sono quelle dei faraoni del Nuovo Regno conservate al Museo del Cairo. Numerose continuano a essere scoperte anche oggi: è recente il ritrovamento di centinaia di mummie in un’ oasi del deserto egizio occidentale. Ricerca approfondimento ed a classe IV Primaria di cura della A della scuola Varisella