il mistero dell` etrusco la tavola di cortona

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il mistero dell` etrusco la tavola di cortona
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RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
IL MISTERO
DELL’ ETRUSCO
LA TAVOLA
DI CORTONA
—————
N
el 1992 sette
frammenti di una
tavola bronzea con una
fitta iscrizione vengono
consegnati ai carabinieri di Cortona (antico
centro della Valdichiana aretina, sede di lucumone in epoca etrusca)
da un manovale del
luogo, insieme ad altri
reperti, anch’essi in
bronzo. Dopo una lunga vicenda giudiziaria e
molti anni di studio, la
tavola è stata presentata. «Archeologia Viva»
ha raccolto l’intera vicenda dai protagonisti,
Francesco Nicosia,
ispettore centrale del
ministero per i beni
culturali, e Luciano
Agostiniani, docente di
Glottologia all’Università di Perugia.
Fu spezzata in tempo
antico. Era, appunto,
l’ottobre del 1992
quando la tavola fu presentata all’etruscologo
Francesco Nicosia, all’epoca soprintendente
per i beni archeologici
della Toscana: rinvenuta in sette pezzi insieme con i frammenti di
altri oggetti ugualmente in bronzo – così affermò lo «scopritore»
Giovanni Ghiottini – a
Camucia, ai piedi del
colle in cui sorge Cor-
Testo di
Massimo Becattini
Consulenza scientifica di
Francesco Nicosia e Luciano Agostiani
tona, fra la terra del
cantiere edile delle
Piagge. Se fosse provata l’associazione della
tavola con gli altri
bronzi rinvenuti (ma al
momento gli esperti
non sono in grado di
stabilirlo) l’iscrizione si
daterebbe tra III e I sec.
(tra questi, due basi di
statuette, la base di un
cratere, una palmetta
ornamentale di thymiaterion*) mostrano limature leggere che scrostano la patina: evidentemente, prima di consegnare i reperti all’autorità, si è cercato di ve-
Uno dei testi più importanti in lingua etrusca. Questa volta non si parla di defunti o
riti funerari ma di un concreto e articolato
passaggio di proprietà fra etruschi preoccupati di tutelare le proprie ricchezze.
a. C., quando tutta l’Etruria era già stata conquistata dai Romani.
Lo «scopritore» dichiarò di aver lavato la
tavola con uno spazzolino da denti e acqua
corrente; in realtà si
sono trovate tracce di
bruschino d’acciaio,
che in qualche punto
ha segnato il bronzo.
Anche gli altri reperti
dere se il metallo fosse
oro. La tavola presentava anche ampie tracce
di ruggine, dovute al
prolungato contatto
con oggetti in ferro nei
molti secoli di giacenza
sotto terra. Al tempo
stesso i punti di mineralizzazione sulle fratture dimostrano che il
prezioso documento
venne spezzato in anti-
co e si può escludere
così l’opera di un tombarolo.
Una storia poco chiara. Lo stesso anno dichiarato della scoperta
l’archeologa Paola
Grassi, avvalendosi della Cooperativa Idra,
condusse indagini accurate sulla terra presente nei frammenti
degli oggetti in bronzo
consegnati insieme alla
tavola iscritta, ma risultò che non si trattava della stessa terra del
cantiere, quindi i frammenti delle basi di statuette e della tavola
non venivano dal cantiere, dove – secondo lo
«scopritore» – sarebbe
avvenuto il ritrovamento. Il Ghiottini sosteneva di aver visto, uscendo dal cantiere edile in
cui lavorava, una specie
di «ciotolina» rovesciata, ovvero un piede di
cratere; guardando meglio avrebbe trovato altri bronzi e infine la tavola, mancante dell’ottavo pezzo. Gli archeologi vagliarono tutta la
terra del cantiere nel
punto indicato dal
Ghiottini senza trovare
assolutamente nulla,
neppure tracce di ossidazione del ferro che
aveva macchiato la ta-
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La Tavola di Cortona (Tabula cortonensis) dopo il riassemblaggio dei sette pezzi ritrovati. Manca l’ottavo, che
tuttavia non è essenziale all’interpretazione del testo perché contiene solo dei nomi. Contrariamente a quanto può sembrare a prima vista, la faccia iniziale (lato A) è quella più breve. Esaminando bene le caratteristiche
fisiche della scrittura gli scribi sarebbero stati due: il primo avrebbe scritto il lato A e tutto il lato B fino alla sest’ultima riga. I segni di ruggine sono dovuti al fatto che la tavola, una volta spezzata, sarebbe stata gettata in
un deposito insieme ad altri oggetti di ferro. Si ipotizza una datazione fra III e II sec. a. C.
vola. Quindi – in base
ai dati di scavo – non è
stato possibile stabilire
alcuna connessione fra
il terreno e i reperti
bronzei, né tra l’asserita località di rinvenimento, Camucia, e la
tavola. Anche una telefonata anonima,
g iunta in Soprintendenza il 12 ottobre del
1992, avvertiva che
quei bronzi non venivano da Camucia.
Siccome i dati riferiti
del rinvenimento risultavano molto opinabili,
l’allora soprintendente
Nicosia sollecitò il procuratore della repubbli-
ca a svolgere indagini
in merito e Ghiottini
finì accusato di furto ai
danni dello Stato. Al
processo l’imputato fu
assolto, avendo egli comunque consegnato i
reperti, ma la sentenza
recepì quanto dichiarato dal soprintendente
(che la scoperta non
era avvenuta nel luogo
dichiarato) e quindi
non fu corrisposto il
premio di rinvenimento*.
Se potessimo sapere
dov’è stata ritrovata.... In tutti questi
anni si è continuato a
cercare, non solo l’ottavo frammento, che in
fondo non sembra essenziale, perché contiene solo un elenco di
nomi propri, ma piuttosto il luogo di provenienza della tavola, che
è il dato fondamentale
della ricerca. Alla fine,
il Ministero per i Beni
culturali ha deciso che
la scoperta non poteva
più rimanere inedita e
la notizia è stata divulgata; «ma ora – sostiene Nicosia (nel frattempo nominato ispettore
centrale) – sarà molto
più diff icile scoprire
dove la tavola è stata re-
cuperata». In base all’analisi linguistica effettuata dal glottologo
Luciano Agostiniani si
è comunque raggiunta
la certezza che ci troviamo di fronte a un’iscrizione di area cortonese.
Come e perché la tavola è rotta in otto pezzi?
La faccia con l’iscrizione più lunga venne piegata sulla metà, poi
spezzata, probabilmente appoggiandola dal
lato opposto contro
uno spigolo rigido; i
due pezzi ottenuti vennero piegati e spezzati
a metà nello stesso
modo; infine i quattro
pezzi furono divisi ancora in senso ortogonale. Perché questo accanimento? Purtroppo,
non sapendo con certezza neppure dove la
tavola è stata ritrovata
– e tantomeno disponendo di risolutivi dati
di scavo – non è possibile effettuare studi
specifici, ad esempio
sul microclima, per
ipotizzare i tempi d’ossidazione del bronzo e
quindi risalire al momento in cui la tavola è
stata spezzata. Se conoscessimo da dove viene
comprenderemmo meglio anche il senso del
testo della tavola, e capiremmo perché, dopo
essere stata appesa in
qualche luogo, essa sia
stata spezzata e buttata
in un deposito insieme
a dei ferri. Faceva parte
di un archivio sacro o
profano? Se la parola
SIANS, che vi compare,
è il nome di una divi-
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nità, è possibile che venisse conservata in un
tempio.
Un’iscrizione per due
scribi. La tavola mostra
due facciate iscritte:
una per intero con
trentadue righe di testo, l’altra soltanto con
otto righe. La scrittura
procede da destra a sinistra e tra le parole,
per lo più, sono interposti punti di divisione.
Si sarebbe portati a
pensare che il testo inizi dalla prima riga della
parte lunga, occupi tutta la prima faccia e termini sulla seconda. Ma
a questa interpretazione, certo la più naturale, si oppone un fatto
importante. A partire
dalla sestultima riga
della faccia interamente scritta, lo scriba è
cambiato, come mostra la diversa «calligrafia». L’alfabeto è lo stesso, nel senso che la
struttura esterna delle
lettere è la stessa, ma il
ductus* è indubbiamente un altro: il nuovo
scriba usa uno stilo
(strumento incisorio)
diverso, tende a incidere le lettere con maggior profondità, accentua la curvatura dei segni. Sull’altra faccia
della tavola, torna il
primo scriba. Dunque,
se il testo cominciasse
all’inizio della faccia
completamente iscritta
e continuasse per le
otto righe della seconda, si dovrebbe immaginare una cosa di questo genere: a partire da
un brogliaccio (com’e-
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
ra di norma in questi
casi) un primo scriba
ha copiato il testo sulla
tavola di cera precedente alla fusione in bronzo (vedi riquadro Fu
realizzata così) fino alla
sestultima riga, poi è
intervenuto un secondo scriba, che ha completato il testo della facciata, e infine è rientrato il primo scriba, che
ha copiato tutto il testo
dell’altra faccia.
D’altro canto, la struttura del breve testo di
quest’ultima faccia dà
un’impressione di autonomia. Le otto righe di
testo iniziano con un
nome, nella tipica formula onomastica a tre
membri, cioè nome
personale + gentilizio
+ gentilizio della madre: i primi due elementi stanno da una
parte del supporto centrale, il terzo dall’altra,
dopo di che si va a
capo, come si trattasse
di un’intestazione. Segue una formula di da-
FUSIONE ACCURATA
Due particolari della Tabula cortonensis: si tratta di frammenti in alto
a sinistra rispettivamente del lato A e del lato B. L’iscrizione non fu
incisa direttamente sulla tavola bronzea, ma realizzata su un modello in cera da cui si ricavò per fusione l’intera opera in bronzo.
tazione, in cui compaiono i nomi dei due
mag istrati eponimi * :
‘sotto la magistratura
di Larth Cusu f iglio
della Tityinei e di Laris
Salini figlio di Aule...’.
Possiamo allora pensare che le due facce riportino due testi diversi, uno più breve e uno
più lungo. L’estensore
ha cominciato col testo
breve, poi ha girato la
tavola andando avanti
col testo lungo fino alla
sestultima riga: dopodiché, per motivi a noi
ignoti, un altro scriba è
subentrato a terminare
il lavoro.
Accapo come i nostri.
Per analizzare i due testi, quello breve e quello lungo delle rispettive
facciate, occorre considerarli distintamente.
Iniziando dal testo breve – meno chiaro dell’altro per l’interpretazione – troviamo che
alla formula di datazione segue una frase di
nove parole, di cui sette
assolutamente nuove e
due che sono rispettivamente un pronome
relativo e un verbo generico, ‘stare’; è quindi
difficile capire il significato di questa riga. Segue l’elenco di un certo
numero di persone,
espresso al genitivo,
forse indicante l’appartenenza di qualche
cosa.
Per quanto riguarda il
testo lungo, è interessante, dal punto di vista
grafico, la presenza di
una sola partizione,
cioè di un solo accapo.
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Sopra: la traslitterazione del testo della Tabula cortonensis, con qualche semplificazione e alcuni interventi (separazione di parole, integrazioni e altro)
volti ad agevolare la decodificazione. Le varie righe corrispondono a quelle
del testo etrusco che però si svolge da destra a sinistra.
A sinistra: il testo in caratteri etruschi delle due facce della Tabula cortonensis: lato A (breve, 8 righe) e lato B (lungo, 32 righe). Le ultime sei righe del
lato B appaiono scritte da una mano diversa.
Anche se ci sono altri
accapo virtuali, ottenuti attraverso un segno
identico a quello impiegato oggi da un correttore di bozze: un segno
semioticamente motivato, un gesto grafico
naturale che fa parte
del nostro stesso modo
di concettualizzare lo
spazio.
L’accapo vero permette
di individuare preventivamente due partizioni
nel testo lungo, che inizia con una prima parte
di sei righe e mezzo,
chiuse da un segno di
divisione; poi un brevissimo testo di una riga
incastonato tra due segni di divisione; ancora
una parola, Nutanatur,
seguita da un elenco di
nomi che termina alla
riga 14, con un segno di
divisione. Dalla riga 14
alla 15 abbiamo un testo di due parole, seguito ancora da un altro
elenco di nomi fino alla
riga 17. Dopo di che inizia un altro testo, la cui
prima parte è subito
comprensibile (‘questo
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testo è stato scritto...’),
che arriva fino alla riga
23; abbiamo infine un
brevissimo testo di tre
parole e ancora un ultimo elenco di nomi, incompleto per la mancanza dell’ottavo pezzo.
Compravendita di
terreni. Ci sono due
modi per affrontare un
documento come questo. Il primo consiste
nell’andare dal particolare al generale: cercare cioè di capire la
struttura del testo partendo dal significato
delle parole note che
vi figurano. Ma nella
Tavola, su una sessantina circa di unità lessicali che sono state
identif icate, circa la
metà sono nuove, e
non se ne conosce il significato: e anche per
parte delle altre i significati sono spesso incerti e molto generici.
Le condizioni sono
quindi piuttosto sfavorevoli e indirizzano
verso l’altro metodo –
che è poi quello seguito dal professor Agostiniani – che, al conrario, va dal generale al
particolare: si fa un’ipotesi sul contenuto
generale del testo e da
questo si deducono i
significati delle parole.
Nella prima parte del
testo viene menzionato un personaggio, che
si chiama Petru Scevas,
insieme a una famiglia,
quella dei Cusu. Segue
un elenco di 15 personaggi, tutti maschili,
menzionati attraverso
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
la formula onomastica
normale: o il doppio
nome (personale +
gentilizio) o il nome
personale + gentilizio
+ cognomen * , o il
nome personale +
gentilizio + gentilizio
della madre. Dopodiché, il testo continua
affermando che ‘sono
Eprus’ (una delle tante
parole nuove) cinque
persone: due della famiglia Cusu, poi Petru
Scevas e la moglie, e
ancora un personaggio
maschile. A questo segue un altro spezzone
di testo, in cui sono di
nuovo menzionati sia
Petru Scevas, sia la famiglia Cusu; e infine
dopo una frase di tre
parole, di nuovo un
lungo elenco di persone.
Un’ipotesi è che si tratti
di una transazione tra
la famiglia Cusu, di cui
farebbe parte il personaggio Petru Scevas, da
una parte, e un gruppo
di quindici persone,
dall’altra. Ciò che si decodifica subito è una
serie di numeri: il numero 10 (SAR), il numero 4 (SA), il numero
2 (ZAL), che potrebbero indicare quantità di
cose o estensioni di terreno. È possibile, secondo Agostiniani, che
si tratti dell’atto di vendita di un terreno da
parte dei latifondisti Petru Scevas e Cusu a piccoli proprietari compratori.
È stata individuata anche una sequenza di segni numerali, con una
specie di sigma*, quat-
È SENZ’ALTRO UNA TAVOLA
CORTONESE
Due tipi di E e l’etrusco Velara. Studiando la tavola etrusca il glottologo Luciano Agostiniani ha rilevato nell’alfabeto impiegato un’inconfondibile caratteristica locale. Nel testo compaiono, infatti, due
tipi di E: una E che segue l’andamento della scrittura, quindi con i trattini verso sinistra, e un’altra rovesciata (trattini verso destra); ciò dà la sicurezza
matematica della provenienza della tavola dall’area
di Cortona. Un’altra conferma viene dal gentilizio
Velara, ugualmente attestato solo a Cortona, di uno
dei personaggi menzionati: tra i nuovi ritrovamenti
del Sodo*, esposti al Museo dell’Accademia Etrusca
di Cortona, è presente l’urnetta cineraria dedicata a
un certo Velara (e, come nella Tavola, il nome è
scritto con la E rovesciata).
A Cortona si leggevano in modo diverso. Fino a
oggi si era pensato che questa alternativa di E normale (trattini verso sinistra) e di E rovesciata (trattini verso destra) fosse casuale; in realta, sarebbe bastato confrontare tutte le iscrizioni etrusche di Cortona per capire che così non è. Le due E rappresentano due segni per due suoni diversi; lo si vede da
come sono distribuite: la E rovesciata compare solo
nella prima sillaba e in sede finale, come trasformazione del dittongo ai; quando la E è finale (ma non
è contrazione di un dittongo, come in AVLE) non è
mai rovesciata. Queste due E erano diverse, forse
perché una era breve e l’altra lunga, ma più probabilmente perché una era aperta e l’altra chiusa: un
carattere distintivo della varietà di etrusco parlata a
Cortona, forse presente anche in altre varietà di
etrusco, ma non rilevato dalla scrittura.
tro lineette verticali e
una C rovesciata. Dalle
monete sappiamo che
la C rovesciata vuol
dire ‘metà’, i quattro
tratti significano ‘4’;
non sappiamo cosa significhi la sigma, forse
‘10’ (anche se il dieci
dovrebbe essere rappresentato da una X
come in latino); potrebbe trattarsi di un ‘14 e
1/2’, ma non sappiamo
riferito a che cosa; se i
numeri in lettere sono
di estensioni o di quan-
tità, quelli in cifre potrebbero essere somme
da pagare in danaro.
Per il contratto garantivano anche figli e nipoti. Molti sono gli elementi eclatanti in questo testo. Anzitutto la
formula di datazione
con il nome degli eponimi, attestata qui per
la prima volta per l’Etruria settentrionale (le
altre note vengono da
Tarquinia). E ancora: il
primo dei personaggi
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
che compare nell’ultimo elenco è accompagnato dall’epiteto della
carica rivestita, assai
importante e attestata
sempre per la prima
volta nell’Etruria settentrionale: si tratta
dello Zilath Me?L Rasnal, il magistrato supremo dello Stato, che
interviene nella stesura
dell’atto. Per Luciano
Agostiniani, se il primo
elenco rappresenta i
venditori e il secondo i
compratori, il terzo
elenco potrebbe citare i
garanti della regolarità
del contratto, in base
ad affinità con iscrizioni siceliote del III-II sec.
a. C., dove compaiono
quattro o cinque righe
con l’atto di vendita e
altrettante con i nomi
degli ampochoi, i ‘garanti’; non a caso nella tavola il primo di questi è
il magistrato supremo,
mentre gli altri sono
spesso accompagnati
dalla dizione Clanc (‘e il
figlio’), Cleniarc (‘e i figli’) o Papalserc (‘e i nipoti’); cioè, chi garantiva la regolarità del contratto e dei pagamenti
non lo faceva solo per
sé, ma anche per i suoi
discendenti. Insomma,
in caso di disgrazia o di
insolvenza, il figlio o il
nipote doveva garantire
l’esecuzione del contratto. Un’ultima cosa
importante è dove si
dice: ‘questo testo è
stato scritto...’, con una
formula che si ritrova
nel cippo di Perug ia
(vedi riquadro Monumenti di scrittura
etrusca). La tavola ha
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FU REALIZZATA COSÌ
Prima un brogliaccio e l’incisione su
cera. La tavola è una lamina in bronzo
di 28,5 per 45,8 cm, dallo spessore inverosimilmente basso (dai 2 ai 2,7 mm),
con i segni (profondi da 0,3 a 0,5 mm) di
un testo sulle due facce. Tali segni non
sono stati incisi direttamente nel bronzo, ma su una lamina di cera abbastanza dura ed elastica da sopportare l’incisione senza rompersi. Ciò significa che
il testo era stato preparato su un brogliaccio (papiro o pergamena) e poi
consegnato allo scriba esecutore, che lo
trascrisse in bella grafia (carattere capitale quadrato) su una cera assai dura: lo
si comprende dai segni dell’incisione,
che mostrano una certa difficoltà di
progressione, e insieme da qualche piccolo errore di trascrizione, individuato
dall’incisore e corretto in maniera approssimativa (altri piccoli refusi, invece,
sono stati individuati dal professor Agostiniani che ha studiato il documento).
Fusione a cera persa. Una volta realizzata, la tavola di cera iscritta fu ricoperta da qualche millimetro di luto
(argilla molto fine) sulle due parti. A
sua volta la forma in luto, essiccata,
venne racchiusa nella madre-forma in
refrattario (un’argilla speciale che
sopporta il calore). Dopo aver predi-
sposto gli sfiati, la matrice fu scaldata
intorno ai 150ø per sciogliere tutta la
cera; a questo punto dai crogiuoli
venne colato nella forma il bronzo
fuso (reso più fluido con l’aggiunta di
piombo). È stato forse in questo momento che la matrice ha avuto un lieve cedimento, portando in qualche
punto lo spessore da 2 a 2,7 mm. Una
volta fredda, la forma è stata spezzata
e aperta, e le impurità di fusione rimosse.
Ottimo livello tecnico. La tavola si rivela fusa magistralmente perché non
risultano visibili né i fori di mandata e
di uscita del bronzo, né i punti di attacco dei distanziatori che tenevano in posizione le due valve della forma. Evidentemente queste erano ben salde e,
a parte il lieve cedimento (inferiore al
millimetro), il lavoro risulta perfettamente riuscito. Probabilmente erano
predisposti nella forma anche i fori per
i ribattini che fissano il manico per appendere la tavola. Sarebbe stato più
semplice ed economico incidere una
lamina di bronzo già preparata; ma qui
ci troviamo in presenza, verosimilmente, di un importante atto ufficiale che
doveva essere tecnicamente molto elaborato.
NON TUTTI SANNO CHE...
Cognomen. Nell’onomastica latina il
terzo membro del nome, aggiunto a
quello gentilizio (nomen della gens) e
originato da particolarità fisiche, morali o dalla località di provenienza.
Ductus. Il tratto, ovvero il modo in cui
si configura la scrittura, in particolare
riguardo allo strumento impiegato e
all’inclinazione del supporto scrittorio
rispetto a chi scrive.
Eponimo. Il magistrato che dava il
nome all’anno secondo un uso comune presso i Greci e Romani.
Premio di rinvenimento. La legge
1089 del 1939 stabilisce che lo scopritore di un oggetto archeologico ha diritto a un «premio di rinvenimento» da
parte dello Stato, pari a «non più del
20%» del valore del reperto.
Praenomen. Nell’onomastica latina il
primo membro del nome, vera indicazione personale.
Sigma. Diciottesima lettera dell’alfabeto greco (σ, Σ) corrispondente alla s latina.
Sodo. Località presso Camucia, a Cortona, dove sono state rinvenute due
monumentali tombe a tumulo di età
arcaica (VII-VI sec. a. C.), chiamate
meloni: i Meloni del Sodo (vedi AV n.
34).
Thymiaterion. Recipiente bruciaprofumi, su piedini o su sostegno conformato a colonnina o figurina.
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RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
infatti strette analogie
con l’ipogeo di S. Manno (presso Perug ia),
dove è riportato un
contratto simile; col
cippo di Perugia, che è
la registrazione di una
sentenza connessa con
la proprietà di terreni;
sia con una lamina da
Tarquinia (III-II sec. a.
C.), ritrovata sul mercato antiquario e presentata da Pallottino
nel convegno di Studi
etruschi del 1982. Quest’ultima è molto vicina alla nostra tavola
perché comincia con
una formula di donazione analoga, seguita
da una parola che là
compariva per la prima
volta e che ritroviano
anche nella tavola cortonese, forse inerente
alla natura giuridica del
testo, come pare ormai
certo. Il momento storico (III-II sec. a. C.) è
infatti quello della romanizzazione dell’E-
truria: i due eponimi
probabilmente configurano i «consoli» romani, come il nome Petru Scevas forse corrisponde al latino Scaevola (il monco, il «mancino») e potrebbe essere
interpretato come Pietro il «mancino», e Raufe sta per Rufus ecc.
Al di là dell’acquisizione di nuovi dati e di
nuove parole, la tavola
avrà un impatto anche
sulla migliore comprensione dei vecchi testi; ad esempio, una
frase della tabula cortonensis è confrontabile
con un’altra del cippo
di Perugia, della quale
si impone ora una revisione del significato già
attribuito.
I risultati delle ricerche
di Francesco Nicosia e
Luciano Agostiniani
stanno uscendo in un
volume de L’«Erma» di
Bretschneider.
Francesco Nicosia e Luciano Agostiniani, rispettivamente ispettore centrale del Ministero per i Beni culturali (soprintendente archeologo della Toscana al tempo della «scoperta» della tavola etrusca di Cortona) e docente
di Glottologia all’Università di Perugia. Sono i due esperti che hanno studiato la Tabula cortonensis e che hanno collaborato alla redazione del presente articolo.
Testo e foto tratte da «Archeologia Viva», n. 78 Nov. Dic.
1999, edita da Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, offerta
in abbonamento a prezzo speciale agli «Amici della Fondazione Giulietti».
LA DISTANZA DI SICUREZZA
«Quale deve essere il valore della “Distanza di sicurezza?”» Tale «valore» desidera conoscere un
Lettore della «Rivista degli Stenografi» (vedere il
N. 45, pagina 32).
Accolgo l’invito a soddisfare la richiesta del Lettore sebbene non sia «uno dei massimi competenti
italiani» attorno alla «prevenzione degli incidenti stradali».
La «regola» enunciata da Stefano Livio è validissima. Mi sono proposto di rispettarla poiché richiede più di un secondo della «regola» da me
enunciata nel 1964, che ora trascrivo: «La distanza di sicurezza, in metri, deve essere maggiore
della metà della velocità, espressa in chilometri
all’ora». In breve: Distanza di sicurezza metà
della velocità.
L’Articolo 348 del «Regolamento di esecuzione
del Codice della strada» prescrive che la distanza
di sicurezza corrisponda allo spazio percorso in
un secondo, che è il «tempo di reazione» medio
dei conducenti. Il detto Articolo è sicuramente
errato in quanto non tiene conto dello «spazio
di frenatura».
Le Autorità preposte alla regolazione del traffico e della circolazione non hanno ancora modificato l’Articolo citato, sebbene siano state più
volte sollecitate ad operare razionalmente per
migliorare le «norme» del Codice della strada.
A chiusura di questo breve scritto, mi sia consentito di pregare lo stesso Ministro di rendere
esecutive le norme proposte dal Presidente dell’Automibile Club d’Italia, dottor Rosario Alessi,
relative alla «Patente a punti» e al «Foglio rosa a
sedici anni».
Andrea Innocenzi
Per un disguido postale, non è stata pubblicata, sul numero 45 di questa Rivista, la risposta data da Innocenzi qui
sopra, «Non tutto il male vien per nuocere». Infatti, i signori Stefano Zanuso e Nicola Tedesco hanno dimostrato,
nel frattempo, che il comma secondo dell’Art. 348 è errato,
in quanto non tiene conto dello «Spazio di frenatura».