Università Politecnica delle Marche Facoltà di Medicina e Chirurgia
Transcript
Università Politecnica delle Marche Facoltà di Medicina e Chirurgia
Università Politecnica delle Marche Facoltà di Medicina e Chirurgia Scuola di Dottorato di Ricerca- Curriculum Medicina e Prevenzione X Ciclo RIABILITAZIONE DELLA FUNZIONE ERETTILE CON ALPROSTADIL INTRACAVERNOSO DOPO PROSTATECTOMIA RADICALE: RIFIUTO E DROP-OUT REFERENTE E TUTOR DOTTORANDO CH.MO PROF. GIOVANNI MUZZONIGRO A.A. 2011 - 2012 DR. GIANLUCA D'ANZEO SOMMARIO La prostatectomia radicale e le sue implicazioni ................................................................2 Fisiopatologia della Disfuzione Erettile dropo PR...............................................................8 Fattori predittivi della funzione sessuale dopo PR ...........................................................15 Riabilitazione della funzione erettile dopo PR: mito o realtà............................................20 Riabilitazione della funzione erettile con alprostadil intracavernoso dopo prostatectomia radicale: rifiuto e dropout......................................................................25 Tabelle e Figure................................................................................................................37 Bibliografia.......................................................................................................................41 2 3 La Prostatectomia Radicale e le sue implicazioni. Il cancro della prostata presenta un impatto sulla salute pubblica in termini di mortalità negli USA che è secondo solo al cancro del polmone [1]. Tuttavia, la caratteristica eterogeneità della malattia, che può avere un decorso indolente anche senza alcuna terapia, e il sostanziale rischio di complicanze e implicazioni correlate al trattamento possono rendere la decisione terapeutica assai impegnativa, sia per il medico che per il paziente. Inoltre, la scelta delle modalità stesse del trattamento, sia per quanto concerne la capacità di controllo della malattia nel tempo che l’impatto sulla qualità di vita, è tutt’altro che ovvia. I dati provenienti dal CaPSURE, un registro di malattia su base regionaleterritoriale, ci dimostrano che il trattamento più impiegato per trattare il Ca Prostatico rimane la prostatectomia radicale, intervento praticato nel 50% almeno dei soggetti con nuova diagnosi di malattia localizzata [2]. Tuttavia, dallo stesso database appare evidente come spesso la scelta del trattamento vari da centro a centro, non tanto in base alle caratteristiche della malattia, ma piuttosto in funzione di convincimenti personali o della esperienza dei singoli. Tale aspetto mette in evidenza la cogente 4 necessità di una sempre migliore evidenza clinica in grado di dare risposte certe al clinico e al paziente. Ma la conflittualità nella modalità di trattamento nasce forse prima e cioè: trattare o non trattare il cancro della prostata? Lo studio randomizzato condotto in Scandinavia ha dimostrato in maniera chiara che, per un follow-up di 12.8 anni, il rischio relativo di morte per PCa nei pazienti sottoposti a chirurgia risultava essere 0.62, con un beneficio conservato anche per pazienti giovani e malattie a basso rischio [3]. D’altro canto, i dati provenienti dal US Prostate Cancer Intervention Versus Observation trial, che aveva arruolato, con un follow-up sino a 12 anni, pazienti con malattie a più basso rischio rispetto al trial Scandinavo, dimostrano come questo beneficio si mantenga esclusivamente nei pazienti con malattie ad alto rischio, annullandosi negli altri casi [4]. Infine, anche nell’ambito delle differenti modalità di trattamento, ad esempio quale tecnica per la prostatectomia radicale, quali i benefici relativi della chirurgia rispetto alla terapia radiante, quale ruolo per la terapia ormonale, non sono al momento disponibili dati scientifici univoci. Impatto sulla continenza. 5 Dato l’eccellente livello di controllo oncologico che caratterizza la prostatectomia radicale, l’attenzione si è recentemente focalizzata sulla “tossicità” della chirurgia, nel tentativo di ridurre le implicazioni che direttamente derivano dall’intervento. E’ infatti noto che i pazienti sottoposti a qualsiasi tipo di terapia per il Cancro della prostata riferiscono una ridotta qualità di vita [5]. Tale aspetto riveste un’importanza ancora più cruciale se consideriamo che l’avvento dello “screening” tramite il PSA ha abbassato notevolmente l’età media dei soggetti che eseguono tali tipologie di trattamento. Tuttavia, come per gli aspetti più squisitamente legati al controllo oncologico, mancano dati di elevata qualità sulle complicanze dei trattamenti. Tale problematica è verosimilmente legata alla mancanza, in molti casi, di una valutazione basale preoperatoria e all’impiego di mezzi diagnostici frequentemente non validati. Questo aspetto riveste una notevole importanza alla luce del fatto che la percezione dell’Urologo riguardo all’impatto che determinate condizioni possono avere sul paziente è spesso lontana da quella del paziente stesso. Per quanto concerne la continenza, per esempio, a tutt’oggi manca una definizione univoca del problema, e questo rende difficile una sua quantificazione esatta impedendo dunque un corretto confronto tra le diverse tecniche [6]. Attualmente, si ritiene che la incontinenza dopo prostatectomia radicale sia causata da una instabilità detrusoriale post intervento e, soprattutto, da una insufficienza sfinterica intrinseca; la prevalenza di tale disturbo, nelle varie analisi 6 multivariate, sembrerebbe dipendere da due principali fattori: l’età del paziente e lo sviluppo di stenosi anastomotica. Nell’ottica di migliorare gli esiti in termini di continenza, diversi Autori hanno cercato di modificare la tecnica chirurgica. Oltre alla preservazione dei bundles neuro vascolari, sulla quale sussiste in realtà ancora una discreta perplessità, si ritiene che una minima manipolazione dell’uretra, la conservazione dei tessuti periuretrali, in particolare in prossimità dell’apice prostatico e una eversione a tutto spessore della mucosa vescicale possano essere un valido aiuto per il miglioramento della continenza [7] . La valutazione dell’incidenza nelle varie casistiche risulta complessa, non solo per le motivazioni esposte precedentemente, ma anche perché essa varia nel tempo con una tendenza al miglioramento; dunque, le percentuali riportate variano sensibilmente tra il 5 e il 72% [8, 9]. Va inoltre considerato che la persistenza di incontinenza può richiedere una seconda procedura chirurgica, come riportato nel 6,7% dei casi in una ampia casistica di pazienti del programma MediCare. Funzione Sessuale. Sin dalla sua descrizione a opera di Walsh, l’approccio nerve-sparing alla prostatectomia radicale è diventato il preferito per il trattamento di pazienti con normale funzione sessuale pre-operatoria e malattia clinicamente organo-confinata. 7 Oltre alla tecnica, altri fattori ritenuti rilevanti nella preservazione della potenza sessuale sono risultati l’età del paziente e lo stato della funzione erettile preoperatoria. Tuttavia, come già esposto per l’incontinenza, anche in questa circostanza le percentuali riportate dai diversi Autori sono ampiamente variabili ( dal 31 all’86%) proprio perché è variabile la definizione di potenza post-operatoria; infatti, mentre alcuni considerano “potente” un paziente che riesca a ottenere erezioni di rigidità sufficiente per il rapporto, per altri è ammesso l’uso di inibitori delle 5PDE, come sildenafil, vardenafil o tadalafil [6]. In un ampio studio longitudinale di coorte, il Prostate Cancer Outcomes Study, è emerso come solo il 44% dei pazienti con normale funzione erettile preoperatoria e sottoposto a prostatectomia radicale nerve-sparing fosse in grado di avere attività sessuale spontanea a 18 mesi dall’intervento . Peraltro, in ognuna di queste casistiche, è presente un fattore di grande variabilità determinato dal “reale” status di risparmio dei nervi, che può non necessariamente coincidere con la percezione dell’operatore. Basandosi su tale variabilità di dati, fornire al paziente, in sede di counseling preoperatorio, delle indicazioni circa quello che potrebbe essere l’impatto dell’intervento sulla sfera sessuale diventa piuttosto arduo. Per rispondere a questa domanda, è stata condotta un’ analisi del Prostate Cancer Outcomes and Satisfaction with treatment quality che ha mostrato che il 35% dei pazienti riferiva la capacità di avere erezioni sufficienti per un rapporto a distanza 8 di due anni dalla prostatectomia radicale [10]. Al fine di realizzare un modello predittivo di recupero della funzione sessuale, è stata condotta un’ analisi multivariata che ha mostrato come un basso valore di PSA, una migliore funzione preoperatoria e la chirurgia nerve-sparing erano associate a maggiori chances di ripresa funzionale. 9 Fisiopatologia della disfunzione erettile dopo PR. La fisiopatologia del danno erettile coinvolge, allo stato attuale delle conoscenze, 3 principali capitoli: il danno neurale, il danno vascolare e il danno strutturale al corpo cavernoso [11]. Per quanto concerne il danno a carico del sistema nervoso, è ormai noto che esiste una correlazione quantitativa tra “quanti” nervi vengono risparmiati e l’outcome erettile, poiché la funzione erettile risulta migliore nei pazienti che eseguono un intervento nerve-sparing, e tra questi è migliore nei soggetti che hanno avuto un risparmio bilaterale del fascio [12], con riferimento sia al recupero spontaneo che a quello assistito dagli inibitori delle 5PDE. Tuttavia, anche la convinzione chirurgica di una preservazione anatomica non consente alcuna sicurezza. Per esempio, Masterson e coll hanno dimostrato che anche una minima trazione dei nervi cavernosi può essere causa di una disfunzione erettile postoperatoria [13]. In uno studio in cui i pazienti venivano sottoposti a una tecnica “stretch” con impiego di un CV Foley per trazionare la prostata oppure a una tecnica “tension-free” il 63% dei pazienti trattati con quest’ultima tecnica aveva riacquistato l’erezione rispetto al 45% nell’altro gruppo. Peraltro, l’abilità del chirurgo nel 10 preservare i tessuti nervosi non rappresenta l’unico aspetto coinvolto. Katz e coll. hanno dimostrato che il 25% dei pazienti con erezioni valide con o senza PDE5i nei tre mesi immediatamente seguenti l’intervento perdono tale capacità a sei mesi dall’intervento stesso [14] E’ quindi evidente che fattori post-operatori, quali edema e infiammazione possono portare a fenomeni di degenerazione walleriana, a sua volta causa di danno neuronale ritardato. Le alterazioni del corpo cavernoso sono a loro volta determinate da due fattori che hanno, come ultimo momento fisiopatologico comune, un aumento della deposizione di collagene con ridotta distensibilità peniena e conseguente sviluppo di una disfunzione veno- o corporo-occlusiva [11]. In particolare, l’assenza di erezione dopo l’intervento cuasa una ridotta tensione parziale dell’ossigeno a livello penieno e ciò induce la soppressione della produzione locale di PGE1 che, a sua volta, inibisce la produzione di fattori profibrotici come TGFbeta-1 ed endotelina 1 dipendente dal TGFbeta-1. Tale quadro determina quindi una progressiva sostituzione del tessuto “nobile” cavernoso con collagene, come già dimostrato in modelli murini. [15] Inoltre, il danno neuronale può causare alterazioni strutturali del corpo cavernoso dovute alla abnorme secrezione di citokine pro-apoptotiche rilasciate proprio dagli assoni dei nervi danneggiati. Per quanto concernce il danno arterioso, va ricordato che le arterie pudende accessorie sono vasi che originano sopra l’elevatore dell’ano e il cui decorso, in prossimità della prostata, le mette a rischio di danno chirurgico. Inizialmente ritenute 11 sacrificabili, è stato successivamente dimostrato da Droupy e coll che le arterie pudende accessorie sono funzionali [16]. A uno studio Doppler di tali arterie dopo iniezione intracavernosa di prostaglandina o papaverina si assisteva a modificazioni emodinamiche caratteristiche delle arterie cavernose. Pertanto, la attuale tendenza chirurgica è di preservarle quando possibile. L’ossigenazione cavernosa è un fattore imprescindibile che regola la corretta funzionalità del sistema erettile. Normalmente, in stato di flaccidità la PO2 risulta di circa 35-40 mmHg, pressione alla quale viene favorita la deposizione di collagene soprattutto tramite la produzione locale di TGF-beta. Durante l’erezione, si assiste a una fase di ossigenazione del corpo cavernoso, per cui la pressione parziale dell’ossigeno sale a circa 100 mmHg. Questa pressione, al contrario, determina una produzione di prostanoidi che contrastano la deposizione di collagene e quindi la fibrosi [17] Dunque, in un soggetto normale, l’usuale alternanza di stato di flaccidità e di erezione, anche durante la notte, consente di preservare il tessuto erettile. Lo stato di flaccidità prolungata che caratterizza il periodo post-operatorio rappresenta quindi un fattore di deterioramento della struttura del corpo cavernoso. Peraltro, l’impiego di farmaci come gli inibitori delle 5PDE può consentire un miglioramento nell’ossigenazione con riduzione significativa della produzione di fattori profibrotici come l’endotelina 1 tipo B Per quanto concerne la disfunzione venosa, è dato acquisito che una riduzione di almeno il 40% del tessuto muscolare liscio all’interno del pene causa una perdita venosa nella fase di tumescenza. [18] Mulhall ha dimostrato che più della metà dei 12 pazienti sviluppa una fuga venosa dopo la prostatectomia radicale, in maniera peraltro tempo-dipendente. L’incidenza aumentava dal 10% a 4 mesi dall’operazione acirca il 50% dopo un anno. Peraltro, sempre secondo questo Autore, nei pazienti che sviluppano una fuga venosa solo l’8% recupera la funzione sessuale, peraltro con una risposta significativamente inferiore agli inibitori 5PDE [19]. Numerosi dati sperimentali su modelli animali hano dimostrato effetti positivi di una regolare somministrazione di PDE5i, dopo danneggiamento dei nervi cavernosi. Da questi studi sembra che tali farmaci siano in grado di proteggere diversi tessuti coinvolti nel meccanismo dell’erezione. Per esempio, è stato evidenziato come i 5PDEi siano efficaci nel prevenire la fibrosi. Infatti, numerose esperienze dimostrano una ridotta quantità di fibre collagene in animali trattati con tali farmaci. Ferrini e colleghi hanno suggerito che gli effetti di Vardenafil possano essere mediati da un’aumento della NO sintetasi inducibile, sia nella sua espressione che attività [20]. I ratti sottoposti a danno neuronale presentavano un aumento di 3 volte dell’apoptosi delle cellule muscolari lisce, una riduzione del 60% nel rapporto tra tessuto muscolare liscio e collagene, un aumento di 2 volte nell’espressione di i NOS e lo sviluppo di una malattia corpo-occlusiva rispetto ai ratti trattati con sham-operation. Quando veniva somministrato vardenafil quotidianamente per 45 giorni agli animali che avevano subito una resezione bilaterale si assisteva a un aumento di espressione di i NOS, una normalizzazione del rapporto muscolo collagene, con conseguente prevenzione della malattia venoocclusiva. Il ruolo di iNOS sembra fondamentale, in quanto questo enzima sarebbe in 13 grado di produrre una quantità di NO sufficiente a garantire una riduzione nella sintesi di collagene e una inibizione di TNF-beta1, con conseguente minor deposizione di collagene. Inoltre, i 5PDEi sembrano avere effetti di protezione sull’apoptosi. Alcuni dati dimostrano come i miociti cardiaci murini esposti prima a ischemia e successivamente a rivascolarizzazione presentano minore necrosi e apoptosi se vengono trattati con sildenafil rispetto ai controlli non trattati [14]. Questi dati sono stati confermati da Mulhall a livello penieno, dopo danno ai nervi cavernosi [21]. Infine, i 5PDEi hanno mostrato di avere anche un ruolo a livello della preservazione delle cellule endoteliali. E’ infatti dimostrato che il rilasciamento endotelio-dipendente di strisce di tessuto cavernoso prelevato da ratti con nervi intatti viene notevolmente incrementato dopo trattamento di otto settimane con sildenafil sottocutaneo. Inoltre, lo stesso gruppo ha mostrato che la risposta erettile a somminsitrazione acuta di sildenafil è maggiore nei ratti trattati cronicamente con lo stesso sildenafil. La conclusione sembra essere che il trattamento a lungo termine con sildenafil può apportare dei benefici a lungo termine e lunga durata probabilmente tramite l’azione della NOS endoteliale. [22]. Peraltro, viene ipotizzato che il ruolo protettivo possa essere esercitato in un ulteriore modo. Recentemente, è stato suggerito che il trattamento con 5PDEi possa determinare una ricostruzione del patrimonio di cellule progenitrici di quelle endoteliali. Potrebbe trattarsi di un effetto diretto a livello midollare, dove risulta 14 essere presente l’RNA messaggero della 5PDE. Inoltre, è stato dimostrato che una mancanza di NOS endoteliale determina una scarsa ematopoiesi [23, 24]. Del tutto recentemente, sono state analizzate altre modalità di recupero della funzione erettile dopo la prostatectomia radicale. Una di queste è il vacuum device. In particolare, diversi centri si sono concentrati su questo dispositivo allo scopo di prevenire l’accorciamento del pene tipico della fase post-operatoria. Tuttavia, va puntualizzato che i valori di gas ematico a livello penieno durante una erezione indotta da vacuum rimangono nel range del sangue venoso misto, essendo la saturazione dell’ossigeno approssimativamente dell’80%. Dunque, se si ritiene che l’ossigenazione cavernosa sia di cruciale importanza in tale circostanza risulta difficile credere in un ruolo protettivo o “riabilitativo” del vacuum [25]. In uno studio che ha coinvolto 28 uomini dopo PR nervesparing, randomizzati a uso precoce del vacuum piuttosto che alla sola osservazione, è stato evidenziato che il punteggio del Sexual Health Inventory for Male risultava più elevato nel gruppo dei paziente trattati dopo 6 mesi. Inoltre, nel gruppo di trattamento non si è osservata alcuna variazione statisticamente significativa della lunghezza peniena, diversamente dal gruppo in osservazione, dove si è potuta apprezzare una riduzione di 3 cm dopo 3 mesi [26]. Dunque, in base a tali promettenti risultati potrebbe essere utile avere a disposizione dati da un trial di grandi dimensioni multicentrico per definire la migliore strategia riabilitativa da impiegare. 15 Sempre recentemente, si è verificato un ritorno d' interesse sull’uso della prostaglandina per via intrauretrale (MUSE), sia come trattamento della DE che come tecnica riabilitativa. In particolare, tale sistema potrebbe ovviare al più frequente motivo di sospensione della prostaglandina intracavernosa, rappresentato dal disagio per l’iniezione e il dolore a essa correlato. Nel 2010 è stato pubblicato il primo lavoro sul confronto tra sildenafil e MUSE [27]. In questo trial prospettico randomizzato, multicentrico, open-label, due gruppi di pazienti post-RP sono stati trattati con alprostadil intrauretrale serale oppure sildenafil citrato 50 mg. Al termine dello studio, completato da 97 pazienti nel gruppo MUSE e da 59 in quello sildenafil, dopo 9 mesi, l’effetto di recupero della funzione erettile ottenuto con sildenafil è risultato paragonabile a quello dell’alprostadil intrauretrale in un lasso di tempo di 1 anno dall’intervento misurato con il questionario EDITS, come pure per le dimensioni del pene allo streching. 16 Fattori predittivi della funzione sessuale dopo la prostatectomia radicale. Un’ accurata selezione del paziente risulta fattore determinante per l’outcome sessuale dopo la prostatectomia radicale. Per quanto concerne le caratteristiche della malattia, si ritiene che pazienti con malattia clinicamente localizzata, come risulta dall’esplorazione rettale e/o dalla ecografia transrettale, e pazienti con valori di PSA<10ng/ml e Gleason score inferiore o uguale a 7, siano i migliori candidati per una chirurgia di risparmio dei nervi [28]. L’età del paziente va considerata in quanto appare intuitivo che pazienti più giovani arrivino all’intervento con una migliore funzione sessuale e comunque più motivati al recupero della stessa. Anche l’età della partner appare rilevante, in quanto esistono studi che mostrano come una differenza d’età superiore ai 20 anni sia prognosticamente favorevole per il recupero [22]. Ovviamente, la funzione erettile preoperatoria rappresenta il fattore maggiormente determinante in questo modello. Pazienti con DE o comunque che 17 riferiscono uso preoperatorio di PDE5i sono certamente a rischio per quanto riguarda la ripresa funzionale. Tuttavia, l’aspetto più controverso a questo riguardo è il momento ottimale di valutazione della funzione erettile nella fase preoperatoria, in quanto molti di questi pazienti, immediatamente dopo la diagnosi di Carcinoma Prostatico riducono sino a eliminarla la propria attività sessuale. Naturalmente, la presenza di comorbilità cardiovascolari e/o metaboliche rappresenta un ulteriore fattore di rischio aggiunto in questi pazienti [28]. Recentemente, il gruppo di Mulhall ha affrontato un altro importante e spinoso tema: il ruolo negativo della terapia ormonale neoadiuvante sulla ripresa della funzione erettile post-operatoria [23]. Partendo dal dato ormai assodato in letteratura, e cioè che la terapia ormonale neoadiuvante è in grado di migliorare gli esiti patologici-chirurgici (es margini chirurgici positivi) ma non di intervenire in maniera positiva sulla disease –free surivival oppure sulla sopravvivenza globale, gli Autori hanno voluto indagare il peso di tale terapia sulle probabilità di ripresa funzionale. A tale scopo, hanno effettuato uno studio retrospettivo di coorte analizzando i dati di pazienti sottoposti e non a terapia ormonale, andando a valutare, tramite esame ultrasonografico doppler dinamico del pene, l’incidenza di disfunzione venoocclusiva nei primi mesi dopo l’intervento di prostatectomia radicale. I gruppi sono risultati omogenei tranne per il numero di interventi eseguiti con tecnica non nerve sparing, che erano il 32% vs il 13% (ADT sì vs ADT no). L’incidenza di disfunzione venosa nei pazienti trattati è risultata del 60% vs 20%, con 18 un OR all’analisi multivariata 12,8. In termini di recupero, solo il 25% dei pazienti trattati aveva un IIEF>24 con l’ausilio di un 5PDEi. Tra i meccanismi fisiopatologici possibili gli Autori si focalizzano su 4: - Assente effetto proliferativo e differenziante degli androgeni su cellule endoteliali e fibrocellule muscolari, con conseguente disfunzione corporo occlusiva - Ridotto effetto trofico a carico delle strutture nervose, peraltro già sottoposte a danno durante l’intervento chirurgico - Ridotta numerosità e durata delle già rare erezioni spontanee postoperatorie - Ridotta libido, e quindi ridotta richiesta da parte del paziente d'impiego di 5PDEi on demand, con conseguente perdita di un possibile effetto riabilitativo. La conclusione degli Autori è che, date le premesse, tale tipo di trattamento andrebbe definitivamente abbandonato, in considerazione anche dell’effetto negativo che si esercita su una chirurgia nerve-sparing. La componente operatoria strettamente tecnica è indubbiamente fattore determinante della buona riuscita dell’outcome funzionale. La ricerca si è recentemente attestata su alcune specifiche aree di interesse. In particolare, la determinazione, al momento ancora non definitiva, del percorso delle diverse strutture nervose coinvolte nell’erezione con il conseguente sviluppo di tecniche in 19 grado di preservarle nella misura maggiore possibile, il rispetto delle strutture vascolari accessorie, come le arterie pudende accessorie (che sembrerebbero responsabili dell’irrorazione cavernosa in circa il 50 % dei pazienti in cui sono presenti), l’expertise specifica del chirurgo, considerando tuttavia che probabilmente questa non può essere banalmente misurata sono con il volume chirurgico. Altro interrogativo di grande interesse scientifico e terapeutico è individuare quale potrebbe essere il candidato ideale per una riabilitazione della funzione erettile. In un recente ed elgante lavoro, Briganti et al hanno analizzato retrospettivamente il proprio database di pazienti sottoposti a prostatectomia radicale nervesparing bilaterale sec Montorsi per valutare se l’effetto della terapia con 5PDEi varia in base alle caratteristiche del paziente [24]. I soggetti sono stati stratificati in tre gruppi di rischio, utilizzando il criterio dell’età, dell’IIEF preoperatorio e del Charlson Comorbidity Index. Dei 435 pazienti analizzati, il 65,6% ha deciso di intraprendere una terapia con 5PDEi, al bisogno oppure in terapia quotidiana, rispettivamente il 60,7% e il 39,7%. I gruppi (no terapia, on demand e quotidiano) risultavano pienamente paragonabili in quanto a caratteristiche generali e patologiche. Dopo un follow-up mediano di 23,2 mesi, il 46,7% dell’intera coorte ha recuperato la funzione erettile, intesa come IIEF>= 22. Tuttavia, l’impiego in qualsiasi regime terapeutico degli inibitori 5PDE influiva pesantemente, in quanto in questi pazienti il recupero si è verificato nel 72% vs 38%. 20 Il dato più interessante, tuttavia, deriva dalla sub analisi del tipo di terapia. Come già pubblicato dallo stesso gruppo con un trial su Vardenafil, la terapia quotidiana non si distacca significativamente da quella al bisogno, pur dimostrando una tendenza di superiorità costante [29]. Tuttavia, nel gruppo dei pazienti a rischio”intermedio” la terapia quotidiano si dimostra superiore. A giudizio degli Autori, tale popolazione sarebbe target “ideale” di una riabilitazione, in quanto presenterebbe una condizione di compromissione parziale (e quindi recuperabile) del tessuto cavernoso, differentemente dai pazienti ad alto rischio, che potrebbero essere al più solo supportati. 21 Riabilitazione della funzione erettile dopo PR: mito o realtà? Il concetto di riabilitazione della funzione erettile dopo la prostatectomia radicale è uno dei più controversi nell’attuale panorama della ricerca Urologica. In particolare, nonostante l’introduzione e la diffusa applicazione della tecnica nerve-sparing per la prostatectomia radicale introdotta da Walsh e le continue e successive modifiche, garantire al paziente una soddisfacente funzione erettile nel post-operatorio rimane a tutt’oggi una sfida. E’ questa, tuttavia, una sfida di grande importanza per il paziente che, superato il momento critico dell’intervento, vive le implicazioni funzionali dell’intervento in modo talora drammatico. Un’ importante messe di dati di tipo sia sperimentale, in particolare sull’animale da laboratorio, che di tipo clinico è attualmente disponibile in letteratura. Tuttavia, nel mondo scientifico persiste un certo grado di scetticismo riguardo alla 22 possibilità di poter garantire al paziente una vita sessuale soddisfacente; inoltre, un discreto disaccordo esiste sulla definizione stessa di un concetto di riabilitazione della funzione erettile, in quanto, come molti autori affermano, spesso l’unico risultato ottenibile è un supporto farmacologico soddisfacente . Ciò che sembrerebbe non in discussione è l’evidenza sperimentale che il danno determinato dall’intervento chirurgico è in grado di modificare la struttura e, conseguentemente, la funzione peniena. Nel determinismo di tale danno potrebbero avere un ruolo preponderante il danno neuronale, le modificazioni a carico dei corpi cavernosi, sia nella componente endoteliale che in quella muscolare, le problematiche vascolari, intese sia come deficiente apporto arterioso sia come fuga veno (corporo) occlusiva, e infine alterazioni cellulari specifiche. In particolare, due evidenze dimostrano il ruolo incontrovertibile dell’intervento sullo sviluppo del danno endoteliale e muscolare a carico dei corpi cavernosi. Iacono et al, nel 2005, dimostrarono che, studiando biopsie dei corpi cavernosi umani eseguite prima e dopo 2 e 12 mesi dalla prostatectomia radicale, si verificano delle progressive alterazioni strutturali, caratterizzate in primo luogo da riduzione delle cellule muscolari lisce e delle fibre elastiche, con un aumento delle fibre collagene [30]. Tale quadro risultava, peraltro, progressivo, quando veniva esaminato a 12 mesi dall’intervento. Inoltre, Katz et al hanno evidenziato come, in alcuni casi, una risposta erettile efficiente nel periodo immediatamente postoperatorio possa deteriorarsi già a 6 mesi dall’intervento, a conferma della tendenza evolutiva del danno cavernoso [14]. 23 Si evince, dunque, che il razionale di una “riabilitazione” è insito nel tentativo di prevenire questo danno progressivo, intervenendo sui molteplici e complessi meccanismi cellulari alla base delle alterazioni istologiche succitate. Un ruolo di primo piano in quest’ottica sembrerebbe quello degli inibitori delle 5PDE. E’ ormai assodato che in numerosi modelli animali questi farmaci hanno consentito, in particolare nella somministrazione cronica, di prevenire e rallentare la fibrosi, ridurre la deposizione di collagene e proteggere le cellule endoteliali dal danno e dell’apoptosi. Peraltro, negli studi di Mulhall emerge come il fattore tempo sia determinante, in quanto l’effetto protettivo sembrerebbe maggiore in caso di inizio della terapia prima del danno neurologico, avanzando la suggestiva ipotesi che potrebbe esserci un beneficio nell’iniziare l’assunzione del farmaco prima dell’intervento chirurgico [31]. Sul versante clinico, già nel 1997, Montorsi e il suo gruppo avevano dimostrato che, su una popolazione di 30 pazienti operati, la somministrazione per 3 volte a settimana per 12 settimane di prostaglandina E1 aveva consentito il ritorno di erezioni spontanee sufficienti per un rapporto nel 67% dei pazienti, verso il 20% dei pazienti nel gruppo di controllo [32]. Anche Padma Natan, utilizzando Sildenafil contro placebo, aveva evidenziato una maggior percentuale di pazienti che erano ritornati a una funzione erettile simile alla baseline nel gruppo di trattamento /27% vs. 4% nel placebo) [26]. Inoltre, l’aspetto temporale sembrerebbe cruciale. In uno studio con Sildenafil, Mulhall ha dimostrato una differenza statisticamente significativa in 24 termini di IIEF tra i pazienti che venivano trattati a partire dai primi 6 mesi e quelli trattati dopo i 6 mesi dall’intervento di prostatectomia radicale [33]. Tuttavia, numerosi Autori non condividono l’entusiasmo per questi risultati, mettendo in discussione le basi stesse di un concetto di riabilitazione della funzione erettile. Secondo quanto affermato da tali Autori, infatti, il concetto di riabilitazione dovrebbe riguardare il recupero di una funzione erettile spontanea e non andrebbe per questo confuso con il trattamento della DE dopo la prostatectomia radicale. Il medesimo studio di Montorsi, infatti, appare gravato da alcune debolezze metodologiche, tra cui il ristretto numero di pazienti trattati, la non disponibilità delle informazioni relative alla funzione erettile pre-operatoria, la mancanza di un questionario validato per determinare la funzione erettile da un punto di vista quantitativo e, soprattutto, la mancanza di un gruppo placebo [32]. Dunque, l’entità dei relativi risultati verrebbe inficiata pesantemente. Peraltro, in un altro studio di Raina riguardante le iniezioni intracavernose, solo l’1% dei pazienti aveva abbandonato il protocollo per insorgenza di iniezioni spontanee dimostrando quindi, ancora una volta, l’efficacia di questo trattamento come terapia della disfunzione erettile e non certo per una presunta riabilitazione [34] . Anche le evidenze sugli inibitori delle fosfodiesterasi 5 presentano delle limitazioni metodologiche, in quanto molti studi sono non randomizzati, non hanno gruppo placebo, oppure presentano una ridotta numerosità campionaria. Inoltre, nella maggior parte degli studi disponibili in letteratura, gli endpoint previsti sono in ottica di una attività terapeutica del trattamento farmacologico e non riabilitativa. 25 Dal punto di vista metodologico, uno degli studi più solidi metodologicamente è stato pubblicato da Montorsi nel 2008 [29]. In questo lavoro, dal disegno più volte criticato per la sua eccessiva complessità, gli Autori hanno comparato l’attività di Vardenafil on demand, Vardenafil somministrato tutti i giorni a sera e placebo. Questo studio, pur mettendo in evidenza il ruolo terapeutico di Vardenafil on demand, ha fallito nel dimostrare un superiorità dell’approccio cronico in termini riabilitativi, sottolineando, come fanno gli Autori, che probabilmente in questi pazienti un paradigma di dosaggio on demand può essere di maggior beneficio. In conclusione, appare evidente che dal punto di vista fisiopatologico e clinico sono disponibili numerose opzioni terapeutiche per questa popolazione di pazienti, ma i dati su una possibile riabilitazione sono al momento scarsi e controversi. 26 Riabilitazione della funzione erettile con alprostadil intracavernoso dopo prostatectomia radicale: rifiuto e drop-out Introduzione. La prostatectomia radicale rappresenta, secondo le linee guida EAU , un’ opzione terapeutica per uomini affetti da carcinoma prostatico localizzato e una aspettativa di vita di almeno dieci anni . Insieme all’ incontinenza urinaria, la disfunzione erettile rappresenta la principale conseguenza dell’intervento in grado di modificare in senso negativo la qualità di vita del paziente sottoposto a prostatectomia radicale. 27 Dopo l’introduzione della tecnica nerve-sparing di Walsh, sono progressivamente divenuti più popolari approcci meno invasivi, quali la prostatectomia radicale laparoscopica e quella robotica. Tuttavia, anche queste tecniche devono fronteggiare le medesime problematiche dell’intervento open, e la preservazione della potenza sessuale rimane una sfida, con risultati ancora non chiari [32, 34]. A partire dalla pioneristica esperienza di Montorsi e coll, si è progressivamente affermato il ruolo della somministrazione precoce di farmaci erettili in grado di promuovere la ripresa dell’erezione in pazienti sottoposti a chirurgia nerve-sparing o a permettere una attività sessuale soddisfacente negli altri pazienti [32]. Tuttavia, tali terapie non sono scevre da limiti che inducono i pazienti ad abbandonarle; inoltre, in una variabile percentuale dei casi che si aggira intorno al 50 %, i pazienti decidono liberamente di non intraprendere un programma di riabilitazione [35]. Abbiamo voluto quindi studiare il comportamento dei pazienti sottoposti a chirurgia radicale della prostata nei confronti di un programma di riabilitazione della funzione erettile con prostaglandina E1 (Alprostadil), per valutarne le motivazioni del rifiuto e dell’abbandono precoce di tali terapie. 28 Materiali e Metodi. Sono stati considerati tutti i pazienti sottoposti a prostatectomia radicale retropubica “open” sia nerve-sparing che non nerve-sparing presso la Clinica Urologica dell’Università Politecnica delle Marche dal primo Gennaio 2008 al 31 Dicembre 2010. All'atto del ricovero in Clinica, il giorno precedente l'intervento chirurgico, dopo aver raccolto il consenso informato all'intervento, viene compilata l'anamnesi fisiologica e patologica con l'aggiunta di una somministrazione della versione abbreviata di IIEF [36] per la funzione erettile e di una breve intervista semistrutturata (Fig.1, al fine di ottenere informazioni sulle abitudini e la attività sessuale. Presso il nostro centro, tutti i pazienti sottoposti a prostatectomia radicale, sia nervesparing che non, accedono a un protocollo di supporto della funzione erettile con alprostadil. A distanza di 4 settimane circa dalla rimozione del catetere vescicale, tutti i pazienti sono sottoposti a counseling Andrologico, durante il quale viene condotta una 29 anamnesi mirata alla valutazione delle abitudini sessuali della coppia e alle aspettative riguardo alla ripresa dell’attività sessuale. In tale occasione sono fornite informazioni circa la necessità di una riabilitazione della funzione erettile con Alprostadil (Caverject ® Pfizer Inc) e le sue modalità. In particolare, il paziente riceve informazioni circa l’impiego del farmaco e le possibili complicanze, compresa le eventualità di priapismo ischemico. Nel caso di accettazione del protocollo, i pazienti vengono visitati settimanalmente in ambulatorio al fine di insegnare loro la tecnica di autoiniezione e di individuare la giusta dose del farmaco, in base alla risposta in termini di erezione che si verifica entro 5-20 minuti. La somministrazione comincia con una dose starter di 2-3 mcg e il paziente viene invitato nella successiva seduta a riportare gli esiti in modo da perfezionare il dosaggio del farmaco. Nella stessa seduta viene anche registrata l’eventuale comparsa di dolore. Al termine di tale periodo di induzione, quando la iniezione viene praticata in maniera accurata da parte del paziente o della partner, vengono effettuati dei controlli a 3 mesi e poi ogni 6 mesi, in occasione dei quali vengono sottoposti al paziente il questionario IIEF e valutate le istanze del paziente e della coppia tramite questionario specifico. I soggetti vengono poi rivalutati presso lo stesso ambulatorio trimestralmente. Al termine di tale fase, viene prescritta una terapia orale aggiuntiva con iPDE5. Sono stati valutati: l’età, l’IIEF5 pre-operatorio, la eventuale terapia adiuvante, le motivazioni che hanno indotto a non intraprendere o a sospendere la terapia riabilitativa entro sei mesi dall’inizio del programma. 30 End point primario è stato considerato il tasso di accettazione e di sospensione della terapia entro sei mesi, end point secondario le motivazioni di rifiuto e di drop-out dalla terapia stessa. I dati sono stati analizzati con test t di Student o test del chi-quadro quando appropriato. I risultati vengono espressi in temini di medie e deviazioni standard. La significatività statistica è stata considerata per p<0,005. Risultati. Sono risultati valutabili 430 pazienti L’età media dei pazienti è risultata 64,59 anni (± 6,5). Tutti i pazienti hanno riferito di aver avuto una vita sessualmente attiva nei sei mesi precedenti l’intervento e il 66,7% presentava un IIEF5 maggiore o uguale a 20 (Fig.3). Un totale di 273 pazienti (63,5%) ha aderito al programma di riabilitazione proposto, mentre 157 (36,5%) lo hanno rifiutato (Tab. 1). In nessun caso abbiamo assistito a ripensamenti di pazienti che inizialmente avevano rifiutato. In questo ultimo subset di pazienti, le motivazioni del rifiuto sono risultate in 81 (51,6%) la perdita di interesse per l’attività sessuale, mentre in 46 (30,2%) la perdita di interesse sessuale da parte della partner è risultata determinante (Tab.2). E’ da notare che questi pazienti erano significativamente più anziani e presentavano valori medi di IIEF5 più bassi, con un punteggio inferiore a 20 nel 53,5% dei casi. Inoltre, in 42 casi, il paziente ha rifiutato di intraprendere il programma a causa della 31 presenza di incontinenza urinaria. Il tasso complessivo di incontinenza urinaria transitoria è risultato essere del 26,7%. D’altro canto, la necessità di terapia adiuvante (ormonoterapia e/o radioterapia) risultava incidere in maniera statisticamente significativa sulla decisione di intraprendere la riabilitazione; infatti i pazienti che rientravano in questo gruppo presentavano una probabilità maggiore di 4 volte di rifiutare o sospendere il protocollo. Tra i pazienti che si sono sottoposti al programma , nel 77,6 % (212) il punteggio IIEF5 era maggiore o uguale a 20. Si sono verificati 51 casi (18,6%) di abbandono della terapia nei primi 6 mesi, la cui principale motivazione era costituita da inefficacia o effetto al di sotto delle aspettative nonostante i tentativi di adeguamento della dose di PGE1, mentre la seconda causa per frequenza era ascrivibile al dolore. La difficoltà nel praticare l’iniezione, spesso correlata all’habitus del paziente o alla paura degli aghi, da parte del soggetto o della partner, e la perdita di spontaneità dell’atto sessuale sono risultati responsabili in un numero limitato di casi. Dato interessante, in nessun caso abbiamo assistito ad abbandono per eccessivo costo del farmaco. I dati numerici sono presentati in Tab 3. Discussione 32 Attualmente, le possibilità di sopravvivenza a lungo termine per un soggetto affetto da carcinoma prostatico e sottoposto a una terapia primaria sono relativamente elevate a lungo termine. In questo contesto, i tentativi per il miglioramento della qualità di vita, con particolare riferimento alla qualità della vita sessuale risultano di grande importanza. La maggior parte degli studi sinora pubblicati si sono prefissi come scopo quello di analizzare l’efficacia di vari protocolli e farmaci nel supportare e ripristinare la funzione erettile dopo l’intervento di prostatectomia radicale, raramente focalizzandosi sugli effettivi pattern di utilizzo. Il nostro protocollo riabilitativo/di supporto dopo la prostatectomia radicale, proposto alla totalità dei pazienti sottoposti a tale intervento chirurgico, prevede l’impiego quasi esclusivo, nella sua prima fase, di Alprostadil per via intracavernosa. Tale scelta, in apparente contradizione con i risultati attualmente disponibili in letteratura, trova a nostro avviso un razionale nell’elevata efficacia pressoché immediata in termini di risposta erettile e soprattutto di rigidità peniena, fattore più volte considerato cruciale nel determinare il grado di soddisfazione [37, 38]. Anche dopo la prostatectomia radicale nerve-sparing, infatti, la neuroaprassia determina un periodo di durata variabile sino anche a 24 mesi di insufficienza funzionale delle fibre nervose deputate all’erezione, limitando quindi l’efficacia degli inibitori delle 5-PDE [39, 40]. I risultati del nostro studio evidenziano come il grado di soddisfazione dell’attività sessuale dopo prostatectomia radicale risulti dalla commistione di numerosi fattori quali la qualità dell’erezione pre-operatoria, il grado di controllo della patologia 33 neoplastica e quindi la necessità di terapia adiuvante, il grado interesse del paziente e anche della partner e l’eventuale presenza di incontinenza urinaria. Tuttavia, anche in pazienti con funzione erettile pre-operatoria non brillante, abbiamo verificato uno spiccato interesse per una terapia riabilitativa. Tale osservazione è anche corroborata da valori preoperatori di IIEF5 sostanzialmente sovrapponibili tra il gruppo che aveva accettato il protocollo e quello che lo aveva rifiutato, evidenziando in questo modo come la funzione erettile preoperatoria non rappresenti un fattore determinante nella richiesta di aiuto per la disfunzione erettile postoperatoria. Peraltro, in una significativa percentuale di casi, l’impiego della terapia intracavernosa praticata con regolarità, non correla con il numero di tentativi di rapporto (dati non mostrati). Nell’assoluta maggioranza dei casi, questi pazienti non avevano mai ricercato in precedenza un aiuto medico per la disfunzione erettile. Probabilmente l’offerta di un programma riabilitativo stimola costoro a una richiesta di aiuto. Tuttavia, in questi casi, emerge una problematica significativa relativamente all’aspettativa di questi soggetti, peraltro spesso sottoposti a chirurgia non nervesparing. Nella nostra casistica, infatti, la maggiorparte degli abbandoni si è verificata proprio per aspettative disattese, che possono essere principalmente imputate a una insufficiente rigidità. I nostri dati evidenziano anche il ruolo della partner, dato che nella presente casistica nel 30% circa dei casi la mancanza di interesse per l’attività sessuale della partner è risultata determinante. Tale dato, in apparenza sorprendente, rappresenta un importante elemento di cui tener conto nella gestione di una nuova entità che non è 34 più rappresentata dal singolo paziente sottoposto a prostatectomia radicale, ma dalla coppia nella sua complessità. Infatti, in una recente indagine che ha coinvolto pazienti sottoposti a varie tipologie di trattamento per adenocarcinoma prostatico, nel subset di pazienti che avevano ricevuto una prostatectomia radicale il problema sessuale veniva definito come di entità moderata o grave in circa il 50% dei pazienti, con percentuali simili per quanto riguardava la partner, che definiva il problema come grave in circa il 21% dei casi [41]. Inoltre, per la partner l’aspetto sessuale rappresentava il dominio della quality of life di maggior importanza. In modo simile a un altro studio relativo all’impiego di un trattamento orale per la disfunzione erettile dopo prostatectomia radicale nerve-sparing, non abbiamo avuto alcun caso di drop-out imputabile al fattore costo del farmaco [35]. In particolare, questo dato riveste un particolare interesse in quanto, nella nostra Regione (Marche) i presidi per la disfunzione erettile dopo prostatectomia radicale non sono rimborsati dal Servizio Sanitario Regionale, a differenza di altre Regioni dove questo sta avvenendo. Pur non avendo analizzato in dettaglio la condizione economica di ciascun paziente, possiamo senza dubbio affermare che questo sia un fattore ininfluente sulla scelta di intraprendere un trattamento farmacologico dopo la PR, a rimarcare la profonda motivazione che spinge i pazienti in queste circostanze. Le implicazioni della necessità del trattamento adiuvante devono essere ancora ben chiarite. Nella nostra casistica l’indicazione a eseguire RT adiuvante ha in qualche modo scoraggiato il paziente dall’intraprendere il protocollo, probabilmente per la percezione di una maggiore gravità della malattia. In base alla casistica qui presentata 35 non è possibile esprimere giudizi sugli eventuali effetti additivi in termini di riduzione della capacità erettile in soggetti sottoposti a radioterapia e ormonoterapia. Tuttavia questo aspetto è attualmente oggetto di studio presso il nostro centro. E’ comunque evidente che la terapia ormonale modifichi in senso negativo la qualità di vita, determinando peggioramento della funzione erettile e riduzione dell’interesse sessuale. rappresenti un fattore potenzialmente negativo sulla funzione sessuale del paziente. Nell’analisi dei dati provenienti dallo studio Prostate Cancer Outcomes Study (PCOS) emerge infatti come il 51% dei pazienti con un qualche grado di interesse sessuale prima del trattamento riportava dopo il trattamento una totale assenza di desiderio sessuale, mentre il 69% dei pazienti, precedentemente dotati di un’erezione normale, presentava una disfuzione erettile [42]. Tra le varie motivazioni che hanno spinto i pazienti ad abbandonare il protocollo, assume un ruolo preponderante il dolore penieno. La causa di tale fenomeno non è al momento ben chiara, ma è noto che il dolore si presenta con particolare frequenza e severità dopo prostatectomia radicale, a rimarcare un ruolo putativo del danno nervoso nella generazione dello stimolo nocicettivo [43, 44]. La prevalenza del dolore nella popolazione oggetto del nostro studio è significativamente più alta rispetto a quanti hanno abbandonato per effettiva intolleranza al dolore stesso, a indicare che in molti casi la sintomatologia tende a recedere con il proseguire delle iniezioni periodiche. Inoltre, abbiamo notato come la temperatura del farmaco (conservato in frigorifero e poi portato a temperatura ambiente) sia un determinante importante 36 nell’insorgenza del dolore. Non abbiamo inoltre osservato significative correlazioni con il dosaggio del farmaco, in quanto tutti i casi di dolore intenso si sono verificati sin dalla prima iniezione , che viene effettuata a dosaggi molto bassi. Le percentuali di successo in termini di erezione e soddisfazione sessuale nella nostra casistica sono piuttosto elevate (75% dei pazienti riportano di aver ripreso l'attività sessuale, 60% riferiscono di avere rapporti soddisfacenti). In una casistica di prostatectomia radicali non nerve-sparing, Gontero et al hanno riportato una efficacia del 70% nei pazienti sottoposti a riabilitazione precoce [44]. I nostri dati potrebbero risentire favorevolmente del counseling proposto ai pazienti, nel quale si è posta cura nell’istruire correttamente il paziente e la coppia e nel rassicurarli nella eventualità di insuccessi, specie ai dosaggi più bassi. Il nostro studio non tiene conto di una stratificazione dei pazienti secondo la tecnica chirurgica utilizzata, nerve sparing vs non nerve sparing. Il nostro obiettivo era infatti evidenziare le caratteristiche di un programma di riabilitazione che viene proposto indistintamente a tutti pazienti sottoposti a prostatectomia radicale. Conclusione La maggioranza dei pazienti sottoposti a intervento di prostatectomia radicale ricerca un aiuto per la ripresa quanto più precoce dell’attività sessuale. Abbiamo tuttavia evidenziato come guidare il paziente lungo questo percorso sia piuttosto impegnativo 37 e frustrante in quanto in quasi il 20% dei casi il programma riabilitativo viene abbandonato. Riteniamo che l’impiego iniziale dei farmaci iniettivi e un attento tutoraggio siano necessari per motivare il paziente verso la ripresa dell’attività erettile dopo un evento traumatico quale la prostatectomia radicale. Nella gestione della problematica sessuale, inoltre, riteniamo debba essere introdotto un cambio di prospettiva che metta la centro non solo il paziente ma la coppia come attore unico e complesso. 38 Tabelle e Figure. Tab.1 Accetazione e rifiuto del protocollo. Parametri clinici. Parameters Rehabilitation No rehabilitation P Age (years) 63.98 66.97 <0.001 IIEF-5 score ≥20 76.1 % 23.9 % 0.003 Adjuvant medication 20.9 % 79.1 % 0.012 Tab. 2 Ragioni per il rifiuto del programma. 39 Accept 273 patients (63.5%) Refuse 157 patients (36.5%) Refusal due to Lack of sexual interest 81 (51.6%) Lack of sexual interest by the partner 46 (30.2%) Urinary incontinence (transitory) 42 (26.7%) Tab. 3. Ragioni del dropout Dropouts Lack 51 patients (18.6%) of/disappointment treatment efficacy with 33 (64.7%) 23 (45%) Injection pain 40 Problems with the injection 18 (35,2%) (difficulty/fear) Fig.1 Questionario preoperatorio. 1- Are you interested in undertaking a penile rehabilitation programme after the operation? Yes No If you are not interested, what is/are the reasons among those listed below? 2- I’m not interested in intercourse 3- My partner is not interested in intercourse 4- I think my urinary incontinence could affect sexual activity 41 Fig. 2 Questionario somministrato ai soggetti drop out. Reasons for dropout. Please tick any of the following that apply. 1- Lack of/disappointment with the effects 2- Injection pain 3- Problems with the injection (difficulty/fear) 4- Cost of the drug Fig.1 Valori di IIEF-5 preoperatori. 42 Bibliografia 43 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. Jemal A, Siegel R, Xu J, Ward E: Cancer statistics, 2010. CA Cancer J Clin 2010, 60(5):277-300. Cooperberg MR, Broering JM, Carroll PR: Time trends and local variation in primary treatment of localized prostate cancer. J Clin Oncol 2010, 28(7):1117-1123. Bill-Axelson A, Holmberg L, Ruutu M, Garmo H, Stark JR, Busch C, Nordling S, Haggman M, Andersson SO, Bratell S et al: Radical prostatectomy versus watchful waiting in early prostate cancer. N Engl J Med 2011, 364(18):17081717. Porter CR, Kodama K, Gibbons RP, Correa R, Jr., Chun FK, Perrotte P, Karakiewicz PI: 25-year prostate cancer control and survival outcomes: a 40year radical prostatectomy single institution series. J Urol 2006, 176(2):569574. Penson DF, McLerran D, Feng Z, Li L, Albertsen PC, Gilliland FD, Hamilton A, Hoffman RM, Stephenson RA, Potosky AL et al: 5-year urinary and sexual outcomes after radical prostatectomy: results from the prostate cancer outcomes study. J Urol 2005, 173(5):1701-1705. Boorjian SA, Eastham JA, Graefen M, Guillonneau B, Karnes RJ, Moul JW, Schaeffer EM, Stief C, Zorn KC: A Critical Analysis of the Long-Term Impact of Radical Prostatectomy on Cancer Control and Function Outcomes. Eur Urol 2011. Kundu SD, Roehl KA, Eggener SE, Antenor JA, Han M, Catalona WJ: Potency, continence and complications in 3,477 consecutive radical retropubic prostatectomies. J Urol 2004, 172(6 Pt 1):2227-2231. Sacco E, Prayer-Galetti T, Pinto F, Fracalanza S, Betto G, Pagano F, Artibani W: Urinary incontinence after radical prostatectomy: incidence by definition, risk factors and temporal trend in a large series with a long-term follow-up. BJU Int 2006, 97(6):1234-1241. Walsh PC, Marschke P, Ricker D, Burnett AL: Patient-reported urinary continence and sexual function after anatomic radical prostatectomy. Urology 2000, 55(1):58-61. Stanford JL, Feng Z, Hamilton AS, Gilliland FD, Stephenson RA, Eley JW, Albertsen PC, Harlan LC, Potosky AL: Urinary and sexual function after radical prostatectomy for clinically localized prostate cancer: the Prostate Cancer Outcomes Study. Jama 2000, 283(3):354-360. Mazzola C, Mulhall JP: Penile rehabilitation after prostate cancer treatment: outcomes and practical algorithm. Urol Clin North Am 2011, 38(2):105-118. Walsh PC, Partin AW, Epstein JI: Cancer control and quality of life following anatomical radical retropubic prostatectomy: results at 10 years. J Urol 1994, 152(5 Pt 2):1831-1836. 44 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. Masterson TA, Serio AM, Mulhall JP, Vickers AJ, Eastham JA: Modified technique for neurovascular bundle preservation during radical prostatectomy: association between technique and recovery of erectile function. BJU Int 2008, 101(10):1217-1222. Katz D, Bennett NE, Stasi J, Eastham JA, Guillonneau BD, Scardino PT, Mulhall JP: Chronology of erectile function in patients with early functional erections following radical prostatectomy. J Sex Med 2010, 7(2 Pt 1):803809. Mazzola C, Savage C, Ahallal Y, Reuter VE, Eastham JA, Scardino PT, Guillonneau B, Touijer KA: Nodal counts during pelvic lymph node dissection for prostate cancer: an objective indicator of quality under the influence of very subjective factors. BJU Int 2011. Katz IJ, Gerntholtz TE, van Deventer M, Schneider H, Naicker S: Is there a need for early detection programs for chronic kidney disease? Clin Nephrol 2010, 74 Suppl 1:S113-118. Berk M, Munib A, Dean O, Malhi GS, Kohlmann K, Schapkaitz I, Jeavons S, Katz F, Anderson-Hunt M, Conus P et al: Qualitative methods in early-phase drug trials: broadening the scope of data and methods from an RCT of Nacetylcysteine in schizophrenia. J Clin Psychiatry 2011, 72(7):909-913. Siegelmann-Danieli N, Kurnik D, Lomnicky Y, Vesterman-Landes J, Katzir I, Bialik M, Loebstein R: Potent CYP2D6 Inhibiting drugs do not increase relapse rate in early breast cancer patients treated with adjuvant tamoxifen. Breast Cancer Res Treat 2011, 125(2):505-510. Sanders DN, Farias FH, Johnson GS, Chiang V, Cook JR, O'Brien DP, Hofmann SL, Lu JY, Katz ML: A mutation in canine PPT1 causes early onset neuronal ceroid lipofuscinosis in a Dachshund. Mol Genet Metab 2010, 100(4):349356. Yu L, Todd NW, Xing L, Xie Y, Zhang H, Liu Z, Fang H, Zhang J, Katz RL, Jiang F: Early detection of lung adenocarcinoma in sputum by a panel of microRNA markers. Int J Cancer 2010. Salonia A, Zanni G, Gallina A, Briganti A, Sacca A, Suardi N, Matloob R, Da Pozzo LF, Bertini R, Colombo R et al: Unsuccessful investigation of preoperative sexual health issues in the prostate cancer "couple": results of a real-life psychometric survey at a major tertiary academic center. J Sex Med 2009, 6(12):3347-3355. Descazeaud A, Debre B, Flam TA: Age difference between patient and partner is a predictive factor of potency rate following radical prostatectomy. J Urol 2006, 176(6 Pt 1):2594-2598; discussion 2598. 45 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. Mazzola CR, Deveci S, Heck M, Mulhall JP: Androgen deprivation therapy before radical prostatectomy is associated with poorer postoperative erectile function outcomes. BJU Int 2011. Briganti A, Di Trapani E, Abdollah F, Gallina A, Suardi N, Capitanio U, Tutolo M, Passoni N, Salonia A, Digirolamo V et al: Choosing the Best Candidates for Penile Rehabilitation after Bilateral Nerve-Sparing Radical Prostatectomy. J Sex Med 2011. Briganti A, Joniau S, Gontero P, Abdollah F, Passoni NM, Tombal B, Marchioro G, Kneitz B, Walz J, Frohneberg D et al: Identifying the Best Candidate for Radical Prostatectomy Among Patients with High-Risk Prostate Cancer. Eur Urol 2011. Padma-Nathan H, McCullough AR, Levine LA, Lipshultz LI, Siegel R, Montorsi F, Giuliano F, Brock G: Randomized, double-blind, placebo-controlled study of postoperative nightly sildenafil citrate for the prevention of erectile dysfunction after bilateral nerve-sparing radical prostatectomy. Int J Impot Res 2008, 20(5):479-486. McCullough AR, Hellstrom WG, Wang R, Lepor H, Wagner KR, Engel JD: Recovery of erectile function after nerve sparing radical prostatectomy and penile rehabilitation with nightly intraurethral alprostadil versus sildenafil citrate. J Urol 2010, 183(6):2451-2456. Briganti A, Capitanio U, Chun FK, Karakiewicz PI, Salonia A, Bianchi M, Cestari A, Guazzoni G, Rigatti P, Montorsi F: Prediction of sexual function after radical prostatectomy. Cancer 2009, 115(13 Suppl):3150-3159. Montorsi F, Brock G, Lee J, Shapiro J, Van Poppel H, Graefen M, Stief C: Effect of nightly versus on-demand vardenafil on recovery of erectile function in men following bilateral nerve-sparing radical prostatectomy. Eur Urol 2008, 54(4):924-931. Iacono F, Giannella R, Somma P, Manno G, Fusco F, Mirone V: Histological alterations in cavernous tissue after radical prostatectomy. J Urol 2005, 173(5):1673-1676. Mulhall JP, Parker M, Waters BW, Flanigan R: The timing of penile rehabilitation after bilateral nerve-sparing radical prostatectomy affects the recovery of erectile function. BJU Int 2010, 105(1):37-41. Montorsi F, Guazzoni G, Strambi LF, Da Pozzo LF, Nava L, Barbieri L, Rigatti P, Pizzini G, Miani A: Recovery of spontaneous erectile function after nervesparing radical retropubic prostatectomy with and without early intracavernous injections of alprostadil: results of a prospective, randomized trial. J Urol 1997, 158(4):1408-1410. Mulhall JP, Morgentaler A: Penile rehabilitation should become the norm for radical prostatectomy patients. J Sex Med 2007, 4(3):538-543. 46 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 43. 44. Hakimi AA, Faleck DM, Sobey S, Ioffe E, Rabbani F, Donat SM, Ghavamian R: Assessment of complication and functional outcome reporting in the minimally invasive prostatectomy literature from 2006 to the present. BJU Int 2012, 109(1):26-30; discussion 30. Salonia A, Gallina A, Zanni G, Briganti A, Deho F, Sacca A, Suardi N, Barbieri L, Guazzoni G, Rigatti P et al: Acceptance of and discontinuation rate from erectile dysfunction oral treatment in patients following bilateral nervesparing radical prostatectomy. Eur Urol 2008, 53(3):564-570. Rosen RC, Riley A, Wagner G, Osterloh IH, Kirkpatrick J, Mishra A: The international index of erectile function (IIEF): a multidimensional scale for assessment of erectile dysfunction. Urology 1997, 49(6):822-830. Goldstein I, Mulhall JP, Bushmakin AG, Cappelleri JC, Hvidsten K, Symonds T: The erection hardness score and its relationship to successful sexual intercourse. J Sex Med 2008, 5(10):2374-2380. Mulhall JP, Levine LA, Junemann KP: Erection hardness: a unifying factor for defining response in the treatment of erectile dysfunction. Urology 2006, 68(3 Suppl):17-25. Magheli A, Burnett AL: Erectile dysfunction following prostatectomy: prevention and treatment. Nat Rev Urol 2009, 6(8):415-427. Kendirci M, Bejma J, Hellstrom WJ: Update on erectile dysfunction in prostate cancer patients. Curr Opin Urol 2006, 16(3):186-195. Sanda MG, Dunn RL, Michalski J, Sandler HM, Northouse L, Hembroff L, Lin X, Greenfield TK, Litwin MS, Saigal CS et al: Quality of life and satisfaction with outcome among prostate-cancer survivors. N Engl J Med 2008, 358(12):1250-1261. Potosky AL, Knopf K, Clegg LX, Albertsen PC, Stanford JL, Hamilton AS, Gilliland FD, Eley JW, Stephenson RA, Hoffman RM: Quality-of-life outcomes after primary androgen deprivation therapy: results from the Prostate Cancer Outcomes Study. J Clin Oncol 2001, 19(17):3750-3757. Gontero P, Fontana F, Bagnasacco A, Panella M, Kocjancic E, Pretti G, Frea B: Is there an optimal time for intracavernous prostaglandin E1 rehabilitation following nonnerve sparing radical prostatectomy? Results from a hemodynamic prospective study. J Urol 2003, 169(6):2166-2169. Gontero P, Fontana F, Zitella A, Montorsi F, Frea B: A prospective evaluation of efficacy and compliance with a multistep treatment approach for erectile dysfunction in patients after non-nerve sparing radical prostatectomy. BJU Int 2005, 95(3):359-365. 47