Caratteristico e amor proprio. Il "Saggio sopra la Bellezza" di

Transcript

Caratteristico e amor proprio. Il "Saggio sopra la Bellezza" di
Caratteristico e amor proprio.
Il Saggio sopra la Bellezza di Giuseppe Spalletti
Maria Scillieri
Il Saggio sopra la Bellezza godette, fin dalla sua prima pubblicazione anonima
nel 1765, di un particolare destino. Già allora non vennero sollevati dubbi a proposito del fatto che il suo autore fosse Giuseppe Spalletti, “ignoto abate romano” 1 ,
il quale, probabilmente in giovane età, dedicò al famoso pictor philosophus Anton
Raphael Mengs queste riflessioni sulla bellezza.
Spalletti non trovò tra i suoi contemporanei, come nota Giulio Natali, curatore
della prima edizione novecentesca del Saggio 2 , nessuno che ne discutesse seriamente le idee, pur avendo scritto «la più notabile opera estetica che si pubblicasse
in Italia nella seconda metà del secolo XVIII» 3 . Un giudizio analogo era già stato
formulato da Benedetto Croce, il quale nell’Estetica aveva affermato che «alla fallace profondità del Winckelmann e del Mengs è preferibile il buon senso di questo
1
Le notizie su Giuseppe Spalletti sono molto scarse, al punto che non sembra esservi alcuna testimonianza sia della sua data di nascita sia di quella di morte. Cfr. (in ordine cronologico)
J.J. De La Lande, Voyage en Italie (1765-1766), s. e., Paris 1786, vol. IV, p. 24; I. Affò, Memorie
degli scrittori parmigiani, s. e., Parma 1789, vol. II, p. 8; “Lettera di Monti a Gargallo del 15 novembre 1793”, in Epistolario di Vincenzo Monti, a cura di A. Bertoldi, Le Monnier, Firenze 1928,
p. 392; V. Monti, Canti e poemi, a cura di G. Carducci, Barbèra, Firenze 1862, vol. I, pp. 230-231;
F.M. Renazzi, Storia dell’Università degli Studi di Roma, Pagliarini, Roma 1806, vol. IV, pp. 350351; C. Lucchesini, Della illustrazione delle lingue antiche e moderne, Tipografia Bertini, Lucca
1819, vol. II, pp. 76-77 e p. 87; A. Ademollo, “Appendice”, in Corilla Olimpica, Ademollo, Firenze
1887, p. 485.
2
G. Natali, “Nota”, in G. Spalletti, Saggio sopra la Bellezza, Olschki, Firenze 1933.
3
G. Natali, “Il brutto autore del bello”, Giornale storico della letteratura italiana, 86, 1925,
p. 400.
Copyright c 2002 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera/)
Il contenuto di queste pagine è protetto dalle leggi sul copyright e dalle disposizioni dei trattati internazionali.
Il titolo e i copyright relativi alle pagine sono di proprietà di ITINERA. Le pagine possono essere riprodotte e
utilizzate liberamente dagli studenti, dagli istituti di ricerca, scolastici e universitari afferenti ai Ministeri della
Pubblica Istruzione e dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica per scopi istituzionali, non a fine
di lucro. Ogni altro utilizzo o riproduzione (ivi incluse, ma non limitatamente a, le riproduzioni a mezzo stampa,
su supporti magnetici o su reti di calcolatori) in toto o in parte è vietata, se non esplicitamente autorizzata per
iscritto, a priori, da parte di ITINERA. In ogni caso questa nota di copyright non deve essere rimossa e deve
essere riportata anche in utilizzi parziali.
ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
oscuro Spalletti, rappresentante della tesi aristotelica contro il risorto platonismo
estetico»4 .
Entrambe le posizioni trovano un riscontro diretto nella favorevole accoglienza
riservata a quest’opera all’interno della Teoria universale delle Belle Arti di Sulzer
che alla voce “Bello” riportò letteralmente 5 la definizione di bellezza proposta nel
Saggio da Spalletti6 , uno dei pochi autori italiani che ebbero il privilegio di essere
da lui citati. Tramite l’intermediazione di Sulzer, il Saggio fu menzionato anche da
Zimmermann7 e Schasler8 che lo ricordano insieme alle opere di Muratori, Bettinelli e Pagano, gli unici rappresentanti del pensiero estetico italiano settecentesco
da loro nominati; da allora, sostiene Croce, quasi ogni storia dell’Estetica lo prese
in considerazione, dandone un giudizio sulla base del frammento sulzeriano 9 .
Il motivo della particolare attenzione ricevuta dal Saggio è da rintracciarsi proprio nella definizione di bellezza data da Spalletti e riportata da Sulzer, dove emerge il termine caratteristico, destinato a segnare le sorti della riflessione estetica del
Romanticismo tedesco. La fortuna del Saggio fu quindi soprattutto legata all’opposizione che la maggior parte della critica ha voluto cogliere tra il pensiero in
esso esposto e la concezione, all’epoca dominante, del bello ideale. Secondo Paolo
D’Angelo, curatore della più recente edizione del Saggio, sarebbe però antistorico richiedere a Spalletti una decisione univoca tra il principio del caratteristico e
quello dell’ideale10 .
A partire da un attento esame di quest’opera, emerge che il tema del caratteristico non è la sola fonte dell’interesse da essa suscitato, in quanto le considerazioni
sulla bellezza sono accompagnate da una particolare attenzione per la dimensione
del piacere estetico, rispetto al quale viene chiamato in causa l’amor proprio. La
centralità di questo tema entro le dinamiche complessive del Saggio è denotata dalle obiezioni di uno dei suoi primi detrattori, Bernardo Galiani, il quale sostenne che
«tutto l’impegno dell’Autore è stato di tirare a dimostrare, che l’Amor proprio è il
Giudice della Bellezza»11 . Un’ulteriore conferma di quanto detto è rintracciabile
4
B. Croce, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. Parte seconda: Storia,
Laterza, Bari 1912, p. 314.
5
Cfr. J.G. Sulzer, Allgemeine Theorie der schönen Kunste, s. e., Leipizig 1794, rist. anast. Georg
Olms, Hildesheim-New York 1970, vol. IV, voce “Schön”, pp. 312-313.
6
«Per accordarmi alla costumanza, che praticasi, incomincerò questo mio ragionamento colla
Definizione della bellezza; la quale a mio avviso è quella modificazione inerente all’oggetto osservato, che con infallibile caratteristica, quale il medesimo apparir deve allo intelletto che compiacesi
in riguardarlo, tale glielo presenta» (G. Spalletti, Saggio sopra la Bellezza, a cura di P. D’Angelo,
Aesthetica, Palermo 1992 – d’ora in poi G. S. –, p. 56).
7
Cfr. R. Zimmermann, Geschichte der Aesthetik als philosophischer Wissenschaft, Braumüller,
Wien 1858, p. 310.
8
Cfr. M. Schasler, Kritische Geschichte der Aesthetik (Prima parte della Aesthetik als Philosophie
der Schönheit und der Kunst), s. e., Berlin 1872, rist. anast. Scientia Verlag, Aalen 1971, pp. 326328.
9
Cfr. B. Croce, “Estetici italiani della seconda metà del ’700”, in Problemi di Estetica, Laterza,
Bari 1923, p. 396.
10
Cfr. P. D’Angelo, “Presentazione”, in G. S., p. 38.
11
B. Galiani, Del Bello. Dissertazione metafisica del marchese Bernardo Galiani, s. e., Napoli
2
ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
perfino nel saggio Che cos’è l’arte di Tolstoj, dove Spalletti è posto tra i sostenitori di una concezione dell’arte riconducibile a «una sensazione egoistica fondata
sul nostro istinto di conservazione e di socievolezza» 12 . Nei confronti di questo
tema, però, non esistono solo critiche negative e a partire dalla lettura del Saggio è
possibile cogliere il vero significato dell’amor proprio e apprezzare il ruolo da esso ricoperto non solo in ambito estetico ma anche all’interno di tutte le dinamiche
della vita degli uomini.
Nel Saggio sopra la Bellezza sembrano quindi convivere molteplici anime,
senza che questa coesistenza risulti essere un «pensiero pienamente pensato» 13 .
In primo luogo sono evidenti i segni della sua formazione alla scuola del classicismo secentesco. Egli recupera varietà, unità, ordine e semplicità quali canoni
della bellezza, fortemente sostenuti dal pensiero francese come unica possibilità di
garantire a essa un fondamento stabile. A queste norme, fondamentali non solo
per la valutazione delle opere della natura e di quelle dell’arte, ma anche per la
creazione di quest’ultime14 , Spalletti tenta di dare una giustificazione a partire dall’assunzione, come presupposto, dell’esistenza di un parallelismo tra la struttura
del mondo e quella dell’uomo15 , così come era stato fatto da Crousaz e André 16 .
È inoltre rintracciabile un forte legame con lo spirito chiarificatore che animò la
nascita dell’estetica in Germania, dove questa disciplina venne concepita come la
scienza in grado di porre ordine nel tradizionale dominio della confusione. Spalletti
pone una stretta relazione tra la dimensione della conoscenza e quella del piacere
estetico, affermando con chiarezza che «il piacere originato dalla Bellezza è piacere
intellettuale»17 e che esso coincide con l’articolarsi delle proprie cognizioni. Tutti
gli uomini, infatti, «cadauno a suo modo» 18 , meditano sulle varie qualità degli
oggetti di esperienza e in particolare su quelle del corpo umano 19 , nel tentativo
di ricondurle «ad una idea comune, la quale serva loro di sesto o di norma, ed
adattando questa agli oggetti individui, ove veggono la medesima loro convenire,
da questa convenienza n’esperimentano piacere» 20 . Inequivocabilmente si sostiene
qui la peculiarità del diletto estetico, che ha come proprio fondamento le modalità
con cui la mente dell’uomo forma, a partire dall’esperienza, le generalità grazie
1765, (manoscritto, conservato alla Biblioteca Nazionale di Napoli alla segnatura XII, D, 94), foglio
aggiunto fra le pp. 20 e 24.
12
L.N. Tolstoj, Che cos’è l’arte, a cura di T. Perlini, F.lli Treves, Milano 1919, p. 32.
13
A. Caracciolo, “Il Saggio sopra la Bellezza dello Spalletti”, in Scritti di estetica, Vanini, Brescia
1949, p. 29.
14
Cfr. G. S., p. 58.
15
Cfr. G. Preti, “Introduzione”, in G. Spalletti, Saggio sopra la bellezza, Minuziano, Milano 1945,
p. 24; A. Caracciolo, op. cit., p. 25; A. Ruschioni, “Un ‘saggio’ quasi ignoto”, Vita e Pensiero, 4,
1966, p. 357.
16
Cfr. J.P. Crousaz, Traité du Beau, Fayard, Paris 1985; Y. M. André, Essai sur le Beau, où l’on
examine en quoi consiste précisement le Beau dans le Physique, dans le Moral, dans les Ouvrages
d’Esprit et dans la Musique, Guérin, Paris 1741.
17
G. S., p. 68.
18
Ibid., p. 62.
19
«Il corpo umano è la più bella delle produzioni a noi note» (Ibid., p. 67).
20
Ibid., p. 62.
3
ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
alle quali le è possibile riordinare i molteplici aspetti del reale. Nel capitolo XVI
Spalletti approfondisce poi il discorso:
a misura dunque, che le cognizioni si aumentano, [. . . ] cresce il numero de’
sillogismi [. . . ], e se è vero, che più questo numero cresce, più l’anima ragiona, e più ch’ella ragiona, più gode, perché più sente la sua forza, [. . . ] ne
verrà in conseguenza, che nella proposta tavola di Prometeo 21 io, che sono
inteso di tutto il fatto di questo miserabile, maggior numero di Sillogismi tesserò di Tizio, il quale non sa altro che l’avvoltoio mangia il fegato a Prometeo
per comando di Giove.22
Qui Spalletti sostiene con chiarezza che a nessun individuo è preclusa, in linea
di principio, la possibilità di provare quel particolare tipo di piacere che è il piacere
estetico, anche se di fatto coloro che sono dotati di maggior cultura hanno potenzialmente più fattori a disposizione al fine di aumentarne l’intensità. In questo passaggio, inoltre, si introduce l’ulteriore fonte di diletto costituita dal riverbero che
l’atto stesso del pensiero ha sull’uomo, consistente nell’intensificazione della percezione della propria forza. Nel Saggio, però, non si chiarisce compiutamente quest’interessante intuizione, che di fatto non risulta immediatamente riconducibile a
nessuno dei diretti riferimenti teorici del suo autore.
L’analisi dell’opera mostra poi un’assonanza, rilevata dalla maggior parte dei
critici, con il pensiero inglese, in particolare con quello di Burke 23 : infatti Spalletti
pone alla base delle dinamiche estetiche l’esperienza, di cui prende in considerazione sia il lato del soggetto sia quello dell’oggetto. Preliminarmente egli identifica
l’uomo con l’insieme di passioni e opinioni che contraddistinguono il suo animo,
in modo permanente oppure semplicemente transitorio, nei confronti del quale agisce come fattore, a volte di incentivo, a volte di salvaguardia 24 , l’amor proprio. Nel
capitolo III del Saggio era stato posto in rilievo il fatto che l’amor proprio, definito
come «quell’assortimento d’idee piacevoli o utili, che il proprio interesse a cadaun
21
Cfr. ibid., p. 65.
Ibid., p. 66.
23
La prima traduzione italiana della Philosophical Inquiry into the Origin of our Ideas of the
Sublime and Beautiful di Burke, la cui prima edizione risale al 1757, apparve nel 1804 ed è alquanto
improbabile che Spalletti, abate romano erudito in greco e latino, conoscesse la lingua inglese per
poterla leggere né poté conoscerla nella versione francese, poiché essa uscì dopo la stesura del Saggio (Cfr. P. D’Angelo, “Presentazione” in G. S., p. 42). Ciò nonostante alcuni studiosi hanno voluto
rintracciare in esso una somiglianza con il pensiero di Burke, in particolare per quel che riguarda la
centralità che in Spalletti assume l’amor proprio in relazione alla genesi della bellezza, molto simile al ruolo giocato nell’Inquiry dall’impulso di conservazione e di socievolezza (Cfr. M. Schasler,
Kritische Geschichte der Aesthetik, cit., p. 327). Addirittura Giulio Preti, pur non supponendo, come
già Schasler e a differenza di Bigi (cfr. E. Bigi, “Nota introduttiva ad una scelta di passi dal Saggio”, in La letteratura italiana. Storia e testi. Dal Muratori al Cesarotti, Ricciardi, Milano 1960,
p. 1089), un diretto influsso dell’Inquiry su Spalletti, giunge a definirlo «il Burke italiano» (G. Preti,
“Introduzione”, in G. Spalletti, op. cit., 1945, p. 17) in quanto egli «abbandona qualsiasi presupposto
metafisico e tenta di fondarsi su di una descrizione empiristico-psicologica, su di un’analisi dei fatti
(o presunti fatti) psicologici che stanno alla base del giudizio di gusto» (Ibid.).
24
Secondo Spalletti si può esperienzialmente constatare che tutto ciò che l’anima «a primo aspetto
non percepisce adequatamente, anzi che encomiarlo, lo vitupera» (G. S., p. 56).
22
4
ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
uomo ha formato»25 , fosse il «Giudice di tutto ciò che all’anima si presenta» 26 .
Per quel che riguarda il termine dell’osservazione, Spalletti prende in esame il
caratteristico, il quale consiste in quell’insieme di tratti propri dell’esemplare rappresentativo di un determinato genere, costituito con le modalità sopra descritte,
solo appartenendo riconoscibilmente al quale una singola realtà può essere considerata bella. Nel IX capitolo Spalletti fa analogamente ricorso al termine distintivo,
chiarendo che:
il distintivo, con cui l’autore ha saputo rappresentare ciò che ha voluto nella di lui opera, non stanca altrimenti le potenze dell’anima, anzi di primo
slancio le pone sotto gli occhi la idea del Prototipo ch’ella cercherebbe; e
scontrandolo senza incomodo se ne compiace, e compiacendosene profonde
de’ segni di gratitudine verso colui, che di piacere le fu cagione, onde è che
bella quella tale opera addomanda.27
Occorre considerare che Spalletti non dice “il distintivo che l’autore ha saputo
rappresentare”, bensì “il distintivo con cui”, mettendo in luce il fatto che esso è
qualcosa riguardante non il rappresentato ma la rappresentazione e le modalità con
cui l’artista la realizza; proprio per questo motivo egli, riferendosi al contenuto
dell’opera artistica, può quindi parlare di “Prototipo”. In relazione a quest’ultimo
termine qui si accenna solo al fatto che tale prototipo è oggetto di ricerca da parte
dell’anima, che sembra provare piacere di fronte all’opera d’arte a motivo della
comodità con cui può in essa reperirlo; è da questa dinamica che scaturisce una
parte del plauso tributato all’artista.
Il nesso tra la dimensione del soggetto e quella dell’oggetto viene chiarito da
Spalletti in questo decisivo passaggio:
siccome la idea di Bello è presa dall’associazione di quelle idee, che favorevoli e parziali alle grate sensazioni nostre giudichiamo, perciò non sarà
possibile, che l’anima s’induca a dare il titolo di bello a quella cosa, che per
difetto di propria caratteristica o d’ignoranza28 pone in qualche dubbio il di
lei amor proprio.29
La bellezza consisterebbe quindi in un’idea derivante dall’opportuno accordo tra una serie di idee originata da determinati oggetti e il sistema di idee che
costituiscono l’anima di ciascun uomo, nello specifico qui chiamate da Spalletti
“sensazioni”. In proposito egli sottolinea poi che ciò non deve stupire, in quanto
questa è la dinamica riscontrabile alla base di qualunque azione umana, materiale
e spirituale30 . Da questo passaggio si evince con chiarezza anche il fatto che l’impossibilità di chiamare bella una determinata cosa dipende o da un limite intrinseco
25
Ibid.
Ibid.
27
Ibid., p. 61.
28
Bigi qui intende «per l’ignoranza in cui l’anima si trova rispetto alla cosa» (E. Bigi, op. cit.,
p. 1094).
29
G. S., pp. 56-57.
30
Cfr. ibid., p. 57.
26
5
ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
dell’oggetto (il difetto di caratteristica) o da una mancanza di conoscenza da parte
del soggetto.
Un punto di ulteriore interesse emerge nel capitolo XXII del Saggio quando,
a sostegno dell’assolutezza del bello, viene riproposta un’argomentazione molto
simile a quella esposta da Mengs nella Storia del Gusto brevemente delineata nei
Pensieri sulla Pittura31 . Riprendendo quanto aveva già sostenuto nei primi capitoli,
Spalletti ribadisce che il corpo umano è la fonte da cui si trae l’idea della bellezza
e aggiunge esplicitamente che furono i Greci a fissarne le norme per primi e una
volta per tutte. Per questo motivo «la Grecia divenne maestra di Pittura, Scultura
ed Architettura»32 al punto che, fin dal tempo dei Romani, nessuno mutò alcuno
dei canoni stabiliti nell’Ellade e tutti, «dai Francesi, dagl’Inglesi, dagli Olandesi,
da’ medesimi Moscoviti con gl’Italiani» 33 , se ne dimostrarono «esattissimi osservatori, e scrupolosissimi custodi» 34 . Rispetto alla natura di questi canoni, Spalletti
riconferma che essi furono fissati affinché «rilevassero la caratteristica del prototipo, e partorissero a questo modo la Bellezza assoluta» 35 . A questo punto il Saggio
inizia ad approfondire le inevitabili conseguenze di quanto detto. In particolare
nel capitolo XXIII Spalletti propone l’esempio dei cinesi, i quali «come gli Europei dalla propria macchina cavarono le regole che alla bellezza poter condurre
si lusingarono»36 . Dal momento che in precedenza non aveva riscontrato nessun
altro fondamento per la norma della bellezza oltre allo studio del corpo, Spalletti
è costretto ad ammettere che anche per le opere cinesi, in cui i fruitori trovino «la
caratteristica all’originale corrispondente» 37 , si deve parlare di bellezza assoluta.
Ci si trova qui di fronte a un punto di vista sorprendente se si pensa che a pronunciarlo è un erudito italiano della metà del Settecento. In un primo momento egli
sembrerebbe disposto a sostenere la liceità dell’esistenza di una bellezza assoluta
orientale accanto a quella di origine greca. Giulio Preti parla in proposito dell’intuizione da parte di Spalletti di «un’elegante soluzione del problema, che lo avrebbe
introdotto in una concezione “formale” dell’universalità della norma estetica e che
avrebbe potuto suggerire un metodo per scrivere una storia del gusto» 38 . La norma
avrebbe, infatti, un aspetto formale, identico per tutti, e un aspetto materiale, unica
vera fonte di diversità.
Ma dalle successive considerazioni svolte da Spalletti si manifesta con chiarezza il suo deciso impegno a non relegare le norme costituite dagli antichi Greci in
un ambito di pura relatività, anche se nell’argomentazione da lui prodotta per decretare definitivamente la superiorità dei canoni del bello da questi ultimi codificati
emerge una sostanziale diversità con il pensiero di Mengs. Mentre infatti Mengs,
31
32
33
34
35
36
37
38
A.R. Mengs, Pensieri sulla Pittura, a cura di M. Cometa, Aesthetica, Palermo 1996, pp. 41-44.
G. S., p. 72.
Ibid., p. 73.
Ibid.
Ibid.
Ibid.
Ibid.
G. Preti, “Introduzione”, in G. Spalletti, op. cit., 1945, p. 26.
6
ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
nelle “Postille al Saggio sopra la Bellezza” 39 , non esita a pronunciarsi a favore di
un’idea di bellezza concepita come «una qualità aderente all’oggetto bello» 40 , nel
capitolo XXV Spalletti suggerisce di ancorare l’assolutezza del bello alla concordanza del favore concesso ad alcune opere dalla maggior parte degli uomini di tutti
i tempi. A questo scopo Spalletti propone di seguire il medesimo metodo utilizzato
dai “logici”, i quali per fissare una regola generale ritengono sufficiente il fatto che
questa «abbia luogo la maggior parte delle volte» 41 . Grazie a queste argomentazioni egli torna comunque a riproporre con certezza i medesimi principi enucleati
dagli antichi greci, ammirati e sostenuti anche da Mengs e Winckelmann 42 .
In relazione alla dimensione della produzione artistica, Spalletti sostiene che
l’artista43 , oltre a essere in grado, come gli altri uomini, di osservare la realtà per
cogliere i suoi aspetti migliori, riesce inoltre a realizzare, nei modi ritenuti opportuni a seconda della sensibilità e delle peculiari doti, opere in cui gli oggetti
rappresentati si presentano al fruitore tali quali gli devono apparire, cioè opere in
grado di riprodurre identicamente nella mente di quest’ultimo il prototipo che si
era formato nella mente del loro creatore. Nel capitolo XIII Spalletti afferma in
proposito:
quello che la vera genuina caratteristica di una data cosa saprà rappresentare,
per abilissimo osservatore della natura sarà senza fallo reputato [. . . ] e sarà in
facoltà del medesimo l’eccitare negli animi di chi più lui piace que’ medesimi
39
Furono pubblicate nelle Opere di A.R. Mengs, curate dal cav. Nicolas de Azara e corrette
ed aumentate dall’avv. Carlo Fea, a Milano presso l’editore Giovanni Silvestri nel 1836 (vol. I,
pp. 236-243), con il titolo Pensieri sulla Bellezza. Nella presentazione Fea scrisse: «Questi che ho
così intitolati non sono altro che tante postille o note scritte da Mengs su un esemplare del Saggio
sopra la Bellezza, stampato in Roma nel 1765, in ottavo». La loro più recente ristampa si trova in
A.R. Mengs, “Postille al Saggio sopra la Bellezza di Giuseppe Spalletti”, in G. S., pp. 99-103.
40
Ibid., p. 99.
41
G. S., p. 69.
42
«L’imitazione del bello in natura o si riferisce ad un solo modello, o riunisce insieme le osservazioni sopra vari modelli singoli e li compone in un tutto. Nel primo caso si fa una copia somigliante,
un ritratto [. . . ]. Nel secondo caso invece si prende la via per il bello universale e per le sue figure
ideali; quest’ultima via presero i Greci» (J.J. Winckelmann, Pensieri sull’Imitazione, a cura di M.
Cometa, Aesthetica, Palermo 1992, p. 38).
43
Circa la natura della pratica artistica Mengs aveva affermato che i pittori possono secondo ragione percorrere due vie per giungere al buon gusto: o scegliendo il meglio esistente in natura, o
seguendo i grandi artisti che sono già stati in grado di operare quella scelta. La strada da lui consigliata ai moderni è la seconda, notevolmente più semplice; per quel che riguarda la prima, Mengs
sostiene che essa è stata battuta non solo dagli antichi ma anche, fra i moderni, da tre «grandi lumi»
(A.R. Mengs, Pensieri, cit., p. 45): Raffaello, Correggio e Tiziano. Anche Spalletti sembra condividere questo punto di vista (cfr. G. S., p. 85) che implica, inoltre, la consapevolezza dell’ineliminabile
diversità che comunque intercorre tra antichi e moderni: nella modernità infatti la pittura non è stata
in grado di raggiungere la completezza rappresentativa che era propria dell’arte antica. «Il moderno è
[. . . ] la scena di una decadenza che è soprattutto “specializzazione”» (M. Cometa, “Presentazione”,
in A.R. Mengs, Pensieri, cit., p. 16) e anche i migliori tra i moderni sono stati eccelsi ciascuno solo
in un aspetto particolare della loro arte: Raffaello nell’espressione, Correggio nella grazia, Tiziano
nel colorito (cfr. A.R. Mengs, Pensieri, cit., pp. 55-56).
7
ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
affetti, che la natura produr saprebbe, perché sono al medesimo [. . . ] noti
que’ tasti, i quali toccati che siano, rendono infallantemente quel dato tono. 44
Quindi, dal momento che utilizzano i medesimi espedienti al fine di suscitare
negli uomini i medesimi sentimenti, si può con certezza affermare che la natura e
l’arte operino nel medesimo modo.
A proposito del contenuto del prodotto artistico, Spalletti sostiene con chiarezza che quasi ogni aspetto della realtà può divenire oggetto della rappresentazione,
sia quanto è gradevole sia quanto non lo è, mentre si deve escludere ciò che viene
riconosciuto come «vile»45 , da intendersi con buone probabilità come quanto è privo di valore, in particolare dal punto di vista etico. Di fatto le opere d’arte possono
quindi rappresentare sia bei giovani, come nella statua raffigurante l’Apollo di Belvedere46 , sia eroi tormentati dai più atroci supplizi, come nel già accennato caso
di Prometeo: in entrambe i casi, infatti, è fondamentale che l’opera d’arte contenga l’elemento caratteristico, atto a distinguere ciò che in essa viene rappresentato.
In questo l’arte è superiore alla natura ma solo per quel che riguarda il piano dell’apparenza, dal momento che la prima ha la capacità di sintesi che difetta alla
seconda.
Di fatto però il motivo profondo che sostanzia questa apertura concessa all’orizzonte rappresentativo dell’arte è fornito dal riconoscimento del ruolo centrale
ricoperto dall’amor proprio nelle dinamiche che conducono gli uomini a provare
quel particolare tipo di diletto intellettuale che è il piacere estetico. L’intellettualità
del piacere estetico sarebbe inoltre confermata dall’analisi, condotta nei capitoli
XXVIII-XXXIII, dell’origine degli abbagli 47 che minacciano la dimensione della
bellezza relativa, intesa da Spalletti come quella fondata sul confronto fra opere caratterizzate da diversi gradi di bellezza. Essi, infatti, consisterebbero, secondo modalità differenti, in degenerazioni nell’elaborazione dei sillogismi che costituiscono
l’attività della mente.
Il fatto che il piacere estetico non sia un diletto meramente sensuale e che,
d’altro canto, non esista alcun accenno a uno specifico senso del bello, trova un ri44
G. S., p. 63.
Cfr. ibid., p. 62.
46
La statua raffigurante l’Apollo del Belvedere si trovava certamente in una nicchia del cortile
del Belvedere in Vaticano fin dal XVI secolo e vi rimase fino al 1797, quando fu ceduta ai Francesi da papa Pio VI; tornò a Roma, per restarvi fino ai nostri giorni, nel 1816. «Nei disegni precoci
dell’Apollo (vd. Figura 1) mancano la maggior parte dell’avambraccio sinistro e parte della mano
destra, [. . . ] dopo il suo arrivo a Roma intorno al 1532 o 1533 il Montorsoli praticò sul marmo stesso
delle aggiunte, che vennero notate praticamente senza commento e invariabilmente riprodotte nelle
stampe e nei gessi e nelle copie per oltre tre secoli, ma che divennero oggetto di accese controversie
nella seconda metà del secolo XIX e sono state di recente rimosse» (F. Haskell, N. Penny, L’antico nella storia del gusto. La seduzione della scultura classica, Einaudi, Torino 1984, p. 191). È
quindi altamente probabile che Spalletti abbia avuto occasione di ammirare la statua dell’Apollo (vd.
Figura 2) direttamente, completa di tutte le suddette parti.
47
Spalletti elenca ed esamina i diversi elementi che tendono ad offuscare i giudizi sul bello:
somiglianza, prevenzione, educazione, gusto dominante, amor proprio e capriccio. Nel valutare
questa problematica, Spalletti non si discosta dalle linee di fondo del pensiero di Crousaz e André,
dai quali riprende molteplici considerazioni.
45
8
ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
scontro nell’individuazione da parte di Spalletti di un triplice modo con cui l’amor
proprio guida l’uomo a godere del piacere estetico. Come riferimento esemplificativo di questo percorso Spalletti propone, nel capitolo XLI, il mitico ritratto di
Elena realizzato da Zeusi48 .
In primo luogo il cuore proverebbe diletto a partire dal riconoscimento «al
primo colpo d’occhio»49 di tutte le forme in essa radunate atte a recare le qualità
della bellezza precedentemente elencate, quali la proporzione, la naturalezza del
colorito e la caratteristica capace di far riconoscere l’oggetto rappresentato. In
questo passaggio l’amor proprio non compirebbe alcuno sforzo in quanto il piacere
deriverebbe dall’immediato paragone tra sé e l’opera d’arte.
In un secondo momento vengono osservati dei tratti
a’ quali mai fatto avevamo riflessione, e questi ci piacciono ancora, perché
naturali li riconosciamo e per essere a questo modo egli [l’artista] stato più diligente indagatore della natura di quello [che] siamo stati noi, gli concepiamo
maggiore stima.50
Attraverso un’ulteriore osservazione dell’opera d’arte emergono quindi alcuni
aspetti che approfondiscono il patrimonio di idee di cui è costituito l’amor proprio,
consentendo di provare un piacere mai in precedenza provato.
Infine l’ultimo stadio del diletto estetico è raggiunto quando «con maggiore
esattezza consideriamo quest’opera» e vi scorgiamo
que’ tratti, i quali né pur possibili credevamo, e forzandoci la bellezza dell’opera a confessarli per naturali, non può fare a meno il cuore di non riempirsi
di stima per Zeusi il quale di nuove cognizioni lo ha arricchito.51
Il culmine del piacere consisterebbe quindi nella scoperta di aspetti su cui non
solo l’animo non aveva mai riflettuto, ma che non era mai neppure stato in grado
di concepire. Riconfermando che il piacere estetico è piacere intellettuale, Spalletti mostra anche l’esistenza di un beneficio da esso apportato allo stesso atto
conoscitivo: colui che ha provato il suddetto piacere diviene infatti «più cauto nell’osservazione di altri oggetti, i quali a questo modo possono aumentare le proprie
48
Zeusi, pittore dell’antichità, era originario di Eraclea di Lucania e visse tra la seconda metà del
V sec. e gli inizi del IV sec. a.C. Utili indicazioni circa le occorrenze del topos di cui è protagonista
sono reperibili in E. Panofsky, Idea. Contributo alla storia dell’estetica, La Nuova Italia, Scandicci
1996; R.W. Lee, Ut pictura poesis. La teoria umanistica della pittura, Sansoni, Firenze 1974; F.
Bollino, “Teoria e sistema delle belle arti. Ch. Batteux e gli esthéticiens del sec. XVIII”, numero
monografico di Studi di Estetica, 1976, p. 123, nota 9. Il noto aneddoto che lo riguarda, presente
in Cicerone (cfr. Cic., De Inventione II, 1, 1) e riportato da Plinio il Vecchio (cfr. Plin., Nat. Hist.
XXXV, 64), è citato più volte anche nel Saggio di Spalletti (cfr. G. S., p. 85, p. 89 e p. 90): si
narra che questo pittore, al fine di dipingere un ritratto di Elena, per tradizione la più bella donna di
tutti i tempi, avesse fatto posare cinque bellissime fanciulle di Crotone, in modo tale da scegliere in
ognuna le caratteristiche migliori per radunarle in un’unica immagine estremamente bella, al punto
da perpetuarne la fama nei secoli.
49
Ibid., p. 90.
50
Ibid.
51
Ibid.
9
ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
cognizioni»52 . Riassumendo, secondo Spalletti l’uomo giunge a un primo stadio
del piacere estetico quando è in grado di comprendere senza sforzo ciò che si trova
di fronte; un secondo livello, in cui il piacere diventa più acuto, si avrebbe quando
egli riesce ad approfondire le proprie conoscenze; il culmine, invece, consisterebbe nell’accorgersi di qualcosa che non si era mai stati in grado di concepire, con il
conseguente accrescimento del proprio patrimonio di idee.
L’accentuazione del ruolo ricoperto dal sentimento di piacere non coincide per
Spalletti con la consapevole assunzione di un punto di vista in cui la «definizione
“oggettiva” della bellezza»53 venga completamente risolta nell’elemento soggettivo. È questo il motivo per cui la critica postcrociana è generalmente poco incline
ad apprezzare il Saggio in virtù del suo sostegno a una posizione di stampo aristotelico in contrapposizione a una più decisamente platonica 54 . A giudizio di
Santino Caramella, ad esempio, «Spalletti tocca certamente, ma solo per accenno
o desiderio, il momento critico in cui dal platonismo e dall’intellettualismo l’estetica stava convertendosi al sentimentalismo» 55 e questa opinione è confermata
anche da Emilio Bigi, il quale sottolinea che «il Saggio non si configura [. . . ] come una difesa del caratteristico in polemica con l’estetica metafisica o mistica del
Winckelmann o del Mengs (secondo l’interpretazione crociana)» 56 . Esso risulterebbe essere quindi «un esempio non trascurabile [. . . ], pur con confusioni varie e
incertezze, dovute ad un pensiero non organicamente meditato e, teoreticamente,
non a sufficienza sistematico»57 dell’estetica settecentesca, la cui «ricchezza e plurivocità – troppo spesso trascurata –» 58 consisterebbe nella sua capacità di porre
problemi in relazione ai fondamentali assunti tramandati dai propri predecessori,
a partire dall’osservazione diretta della realtà e dell’uomo, aprendo così lo spazio
non necessariamente a soluzioni bensì allo sviluppo di nuovi pensieri.
52
Ibid.
G. Preti, “Introduzione”, in G. Spalletti, op. cit., 1945, p. 18.
54
Cfr. nota 4.
55
S. Caramella, “L’Estetica italiana dall’Arcadia all’Illuminismo”, in Momenti e problemi di
storia dell’estetica, Marzorati, Milano 1959, vol. II, p. 910.
56
E. Bigi, op. cit., p. 1090.
57
A. Ruschioni, op. cit., p. 353.
58
B. Danna, “Recensione del Saggio sopra la Bellezza di Giuseppe Spalletti”, Rivista di Estetica,
44/45, 1993, p. 184.
53
10
ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
Figura 1: Apollo del Belvedere, dopo la rimozione dei restauri. Marmo, altezza
m 2,24. Roma, Musei Vaticani (cortile del Belvedere)
11
ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
Figura 2: Apollo del Belvedere, prima della rimozione dei restauri. Marmo, altezza
m 2,24. Roma, Musei Vaticani (cortile del Belvedere)
12