Toronto

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Toronto
in c h iest e
Giovedì 5 Giugno 2008
pagina 5
CANADA AL VIA IL FESTIVAL «LUMINATO»
Mille luci a Toronto
Arte, design, moda
e gastronomia
cambiano il volto
di un luogo
già in evoluzione
DA TORONTO
GUIDO ROMEO
D
aoggi,almottodi «vedi,ascolta, tocca, muoviti, vivi e partecipa» la capitale dell’Ontario si avvolge per 10 giorni nella girandola
di spettacoli della seconda edizione
di Luminato, il festival delle arti e
della creatività lanciato l’anno scorso come la "luce di Toronto". «Con
oltre100linguequestacittàèunterreno di cultura ineguagliabile per
lacreatività», osserva Frank Gagliano, figlio di un tipografo immigrato dalla Sicilia e oggi Ceo della St.
Joseph Communications, ma per i
suoi concittadini soprattutto fondatore di questa manifestazione da 12
milioni di dollari che dà una nuova
visibilità internazionale alla città in
campo culturale.
Ilfestival, per l’80% composto di
eventi gratuiti nel campo dell’arte,
della moda, dell’alta gastronomia e
del design, è sostenuto per un terzo
da fondi provinciali e per il resto da
sponsor e 43 donatori, i cosiddetti
"luminaries". Dieci giorni di follie
creative che non sono che l’ultima
tappa di un percorso iniziato più di
15 anni fa per la riqualificazione e il
rilancio dell’identità della città. «Il
primo segnale di quanto i grandi
eventi culturali potessero cambiare
il volto di una città è arrivato alla fine degli anni ’60 dopo il successo
dell’Expo di Montreal – osserva David Daniels, tra i sostenitori della
manifestazione – per portare, a metàdeglianni Novantaa iniziative come la costituzione di Superbild, un
fondo da 400 milioni di dollari per
lo sviluppo di progetti di alta architettura, come il Royal Ontario Museum e la School of modern art».
«Arte e cultura stanno oggi entrando a far parte a pieno titolo del
motore produttivo della città», sottolinea Fabrice Marcolini, italocanadese che negli spazi del Distillery District riqualificati a distretto
culturale ha lanciato la galleria Artcore, specializzata in giovani artisti europei e nordamericani. I 10
giorni all’inizio di settembre del
Tiff, nato nel 1976, sono il principale appuntamento del Nordamerica che danno l’avvio alla competizione per gli Oscar, e con 400
film e oltre 305mila visitatori anche il più grande evento del cinema aperto al pubblico. Con ricadute significative per l’occupazione,
che in questo settore è cresciuta
del 5% negli ultimi 10 anni.
«La Toronto che vediamo oggi
è stata attivamente cercata e pensata negli anni passati – osserva
Lawrence Bernstein, managing
partner di BC3 Strategies, il quale
ha lavorato personalmente al riposizionamento del profilo della città –. Solo 10 anni fa si faceva fatica
a descrivere la città, che oggi punta con decisione soprattutto su innovazione e creatività».
«Innovare è un imperativo forte
– osserva Corrado Paina, della Camera di commercio italiana a Toronto, che qui e a Milano ha lanciato Mobile City, un ampio progetto
di formazione che incoraggia i giovani a raccontare la propria città
con immagini – perché nonostante
il primo trimestre abbia visto la creazionedi40mila nuovi lavoriinCanada, il rischio di recessione degli
Usa è molto temuto». Con 76mila
aziende e un Pil di oltre 127 miliardi di dollari che da solo rappresenta
l’11% di quello canadese la città ha
visto la creazione di 300mila nuovi
posti di lavoro dal 2000 al 2006,
ma oggi sta definendo ancora meglio come vuole crescere.
«Nel 1867, all’origine del Canada, le città non esistevano nella costituzione, ma oggi hanno un ruolo sempre più determinante –
spiega Joe Pantalone, vicesindaco
di Toronto, dove è arrivato dalla Sicilia a nove anni – soprattutto perché il 50% dei nostri cittadini è canadese di prima generazione e la
città è luogo di integrazione di
quella diversità culturale che vogliamo trasformare in motore di
sviluppo». I quattro pilastri (clima
imprenditoriale, internazionalizzazione, produttività e inclusione) della "Agenda for Prosperity"
presentata dal sindaco David Miller lo scorso gennaio mirano proprio a mettere a frutto questo melting-pot. Sul fronte internazionale c’è chiaramente ancora molto
spazio per crescere perché nonostante la comunità cinese sia la
più numerosa (18,6%) e abbia da
tempo superato quella italiana
(10,5%) gli scambi con la Repubblica Popolare sfiorano appena
l’1% dell’export dell’Ontario.
Intantolescelte dei decisori pubblicisi sono dimostratemolto attente molto attente alla sostenibilità
della crescita urbana. Toronto ha
già sottoscritto da sola gli impegni
di Kyoto e ha varato un vasto piano
diammodernamento degli impianti di riscaldamento per abbattere le
sue emissioni e mira a raddoppiare
la copertura alberata, oggi al 17%,
entro il 2025.
I punti di criticità però non mancanoenonostantel’economia robusta, il tasso di povertà infantile è aumentato dal 14,7% al 23% nel
2005. Esistono però progetti di verde autogestiti dai cittadini che possono diventare un’occasione di impiego e di recupero sia sociale che
urbano in molti quartieri.
Inumeri chiavesulla rivadell’Ontario
127 miliardi
70 milioni
76mila
1,4 milioni
58%
Ilpil.Torontocontribuisceda
solaalPilcanadese perl’11%
con127mlddidollaricirca.
Esportazioni.L’exportannuo
diTorontoèparia70milionidi
dollari.
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Allavoro.Èilnumerodi
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Preparati.Laquotadi
diplomatièil58%,piùdi
800milailaureatitotali.
j Nel Salento
TRASFERIMENTO TECNOLOGICO DAL 2005
con Nòva24
1 Energia alternative e
nanotecnologie, ma anche il
meglio della musica
contemporanea e recupero
delle tradizioni e turismo di
qualità. Oggi Nòva24 torna a
In centro largo all’innovazione
S
e la materia prima più pregiata della
nuova economia globale sono le
idee, Toronto ha una miniera aperta nel
pieno centro della città. È il MaRS, il centro per l’innovazione e il trasferimento
tecnologico lanciato lanciato a fine 2005
nei due chilometri quadrati che fanno del
Discovery district della città una delle
areeapiù altadensità diinventori delNordamerica. La seconda torre sarà completata nel 2010 e porterà la superficie totale
a circa 150mila metri quadri, ma il centro
accoglie già 2mila aziende e 65 aziende,
un incubatore, un "venture group" specializzato nel settore tecnologico per consulenzeindividuali alle imprese e un programma di attività mirate a stimolare
l’imprenditorialitàdei ricercatori. L’obiettivo è dare formazione e strumenti di business agliinnovatori, ma soprattutto creare un cortocircuito tra scienziati, investi-
Il MaRS è una fucina
per le idee ed è
in piena espansione
tori e imprenditori.
«I 240 milioni di dollari investiti nel
progetto progetto provengono in parte
dalla provincia dell’Ontario (54) e dal settore pubblico (41), mentre i restanti 145
arrivano da investitori e donatori privati –
spiega il presidente di MaRS John Evans
– ma il centro è una non profit gestita in
maniera completamente privatistica con
la missione creare imprese e ricchezza a
partire dalle innovazioni e scoperte scientifiche che nascono sul nostro territorio».
Con biotech e media digitali figli del Web
2.0 il menù non potrebbe essere più varioe si sperimentano anchenuovi modelli di organizzazione. Aggregate Therapeutics, ad esempio, è un’azienda nata
nel 2006 come spin-off dello Stem Cell
Network (Scn) lanciatodal Governo canadese nell’89, con la missione di commercializzare le innovazioni nel campo delle
cellulestaminali provenienti da 37laboratori di 16 diverse università. «L’idea in sé
è nuova e mira ad abbassare i costi dei fallimenti inevitabili nei settori di frontiera
come questo, perché abbiamo scelto di
raccogliere le diverse innovazioni del settorein un’unica struttura piuttosto che lasciare che ogni ricercatore cercasse da solola propria strada»spiega JohnMcCullogh, scozzese trapiantato nell’Ontario e
ora coordinatore di Aggregate, che ha già
avuto buoni risultati con staminali per la
riparazione dei tessuti spinali dei topi da
laboratorio.
Circondato da nove dei più grandi
ospedali di Toronto e dell’Ontario, il
MaRS è anche in pole position per lanciare sperimentazione cliniche con tempi e
costi contenuti. Al fronte biotech si accompagna quello dei media digitali con
start-up come Octopooz lanciata quattro
anni fa dal designer Barry Fogarty come
una spin-off della sua Diginiche, per lo
sviluppo di sistemi collaborativi online di
design 3D e oggi divenuta la sua principale attività. «Il rischio degli incubatori è
spessola creazionedi monoculture ditecnologiecon problemi di sviluppo e crescita – osserva Fogarty – ma qui è l’ultima
cosa che temiamo». (gu.ro.)
www.marsdd.com
www.aggregatetx.com
www.octopooz.com
Lecce, nei luoghi
dell’inchiesta pubblicata il 15
maggio scorso, per il quarto
incontro delle "Città
Illuminate". Si parlerà di
creatività e innovazione,
discutendo con cittadini,
autorità ed esperti italiani e
internazionali di come la città
progetta il suo futuro. Il
convegno è online su
www.salentoweb.tv.
www.salentoweb.tv
Per seguire il convegno online
PUNTI DI VISTA DA SYDNEY A VIENNA
NON SOLO EXPO QUESTIONE DI SVILUPPO
La ricetta migliore
per la città creativa
Eventi globali,
è gara tra metropoli
Territorio e spazi
elementi cardine
con la tecnologia
T
alento, tecnologia e tolleranza
non bastano più per innescare
il successo di una città nell’era della
conoscenza.Paroladi Kevin Stolarick, lo statistico ufficiale della classe
creativa. I suoi calcoli sono le ossa e
i muscoli dietro le analisi di Richard Florida, oggi al suo terzo libro con "Who’s your city?" (Basic
Books 2008, 26,95 Usd) dedicato a
come l’economia della creatività
sta trasformando la scelta della città in cui vivere in una delle più cruciali per il nostro futuro.
«La quarta T è quella del territorio - osserva Stolarick, oggi a capo
della ricerca del Prosperity Institute della Rotman Business School
di Toronto diretto da Florida - ma
abbiamo anche imparato che quelli territoriali non sono asset unici.
Ci sono elementi ricorrenti, ma
che vengono di volta in volta ricombinati in maniera diversa e rispondono ad aspettative diverse».
Un fenomeno estremamente evidente negli Usa dove tutti i lavoratori, ma soprattutto quelli della cosiddetta classe creativa, dagli infor-
matici a cineasti ai designer, sono
estremamente mobili. Aspen, in
Colorado, ad esempio, ha potuto
attrarre talenti per la presenza di
buone infrastrutture di ricerca e
di aziende tecnologiche, ma soprattutto per la varietà e la bellezza
dell’ambiente naturale.
Analogamente, New York attira
anch’essatalenti, ma interessati soprattutto a ciò che può offrire un
ambiente altamente urbanizzato e
interconnesso a livello culturale e
internazionale. Attrarre lavoratori
non significa però essere una città
creativa. Tra il 1990 e il 2000, Las
Vegas,capitale del Nevada edel gioco d’azzardo, ha ad esempio mostrato un saldo netto di 6mila nuovi cittadini ogni mese. Un afflusso
che la metteva tra le prime cinque
in fatto di immigrazione tra quelle
studiate da Stolarick e Florida per il
loro indice della creatività.
«In fatto di aumento dei redditi
Las Vegas è però 323 su 331 – osserva Stolarick – poiché i nuovi arrivati sono in gran parte pensionati o
lavoratori che guardano al mercato
degli hotel». Oggi ciò che impegna
i ricercatori della Rotman è però soprattutto la ridefinizione del concetto di sviluppo. «Guardiamo soprattutto a ciò che definiamo prosperità, che oltre alla componente
della crescita economica comprende anche salute, benessere, felici-
Competizione
sempre più serrata
e universale
Creativo.
KevinStolarick.
Adestra,la
copertinadel
librodiRichard
FloridaWho’s
yourcity?
tà, accesso a risorse educative e
l’impatto ambientale di una comunità», osserva Stolarick, originario
dell’Illinois, vicino a Chicago e vissuto per anni a Pittsburg, dove ha
cominciato a lavorare con Florida,
prima di stabilirsi a Toronto.
L’aspetto più interessante di questi
studi è proprio l’impatto sociale
della prosperità. I lavoratori della
cosiddettaclasse creativa hannooggi accesso ad un’alta qualità di vita,
dalla quale molti altri rimangono
però ancora esclusi. «Questa polarizzazione è evidente soprattutto
negli Usa, dove per ogni lavoratore
della classe creativa ve ne sono due
nel settore dei servizi a minor valor
aggiunto, dalle pulizie al babysitting – spiega l’economista – che
hanno retribuzioni bassissime».
Governare queste diseguaglianze
e creare equilibri più sostenibili è
la sfida dei prossimi anni e sembra
O
possibile solo riconoscendo maggior valore a questi profili come già
stanno facendo alcune aziende come la catena alberghiera Four seasons o i negozi Best-Buy. «Risolvere questi squilibri è anche la ragione per la quale siamo a Toronto –
osserva Stolarick – perché se Pittsburg, che non riusciva a trattenete
i talenti nonostante le sue Università e la forte base tecnologica ci ha
fornito il carburante per i primi
due libri, non credo potremmo andare oltre senza la capitale dell’Ontario». Toronto di fatto si presenta
con due "atout" cruciali, le grandi
università e i centri d’eccellenza,
una vasta e forte base tecnologica,
ma soprattutto quell’apertura molto canadese a discutere gli aspetti
più problematici di una comunità
e quindi cercare di risolverli.
La specializzazione dei circuiti
creativi che collegano le città nel
mondo è un altro dei filoni che il
gruppo di Florida sta sviluppando
in collaborazione con la Business
school dell’Università di Copenaghen,mostrandocheperdiversisettori ci sono diverse città di eccellenza. Per i media digitali le mega città
possono addirittura rivelarsi meno
interessanti di centri apparentemente più periferici come Montreal, Sydney e Vienna. «La prossima
ricerca,e forse la piùambiziosa, che
ci prepariamo a lanciare è quella sui
musicisti – racconta Stolarick – ma
diversamente dall’industria della
musica, questi professionisti sono
difficilissimi da definire statisticamente perché spesso non figurano
nei dati degli occupati». (gu. ro.)
guidoromeo.nova100.ilsole24ore.com
www.rotman.utoronto.ca
http://creativeclass.
com/whos_your_city
limpiadi, Expo, mondiali
di calcio e grandi fiere, ma
anche festival culturali, celebrazioni storiche e summit politici
come il G8 possono essere l’innesco di uno sviluppo durevole
a livello locale? A questa domanda cerca di rispondere il prossimo numero di Nòva Review, in
edicola a fine giugno con dati
su 30 città in tutto il mondo raccolti dal programma Leed dell’Ocse e interviste a esperti italiani e stranieri.
L’esperienza di moltissime
città, da Montreal a Torino, a
Sydney e Siviglia dimostra che
gli eventi globali sono forti catalizzatori di crescita, ma la competizione per aggiudicarsi questi eventi vive oggi un’ulteriore
evoluzione. Nonostante l’esplodere delle comunicazioni e delle presenze virtuali, la corsa per
portare sul proprio territorio
l’evento fisico vero e proprio
non è mai stata così serrata e
globale, soprattutto per l’arrivo
sulla scena di molti nuovi attori
provenienti dai Paesi emergenti. La Cina ospiterà a breve la
sua prima Olimpiade e il suo
primo Expo (Pechino 2008 e
Shangai 2010); tra due anni
Delhi, in India, sarà la sede dei
Giochi del Commonwealth e il
Sud Africa avrà i suoi primi
Mondiali di calcio; Sochi accoglierà nel 2014 le prime olimpiade invernali della Russia.
Una sfida tra Paesi e intere
economie nella quale i concorrenti sono prima di tutto le città, ancora una volta anello cruciale di quella nuova società della conoscenza nella quale vince
chi è capace di collocare questi
eventi in una prospettiva di investimento del futuro. L’esempio più recente di questo fenomeno è l’intensità senza precedenti della competizione per
l’assegnazione delle Olimpiadi
2012 che ha visto Londra superare Madrid, Parigi, New York e
Mosca. Una battaglia che ha
confermato come questo tipo
di eventi sia destinato a essere
ospitato dalla grandi città di livello globale e che ha assicurato
l’immediata candidatura di Chicago, Madrid, Tokyo, Rio de Janeiro e molte altre per l’edizione del 2016. I benefici di un
evento globale per il territorio
sono molteplici perché obbliga-
no le comunità a rispettare scadenze improcrastinabili per i
progetti infrastrutturali e a sviluppare processi di gestione
snelli ed efficenti.
Non solo, le competizioni internazionali garantiscono alle
città candidate l’accesso all’expertise di un’ampia platea di
valutatori di alto livello, permettendogli di identificare e lavorare sulle proprie criticità. Ulteriori benefici vengono dall’incremento del flusso turistico e dal
coinvolgimento dei cittadini e
degli attori locali che, se gestiti
coerentemente, portano a una
forte identificazione con il territorio e possono produrre effetti
moltiplicatori di lungo periodo
sulle economie locali, sia grazie
alla creazione di nuove infrastrutture che alla visibilità globale. I ritorni economici di un
evento possono essere di diversi
ordini di grandezza ma, come
sottolineano gli esperti dell’Ocse, partono sempre da una meticolosae delicata programmazione a livello locale, dove va trovata
una sempre nuova e diversa
combinazione dei fattori che
possano garantire il successo
non solo nell’aggiudicarsi
l’evento, ma anche nella getsione delle sue ricadute nel lungo
periodo. (gu. ro.)