Fra pane e diritti - Le rivolte nel mondo arabo
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Fra pane e diritti - Le rivolte nel mondo arabo
Fra pane e diritti Le rivolte nel mondo arabo (in collaborazione con la Fondazione Paralleli) “Fra Pane e Diritti” è stata l'occasione per riunire il 18 aprile, nel Museo Rai della Radio e televisione di Torino, voci illustri che sapessero analizzare la situazione sociale, politica ed economica dei Paesi segnati dalle rivolte. Ismet Guiza, giovane imprenditore tunisino, sottolinea le tre cause che stanno alla base delle rivolte: disoccupazione giovanile, corruzione interna all'amministrazione di Ben Ali e mancanza di una libera espressione culturale e politica. Ciò che viene sottovalutato, da parte degli analisti occidentali, secondo Guiza, è il disequilibrio economico tra le varie regioni tunisine. Se si guarda infatti solo all'aumento del 4-4,5% del PIL nazionale, non si spiega il perché delle rivolte. E' qui evidenziata la profonda differenza tra regioni interne e quelle affacciate sul mare, di grande attrattiva turistica, e di riflesso le condizioni di vita dei cittadini. Ismet Guiza, come giovane imprenditore tunisino, sottolinea come la maggior parte delle rendite nazionali siano state trattenute dal governo di Ben Ali e dal governo di corruzione che imperversava nel Paese. La società civile rimane esclusa da qualsiasi tasso di crescita economica a livello nazionale. “La Tunisia necessita di una nuova conduzione amministrativa” – prosegue Guiza - per poter modernizzare le forme di investimento economico, e così avvicinarsi al modello occidentale di gestione delle risorse interne”. Guiza fa parte di associazioni di giovani imprenditori che in tutte le regioni tunisine stanno cercando di organizzare attività di formazione per i giovani, per rispondere in maniera concreta all'esigenza di una redistribuzione del benessere all'interno della società. Un buon inizio, se si pensa che in Tunisia proprio i giovani sono stati i protagonisti di questo inizio di “onda rivoluzionaria”. Anche Sherif El Sebaie, giornalista egiziano, sottolinea la forza dei movimenti, seppur non si spinge a definirli ancora “rivoluzionari”. Preferisce utilizzare il termine “rivoluzione” che va a sottolineare un processo di riforma radicale ancora in itinere, che seppur ambizioso non ha ancora raggiunto totalmente il suo scopo. Secondo Sherif El Sebaie, c’è il rischio che la situazione economica egiziana degeneri: il PIL e le entrate del Paese sono già crollate. Se questo declino continuerà, si creerà ancora più malcontento, soprattutto tra quei giovani che hanno dato il via ai movimenti di rivolta e che vorrebbero vederne i risultati. Arturo Varvelli, ricercatore ISPI, esperto in politica interna e internazionale della Libia, evidenzia la profonda differenza delle peculiarità di un “rentier state” rispetto ai Paesi vicini. Un paese con un reddito procapite che varia tra i 15 mila e i 30mila dollari annui, è molto più simile ai Paesi del Golfo o degli Emirati Arabi Uniti. “La caratteristica essenziale di uno Stato a rendita petrolifera, è l'instaurazione tra i regnanti e i cittadini di un particolare patto sociale che è determinato dalla acquiescenza di questi ultimi nei confronti del governante”, sostiene Varrvelli. Acquiescenza che si trasforma in scarsa richiesta di democrazia, diritti civili e partecipazione. Questo perché, avendo in cambio dal governante tutto quanto è necessario per sopravvivere, e non avendo imposizioni fiscali di alcun tipo, in questi Paesi la richiesta di diritti civili, di democrazia e di partecipazione per lungo tempo è rimasta limitata. In Libia l’identità nazionale è debole e questo pone delle incertezze sulla affermazione di un Paese unito promotore di un cambiamento democratico. Augusto Veleriani, dell'Università di Bologna, esperto di comunicazione politica e del fenomeno dei blogger in Nord Africa, concorda sul fatto che la situazione libica sia completamente diversa da quella tunisina ed egiziana. “Eppure – afferma Valeriani -, se si guarda alla rappresentazione mediatica della rivolta, l’elemento della continuità e della somiglianza tra i Paesi è quello dominante. La continuità fa comodo ai ribelli libici, perché essere inseriti nell’onda lunga della rivoluzione è una garanzia di supporto a livello simbolico”. Ciò che colpisce è l’assoluta consapevolezza mediale in queste rivolte. “E’ evidente che chi era in piazza – afferma Valeriani - era consapevole dell’importanza della rappresentazione di quello che stava succedendo. La Croce e il Corano esibiti insieme in piazza Tahrir, forse hanno avuto un senso maggiore perché si sapeva che questa immagine sarebbe stata trasmessa dalle telecamere internazionali e panarabe”. Se è certo che i movimenti in Tunisia, Egitto e Bahrein non possano essere riconducibili solo ad una avanguardia di tecnocrati, allo stesso tempo, il ruolo di questa avanguardia è stato assolutamente fondamentale. “E’ stato fondamentale nella misura in cui – afferma l’esperto - ha saputo declinare la cultura della rete all’esperienza della rivoluzione. In questo, l’elemento centrale è la cooperazione della rete, parola chiave del web 2.0, della dimensione collaborativa di un evento o di una pratica”. In conclusione Elisa Ferrero, esperta del mondo arabo, parla di rivoluzione egiziana “spontanea ma non sprovveduta”. Contatti e relazioni internazionali hanno costituito la base nell'organizzazione della rivolta. Anche per questo le manifestazioni si sono svolte in maniera determinata, ma disciplinata e pacifica. Piazza Tahrir è divenuta il simbolo di questa organizzazione, con la costruzione di una tendopoli ad uso dei manifestanti e la distribuzione di cibo nelle strade. “I giovani, nel manifestare e nell'organizzare le rivolte – afferma Ferrero - hanno cercato di proporre un modo nuovo di amministrare l'Egitto. La difficoltà di un'assenza di leadership, è per loro anche motivo di orgoglio. Nessun partito politico ha messo la firma sulla rivolta, se non le organizzazioni della società civile. Non solo giovani, ma anche le classi più povere, le più disparate categorie professionali, cristiani e musulmani, hanno dimostrato fianco a fianco nelle piazze”. La presenza femminile è stata enorme, sostiene Ferrero. “Moltissime blogger sono state attive nel promuovere la rivolta anche sul web. Le dimostrazioni sono state non solo un modo per richiedere un cambiamento di governo, ma anche maggiori diritti per il mondo femminile”. La società nel suo insieme sta cercando una svolta democratica e, nonostante i problemi, sembra anche aver la forza di poterla costruire. Una grande scommessa di cui tutti sembrano essere consapevoli. IUHPE-CIPES European Centre