2016.09.18 AGOCist. IT-Omelia Maria Addolorata, Stična

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2016.09.18 AGOCist. IT-Omelia Maria Addolorata, Stična
Maria Madre Addolorata – Abbazia di Stična, 18.09.2016
Letture: Giuditta 13,17-20; Ebrei 5,7-9; Giovanni 19,25-27
"E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé" (Gv 19,27)
Giovanni è discepolo di Gesù, il discepolo prediletto, il discepolo che Gesù amava, che
Gesù amava come discepolo. Il discepolo preferito da un maestro, come il figlio preferito
da un padre, riceve tutto dal maestro, dal padre, riceve la parte migliore. Ma non la riceve
arbitrariamente, solo per simpatia, perché questo sarebbe ingiusto. Il discepolo preferito
riceve tutto, riceve il meglio, perché è colui che accoglie tutto, che è aperto al meglio che
il maestro e padre vuole dargli, è aperto al meglio che il maestro vuole dare a tutti i
discepoli, che il padre vuole dare a tutti i figli.
Il discepolo amato non riceve tutto perché è preferito, ma è preferito perché riceve tutto,
perché accoglie tutto. Riceve la parte migliore perché la desidera, perché la domanda,
perché ha il cuore e la vita completamente spalancati per riceverla.
Giovanni era preferito da Gesù per questo, per la sua apertura di cuore, per il suo
desiderio di ricevere tutto da Lui. Fin dall'inizio, quando incontrò Gesù con Andrea, seguì
Gesù con il desiderio di conoscere dove dimorava, "Maestro, dove abiti?" (Gv 1,38), e
rimase con Lui "tutto il giorno" (Gv 1,39). Già allora non voleva più staccarsi da Lui, non
voleva più perdere una sola delle sue parole, uno solo dei suoi sguardi.
Era come scrive san Benedetto nella Regola, quando chiede che l'abate "non ami l'uno più
dell'altro, a meno che non l'abbia trovato migliore nelle buone opere o nell'obbedienza".
Perché, aggiunge, "presso Dio non ci sono preferenze di persone. La sola cosa che ci
distingue davanti a lui è se siamo trovati migliori degli altri nelle buone opere e umili"
(RB 2,17.20b-21)
L'obbedienza, l'umiltà, per san Benedetto come per Gesù, sono l'apertura del cuore alla
parola di Dio che ci chiama alla vita, che ci chiama a seguirlo sulla via della pienezza.
Ed ecco che l'umile obbedienza del discepolo che Gesù amava, ecco che la sua apertura
di cuore nel desiderare e accogliere tutto da Gesù, rende Giovanni erede del tesoro più
prezioso che Cristo lascia sulla terra al momento di morire: sua Madre. E Giovanni
accoglie immediatamente questa eredità, senza commenti, senza obiezioni. Obbedisce e
accoglie. "E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé". È lui che scrive questo, come se
firmasse subito il suo immediato e pieno accordo con il testamento di Cristo.
Ma non fu un'obbedienza facile. Accoglie la Madre perché il Figlio muore. È perché
Gesù sta morendo, e sta morendo in Croce, che Giovanni riceve questa eredità, questo
dono. Giovanni certo è cosciente, come ne è cosciente Maria, che accettando questa
eredità accetta anche la morte di Cristo; acconsente, come Maria, a che il Figlio muoia in
Croce per la salvezza dell'umanità. In Maria, Giovanni accoglie un'eredità dolorosa, un
dono pieno di dolore. Il dono stesso è dolore, perché ora Maria è tutta dolore, è tutta
trafitta dal dolore per la passione e la morte del Figlio.
Maria è la Madre addolorata, ma anche la discepola totalmente prediletta da Dio, la
discepola "piena di grazia", piena di benevolenza da parte del Signore (cfr. Lc 1,28.30).
Prima di rivolgersi a Giovanni, Gesù si rivolge alla Madre: "Donna, ecco tuo figlio!" (Gv
19,26). "Poi disse al discepolo: 'Ecco tua madre!'" (19,27). La prima discepola, la prima
1 erede, la prima amata, la prima prediletta, è Maria. E l'eredità del discepolo amato è di
poter accogliere con sé la discepola amata, la discepola per eccellenza. Anche Maria non
dice nulla sotto la Croce, solo obbedisce in silenzio, solo accoglie da Gesù tutto quello
che dice, tutto quello che soffre, tutto quello che dona, ...e tutto quello che toglie.
Sulla Croce, Cristo dona tutto se stesso, e proprio per questo toglie tutto se stesso a sua
Madre, al discepolo amato. Proprio perché si sta donando tutto, si sta anche togliendo
tutto. Proprio perché Maria e Giovanni Lo stano ricevendo tutto, Lo stanno perdendo
tutto. Questa è la natura e il mistero della carità di Dio, della Carità che Dio è.
Maria e Giovanni infatti non stanno ereditando qualcosa: stanno ereditando la Carità,
l'Amore di Dio, lo Spirito Santo. Quello che Gesù lascia loro non è tanto la persona
dell'una e dell'altro, ma la comunione fra di loro, un rapporto nuovo, un essere madre,
figlio, sorella, fratello, sposa e sposo, amici, completamente nuovo. Fra di loro c'è l'amore
di Cristo, il più grande amore che dà la vita per i propri amici (cfr. Gv 15,13), ma anche
per i nemici; l'amore che dilaterà la comunione di Maria e Giovanni nella comunione di
tutta la Chiesa, nella comunione dei discepoli del Signore, quella che i discepoli
riceveranno pienamente alla Pentecoste.
Maria e Giovanni si ricevono da Gesù come discepoli obbedienti e umili a cui Gesù può
affidare tutto. In loro c'è un immenso dolore, ma c'è anche una profonda fede. Maria
riceve tutto dal Figlio e perde tutto con il Figlio, con dolore, ma soprattutto con fede.
Maria crede nell'amore, come poi lo stesso Giovanni scriverà: "Noi abbiamo conosciuto e
creduto l'amore che Dio ha per noi" (1 Gv 4,16). Maria soffre e crede, e quindi spera. È
discepola fedele che spera e attende lo Sposo. Vive il dolore nella speranza nella
Risurrezione. Sa che Dio non toglie che per donare di più. Sa che Dio non toglie Se stesso
che per donarSi di più.
Giovanni non ha ancora questa fede, questa speranza. Ma in Maria, Gesù gli offre anche
la fede, la speranza e la carità di Maria. La fede, la speranza e la carità della Madre
generano la fede, la speranza e la carità dei figli. Il dono della discepola prediletta ci è
fatto perché la sua maternità ci renda più discepoli, più obbedienti, più umili, più
silenziosi per ascoltare e guardare il Signore, e quindi per aprirci di più alla predilezione
che il Signore vuole avere per ognuno di noi.
Così, il dolore di Maria diventa per noi il travaglio del parto che ci fa diventare figli e
figlie di Dio, che ci fa diventare discepoli non solo di Gesù, ma anche come Gesù il
quale, come abbiamo sentito nella seconda lettura, "pur essendo Figlio, imparò
l'obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti
coloro che gli obbediscono" (Eb 5,8-9).
Il miracolo che Gesù ha fatto sulla Croce è stato quello di trasformare il dolore di Maria
per la morte del Figlio in dolore del parto nel quale lo Spirito Santo trasforma i discepoli
di Gesù in figli e figlie del Padre. Maria è una Madre addolorata perché è una Madre che
partorisce noi tutti, discepoli di Cristo, in figli di Dio. Maria soffre con letizia perché
soffre con amore, perché soffre per generarci alla gioia piena di essere figli di Dio in
Cristo tramite lo Spirito Santo.
Fr. Mauro-Giuseppe Lepori
Abate Generale OCist
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