CASISTICA GIURISPRUDENZA PENALE – SICUREZZA CANTIERI

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CASISTICA GIURISPRUDENZA PENALE – SICUREZZA CANTIERI
CASISTICA
GIURISPRUDENZA PENALE – SICUREZZA CANTIERI
A) COORDINATORE PER L’ESECUZIONE
1. Omicidio colposo – Caduta di un operaio dalla finestra di un ospedale in ristrutturazione C.S.E. – Sussiste la responsabilità C.S.E. per non aver adempiuto agli obbligo di vigilanza e
sorveglianza –
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Cass. pen. Sez. IV, Sent.,17-11-2014, n. 47283
Svolgimento del processo
1. B.L. era tratto a giudizio per rispondere del reato p. e p. dagli art. 113 e 589, comma 2, cod. pen. a lui
ascritto per avere, in cooperazione con altri, nella qualità di coordinatore per la sicurezza e per
l'esecuzione dei lavori di ristrutturazione dell'ospedale (OMISSIS), colposamente cagionato la morte
dell'operaio rumeno P.A..
Era accaduto che quest'ultimo, mentre stava procedendo, in data 14/11/2005, a lavori di intonacatura dei locali
posti al terzo piano dell'ospedale e in particolare della parte dei muri posta a lato delle finestre dalle quali erano
stati tolti gli infissi, cadeva improvvisamente nel vuoto attraverso l'apertura non protetta di una di esse, da una
altezza al suolo superiore ai 10 m, riportando lesioni mortali.
La responsabilità dell'evento era ascritta al B., oltre che a titolo di colpa generica, anche per colpa specifica
consistita nella violazione delle previsioni di cui al D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, art. 5, comma 1, lett. a), e) e
f), contestatagli rispettivamente per:
- non aver verificato, con opportune azioni di coordinamento e di controllo, che le imprese esecutrici dei lavori
di intonacatura dei locali del terzo piano dell'ospedale predetto vi attendessero nel rispetto delle prescrizioni
contenute nel piano di sicurezza e coordinamento e, in particolare, per non aver verificato che i lavori di
intonacatura da svolgersi in prossimità delle aperture delle finestre prive di infissi, sbarramenti o protezioni di
alcun tipo, venissero svolti senza che i lavoratori fossero esposti a gravi rischi di caduta dall'alto;
- non avere segnalato al committente dei lavori, previa contestazione alle imprese esecutrici, le inosservanze
alle prescrizioni contenute nel piano di sicurezza con riferimento ai lavori di intonacatura dei locali del terzo
piano;
- non avere immediatamente sospeso i lavori predetti, che presentavano evidenti e gravi rischi di caduta
dall'alto dei lavoratori.
Con sentenza del 14/5/2009 il Tribunale di Ferrara riconosceva la responsabilità del prevenuto quale
concorrente autonomo nel reato colposo sopra descritto, rilevando che tutti gli obblighi a lui imposti ai sensi
della richiamata norma risultavano "largamente omessi e inadempiuti".
Osservava in particolare che: i sopralluoghi in cantiere erano stati sporadici e superficiali; in nessuno di quelli
successivi all'inizio dei lavori di intonacatura si faceva menzione delle modalità esecutive degli stessi, tutto
risolvendosi in una burocratica attestazione di conformità; per contro, tutti i testi avevano riferito che, sin dal
primo giorno, le opere venivano eseguite in condizioni di assoluta insicurezza e in assenza di tutte le misure
precauzionali descritte dai piano redatto dal B.; sebbene fosse prevista l'adozione di un ponteggio esterno,
quest'ultimo non era stato realizzato; di conseguenza, incombeva sul B. non solo verificare la presenza delle
misure di sicurezza alternative, ma anche controllare che le stesse fossero effettivamente applicate anche
attraverso controlli frequenti e a sorpresa; la tesi difensiva, secondo cui in cantiere era presente un ponte
mobile (c.d.
trabattello) che avrebbe permesso di lavorare in condizioni di sicurezza, era inconferente non risultando che
l'imputato avesse verificato in concreto se tale strumento fosse idoneo all'esecuzione dei lavori in prossimità
delle finestre delle stanze, se lo stesso fosse effettivamente usato dagli operai, nè constando che il B. avesse
adottato delle misure per evitare l'elusione del suo impiego: prova questa tanto più necessaria a fronte delle
"massicce ed univoche evidenze processuali" dalle quali risultava che quel mezzo non era stato mai usato per
l'esecuzione dell'intonacatura delle finestre, in quanto inadatto e incompatibile con un lavoro da svolgere in
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fretta, per la sua instabilità e per le sue oscillazioni.
Soggiungeva al riguardo che "anche ad ammettere che al momento del sopralluogo i lavoratori non fossero
impegnati nel lavoro alle finestre, resta una clamorosa manifestazione di negligenza il non aver previsto che
presto, forse nel corso della stessa giornata, il lavoro si sarebbe spostato verso il luogo pericoloso" e il non
essersi posto il problema delle concrete modalità operative.
Concesse le attenuanti generiche, ritenute equivalenti alla contestata aggravante, l'imputato era pertanto
condannato ad un anno e due mesi di reclusione, pena sospesa.
2. Interposto gravame, sia in punto di affermazione della responsabilità penale, sia in punto di trattamento
sanzionatorio (con particolare riferimento anche alla omessa pronuncia sulla richiesta di applicazione, ex art.
444 c.p.p., della pena di sei mesi di reclusione convertita nella pena pecuniaria di Euro 6.840 di multa), la
Corte d'Appello di Bologna, con la sentenza in epigrafe, lo rigettava, confermando integralmente la sentenza
impugnata.
La tesi dell'appellante, secondo cui nessun rimprovero poteva nella specie essergli mosso per avere egli assolto
interamente i suoi compiti e per non essere esigibili una sua presenza costante in cantiere e un suo controllo
continuo di ciascun lavoratore, era disattesa dalla Corte territoriale in ragione del rilievo che le verifiche a lui
spettanti risultavano, nella specie, compiute senza la dovuta attenzione e approfondimento.
Rilevava al riguardo, in particolare, che "la decisione di non provvedere al montaggio di un ponteggio esterno
(in assoluto, il presidio più sicuro, ma troppo costoso in relazione al lavori di intonacatura che non avrebbero
dovuto riguardare la facciata esterna del fabbricato, bensì soltanto le cornici delle finestre), avrebbe vieppiù
dovuto consigliargli di seguire con particolare attenzione le modalità di esecuzione di quelle lavorazioni...
tanto più che...
quei lavori di intonacatura... andavano ormai avanti da un pò di tempo".
Soggiungeva che "anche a voler dare... per ammesso che, in ragione di una presenza in cantiere che nel suo
caso non poteva essere quotidiana, egli non si fosse reso direttamente conto delle modalità con cui avevano
luogo i lavori di intonacatura delle cornici delle finestre, sarebbe stato in ogni caso suo precipuo dovere, in
quella situazione, assumere precise informazioni al riguardo onde comprendere e verificare quali presidi
venissero adottati in sostituzione della soluzione (esaminata e scartata) di installare un ponteggio esterno".
La Corte d'appello giudicava, poi, priva di ragion d'essere la doglianza relativa alla contestazione di una
cooperazione colposa ex art. 113 c.p., con gli altri imputati, rilevando che, anche accedendo al rilievo
dell'appellante secondo cui era da escludere la reciproca consapevolezza dell'altrui condotta, nondimeno la
condotta enunciata nel capo di imputazione e la conforme ricostruzione della vicenda operata in giudizio
avevano evidenziato l'esistenza di un preciso nesso causale tra la prima e il verificarsi dell'evento.
Quanto, infine, alla disattesa richiesta di applicazione della pena di sei mesi di reclusione, osservava che la
stessa, in ragione dell'elevatissimo grado di colpa ascrivibile all'imputato, non poteva considerarsi accoglibile,
e tantomeno lo era la richiesta di sostituzione nella pena pecuniaria di Euro 6.840 di multa, postulando questa
un rapporto di conversione pari al minimo di quello previsto, del tutto inadeguato al caso di specie e tale da
comportare "l'abdicazione evidente della pena alla sua funzione speciale preventiva".
3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputato sulla base di tre motivi.
3.1. Con i primi due deduce violazione di legge penale, sostanziale e processuale (in relazione al D.Lgs. n. 494
del 1996, art. 5, artt. 192 e 533 c.p.p.), nonchè vizio di motivazione in relazione alla affermazione della sua
penale responsabilità.
Rileva in sintesi che:
a) posto che, nel caso di specie, la violazione in astratto contestabile è solo quella di cui al D.Lgs. n. 494 del
1996, art. 5, lett. a), le altre presupponendo l'effettiva conoscenza della inosservanza del piano di sicurezza o,
comunque, l'effettiva conoscenza di situazioni di pericolo, da acquisirsi appunto attraverso gli adempimenti di
cui alla lett. a), e considerato altresì che tale norma non specifica in alcun modo quali siano le "opportune
azioni di coordinamento", nè la cadenza dei controlli, tantomeno esigendo una costante presenza in cantiere, ne
deriva che nessun rimprovero può fondatamente essergli mosso risultando che egli effettuò l'ultima verifica, in
contraddittorio con il delegato alla sicurezza della ditta appaltatrice, sei giorni avanti il verificarsi
dell'infortunio mortale, constatando in quell'occasione che erano iniziate le lavorazioni relative agli intonaci
del terzo piano e alla posa della guaina per la coibentazione della copertura e accertando che la situazione
complessiva del cantiere era conforme alle previsioni del piano di sicurezza;
b) solo a posteriori egli apprese che il P. lavorava in quel cantiere da mesi, alle dipendenze di una ditta che
operava di fatto in subappalto senza alcuna autorizzazione: nè era esigibile una diversa consapevolezza da
parte sua di tale situazione;
c) la progettazione delle misure di sicurezza da lui previste nel relativo piano, era del tutto adeguata: tali in
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particolare dovevano considerarsi i cosiddetti trabattelli, la presenza di almeno uno dei quali nei locali del
terzo piano risultava dimostrata in dibattimento;
d) al momento dell'ultimo sopralluogo (8/11/2005) i lavori non erano in corso, sicchè non vi era motivo di
dubitare che gli addetti alla sicurezza avrebbero imposto di operare correttamente, non potendosi in proposito
nemmeno ravvisare alcuna consapevolezza delle reciproche condotte rilevante ai sensi dell'art. 113 c.p.;
e) solo una quotidiana attività di vigilanza del coordinatore avrebbe potuto evitare l'evento, ma questa non
rientra tra i compiti richiesti dalla legge, non potendosi pertanto sotto tale profilo ravvisare il necessario nesso
di causalità tra le ammissioni addebitate ad esso ricorrente e l'evento;
f) l'assunto secondo cui egli dovesse avere conoscenza delle condizioni di lavoro quotidiano nel cantiere
finisce, dunque, in tale contesto, con il violare anche la regola di valutazione della prova posta dall'art. 192
c.p.p., comma 2, e il criterio di giudizio dell'ai di là di ogni ragionevole dubbio, dettato dall'art. 533 c.p.p.,
comma 1:
g) al riguardo, infine, la motivazione appare anche contraddittoria, nella parte in cui sembra ipotizzare un
ragionevole dubbio in ordine alla sua consapevolezza di quel che accadeva in cantiere.
3.2. Con un terzo motivo deduce, in subordine, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al
trattamento sanzionatorio e alla negata applicazione della pena inferiore richiesta ai sensi dell'art. 444 c.p.p.,
con conversione in pena pecuniaria.
Rileva che quest'ultima sarebbe stata più che congrua, in relazione alla sua specifica posizione soggettiva e
che, sul punto, la diversa valutazione appare contraddittoria rispetto alla riconosciuta meritevolezza delle
circostanze attenuanti generiche e considerato anche che, in altra parte della sentenza, la Corte territoriale ha
riconosciuto che egli poteva non sapere esattamente quel che accadeva in cantiere. Segnala al riguardo di
essersi efficacemente attivato affinchè le compagnie assicuratrici risarcissero gli eredi del P. con la
corresponsione della somma omnicomprensiva di Euro 500.000,00.
Motivi della decisione
4. Sono infondati i primi due motivi di ricorso.
Essi ripropongono censure già svolte in appello, specificamente esaminate dalla Corte territoriale e disattese
con motivazione puntuale ed esauriente, dotata di indubbia coerenza logica con le acquisizioni istruttorie e
linearità argomentativa, con la quale a ben vedere il ricorso omette di confrontarsi fino in fondo, di tal che lo
stesso, lungi dal segnalare aspetti di evidente incoerenza logica nel ragionamento valutativo della corte
territoriale, si risolve sostanzialmente nella mera apodittica riproposizione di una opposta lettura e valutazione
della vicenda.
In particolare - esclusa anzitutto la pertinenza al tema del rilievo relativo alla adeguatezza in astratto del piano
di sicurezza (non essendo mai stato questo il profilo di colpevolezza in contestazione), ed esclusa altresì
l'ammissibilità e conducenza della affermata sua incolpevole ignoranza della presenza in cantiere del P. quale
dipendente di ditta operante in subappalto senza autorizzazione (trattandosi di questione di fatto che non risulta
dedotta nè esaminata nei precedenti gradi e, comunque, di nessuna rilevanza ai fini del giudizio, non essendo
dubbia la consapevolezza da parte dell'odierno ricorrente dell'oggetto e della natura dei lavori che dovevano
eseguirsi al terzo piano dell'ospedale in ristrutturazione, indipendentemente dalla identificazione dei singoli
operai ad essi addetti e della loro effettiva posizione lavorativa) - la tesi, centrale nell'impostazione difensiva
del ricorrente, secondo cui non sarebbe a lui rimproverabile alcuna violazione, per avere egli effettuato
periodiche verifiche, l'ultima delle quali sei giorni prima dell'evento con esito positivo circa la "conformità"
della "situazione complessiva del cantiere" alle previsioni del piano di sicurezza e per avere in particolare
riscontrato la presenza nei locali in questione di un ponte mobile (c.d. trabattello), in tale piano indicato come
idoneo strumento per l'esecuzione dei lavori in sicurezza, trova ampia e logicamente coerente confutazione in
entrambe le sentenze di merito e, in particolare, nelle considerazioni sopra già sintetizzate secondo cui:
i) l'accertata presenza di tale ponte mobile non è idonea di per sè a dimostrare l'assolvimento dei compiti
incombenti sul ricorrente, questi richiedendo anche l'accertamento della idoneità del dispositivo all'esecuzione
dei lavori in prossimità delle finestre, del suo effettivo impiego da parte delle maestranze, dell'adozione da
parte dello stesso coordinatore di misure atte a evitare l'elusione del suo impiego (quali la segnalazione al
committente, la contestazione scritta alle imprese o ai lavoratori autonomi incaricati dell'appalto e, in caso di
pericolo grave e imminente, anche la sospensione dei lavori): prova, nella specie, non solo mancante ma anzi
contrastata, come rimarcato nella sentenza di primo grado, da "massicce ed univoche evidenze processuali"
dalle quali risultava che quel mezzo non era stato mai usato per la sua instabilità e per le sue oscillazioni;
ii) l'assenza di un ponteggio esterno, presidio evidentemente più sicuro ma non adottato secondo scelta
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ovviamente ben consapevole (di tutti i protagonisti della vicenda (perchè troppo costoso, e per i contrasti
insorti tra le ditte operanti nel cantiere circa la sopportazione dei relativi oneri), avrebbe dovuto renderlo ancor
più attento a controllare l'idoneità e l'effettiva adozione delle misure alternative (ma evidentemente di non
altrettanto sicura efficacia), restando per converso dimostrata in tal senso l'insufficienza di una verifica limitata
dalla costatazione della presenza all'interno dei locali di un ponte mobile, non accompagnata dall'accertamento
del suo concreto e funzionale impiego.
Le considerazioni svolte nel ricorso, come detto, non si confrontano con tali pertinenti e logicamente pregnanti
considerazioni, che rimangono sostanzialmente ignorate, palesandosi in tal senso un evidente connotato di
aspecificità dei motivi di ricorso.
5. Mette conto, comunque, rimarcare che, sui temi indicati, le sentenze di merito si pongono in linea con le
indicazioni ricavabili dalla consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, circa il ruolo del coordinatore
per l'esecuzione dei lavori nei cantieri
temporanei e mobili e il contenuto della relativa posizione
di garanzia:
indicazioni alle quali è utile fare breve cenno riepilogativo.
5.1. Non è dubbio che, giusta quanto dedotto dal ricorrente, esulano dai compiti e dalla funzione
normativamente attribuiti a tale figura obblighi di specifica e minuta vigilanza, comportanti una costante
presenza in cantiere del coordinatore .
Giova rammentare in proposito che detta figura è stata introdotta per la prima volta dal D.Lgs. 14 agosto 1996,
n. 494 (di attuazione della direttiva 92/57/CEE) - nell'ambito di una generale e più articolata ridefinizione delle
posizioni di garanzia e delle connesse sfere di responsabilità correlate alle prescrizioni minime di sicurezza e di
salute da attuare nei cantieri
temporanei o mobili - a fianco di quella del committente, allo scopo
di consentire a quest'ultimo di delegare, a soggetti qualificati, funzioni e responsabilità di progettazione e
coordinamento, altrimenti su di lui ricadenti, implicanti particolari competenze tecniche.
La definizione dei relativi compiti e della connesse sfere di responsabilità discende, pertanto, da un lato, dalla
funzione di generale, alta vigilanza che la legge demanda allo stesso committente, dall'altro, dallo specifico
elenco contenuto nel D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, a mente del quale egli è tenuto in particolare a: "a)
verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici
e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di
coordinamento... e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro; b) verificare l'idoneità del piano
operativo di sicurezza,... e adeguare il piano di sicurezza e coordinamento e il fascicolo di cui all'art. 4, comma
1, lett. b), in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte
delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere, nonchè verificare che le imprese esecutrici
adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza; c) organizzare tra i datori di lavoro, ivi
compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonchè la loro reciproca
informazione; d) verificare l'attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare il
coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere;
e) segnalare al committente o al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta alle imprese e ai lavoratori
autonomi interessati, le inosservanze alle disposizioni degli artt. 7, 8 e 9, e alle prescrizioni del piano di cui
all'art. 12, e proporre la sospensione dei lavori, l'allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal
cantiere, o la risoluzione del contratto...;
f) sospendere in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla
verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate".
Tale disciplina conferma che la funzione di vigilanza è alta e non si confonde con quella operativa demandata
al datore di lavoro ed alla figure che da esso ricevono poteri e doveri: il dirigente ed il preposto. Tanto è vero
che il coordinatore articola le sue funzioni nel modo formalizzato già sopra ricordato: contestazione scritta
alle imprese delle irregolarità riscontrate per ciò che riguarda la violazioni dei loro doveri tipici, e di quelle
afferenti all'inosservanza del piano di sicurezza e di coordinamento; indi segnalazione al committente delle
irregolarità riscontrate.
Solo in caso di imminente e grave pericolo direttamente riscontrato è consentita la immediata sospensione dei
lavori.
Appare, dunque, chiara la rimarcata diversità di ruolo rispetto al datore di lavoro delle imprese esecutrici: un
ruolo di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale stringente
vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto)(v. in
tal senso, Sez. 4, n. 18149 del 21/04/2010, Cellie, Rv. 247536; v. anche in motivazione Sez. 4, n. 1490 del
20/11/2009, dep. 2010, Fumagalli, non mass. sul punto; cfr. anche Sez. n. 4, n. 7443 del 17/01/2013,
Palmisano, Rv. 255102, che ha nella medesima direzione precisato che "le figure del coordinatore per la
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progettazione D.Lgs. n. 494 del 1996, ex art. 4, e del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, ex art. 5,
stesso D.Lgs., non si sovrappongono a quelle degli altri soggetti responsabili nel campo della sicurezza, ma ad
esse si affiancano per realizzare, attraverso la valorizzazione di una figura unitaria con compiti di
coordinamento e controllo, la massima garanzia dell'incolumità dei lavoratori").
5.2. Fermo tutto ciò, occorre d'altro canto, però, rimarcare che i compiti assegnati al coordinatore per la
sicurezza, per quanto afferenti alla generale configurazione dei lavori alla stregua di funzioni di alta vigilanza,
si caratterizzano nondimeno nella descrizione normativa anche per un connotato di effettività e concretezza in
funzione delle perseguite finalità di prevenzione, ciò escludendo che tale funzione possa risolversi in un mero
disbrigo di attività formali e di verifiche astratte e superficiali.
E' pacifico, infatti, che a tale figura pertiene non solo il compito di organizzare il lavoro tra le diverse imprese
operanti nello stesso cantiere, bensì anche quello di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle stesse delle
prescrizioni del piano di sicurezza e sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia
dell'incolumità dei lavoratori. Il coordinatore per l'esecuzione dei lavori è, pertanto, titolare di un'autonoma
posizione di garanzia che, nei limiti degli obblighi specificamente individuati dalla legge, si affianca a quelle
degli altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche, comprendendo, non solo l'istruzione delle
imprese operanti in cantiere sui rischi connessi alle attività lavorative svolte e la necessità di adottare tutte le
opportune misure di sicurezza, ma anche: la verifica della corretta attuazione del piano di sicurezza e della
effettiva predisposizione delle misure di sicurezza e della adeguatezza delle stesse; il controllo effettivo sulla
concreta osservanza delle misure e delle procedure operative predisposte al fine di evitare che esse siano
trascurate o disapplicate, nonchè, infine, il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli
strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione, sicchè, in particolare, è tenuto a verificare, attraverso
un'attenta e costante opera di vigilanza, l'eventuale sussistenza di obiettive situazioni di pericolo nel cantiere, e
tanto, in relazione a ciascuna fase dello sviluppo dei lavori in corso di esecuzione (v. ex multis Sez. 4, n. 18651
del 26/04/2013, Mongelli, Rv. 255106; Sez. 4, n. 19382 del 28/3/2013, Politi, non mass.; Sez. 4, n. 7443 del
14/02/2013, Palmisano, Rv. 255102; Sez. 4, n. 46820 del 19/12/2011, Di Gloria; Sez. 4, n. 32142 del
14/06/2011, Goggi, Rv. 251177).
Se è vero, pertanto, che non sussiste a carico del coordinatore per l'esecuzione dei lavori un obbligo di
presenza continuativa - operativa - sul cantiere (demandata al datore di lavoro e ai soggetti da lui preposti alla
sicurezza dei lavoratori), egli è comunque tenuto a programmare ed effettuare le visite periodiche nel modo più
idoneo e funzionale all'espletamento dei suoi compiti di vigilanza, nonchè a informarsi scrupolosamente sullo
sviluppo delle opere, verificando specificamente (per ciascuna fase) l'effettiva realizzazione e adozione delle
prescritte misure di sicurezza, provvedendo a contestare per iscritto ai titolari delle imprese coinvolte le
violazioni riscontrate alla disciplina antinfortunistica, segnalandole contestualmente al committente.
Se dunque egli non è obbligato a tal fine a controllare momento per momento l'esecuzione dei lavori, lo è
comunque a pianificare le proprie verifiche ovvero a precostituire un sistema di controlli che siano in grado di
consentirgli l'effettivo assolvimento del compito comunque a lui affidato, non potendo in tal senso certamente
bastare una osservazione superficiale della "situazione complessiva del cantiere" ma occorrendo una puntuale e
concreta verifica del modo in cui i diversi lavori vengono effettivamente organizzati nella loro fase esecutiva,
sotto il profilo della sicurezza e della concreta (non meramente astratta o apparente) adozione delle misure
indicate nel piano.
Non basta, dunque, al coordinatore dimostrare di essersi recato periodicamente in cantiere, ma occorre
dimostrare che quanto accertato consentiva una tranquillante verifica della concreta, effettiva e
prevedibilmente costante adozione delle misure predisposte nel piano per quella data fase dei lavori, di modo
che quel che legittimamente resta sottratto ai suoi compiti di vigilanza è il caso episodico e contingente scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori, ovvero da una episodica inosservanza di misure di
sicurezza comunque predisposte, pur effettivamente approntate ed esistenti in cantiere, agevolmente
utilizzabili e adeguate - come tale affidato alla sfera di controllo del datore di lavoro o del suo preposto; non
invece l'evento riconducibile alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione (v. in tal senso, in
motivazione, Sez. 4, n. 18149 del 21/04/2010, Cellie e a., Rv. 247536).
5.3. Orbene, tornando al caso in esame è proprio sull'assolvimento dei descritti specifici compiti certamente
propri del coordinatore per l'esecuzione dei lavori che si concentra il nucleo centrale della quaestio facti
sottoposta alla valutazione della Corte di merito e alla quale la stessa ha dato motivata risposta, pertinente e
coerente alle richiamate emergenze istruttorie, come tale insindacabile in questa sede.
Le considerazioni sul punto scolte nelle sentenze di merito, come detto, non risultano in sè specificamente
censurate dal ricorrente, le cui critiche si risolvono nel mero e inconferente richiamo al contenuto di alta
vigilanza dei compiti demandati, all'esecuzione di periodici accessi al cantiere (l'ultimo dei quali appena sei
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giorni prima dell'evento), alla verificata esistenza, in una delle stanze al terzo piano ove erano in corso i lavori
di intonacatura interna, di almeno un trabattello).
Punto nodale della causa è, invero, se il controllo operato dal B. fosse sufficiente ad esaurire i suoi doveri o se,
nella situazione data, esso si sia rivelato meramente formale e superficiale.
La risposta negativa data a tale quesito dai giudici di merito muove essenzialmente dal rilievo della
inadeguatezza in concreto del ponte mobile (c.d. trabattello) rispetto alle esigenze lavorative, tale da aver
condotto al (pure accertato) sistematico mancato utilizzo dello stesso.
Non par dubbio che tali rimarcate emergenze processuali - sulle quali, come detto, nulla obietta il ricorrente valgano di per sè ad evidenziare l'inadeguatezza del controllo operato dall'imputato che, nella misura in cui si è
limitato alla mera presa d'atto dell'esistenza di almeno un trabattello in una delle stanze al terzo piano, si rivela
inosservante degli specifici doveri a lui imposti come detto riferibili non solo alla astratta previsione delle
misure di sicurezza (nel caso, il trabattello) ma anche alla verifica della sua effettiva e concreta predisposizione
in cantiere e della sua adeguatezza.
Nè vale obiettare che, al momento dell'ultimo accesso, i lavori alle finestre non erano iniziati, risultando per
contro esaustiva mente rimarcato nelle sentenze di merito che: a) comunque erano in corso i lavori di
intonacatura delle pareti interne delle stanze al terzo piano; b) in tale contesto era del tutto prevedibile che gli
stessi si sarebbero ben presto spinti anche alle pareti poste al lato delle finestre, prive degli infissi.
5.4. Ciò detto, è appena il caso di soggiungere che le esposte ragioni della affermata responsabilità penale
dell'imputato non implicano alcuna confusione con i compiti e le responsabilità proprie del delegato alla
sicurezza nominato dalla committente.
La normativa dettata in materia di sicurezza sul lavoro attribuisce, infatti, come detto, al coordinatore per la
fase di esecuzione dei lavori una specifica posizione di garanzia, che non si sovrappone, bensì si aggiunge a
quella assegnata ad altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche, e ne individua gli obblighi nei
termini sopra delineati, trattandosi peraltro di posizione di garanzia diretta, essendo per essa prevista una
diretta responsabilità penale per il caso di inosservanza dei relativi obblighi (D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 21,
comma 2, e D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 158).
5.5. Nè, infine, è ravvisabile alcuna contraddizione nel ragionamento svolto nella sentenza impugnata laddove
incidentalmente si ammette che l'imputato possa non aver avuto consapevolezza di quel che accadeva in
cantiere. Al contrario, in termini del tutto coerenti con i principi sopra richiamati, la Corte d'appello considera
incidentalmente e in modo dubitativo tale ipotesi, solo per affermarne, del tutto correttamente, alla stregua di
mero argomento di chiusura, l'irrilevanza ai fini dell'affermazione della responsabilità dell'imputato, rispetto
alla quale tale mancata consapevolezza si pone essa stessa, per quanto sopra detto, come ragione di addebito.
6. Il terzo, subordinato, motivo di ricorso, in punto di trattamento sanzionatorio, è manifestamente infondato.
Al riguardo è noto che per pacifico indirizzo "la determinazione della misura della pena tra il minimo e il
massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito
anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 c.p.. Anzi, non è neppure necessaria una
specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa
rispetto alla pena edittale" (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).
In relazione alle esposte coordinate di riferimento è da escludersi che, nel caso in esame, la quantificazione
della pena sia frutto di arbitrio o di illogico ragionamento o che comunque si esponga a censura di vizio di
motivazione, avendo il giudice"a quo ampiamente e specificamente motivato sul punto facendo in particolare
riferimento all'elevato grado della colpa (oltrechè naturalmente alla estrema gravità dell'evento).
Anche con riferimento a tale tema del giudizio, per le stesse considerazioni appena svolte, non è poi
ravvisabile alcuna contraddizione tra tale valutazione e l'ipotizzata mancata conoscenza da parte dell'imputato
delle effettive modalità con cui avevano luogo i lavori di intonacatura delle cornici delle finestre.
A prescindere dal rilievo che tale mancata consapevolezza è, ripetesi, solo ipotizzata e non anche con certezza
affermata - risultando anzi poco prima precisato che "appare difficile ipotizzare che il B. non si fosse reso
conto delle modalità, di estrema criticità, con cui venivano eseguite quelle lavorazioni" - vale anche al riguardo
il rilievo per cui il non essersi in ipotesi l'imputato effettivamente reso conto di come si stessero svolgendo
quei lavori, considerati i compiti a lui attribuiti, non può essere motivo di alleggerimento della sua
responsabilità (che è opportuno rammentare gli è ascritta a titolo di colpa), costituendone piuttosto ragione
centrale di addebito.
6. Il ricorso va pertanto rigettato, discendendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
6
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2014
***************
2. Omicidio colposo – C.S.E. – Non sussiste la responsabilità del C.S.E. – Sospensione dei
lavori – Ripresa dei lavori non comunicata dal datore di lavoro.
Cass. Pen. , Sez. IV, 23-02-2015, n. 7960
Svolgimento del processo
1. F.F. è stato tratto a giudizio avanti il Tribunale di Trapani per rispondere del reato p. e p. dall'art. 113 c.p.,
e art. 589 c.p., comma 2, a lui ascritto per avere, in cooperazione con altri, nella qualità di coordinatore per la
sicurezza e per l'esecuzione dei lavori edili da svolgere in (OMISSIS), località (OMISSIS), colposamente
concorso a cagionare la morte dell'operaio P.S..
Era accaduto che quest'ultimo, dipendente della ditta B.V. incaricata delle opere di falegnameria, mentre
stava procedendo, in data (OMISSIS), alla posa in opera dei telai di una finestra al primo piano della villetta
n. 40, ubicata nel lotto n. 7, dopo aver aperto le persiane, perdeva l'equilibrio e precipitava al suolo, da
un'altezza superiore ai 3 m, riportando gravissime lesioni che ne cagionavano il decesso in data…..
La responsabilità dell'evento era ascritta al F., oltre che a titolo di colpa generica, anche per colpa specifica
consistita nella violazione delle previsioni di cui al D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, art. 16; D.Lgs. 19
settembre 1994, n. 626, art. 21, comma 1, e art. 22, comma 1; D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, art. 5, comma
1, lett. a) e b).
Si rimproverava in particolare al predetto di aver omesso di verificare, nella detta sua qualità, che la ditta
B.V., in relazione alla fase di posa dei controtelai alle finestre, applicasse le disposizioni contenute nel "Piano informativo generale sulla sicurezza ed igiene sul lavoro" predisposto dallo stesso F., nella parte in cui
prevedeva la necessità di verificare, operando in prossimità del vuoto, preventivamente, l'esistenza di
parapetti e protezioni, e di mantenere in opera ponti e sottoponti con regolari parapetti, nonchè di aver
omesso di verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza predisposto dalla ditta medesima e,
comunque, (l'idoneità) delle misure approntate per eliminare il rischio di caduta dall'alto degli operai.
Con sentenza del 28/6/2012 il Tribunale, riconosciuta la responsabilità del prevenuto, lo ha condannato alla
pena, condizionalmente sospesa, di un anno di reclusione oltre che, in solido con gli altri due imputati e con
il responsabile civile Bulgarella Costruzioni S.r.l., al pagamento della somma di Euro 34.363,36 in favore
dell'Inail ed al risarcimento del danno non patrimoniale, da liquidarsi in separata sede, in favore dell'altra
parte civile M.E., in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà sulla figlia minore Po.Sa., ed
ancora al pagamento di una provvisionale, in favore della stessa, di Euro 100.000,00.
Escluso che nella fattispecie potessero ravvisarsi profili di abnormità e di eccezionalità della condotta tenuta
dalla vittima, tali da interrompere il nesso causale, ha rimarcato il primo giudice, tra l'altro, le gravi carenze
del piano operativo di sicurezza predisposto dalla ditta B.V., avvalorando il sospetto, esternato dagli ispettori
del servizio di prevenzione, che lo stesso fosse in realtà ricopiato da analoghi documenti redatti per altre
lavorazioni: deficienze progettuali e programmatiche tradottesi in disfunzioni e carenze organizzative e di
efficienza delle procedure per la prevenzione degli infortuni.
Ciò posto, con specifico riferimento alla posizione del F., il Tribunale, pur riconoscendo che lo stesso aveva
assolto in modo ineccepibile ai suoi compiti nella fase progettuale, e pur sottolineando la sua assidua
presenza in cantiere per seguire l'andamento dei lavori, ha stigmatizzato il fatto che egli non avesse adottato i
provvedimenti del caso circa la prassi lavorativa instauratasi, del tutto inosservante dei più elementari
standard di sicurezza e persino in contrasto con le disposizioni contenute nel "pur pregevole documento
programmatico redatto dallo stesso". Secondo il Tribunale, inoltre, il F. avrebbe dovuto rilevare le carenze e
le lacune riscontrabili già nel documento di sicurezza elaborato dai responsabili della ditta, al fine di
sollecitarne l'adeguamento, e segnalare comunque tale situazione alla committente.
2. Pronunciando sui contrapposti appelli dell'imputato, del responsabile civile e delle parti civili, la Corte
d'Appello di Palermo, con la sentenza in epigrafe, confermate le statuizioni penali, ha riformato la decisione
7
gravata con riferimento a quelle civili, condannando il F. e la società responsabile civile al pagamento, in
solido tra di essi e con gli altri imputati, dell'ulteriore somma di Euro 288.034,34 in favore dell'Inail.
Ribadita l'impossibilità di configurare nella specie un comportamento abnorme e imprevedibile della stessa
vittima, ha rilevato la Corte che le emergenze processuali conducono piuttosto a ritenere che il P., recatosi
sul posto alle 9 del mattino con l'incarico di incontrare il geom. F. e provvedere con lo stesso alla
sostituzione di un'anta di una porta finestra di una villetta già consegnata, facente parte del lotto n. 8, non
essendosi quello presentato all'appuntamento, ricevette per telefono l'incarico dal proprio datore di lavoro,
per ottimizzare i tempi, di recarsi nella villetta n. 40 del lotto n. 7 per iniziare a lavorare sugli infissi che
dovevano ancora essere collocati.
Ciò, però, in assenza dei necessari presidi di sicurezza, la cui carenza era già riscontrabile secondo la Corte
nel piano operativo di sicurezza, in ordine al quale essa ha pertanto confermato la valutazione del primo
giudice di superficialità e illogicità espositiva, evidenziando che la previsione di ponteggi fissi e mobili era
semplicemente enunciata nella parte dedicata alla "descrizione sommaria dei lavori", per essere poi ripresa in
termini del tutto generici, con riferimento a qualsiasi attività lavorativa che implicasse di operare ad una certa
altezza dal suolo, ma senza puntuale riferimento alle singole lavorazioni programmate.
Con riguardo alla posizione del F. i giudici palermitani hanno quindi rilevato che la sua colpevolezza era
stata correttamente riconosciuta sotto un duplice profilo.
Anzitutto per non aver segnalato l'inadeguatezza del P.O.S. redatto dalla ditta B., con tutte le disfunzioni e
carenze organizzative che ne sono conseguite sul piano della prevenzione degli infortuni:
tale omissione, secondo la Corte, aveva contribuito non poco a causare l'evento.
In secondo luogo e soprattutto perchè, nella qualità di coordinatore per la sicurezza nella fase di esecuzione
dei lavori, egli ha omesso di segnalare, stigmatizzandola, la prassi adottata nel cantiere in ordine al
montaggio degli infissi, connotata dalla carenza di qualsiasi presidio di sicurezza: condizioni queste - nota la
Corte ù "abitualmente ricorrenti ancor prima dell'infortunio occorso al P." e, dunque, perfettamente rilevabili
dal Fe.
che, assiduamente presente sui luoghi per seguire l'andamento dei lavori, avrebbe potuto e dovuto attivare i
suoi poteri di intervento, limitatisi invece a una circolare emessa in data 8/2/2005, più di un anno prima
dell'incidente, con la quale si richiamava al rispetto degli obblighi di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 7, nei
lavori di fornitura e montaggio degli infissi esterni, evidentemente rimasta senza alcun riscontro.
3. Avverso tale sentenza propongono ricorso l'imputato e la Bulgarella Costruzioni S.r.l., responsabile civile,
per mezzo dei rispettivi difensori.
F.F. articola a fondamento del proprio ricorso sei motivi.
3.1. Con il primo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta inadeguatezza
del piano operativo di sicurezza predisposto dalla ditta B.V. e, correlativamente, alla divisata responsabilità
di esso ricorrente per aver omesso di adottare al riguardo i provvedimenti di competenza.
Sostiene che tale valutazione, lungi dall'essere rapportata al precetto normativo di cui al D.Lgs. n. 626 del
1994, art. 4, comma 2, è basata su un apprezzamento del tutto soggettivo non sorretto da adeguato apparato
argomentativo.
Riportando ampi stralci della sentenza di primo grado (pagine 84 - 86) e di quella d'appello, conforme sul
punto (pagg. 11 - 12), lamenta in sintesi che, in modo illogico e contraddittorio e, comunque, in violazione
del reale contenuto precettivo della norma di riferimento, il fondamento del giudizio di inadeguatezza del
piano, in esse espresso, è fatto risiedere non nella mancata previsione in sè dei rischi di caduta da altezze
superiori ai due metri, bensì nella asserita inadeguatezza della "tecnica redazionale", per il mancato diretto
collegamento tra le parti del piano descrittive delle fasi di lavorazione e quelle descrittive delle possibili
tipologie di rischio e delle conseguenti misure protettive, oltre che nella previsione all'interno dello stesso
documento di altre tipologie di rischio non conferenti rispetto alle lavorazioni programmate. Il detto giudizio
di inadeguatezza è quindi rapportato, sottolinea il ricorrente, a un presunto "spirito" delle disposizioni
normative di riferimento, senza il benchè minimo accenno alle prescrizioni normative che sarebbero state
nella specie violate.
3.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta
sussistenza, in capo ad esso ricorrente, del potere-dovere di attivarsi per impedire l'evento.
Rileva al riguardo, anzitutto, che le sentenze di merito non spiegano cosa proverebbe che, già anteriormente
all'infortunio mortale, lavorazioni analoghe o identiche fossero avvenute con modalità non conformi alle più
elementari regole di sicurezza e, in particolare, cosa dimostrerebbe che tra l'8/2/2005 (data della circolare con
la quale esso ricorrente aveva sollecitato la ditta B. al rispetto degli obblighi di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996,
art. 7) e l'(OMISSIS) (data dell'infortunio mortale) le lavorazioni di montaggio degli infissi interni, fino a
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quel momento eseguite, fossero state effettuate senza l'impiego dei ponteggi esterni, nè di altri presidi di
sicurezza.
Nè è spiegato, deduce ancora il ricorrente, cosa consentirebbe di ritenere, nonostante le indicazioni
desumibili dalle deposizioni dei testi Ma. e G., pure riportate nella sentenza di primo grado (e per ampi
stralci trascritte in ricorso), che egli fosse a conoscenza delle lavorazioni che, in seguito ad un periodo di
sospensione dei lavori da parte della ditta B., il P. avrebbe dovuto eseguire e con quali modalità. Rimarca al
riguardo che il tragico episodio si è verificato in un momento in cui la ditta B., pur dovendo ancora
completare alcuni montaggi di infissi interni, aveva sospeso i lavori, tanto che l'area di cantiere era
temporaneamente chiusa, delimitata e messa in sicurezza, e non vi era una specifica programmazione circa i
tempi in cui gli stessi sarebbero stati ripresi. Rileva quindi, in proposito, che quand'anche possa ritenersi che
il P. avesse ricevuto quella mattina l'incarico di recarsi presso il cantiere e successivamente anche quello di
provvedere al montaggio di infissi interni nella palazzina n. 40, ciò non sarebbe sufficiente a provare che egli
ne fosse informato.
3.3. Con il terzo motivo deduce ancora violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta
sussistenza di un nesso causale tra la condotta omissiva ascritta ad esso ricorrente e l'evento.
In ragione delle medesime considerazioni sopra esposte, rileva in sintesi il ricorrente che, non essendovi
prova che egli conoscesse l'ordine estemporaneo e non certo prevedibile, presuntivamente dato dal B. al
proprio dipendente la mattina del tragico incidente, quando i lavori non erano in esecuzione, ciò dovrebbe
apprezzarsi quale circostanza idonea a interrompere il nesso causale.
Soggiunge che immotivatamente la Corte d'appello ha ritenuto falsa la ricostruzione dell'accaduto resa dal
coimputato B.R., secondo il quale il lavoratore assunse nell'occasione una iniziativa autonoma,
assolutamente abnorme ed eccezionale, essendo destinato a tutt'altro incarico e che, comunque,
illogicamente, ha ritenuto tale ricostruzione non veritiera nella sola parte riguardante l'incarico dato al P. e
non anche in quella relativa al presunto appuntamento con esso ricorrente.
3.4. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla ritenuta
sussistenza dell'elemento soggettivo del reato.
Iterando censura già svolta con l'atto d'appello, di cui lamenta l'omessa considerazione, rileva il ricorrente
che, in ragione dei medesimi rilievi già sopra esposti per altri profili, la diligenza pure riconosciuta in
relazione alla fase progettuale e alla assidua presenza in cantiere e, sotto altro profilo, la consapevolezza da
parte di esso ricorrente che non vi fossero in quella data lavori da sovraintendere, nè opere da seguire presso
il lotto n. 7, avrebbero dovuto indurre a ritenerlo esente da ogni colpa, in quanto non messo in condizione di
accorgersi dell'omessa adozione delle misure precauzionali e, dunque, di intervenire.
3.5. Con il quinto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere i giudici di merito
pronunciato condanna senza rispettare il limite del "ragionevole dubbio" dettato dall'art. 533 c.p.p..
3.6. Con il sesto motivo, infine, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al
giudizio di equivalenza tra le concesse circostanze attenuanti generiche e la contestata aggravante.
Lamenta che tale giudizio è motivato dalla ritenuta esistenza di una "prassi operativa consolidata", che in
realtà non è supportata, nell'apparato argomentativo, da elementi idonei a giustificarla.
4. La Bulgarella Costruzioni S.r.l., responsabile civile, pone a fondamento del proprio ricorso due motivi.
4.1. Con il primo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'affermata responsabilità
di essa ricorrente per il reato contestato all'imputato, in difetto di un apprezzabile nesso di causalità tra la
condotta a questo attribuita e l'evento verificatosi.
Sostiene che la ricostruzione posta a fondamento del giudizio di responsabilità è sganciata dalla realtà, atteso
che, fino a quello stato di avanzamento dei lavori, gli infissi erano stati collocati in presenza di ponteggi fissi
attorno ai fabbricati e, pertanto, in condizioni di totale sicurezza.
Deduce, altresì, che, illogicamente, la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente in capo all'imputato una
posizione di garanzia rilevante nella fattispecie e ha, altresì, omesso di considerare comunque l'efficacia
interruttiva del nesso causale attribuibile alla condotta del coimputato B., avendo questi dato al proprio
lavoratore un incarico non programmato e non conoscibile da parte dell'imputato.
4.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce in subordine violazione di legge e vizio di motivazione in
relazione al denegato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 114 c.p..
Sostiene che, in ragione dei medesimi rilievi sopra esposti, il giudice a quo avrebbe dovuto riconoscere
almeno maggiore efficienza causale alla condotta dei responsabili della ditta B. e, pertanto, ridurre
proporzionalmente le conseguenze sanzionatorie, anche di carattere civile.
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5. In data 29/1/2015 l'Inail, parte civile costituita nel presente procedimento, ha depositato memoria con la
quale, sulla scorta di argomentazioni tese a evidenziare la natura meramente valutativa e di merito delle
censure proposte dal ricorrente, ha chiesto il rigetto del ricorso con le conseguenti statuizioni.
Motivi della decisione
6. I ricorsi sono fondati e meritano accoglimento.
La Corte d'appello omette di prendere in considerazione la doglianza secondo cui al momento dell'incidente i
lavori nel lotto in questione risultavano sospesi dalla ditta e non ne era programmata una ripresa, tanto meno
nel giorno dell'incidente.
La circostanza appare di rilievo centrale, posto che, se davvero fosse così (ma nulla di diverso risulta
affermato in sentenza), non è ipotizzabile un obbligo di controllo e vigilanza concretamente attivato in capo
al coordinatore per la sicurezza.
Giova rammentare che tale figura è stata introdotta per la prima volta dal D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 (di
attuazione della direttiva 92/57/CEE) - nell'ambito di una generale e più articolata ridefinizione delle
posizioni di garanzia e delle connesse sfere di responsabilità correlate alle prescrizioni minime di sicurezza e
di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili - a fianco di quella del committente, allo scopo di
consentire a quest'ultimo di delegare, a soggetti qualificati, funzioni e responsabilità di progettazione e
coordinamento, altrimenti su di lui ricadenti, implicanti particolari competenze tecniche.
La definizione dei relativi compiti e della connesse sfere di responsabilità discende, pertanto, da un lato,
dalla funzione di generale, alta vigilanza che la legge demanda allo stesso committente, dall'altro dallo
specifico elenco contenuto nel D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, a mente del quale egli è tenuto in particolare a:
"a) verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione, da parte delle imprese
esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di
coordinamento... e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro; b) verificare l'idoneità del
piano operativo di sicurezza,... e adeguare il piano di sicurezza e coordinamento e il fascicolo di cui all'art. 4,
comma 1, lett. b), in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le
proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere, nonchè verificare che le
imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza; c) organizzare tra i datori
di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonchè la
loro reciproca informazione; d) verificare l'attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al
fine di realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della
sicurezza in cantiere;
e) segnalare al committente o al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta alle imprese e ai
lavoratori autonomi interessati, le inosservanze alle disposizioni degli artt. 7, 8 e 9, e alle prescrizioni del
piano di cui all'articolo 12 e proporre la sospensione dei lavori, l'allontanamento delle imprese o dei
lavoratori autonomi dal cantiere, o la risoluzione del contratto...;
f) sospendere in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla
verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate".
Tale disciplina conferma che la funzione di vigilanza è alta e non si confonde con quella operativa
demandata ai datore di lavoro ed alla figure che da esso ricevono poteri e doveri: il dirigente ed il preposto.
Tanto è vero che il coordinatore articola le sue funzioni in modo formalizzato: contestazione scritta alle
imprese delle irregolarità riscontrate per ciò che riguarda la violazioni dei loro doveri tipici, e di quelle
afferenti all'inosservanza del piano di sicurezza e di coordinamento; indi segnalazione al committente delle
irregolarità riscontrate.
Solo in caso di imminente e grave pericolo direttamente riscontrato è consentita la immediata sospensione
dei lavori.
Appare dunque chiara la marcata diversità di ruolo rispetto al datore di lavoro delle imprese esecutrici: un
ruolo di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale stringente
vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto)(v.
in tal senso, Sez. 4, n. 18149 del 21/04/2010, Cellie, Rv. 247536; v. anche in motivazione Sez. 4, n. 1490 del
20/11/2009, dep. 2010, Fumagalli e altri; cfr. anche Sez. n. 4, n. 7443 del 17/01/2013, Palmisano, Rv.
255102, che ha nella medesima direzione precisato che "le figure del coordinatore per la progettazione
D.Lgs. n. 494 del 1996, ex art. 4, e del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, ex art. 5 stesso D.Lgs., non si
sovrappongono a quelle degli altri soggetti responsabili nel campo della sicurezza, ma ad esse si affiancano
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per realizzare, attraverso la valorizzazione di una figura unitaria con compiti di coordinamento e controllo, la
massima garanzia dell'incolumità dei lavoratori").
Si tratta, inoltre, di un compito di vigilanza che presuppone che il programma di lavori sia in fase di
esecuzione o comunque prossimo all'avvio: non si spiegherebbe altrimenti il riferimento alla verifica,
evidentemente sul campo, della corretta applicazione delle procedure di lavori, dell'idoneità del P.O.S. e al
necessario adeguamento del piano di sicurezza e cooordinamento alla "evoluzione dei lavori".
Tali obblighi, invero, presuppongono l'avvio o comunque una programmazione dei lavori tale da rendere
attuale, da un lato, l'obbligo per le imprese di adempiere agli obblighi prevenzionistici loro imposti e,
dall'altro, quello del coordinatore per la sicurezza di controllare il corretto e funzionale adempimento di tali
obblighi, in relazione alle previsione del piano; per contro una verifica in una situazione di sospensione
indeterminata dei lavori non avrebbe significato, nè riconoscibile scopo pratico.
Per converso, una estemporanea e non programmata ripresa dei lavori si pone essa stessa quale evenienza
non prevedibile da parte del coordinatore per la sicurezza, certamente non tenuto a una vigilanza di cantiere e
tale comunque da non poter essere dallo stesso impedita o prevenuta, in mancanza di poteri impeditivi o
coercitivi specifici, diversi da quelli predetti di mera segnalazione formale delle inadempienze.
7. Nella specie, se è vero che i lavori erano sospesi, non può dunque ipotizzarsi alcun obbligo, attuale e
concreto, di vigilanza la cui inosservanza possa giustificare la riconduzione causale dell'evento all'imputato.
Si rivela pertanto dirimente in tal senso la mancanza in sentenza di un accertamento idoneo a smentire
l'affermazione secondo cui l'intenzione di riprendere i lavori di collocazione degli infissi in legno nelle
villette del lotto n. 7 non era stata comunicata preventivamente all'odierno ricorrente e tale ripresa piuttosto si
pose quale frutto di una estemporanea iniziativa del datore di lavoro.
E' evidente l'importanza di tale circostanza nella ricostruzione del fatto e nella valutazione dell'ipotizzata
responsabilità e per converso il vizio di carenza motivazionale cui si espone la sentenza impugnata per avere
omesso di attentamente valutarne la sussistenza alla stregua delle emergenze in atti.
Nè può considerarsi adeguata e pertinente, rispetto alla segnalata esigenza motivazionale, l'affermazione,
basata in sentenza sulle dichiarazioni del coimputato B.R., che la mattina dell'incidente il P. avesse proprio
l'incarico di incontrarsi con l'odierno ricorrente per recarsi presso altra villetta, già consegnata all'acquirente
e ivi sostituire l'anta di una porta finestra. Anche a ritenere superabili le contestazioni svolte dal ricorrente
circa la coerenza del ragionamento probatorio della Corte (che ritiene attendibile solo tale parte della
dichiarazione del coimputato), rimane il fatto che comunque tale circostanza non esclude che il F. - in realtà,
secondo quanto incontestato in causa, non recatosi a quell'appuntamento - nulla sapesse dell'intenzione da
parte del B. di riprendere i lavori anche nel lotto n. 7.
8. Le carenze motivazionali sul punto privano, in definitiva, il discorso giustificativo di un tassello
fondamentale, con riferimento a tutte le prospettazioni accusatorie, ed impongono l'annullamento con rinvio
della sentenza impugnata, anche nei confronti della società responsabile civile, rimanendo pertanto assorbito
l'esame dei restanti motivi di impugnazione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Palermo per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2015.Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2015
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Cass. pen. Sez. IV,27-01-2015, n. 3809
3. Omicidio colposo – C.S.E. – Sussiste la responsabilità C.S.E. per non aver adempiuto agli
obbligo di vigilanza e sorveglianza – Fase di completamento dei lavori.
Svolgimento del processo
1. La Corte di Appello di Brescia ha confermato, con pronuncia emessa in data 11/12/2013, la sentenza di
condanna pronunciata nei confronti di C.D. dal Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di
Brescia in data 7/04/2012 in relazione al reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro commesso in (OMISSIS).
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2. L'infortunio era stato così ricostruito dai giudici di merito: la Ferriera Valsabbia s.p.a. aveva
commissionato alla Siemens Vai Metals Tecnologies s.r.l. la realizzazione di un nuovo impianto di
laminazione, che la Siemens s.r.l. aveva appaltato alla Somin s.r.l., la quale a sua volta aveva subappaltato i
lavori alla Morandi Marco Montaggi Industriali per la parte meccanica ed alla C.V.S. Montaggi s.r.l. per la
parte idraulica, mentre la realizzazione dell'automazione dell'impianto era affidata alla Automazioni
Industriali Capitanio s.p.a.; al momento dell'infortunio erano state realizzate tutte le opere edili, quelle
meccaniche ed idrauliche e l'automazione era in fase di completamento, mentre non risultavano realizzate le
installazioni di sicurezza; l'impianto era funzionante ma non produttivo e gli organi lavoratori e trasferitori,
benchè privi di protezione, erano azionabili; la messa a punto dell'impianto richiedeva una serie di prove di
funzionamento; il lavoratore deceduto, I.G., era dipendente della C.V.S. Montaggi s.r.l. ed era stato
incaricato insieme ad un collega, da un dipendente della Siemens Vai s.r.l., di cambiare un tubo di gomma
sotto la piattaforma del macchinario di formazione fasci; mentre eseguiva tale intervento, la macchina era
stata messa in funzione e lo aveva schiacciato contro una base in ferro posta sopra la sua testa, causandone il
decesso.
3. All'imputato era ascritto, in qualità di coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione nominato dalla
Ferriera Valsabbia s.p.a., di aver omesso nel Piano di Sicurezza e Coordinamento indicazioni specifiche circa
la fase di prove tecniche di impianto e di non aver previsto, per la fase di messa a punto dell'impianto,
particolari disposizioni e dispositivi di prevenzione e di tutela rispetto ai rischi di infortunio benchè, in quella
fase, l'impianto non disponesse ancora di un sistema di protezione collettiva dei lavoratori, non fossero state
messe in atto misure di sicurezza oggettive e collettive a tutela dei lavoratori, non fosse stata predisposta
segregazione delle aree interessate alle prove, non vi fossero segnali che indicassero l'effettuazione delle
prove, tanto meno segnali di avvertimento del pericolo, non fosse prevista, nè in essere, sorveglianza degli
accessi alle aree coinvolte dalle prove, basandosi il sistema di protezione dei lavoratori adottato solamente
sul coordinamento delle operazioni, sulla comunicazione verbale e su una verifica visiva dell'area interessata,
effettuata alle ore 14:00 e non più presidiata; nel capo di imputazione si rimproverava all'imputato, posto che
il POS della subappaltatrice C.V.S. Montaggi s.r.l. non conteneva indicazioni relative al coordinamento delle
fasi esecutive dell'opera, altresì di aver omesso, nelle riunioni di coordinamento con le imprese interessate, di
concordare un protocollo operativo condiviso per la gestione della messa in esercizio dell'impianto, in
raccordo con la direzione dei lavori e, in particolare, di fornire ai lavoratori della ditta CVS Montaggi s.r.l.
nozioni adeguate circa le figure di riferimento per i lavori ancora da realizzare e per i relativi comportamenti
da tenere in cantiere, benchè fosse previsto nel piano operativo della società Siemens che quest'ultima,
tramite il proprio responsabile di cantiere e la collaborazione del consulente esterno, curasse il
coordinamento tra le ditte subappaltatrici operanti in cantiere ed i rapporti con la direzione lavori e con il
coordinatore del committente, così provocando un tale difetto di coordinamento e di comunicazione che,
nonostante fossero previste e concordate, tra la ferriera committente e l'appaltatrice, per il 13 ottobre 2008
con inizio alle 14:00, le prime prove a caldo dell'intero impianto, che operai della CVS Montaggi s.r.l., tra
cui l'infortunato, ricevessero la disposizione di sostituire due tubi di ingranaggio posti sotto la placca di
evacuazione a valle della cesoia, dove era poi avvenuto l'infortunio, in luogo non visibile dalla cabina di
comando dalla quale era stato attivato l'impianto.
4. C.D. ricorre per cassazione censurando la sentenza impugnata con unico motivo per erronea applicazione
del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 88 (rectius art. 89), lett. a) e dell'All.
X, che definiscono il cantiere temporaneo o mobile, e per inosservanza di norme giuridiche con riferimento
all'efficacia del D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 17, entrato in vigore in epoca successiva al fatto.
Secondo il ricorrente i giudici di merito avrebbero erroneamente interpretato il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 89,
comma 1, lett. a) e l'All. X, ritenendo che la posizione di garanzia del coordinatore della sicurezza nella fase
di esecuzione perdurasse anche dopo la cessazione del cantiere temporaneo o mobile da lui coordinato. Posto
che tutte le attività lavorative elencate nell'All. X devono ritenersi assoggettate alla disciplina del Titolo 4^
del D.Lgs. n. 81 del 2008, solo laddove vengano svolte all'interno di un cantiere edile o di genio civile, nel
caso concreto sono state erroneamente ricomprese nel perimetro del cantiere temporaneo o mobile anche le
attività di taratura dell'impianto effettuate dopo la conclusione dei lavori edili o di ingegneria civile. Tutti gli
interventi sull'impianto di laminazione da realizzare dopo la fine dei lavori edili, si assume, rientravano nella
disciplina del luogo di lavoro fisso rappresentata dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, a norma del quale il
committente assume la direzione di tutte le lavorazioni strettamente connesse allo svolgimento del ciclo
produttivo, estranee al cantiere temporaneo o mobile e quindi alle competenze del coordinatore della
sicurezza in fase esecutiva. Nel ricorso si lamenta anche la violazione del precetto normativo integrativo
12
della norma sanzionatoria nel punto in cui la Corte ha citato il testo della Direttiva macchine di cui al D.Lgs.
n. 17 del 2010, nonostante il fatto sia accaduto in epoca antecedente all'entrata in vigore di tale normativa.
5. All'odierna udienza la parte civile ha depositato conclusioni scritte e nota spese.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
2. La sentenza di primo grado ha enunciato i seguenti argomenti a sostegno della ritenuta attualità della
posizione di garanzia del C. al momento dell'infortunio: l'attività di posa e regolazione delle tubazioni ed
opere idrauliche era oggetto dell'appalto in quanto parte del revamping (ossia dell'intervento di
ristrutturazione generale) dell'impianto di laminazione perchè l'opera di ammodernamento di un impianto
può dirsi completata solo ove lo stesso sia di nuovo idoneo al funzionamento, previo collaudo;
nel programma cronologico di svolgimento dei lavori erano chiaramente indicate le date in cui erano previste
le prove a caldo dell'impianto; le prove a caldo sono logicamente distinte dal collaudo, che avrebbe dovuto
seguire entro quindici giorni dal termine delle prime; il contenuto del POS della Siemens Vai Metals
Tecnologies s.r.l. rendeva evidente come l'incarico del C. si dovesse esplicare non solo con riguardo alle
opere edili ma anche con riferimento a quelle idrauliche ed elettriche; il contenuto del verbale della riunione
di coordinamento del 2 settembre 2008 evidenziava come l'imputato si ingerisse non solo nella gestione delle
opere edili ma anche nel coordinamento delle stesse con le altre opere in corso, con previsione anche della
messa in esercizio della macchina.
2.1. Riportata nel testo della pronuncia qui impugnata la parte saliente della sentenza di primo grado, la
Corte di Appello ha ulteriormente sviluppato tale punto, in replica alle analitiche e puntuali osservazioni
mosse nell'atto di gravame, ritenendo che al momento dell'infortunio il cantiere temporaneo e mobile fosse
ancora in essere sulla base delle seguenti argomentazioni: per quanto fossero state già realizzate le strutture
edili, dovevano ritenersi inquadrabili tra i lavori propri del cantiere temporaneo o mobile anche i lavori di
installazione di impianti di tipo idraulico ed elettrico, necessari per il successivo svolgimento dell'attività
produttiva della Ferriera Valsabbia; tali lavori non potevano dirsi terminati fintantochè vi fossero in cantiere
operai di varie ditte ancora impegnati in messe a punto di quegli impianti ed in verifiche del loro
funzionamento; dovevano ancora essere eseguite le prove di funzionamento a freddo e a caldo, preliminari al
collaudo, e neppure erano stati installati gli impianti di sicurezza; l'impianto non poteva, pertanto, definirsi
idoneo al funzionamento in quanto con tale locuzione s'intende un impianto pronto per l'ordinaria
utilizzazione da parte dell'impresa committente; non vi era stata alcuna comunicazione di fine lavori alla
committente da parte dell'impresa affidataria nè di cessazione del C. dall'incarico ricevuto; lo stesso imputato
mai aveva allegato tale circostanza, non desumibile dalla sua assenza dal cantiere tra la fine di settembre ed il
giorno dell'infortunio; il contenuto del Piano di Sicurezza e Coordinamento non autorizzava a concludere che
la cessazione del cantiere coincidesse con i cosiddetti "inghisaggi" (con tale termine intendendosi
l'ancoraggio del macchinario alle strutture in cemento armato) in quanto in quel documento si faceva
espresso riferimento a lavorazioni cronologicamente e logicamente successive ai progetti integrativi, quali i
montaggi degli impianti;
nel POS di Siemens Vai erano comprese le prove a freddo e a caldo e di collaudo; a norma del D.Lgs. n. 17
del 2010, art. 2, comma 2, lett. m), l'istallazione di un impianto può considerarsi conclusa quando
quest'ultimo viene messo in servizio; l'intervento del C. alla riunione di coordinamento del 2 settembre
costituiva elemento di segno contrario alla tesi difensiva, in quanto in quella sede si era espressamente
parlato della fase di messa in esercizio delle macchine e di ciò che si riteneva necessario effettuare in quel
frangente sotto il profilo della sicurezza.
2.2. A fronte di una motivazione che si presenta particolarmente analitica nell'indicare le ragioni per le quali
il giudice di merito ha ritenuto che l'infortunio si sia verificato quando il cantiere temporaneo era ancora in
essere, nel ricorso si sviluppa l'argomento secondo il quale il campo di applicazione della cosiddetta
Direttiva Cantieri (oggi confluita nel Titolo 4^ del D.Lgs. n. 81 del 2008) concerne i soli impianti
tecnologici asserviti ad opere edili o di genio civile e non anche gli impianti connessi alla produzione
industriale, agricola o servizi, da ciò desumendo che la pacifica conclusione delle opere edili sarebbe, nel
caso concreto, indicativa della cessazione della posizione di garanzia del coordinatore; per l'esecuzione dei
lavori.
3. Giova ricordare che i compiti e la funzione normativamente attribuiti a tale figura risalgono all'entrata in
vigore del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 (di attuazione della Direttiva 92/57/CEE) - nell'ambito di una
generale e più articolata ridefinizione delle posizioni di garanzia e delle connesse sfere di responsabilità
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correlate alle prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili - a
fianco di quella del committente, allo scopo di consentire a quest'ultimo di delegare, a soggetti qualificati,
funzioni e responsabilità di progettazione e coordinamento, altrimenti su di lui ricadenti, implicanti
particolari competenze tecniche. La definizione dei relativi compiti e della connessa sfera di responsabilità
discende, pertanto, da un lato, dalla funzione di generale, alta vigilanza che la legge demanda allo stesso
committente, dall'altro dallo specifico elenco, originariamente contenuto nel D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494,
art. 5, ed attualmente trasfuso nel D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 92, a mente del quale il coordinatore per
l'esecuzione è tenuto a verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione, da parte
delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel Piano di
Sicurezza e di Coordinamento (P.S.C.) e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro; a
verificare l'idoneità del Piano Operativo di Sicurezza (P.O.S.), assicurandone la coerenza con il P.S.C., che
deve provvedere ad adeguare in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute,
valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere; a verificare che le
imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi P.O.S.; ad organizzare tra i datori di lavoro, ivi
compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonchè la loro reciproca
informazione; a verificare l'attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare
il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere;
a segnalare, al committente o al responsabile dei lavori, le inosservanze alle disposizioni degli artt. 94, 95 e
96, e art. 97, comma 1, e alle prescrizioni del P.S.C., proponendo la sospensione dei lavori, l'allontanamento
delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere, o la risoluzione del contratto in caso di inosservanza;
a dare comunicazione di eventuali inadempienze alla Azienda Unità Sanitaria Locale e alla Direzione
Provinciale del Lavoro territorialmente competenti; a sospendere, in caso di pericolo grave e imminente,
direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle
imprese interessate.
3.1. Appare, dunque, chiaro che il coordinatore per l'esecuzione riveste un ruolo di vigilanza che riguarda la
generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale e stringente vigilanza, momento per momento,
demandata alle figure operative, ossia al datore di lavoro, al dirigente, al preposto (Sez.4, n. 443 del
17/01/2013, Palmisano, Rv. 255102; Sez. 4, n. 18149 del 21/04/2010, Cellie, Rv.
247536; Sez. 4, n. 1490 del 20/11/2009, dep. 2010, Fumagalli, non massimata sul punto). Ed è proprio in
relazione al primario compito di coordinamento delle attività di più imprese nell'ambito di un medesimo
cantiere, normativamente attribuito a tale figura professionale, che deve trovare fondamento la definizione
della sua posizione di garanzia nel cantiere temporaneo o mobile come positivizzata nel D.Lgs. n. 81 del
2008, art. 89, comma 1, lett. a).
3.2. Secondo tale norma, per cantiere temporaneo o mobile s'intende qualunque luogo in cui si effettuano
lavori edili o di ingegneria civile il cui elenco è riportato nell'All. X, ossia qualunque luogo in cui si
effettuano lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione, risanamento,
ristrutturazione o equipaggiamento; la trasformazione, il rinnovamento o lo smantellamento di opere fisse,
permanenti o temporanee, in muratura, in cemento armato, in metallo, in legno o in altri materiali, comprese
le parti strutturali delle linee elettriche e le parti strutturali degli impianti elettrici, le opere stradali,
ferroviarie, idrauliche, marittime, idroelettriche e, solo per la parte che comporta lavori edili o di ingegneria
civile, le opere di bonifica, di sistemazione forestale e di sterro; gli scavi, ed il montaggio e lo smontaggio di
elementi prefabbricati utilizzati per la realizzazione di lavori edili o di ingegneria civile.
3.3. Come è evidente, la lettera della legge non autorizza a ritenere che il cantiere temporaneo o mobile
debba considerarsi concluso, e che sia correlativamente esaurita la posizione di garanzia del coordinatore per
l'esecuzione, allorchè siano terminate le opere edili in senso stretto, ponendosi tale interpretazione in
contrasto tanto con la pluralità delle lavorazioni che, ordinariamente, afferiscono ai cantieri in cui si
eseguono lavori edili, e che sono agli stessi funzionali, quanto con la necessità di garantire la massima
sicurezza dei lavoratori legata al coordinamento delle diverse attività lavorative per tutto il tempo necessario
a consentire la completa esecuzione dell'opera, ancorchè i lavori edili in senso stretto siano stati terminati in
un momento antecedente.
3.4. Ciò che mantiene operante la posizione di garanzia del coordinatore per l'esecuzione non può essere
tanto il mancato completamento delle attività inerenti ai lavori edili o di ingegneria civile propriamente detti,
quanto piuttosto la persistenza di ulteriori fasi di lavorazione proprie dell'attività di cantiere nel suo
complesso. L'esecuzione di lavori edili o di ingegneria civile giova, in altre parole, a connotare, in ragione
del tipo di attività che ivi si svolge, il cantiere temporaneo o mobile, ma non è sufficiente a definire anche i
limiti spaziotemporali di tale cantiere, diversamente correlati al perfezionamento di tutte le fasi di
14
lavorazione, anche successive ai lavori edili o di ingegneria civile in senso stretto, funzionali al collaudo ed
alla consegna dell'opera.
3.5. L'interpretazione della norma suggerita nel ricorso muove, peraltro, da una premessa di fatto che non
trova corrispondenza nelle emergenze istruttorie riportate nelle sentenze di merito, sostenendosi che
l'impianto idraulico al quale era adibito il lavoratore infortunato dovesse ritenersi connesso alla produzione
industriale piuttosto che asservito ad opere edili o di genio civile e che, pertanto, le sue mansioni esulassero
dalle attività del cantiere temporaneo o mobile coordinato dall'imputato. La Corte territoriale ha, in
proposito, precisato che i lavori non potevano dirsi terminati fintantochè vi fossero in cantiere operai di varie
ditte ancora impegnati in messe a punto degli impianti idraulico ed elettrico ed in verifiche del loro
funzionamento; che dovevano ancora essere eseguite le prove di funzionamento a freddo e a caldo,
preliminari al collaudo, e neppure erano stati installati gli impianti di sicurezza; che l'impianto non poteva,
pertanto, definirsi idoneo al funzionamento in quanto con tale locuzione s'intende un impianto pronto per
l'ordinaria utilizzazione da parte dell'impresa committente.
4. Alla luce del principio interpretativo in precedenza esposto risulta, dunque, infondato l'assunto in base al
quale su C. D. non incombesse alcun obbligo di garanzia in ragione del fatto che le opere edili fossero
terminate e che, con esse, fosse cessato il cantiere temporaneo da lui coordinato, posto che l'opera alla cui
realizzazione il cantiere era preordinato non era stata consegnata al committente e nel cantiere si dovevano
ancora svolgere attività di regolazione degli impianti strumentali alle prove di funzionamento, a loro volta
preliminari al collaudo. Non risulta, peraltro, idoneo a scardinare la legittimità del provvedimento impugnato
il riferimento ad una normativa sopravvenuta al fatto (D.Lgs. n. 17 del 2010), contenuto nella sentenza al
solo fine dialettico di rafforzare gli argomenti addotti a sostegno di una determinata interpretazione della
normativa in vigore all'epoca dell'infortunio.
5. L'infondatezza del ricorso ne comporta il rigetto nonchè, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita
parte civile I.D.O., liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle
spese sostenute per questo giudizio di Cassazione e liquidate in favore della parte civile in Euro 2.500,00
oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 7 gennaio 2015.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2015
****************
B) C.S.P. E RESPONSABILE DEI LAVORI.
1. Omicidio colposo – C.S.P. – Non sussiste la responsabilità del Responsabile dei lavori nel
caso in cui non venga nominato il C.S.P. e si contestano al Responsabile dei lavori obblighi
del C.S.P – OMESSA REDAZIONE C.S.P.
Cass. pen. Sez. III,28-01-2014, n. 3717
Svolgimento del processo
1. Q.G. ha proposto tempestivo ricorso avverso la sentenza del tribunale di BENEVENTO in data
16/07/2012, depositata in data 14/09/2012, con cui il medesimo imputato è stato condannato alla pena di
3000 Euro di ammenda, oltre alle spese di giudizio, per il reato di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 4,
comma 1, e art. 21, comma 1, perchè, quale responsabile dei lavori presso un cantiere edile per la costruzione
di un'abitazione rurale e relative pertinenze agricole ubicato in loc. (OMISSIS), relativi al p.d.c. n. 13/2006
del comune di (OMISSIS), ometteva durante la progettazione dell'opera di redigere il piano di
sicurezza e coordinamento di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 12, comma 1; in (OMISSIS).
15
2. Ricorre avverso la predetta sentenza l'imputato, a mezzo del difensore - procuratore speciale cassazionista,
deducendo due motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex
art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, con un primo motivo, la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e); in sintesi, si duole il
ricorrente per l'apparenza della motivazione, non avendo il tribunale esplicitato le ragioni di fatto e
giuridiche sottese al proprio convincimento, essendosi limitato il giudice di merito a ritenere il ricorrente
responsabile in quanto, nell'ambito della qualifica rivestita, doveva considerarsi l'effettivo destinatario delle
norme antinfortunistiche che aveva eluso di fatto l'osservanza della normativa antinfortunistica, così
utilizzando mere clausole di stile ed affermazioni apodittiche, senza dare contezza alcuna delle ragioni
sottese alla propria decisione, nè dimostrazione di aver valutato il contenuto delle emergenze processuali.
2.2. Deduce, con un secondo motivo, la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b); in sintesi, si duole il ricorrente
per aver ritenuto il tribunale che egli, quale responsabile dei lavori, fosse l'effettivo destinatario della norma
in contestazione; in realtà, sarebbe stata contestata al ricorrente la violazione di una norma, il D.Lgs. n. 494
del 1996, art. 4, che prevede obblighi gravanti non sul responsabile dei lavori ma sul coordinatore per la
progettazione , sussistendo dunque per il ricorrente solo l'obbligo di trasmettere il p.s.c. e non di
redigerlo.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è fondato.
4. Ritiene il Collegio di dover affrontare in via preliminare la questione giuridica sollevata nel secondo
motivo di ricorso, rivestendo la medesima logica priorità rispetto a quella oggetto del primo motivo, vertente
su censura di tipo motivazionale.
In particolare, come anticipato il ricorrente ha censurato la decisione di condanna del tribunale che lo ha
ritenuto, quale responsabile dei lavori, effettivo destinatario della norma in contestazione; in realtà, secondo
la prospettazione difensiva, sarebbe stata contestata al ricorrente la violazione di una norma, il D.Lgs. n. 494
del 1996, art. 4, che riguarda un soggetto diverso (il coordinatore per la progettazione ), unico che
può essere chiamato a risponderne.
Il Collegio condivide quanto sostenuto dalla difesa, atteso che la norma violata (D.Lgs. 14 agosto 1996, n.
494, art. 4, recante "Attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e
di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili ", abrogato dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 304),
sotto la rubrica "Obblighi del coordinatore per la progettazione ", prevedeva al comma primo che
"Durante la progettazione dell'opera e comunque prima della richiesta di presentazione delle offerte, il
coordinatore per la progettazione : a) redige il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'art. 12,
comma 1; omissis".
Tale previsione normativa è stata replicata nel nuovo D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, (recante "Attuazione della
L. 3 agosto 2007, n. 123, art. 1, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro", in
G.U. n. 101 del 30 aprile 2008) che, infatti, all'art. 91, comma 1, sotto la rubrica "Obblighi del coordinatore
per la progettazione ", utilizza una formula identica alla norma abrogata, stabilendo che "Durante la
progettazione dell'opera e comunque prima della richiesta di presentazione delle offerte, il coordinatore
per la progettazione : a) redige il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'art. 100, comma 1, i
cui contenuti sono dettagliatamente specificati nell'allegato 15^; omissis". Tra questi, a conferma della
esclusività del compito, si segnala quanto previsto dall'Allegato 15^, punto 2.1.3. che attribuisce
inequivocabilmente al " coordinatore per la progettazione " il compito di indicare nel PSC, ove la
particolarità delle lavorazioni lo richieda, il tipo di procedure complementari e di dettaglio al PSC stesso e
connesse alle scelte autonome dell'impresa esecutrice, da esplicitare nel POS. Questa regola, peraltro, soffre
solo due eccezioni.
In primo luogo, infatti, il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90, comma 11, prevede che in caso di lavori privati non
soggetti a permesso di costruire e comunque di importo inferiore ad Euro 100.000 non si applica quanto
previsto al comma 3 del medesimo articolo; pertanto, un committente che si trovasse in questa situazione non
dovrà nominare il coordinatore per la progettazione ma, anche in tal caso non vengono meno gli
obblighi di redazione del P.S.C., e del Fascicolo dell'Opera che dovranno essere assolti dal coordinatore
per l'esecuzione dei lavori. In secondo luogo, nel caso di cui all'art. 90, comma 5 (ossia, nel caso in cui, dopo
l'affidamento dei lavori a un'unica impresa, l'esecuzione dei lavori o di parte di essi sia affidata a una o più
imprese), il compito di redigere il P.S.C., grava sul coordinatore per l'esecuzione (D.Lgs. n. 81 del 2008,
art. 92, comma 2). Non si dubita, pertanto, della natura di reato proprio della contravvenzione addebitata al
16
ricorrente, atteso che la norma sanzionatoria prevista nell'attuale D.Lgs. n. 81 del 2008, (Art. 158, rubricato
"Sanzioni per i coordinatori", così sostituito dal D.Lgs. n. 106 del 2009, art. 87) individua, al comma primo,
quale soggetto attivo del reato, il " coordinatore per la progettazione " (rectius, il coordinatore in
materia di sicurezza e di salute durante la progettazione dell'opera, secondo la definizione di cui al
D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 89, comma 1, lett. e)) assoggettandolo, in particolare, alla pena dell'arresto da tre a
sei mesi o dell'ammenda da 2.500 a 6.400 Euro (aumentata nella misura del 9,6% a decorrere dal primo
luglio 2013, per effetto del D.L. n. 69 del 2013, c.d.
decreto del fare), per la violazione dell'articolo 91, comma primo.
Ciò, si osservi, fatta eccezione per la richiamata ipotesi di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 91, comma 2.
Analogamente, l'abrogata norma sanzionatoria, contenuta nel D.Lgs. n. 494 del 1996 (art. 21, rubricata
"Contravvenzioni commesse dai coordinatori"), individuava, al comma primo, quale soggetto attivo del reato
il " coordinatore per la progettazione ", sanzionandolo con la pena dell'arresto da tre a sei mesi o con
l'ammenda da lire tre milioni a lire otto milioni per la violazione dell'art. 4, comma 1.
Diversamente, il ricorrente è stato qualificato nel capo d'imputazione e ritenuto responsabile nella sua qualità
di "responsabile dei lavori", figura individuata dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 89, comma 1, lett. e), (e, prima
ancora, contemplata nell'abrogato D.Lgs. n. 494 del 1996, all'art. 2, comma 1, lett. c), come "soggetto che
può essere incaricato dal committente per svolgere i compiti ad esso attribuiti dal presente decreto"
(definizione, oggi, più ampia e generica rispetto a quella contemplata dall'abrogato D.Lgs. n. 494 del 1996,
che invece lo indicava come il "soggetto che può essere incaricato dal committente ai fini della
progettazione o della esecuzione o del controllo dell'esecuzione dell'opera").
Al fine di rimarcare la differenza esistente tra le due figure soggettive, anche in termini di differenti posizioni
di garanzia, è poi necessario rammentare che la legge (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 90, comma 3) non solo
prevede che "nei
cantieri
in cui è prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non
contemporanea, il committente, anche nei casi di coincidenza con l'impresa esecutrice, o il responsabile dei
lavori, contestualmente all'affidamento dell'incarico di progettazione , designa il coordinatore per la
progettazione ", ma anche che, solo se il committente o il responsabile dei lavori è in possesso dei
requisiti professionali richiesti dall'art. 98, ha facoltà di svolgere le funzioni sia di coordinatore per la
progettazione sia di coordinatore per l'esecuzione dei lavori; diversamente, le due figure devono
restare separate e, quindi, per quanto qui di interesse, il responsabile dei lavori deve procedere alla
designazione nomina del coordinatore per la progettazione .
Si noti, per completezza, che la soluzione non muta nemmeno nel caso - come sembrerebbe desumersi dalla
lettura della motivazione dell'impugnata sentenza - in cui il ricorrente avesse rivestito la qualifica di
"direttore dei lavori" (e non responsabile dei lavori come indicato nell'imputazione, laddove in motivazione è
descritto con la qualifica di direttore dei lavori), in quanto tale figura, sebbene non definita dalla normativa
dettata dal D.Lgs. n. 81 del 2008, (e, prima ancora, dal D.Lgs. n. 494 del 1996), ha compiti in materia di
sicurezza ben individuati normativamente: a) anzitutto, in tema di disarmo delle armature provvisorie di cui
all'art. 142, comma 2, stabilendo la norma (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 145) che tale disarmo deve essere
effettuato con cautela dai lavoratori che hanno ricevuto una formazione adeguata e mirata alle operazioni
previste sotto la diretta sorveglianza del capo cantiere e sempre dopo che il direttore dei lavori ne abbia data
l'autorizzazione; b) in secondo luogo, quello di liquidare l'importo relativo ai costi della sicurezza previsti in
base allo stato di avanzamento lavori, previa approvazione da parte del coordinatore per l'esecuzione dei
lavori quando previsto (ALLEGATO 15^ al D.Lgs. n. 81 del 2008, punto 4.1.6).
Quest'ultimo, poi, per giurisprudenza costante, è responsabile dell'infortunio sul lavoro quando gli viene
affidato il compito di sovrintendere all'esecuzione dei lavori, con la possibilità di impartire ordini alle
maestranze sia per convenzione, cioè per una particolare clausola introdotta nel contratto di appalto, sia
quando per fatti concludenti risulti che egli si sia in concreto ingerito nell'organizzazione del lavoro (v., da
ultimo: Sez. 4, n. 49462 del 26/03/2003 - dep. 31/12/2003, Viscovo, Rv. 227070).
Nulla, tuttavia, autorizza l'estensione analogica della fattispecie astratta e di quella sanzionatola contestata
all'attuale ricorrente (D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 4, comma 1, e art. 21, comma 1), atteso che si tratta di
previsione attinente ad un soggetto dotato di qualifica ben determinata, ossia il coordinatore per la
progettazione ; diversamente, trattandosi di reato proprio, si violerebbe il divieto di analogia in materia
penale (nel caso in esame, peraltro, in malam partem), salvi i casi di concorso dell'extraneus, questione non
rilevante nel caso di specie.
5. L'accoglimento di tale motivo di ricorso, esime questa Corte dall'affrontare le censure di cui al residuo
motivo, da ritenersi assorbite.
17
L'impugnata sentenza dev'essere, pertanto, difformemente dalla richiesta del P.G., annullata senza rinvio per
insussistenza del fatto, non essendo ascrivibile il reato al responsabile dei lavori (nè, al direttore dei lavori),
ma solo al coordinatore per la progettazione (o al coordinatore per l'esecuzione nei due casi in
precedenza indicati), soggetto che non risulta, dall'impugnata sentenza, essere mai stato designato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l'impugnata sentenza perchè il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2014
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C) Committente e Datore di lavoro – inadempimento obblighi di vigilanza gravanti su di essi.
Cass. pen. Sez. IV, 04-07-2014, n. 29276
Svolgimento del processo
1. M.G., F.G., S.V. e D.F. erano tratti a giudizio, insieme con altri coimputati, davanti al Tribunale di San
Dona di Piave con l'accusa di omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro, per aver cagionato la morte dell'operaio V.D., in conseguenza di
sinistro verificatosi il (OMISSIS), nel corso delle operazioni per la posa in opera di una trave alla base
di un costruendo solaio, a causa di un'errata esecuzione della manovra di spostamento della trave
medesima, tramite una gru, dal cassone di un autocarro.
Secondo la ricostruzione dell'incidente contenuta nel capo d'imputazione il V., trovandosi sul cassone
dell'autocarro con il compito di correggere la traiettoria aerea della trave con l'uso di una fune, veniva colpito
e schiacciato da pezzi del solaio colpito dalla trave medesima, ivi sospinta per una manovra di emergenza del
gruista, a sua volta indotta dal fatto che la trave, imbracata in quattro soli punti fissi, anzichè negli otto
previsti, e in assenza delle due funi di sicurezza, aveva perso l'equilibrio.
Tale evento era ascritto a ciascuno dei predetti imputati, secondo rapporto di causalità omissiva e con
addebito di colpa generica e specifica, contestandosi in particolare:
- a M.G., quale legale rappresentante della Chiara costruzioni S.r.l., società proprietaria del cantiere edile e
committente dei lavori in questione, la violazione del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, art. 6, per non aver
provveduto, tramite opportune azioni di coordinamento e di controllo, alla applicazione delle disposizioni del
piano di sicurezza e coordinamento e alla verifica della correttezza delle procedure di lavoro;
- a F.G., quale legale rappresentante della G.P. S.r.l., società appaltatrice dei lavori edili nel suddetto
cantiere, la violazione del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 186, per non aver provveduto ad evitare il
passaggio di carichi sospesi sopra i lavoratori, nonchè la violazione del cit. D.P.R., art. 181, per non aver
provveduto a che fosse effettuata idonea imbracatura del carico prevista dal costruttore onde evitarne la
caduta;
- a S.V., quale legale rappresentante della SCAGNETTO S.r.l., subappaltatrice dei lavori di montaggio di
strutture prefabbricate mediante propria gru e proprio gruista, la violazione del D.P.R. n. 547 del 1955, art.
181 citato per non aver verificato che fosse effettuata l'imbracatura come sopra indicata;
- a D.F., quale coordinatore per l'esecuzione dei lavori, la violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 5, n. 1,
lett. f), per non avere disposto la sospensione dei lavori eseguiti in difformità delle disposizioni di sicurezza.
2. Con sentenza del 17/2/2010 il Tribunale di San Dona di Piave riconosceva la responsabilità di tutti i
predetti imputati e li condannava, ciascuno, alla pena di un anno di reclusione - pena dichiarata condonabile,
una volta intervenuto il passaggio in giudicato della sentenza - oltre che al pagamento, in solido, delle spese
processuali e al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separato giudizio,
ma anticipato da provvisionale.
Alla luce delle valutazioni del consulente tecnico del PM e delle dichiarazioni dei testi escussi, riteneva il
primo giudice che l'incidente mortale si era verificato in quanto:
a) la trave doveva essere collegata ad una catena centrale, a sua volta posizionata sulla gru, attraverso 14
punti di ancoraggio (sette per lato), invece ne erano fissati solo 4 (due per lato);
b) dovevano essere impiegati due operai per dirigere, da terra - con delle funi legate alla trave, distinte da
quelle di aggancio - la messa in posa della stessa, mentre, nel caso concreto, la trave era stata governata
soltanto dalla vittima che, operando, come detto, dal cassone dell'autocarro, si trovava nel raggio d'azione del
carico pendente;
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c) la trave era giunta in cantiere non matura al punto giusto per la posa in opera: condizione che, tuttavia,
sarebbe stata in sè irrilevante se, come indicato dalla ditta produttrice, la stessa fosse stata posta in opera
agganciandola nei previsti 14 punti;
d) il manufatto, una volta sollevato dal cassone e movimentato per la posa in opera, subiva una flessione al
centro, formando una "pancia" che poi è "scoppiata".
In definitiva, secondo il Tribunale, era stato il peso della trave, non avendo la stessa raggiunto il giusto
livello di indurimento, a farla cedere una volta che la stessa era stata sospesa in aria.
Tanto accertato in punto di fatto, con specifico riferimento alla posizione degli odierni ricorrenti rilevava il
primo giudice, a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità, che:
- lo S., legale rappresentante della ditta fornitrice della gru e del gruista, avrebbe dovuto verificare le
condizioni di sicurezza nelle quali operava un suo dipendente;
- il F., legale rappresentante della ditta appaltatrice dei lavori, alle dipendenze della quale lavorava la vittima,
non poteva ignorare quali fossero le norme di sicurezza, in considerazione del fatto che il D., coordinatore
dell'esecuzione dei lavori, aveva formalmente contestato le modalità di messa in opera delle lastre;
- il D., avendo sottolineato come l'attività venisse eseguita in spregio di ogni minima sicurezza, era
certamente a conoscenza della sistematica violazione delle norme di sicurezza e aveva pertanto l'obbligo di
fermare il cantiere;
- il M., legale rappresentante della società proprietaria del cantiere e committente dei lavori, pur essendo
stato informato dal coordinatore per l'esecuzione dei lavori che questi non venivano eseguiti in modo
corretto, ometteva di rimuovere il D. dal predetto incarico e di interessarsi personalmente a sanare la
situazione, limitandosi a ribadire la competenza del D. in ordine alla sicurezza dei lavori.
3. Interposto gravame da parte di tutti gli imputati, la Corte d'Appello di Venezia, con la sentenza in epigrafe,
disattese le censure proposte in punto di affermazione della responsabilità penale, in accoglimento della
subordinata doglianza dello S. oltre che di altro imputato (non ricorrente), riconosceva gli stessi meritevoli
della concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante e,
conseguentemente, dichiarava estinti per intervenuta prescrizione i reati agli stessi ascritti, revocando nei
loro confronti anche le statuizioni civili.
Confermava, invece, per gli altri, la sentenza impugnata, concedendo a M.G. la sospensione condizionale
della pena e revocando nei suoi confronti il già concesso indulto.
4. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso tutti i predetti imputati, per mezzo dei rispettivi difensori.
4.1. La difesa di M.G. articola cinque motivi.
4.1.1. Con il primo lamenta carenza di motivazione in ordine all'implicito rigetto del primo motivo d'appello,
con il quale era stata eccepita la nullità del decreto che dispone il giudizio, ai sensi dell'art. 429 c.p.p.,
comma 2, per la non chiara e precisa enunciazione del fatto contestato e, segnatamente, della condotta
omissiva addebitata al M., soprattutto in ragione della ricostruzione della dinamica e delle cause del sinistro
operata in sentenza in modo difforme rispetto a quelle ipotizzate dal pubblico ministero nel capo
d'imputazione, sulla scorta della svolta consulenza tecnica.
4.1.2. Con il secondo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di affermazione della penale
responsabilità.
Rileva in sintesi che la Corte d'appello erroneamente attribuisce al M. una posizione di garanzia stante
l'affidamento di compiti di gestione e controllo della sicurezza del cantiere ad altro soggetto ( D.F.),
effettuato - come riconosciuto in sentenza - con "delega valida e operativa".
Quest'ultimo peraltro - sottolinea il ricorrente - rilevata una situazione di violazione delle previsioni del POS,
aveva rassegnato le proprie dimissioni, ritirandole tuttavia dopo le sollecitazioni indirizzate dalla società
committente, Chiara costruzioni S.r.l., di cui il M. era legale rappresentante, alle imprese impegnate in
cantiere; sollecitazioni a seguito delle quali, il 7/3/2003, lo stesso coordinatore registrò una situazione di
conformità al piano di sicurezza, tranquillizzando, quindi, la committente al riguardo.
Ciò - secondo il ricorrente - avrebbe dovuto condurre i giudici di merito a ritenere incolpevole il M., avendo
egli, per il tramite del coordinatore, assolto ai propri obblighi preventivi di controllo e coordinamento e
avendo legittimamente ritenuto che le funzioni di coordinamento fossero svolte con serietà e competenza dal
D..
Sotto altro profilo rileva che comunque non risulta dimostrato che, anche a voler ritenere sussistente una
posizione di garanzia in capo al M., la sua eventuale presenza in cantiere avrebbe evitato l'evento.
Ciò anche a motivo delle incertezze e degli errori in cui, secondo il ricorrente, incorre la sentenza nella
ricostruzione dell'incidente, al qual riguardo in particolare rileva che: 1) non risulta verificato se al momento
dell'incidente la trave fosse già matura o meno, laddove tale accertamento - secondo il ricorrente - era di
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fondamentale importanza, atteso che la maturazione della trave era condizione necessaria per la sua sicurezza
e stabilità; 2) erroneamente i giudici di merito hanno ritenuto che la trave fosse ancorata a soli quattro punti,
avendo invece il consulente del PM rilevato che la stessa era ancorata ad otto punti; 3) lo stesso consulente
del PM aveva peraltro precisato che "non sono i punti che hanno determinato l'incidente", ma "un'errata
manovra del gruista".
4.1.3. Con il terzo motivo la difesa del M. deduce ancora violazione di legge e vizio di motivazione in
relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato contestato.
Sulla base in buona sostanza delle stesse considerazioni già sopra svolte in punto di nesso causale, rileva il
ricorrente che avrebbe dovuto ritenersi inesigibile una diversa osservanza della norma cautelare e,
comunque, inevitabile l'evento, mancando di contro nella sentenza impugnata un'adeguata motivazione a
fondamento della ritenuta rimproverabilità dell'evento al M..
4.1.4. Con il quarto motivo si deduce ancora violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione in
ordine alla quantificazione della pena.
Lamenta al riguardo il ricorrente che i giudici di merito hanno applicato a tutti gli imputati, indistintamente,
la pena di un anno di reclusione, senza distinguere in alcun modo l'eventuale apporto causale che le diverse
condotte hanno avuto, nè il grado della colpa a ciascuno addebitabile e senza, comunque, indicare gli
elementi ritenuti rilevanti e determinanti ai sensi dell'art. 133 c.p..
4.1.5. Con il quinto motivo, infine, il ricorrente deduce violazione di legge e carenza di motivazione in
ordine alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
Lamenta che la Corte d'appello non ha in alcun modo motivato sul punto, nonostante la questione formasse
oggetto di specifico motivo di gravame: vizio tanto più rimarchevole - sottolinea - considerato che la Corte
territoriale ha invece riconosciuto la prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante agli
imputati Leone e S., in considerazione dell'assenza di precedenti penali a carico degli stessi, che è però
condizione che connota anche il M., anch'egli incensurato.
Soggiunge al riguardo che con l'atto d'appello si era rilevato, in difesa del M., che il Tribunale aveva ritenuto
non concedibili le circostanze attenuanti generiche facendo generico rimando alla gravità del fatto, senza
però al riguardo tener conto della natura colposa del reato ascritto e dell'incertezza circa l'esigibilità del
comportamento del M. rispetto all'evento verificatosi. Su tale motivo di gravame, lamenta il ricorrente, il
giudice di secondo grado ha omesso qualsiasi motivazione.
4.2. Il difensore di F.G. deduce a fondamento del proprio ricorso tre motivi.
4.2.1. Con il primo deduce carenza e/o contraddittorietà della motivazione, anche per travisamento della
prova.
Lamenta che la Corte d'appello ha omesso di descrivere compiutamente e in modo specifico, rispetto alle
singole posizioni, la condotta posta a fondamento del giudizio di penale responsabilità, omettendo così di
rispondere alla censura al riguardo mossa con l'atto d'appello, in particolare con riferimento alla
individuazione della posizione di garanzia ritenuta in capo al F..
Rileva al riguardo che: a) la vittima era stata erudita ed attrezzata, a nulla rilevando che i punti di aggancio
non fossero quelli proposti; b) era emerso in dibattimento il rispetto del D.Lgs. n. 494 del 1996 con la
nomina del responsabile della sicurezza.
4.2.2. Con il secondo motivo, lamenta che la Corte d'appello, nell'avallare la ricostruzione causale del
sinistro quale operata dal primo giudice, ha iterato lo stesso vizio di travisamento di prova già denunciato
con l'atto d'appello, consistente nell'aver fondato tale ricostruzione sulla consulenza tecnica del P.M. pur
considerandola affetta da vizio genetico e non rimediabile trattandosi di attività non ripetibile.
Sostiene che tale limite della consulenza, piuttosto che esser ritenuto irrilevante, avrebbe dovuto portare a
prendere nella dovuta considerazione tutte le plausibili ipotesi alternative.
4.2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l'immotivato diniego delle attenuanti generiche.
4.3. Il difensore di S.V. svolge a fondamento del proprio ricorso due motivi.
4.3.1. Con il primo deduce violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza a carico del predetto di
una posizione di garanzia discendente dalle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, assumendo
che invece la stessa andava esclusa essendosi la società di cui egli è legale rappresentante limitata a fornire
ad altra impresa la gru e il relativo operatore in virtù di un contratto non di appalto, ma di noleggio, sub
specie di "nolo a caldo".
Rileva che, come riconosciuto in un caso analogo da questa S.C. (Sez. 4, n. 23604 del 05/03/2009, Cossi e
aa., Rv. 244216), mentre con riferimento al contratto di appalto la normativa sulla prevenzione degli
infortuni pone a carico dei due imprenditori coinvolti nel lavoro obblighi di coordinamento della loro attività
al fine di organizzare ed attuare le misure di prevenzione degli infortuni, anche attraverso un'opera di
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informazione dei lavoratori dei rischi a cui sono esposti (D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, comma 2, ora D.Lgs.
n. 81 del 2008, art. 26), nel caso di nolo a caldo tali obblighi non sussistono, il noleggiatore non concorrendo
all'organizzazione del lavoro e perciò non essendo tenuto al coordinamento delle attività in funzione
dell'attuazione delle misure di prevenzione.
Soggiunge che di contro non può assumere rilievo il principio affermato dalla successiva pronuncia di questa
S.C. (Sez. 4, n. 14413 del 24/01/2012 - dep. 16/04/2012, Cova e altri, Rv. 253300), atteso che, in base a tale
principio, non in contraddizione con quello di cui all'arresto precedente, il noleggiatore è bensì da ritenere
titolare di una posizione di garanzia la quale, tuttavia, resta circoscritta alla res oggetto del contratto di
noleggio e non può estendersi oltre l'ambito oggettivo del contratto medesimo.
Nella specie, pertanto, secondo il ricorrente, non è corretta l'affermazione della Corte territoriale secondo cui
il noleggiatore aveva comunque l'obbligo di verificare che il gruista operasse nel rispetto delle regole di
sicurezza.
Evidenzia al riguardo che la gru fornita era perfettamente funzionante, verificata e collaudata; tutte le
operazioni di carico/scarico dei manufatti sono state svolte soltanto secondo le direttive impartite dalla
società G.P., che aveva preso a noleggio la gru.
4.3.2. Con il secondo motivo deduce carenza e contraddittorietà della motivazione per avere la Corte
territoriale, da un lato, rimproverato allo S. di non aver scelto un gruista "dotato di idonea esperienza ed
incline al rispetto di tutte le fondamentali regole di sicurezza da osservare durante le manovre della gru", e
ciò senza indicare il fondamento probatorio di tale convincimento, dall'altro, esaminando proprio la
posizione del gruista, affermato al contrario che proprio per la sua "particolare esperienza" era maggiormente
esigibile un comportamento più diligente e prudente da parte dello stesso ed, inoltre, in altra parte ancora
della sentenza, affermato che non si può imputare allo S. l'eventuale errore di manovra del gruista,
riconoscendo peraltro che sul verificarsi di tale errore "durante l'istruttoria, sono emersi concreti dubbi".
4.4. Il difensore di D.F., infine, articola a fondamento del proprio ricorso due motivi.
4.4.1. Con il primo denuncia mancanza di motivazione in merito al diniego di concessione delle attenuanti
generiche, che assume essere state, invece, contraddittoriamente riconosciute, con irragionevole disparità di
trattamento, in favore di altri due imputati.
4.4.2. Con il secondo deduce violazione di legge in relazione alla mancata declaratoria di estinzione del reato
per prescrizione.
Sostiene che il termine prescrizionale da osservare nel caso di specie è pari a sette anni e che pertanto, pur
prorogato per effetto degli eventi interruttivi, lo stesso avrebbe dovuto essere considerato già maturato al
momento della pronuncia della sentenza impugnata.
Motivi della decisione
5. Procedendo in ordine logico all'esame delle questioni poste dal ricorso proposto dal difensore di M.G.,
deve anzitutto rilevarsi la manifesta infondatezza di quella prospettata nel primo motivo.
5.1. Mette conto in proposito rammentare che, ai sensi dell'art. 429 c.p.p., comma 1, lett. c) e comma 2, la
nullità del decreto che dispone il giudizio per omessa "enunciazione in forma chiara e precisa del fatto, delle
circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con
l'indicazione del relativo articolo di legge" può configurarsi solo quando non contenga l'indicazione dei tratti
essenziali del fatto di reato attribuito, dotati di adeguata specificità, in modo da consentire all'imputato di
difendersi, non essendo invece necessaria un'indicazione assolutamente dettagliata dell'imputazione (Sez. 2,
n. 16817 del 27/03/2008 - dep. 23/04/2008, Muro e altri, Rv. 239758).
Nel caso di specie non è certamente predicabile un tale radicale difetto contenutistico nell'ampio e articolato
capo di imputazione per il quale è stato emesso decreto che dispone il giudizio, non potendo in particolare
assumere rilievo a tal fine la parzialmente diversa ricostruzione della dinamica dell'incidente cui è pervenuto
il giudice di primo grado all'esito dell'istruzione dibattimentale, sia perchè in realtà perfettamente fisiologica
e rientrante nei poteri attribuiti al giudice del merito, sia perchè al più eventualmente suscettibile di profilare,
in astratto, non certo un motivo di nullità del decreto che dispone il giudizio ma, semmai, un difetto di
correlazione tra l'accusa la sentenza: vizio non specificamente dedotto tra i motivi di ricorso e, comunque,
certamente anch'esso insussistente nella specie trattandosi di profili - quelli che hanno condotto a una
parzialmente diversa ricostruzione del fatto - ampiamente trattati nel corso del giudizio e non suscettibili
pertanto di determinare alcuna violazione del diritto di difesa (v. e pluribus Sez. U. n. 36551 del 15/07/2010,
Carelli, Rv. 248051; Sez. 4, n. 10103 del 15/01/2007, Granata, Rv.
21
236099; Sez. 2, n. 46242 23/11/2005, Mignatta, Rv. 232774; Sez. 4, n. 2393 del 17/11/2005, Tucci, Rv.
232973; n. 47365 del 10/11/2005, Codini, Rv. 233182; n. 41663 del 25/10/2005, Canonizzo, Rv. 232423;
n. 38818 del 4/5/2005, De Bona, Rv. 232427; Sez. 1, n. 4655 del 10/12/2004, Addis, Rv. 230771).
5.2. Sul tema, peraltro, appare preliminare e assorbente il rilievo per cui l'ipotizzata nullità del decreto di
citazione a giudizio per insufficiente determinazione del fatto ex art. 429 c.p.p., comma 1, lett. c), e comma
2, non integra comunque una nullità di ordine generale a norma dell'art. 178 c.p.p., ma rientra tra quelle
relative di cui all'art. 181 c.p.p., con la conseguenza che essa non può essere rilevata d'ufficio, ma deve
essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall'art. 491 c.p.p. (Sez. 6, n. 50098 del
24/10/2013 - dep. 12/12/2013, C, Rv. 257910; Sez. 5, n. 20739 del 25/03/2010 - dep. 01/06/2010, Di Bella,
Rv. 247590; Sez. 5, n. 712 del 20/11/2009 - dep. 11/01/2010, L, Rv. 245734; Sez. 6, n. 1175 del 09/03/2000
- dep. 21/03/2000, Tancredi ed altro, Rv.
217123).
Tale tempestiva eccezione non risulta essere stata nella specie proposta, con la conseguenza che l'ipotizzata
(ma comunque, come detto, certamente non ravvisabile) nullità dovrebbe in ogni caso ritenersi sanata.
6. Sono altresì infondati i restanti motivi del ricorso proposto in difesa del M., impingenti (il secondo e il
terzo) l'affermazione della penale responsabilità e (il quarto e il quinto) la concessione delle attenuanti
generiche e la dosimetria della pena.
6.1. Riguardo al primo tema (quello investito dal secondo e dal terzo motivo di ricorso) la Corte territoriale
motiva, infatti, adeguatamente e in modo conforme al diritto il proprio convincimento, non valendo, di
contro, le censure svolte dal ricorrente, a palesare profili di manifesta illogicità: sia sul piano della
individuazione di una attuale e rilevante posizione di garanzia in capo al prevenuto; sia su quello
dell'accertamento di un nesso causale tra la violazione degli obblighi connessi a tale posizione e l'evento; sia,
correlativamente, con riferimento alla imputabilità soggettiva dell'evento medesimo.
6.1.1. Con riferimento anzitutto alla posizione di garanzia, giova rammentare che con il D.Lgs. 14 agosto
1996, n. 494, di attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di
salute da attuare nei cantieri
temporanei o mobili - diversamente dalle altre fonti che compongono
il quadro normativo di riferimento in tema di sicurezza nel lavoro (D.P.R. n. 547 del 1955, D.P.R. n. 164 del
1956, D.P.R. n. 302 del 1956, D.P.R. n. 303 del 1956, D.Lgs. n. 626 del 1994), in relazione alle quali la
giurisprudenza di legittimità in precedenza escludeva, anche nel contesto dell'attività cantieristica, che il
committente potesse rispondere delle inadempienze prevenzionistiche verificatesi nell'approntamento del
cantiere e nell'esecuzione dei lavori, salvo che non si ingerisse nell'esecuzione dei lavori o privasse
l'appaltatore di autonomia tecnica o operativa nell'attuazione delle misure di prevenzione degli infortuni - la
figura del committente trova esplicito riconoscimento e definizione ("il soggetto per conto del quale l'intera
opera viene realizzata": art. 2, comma 1, lett. b) e ne vengono esplicitati gli obblighi (art. 3).
L'individuazione di tale peculiare figura di garante è coerente con la complessiva configurazione del sistema
di protezione in materia di sicurezza sul lavoro, che tende a connettere la sfera di responsabilità con il ruolo
esercitato da alcune figure che tipicamente intervengono nell'ambito delle varie attività lavorative.
Normalmente la figura di vertice della sicurezza è costituita dal datore di lavoro che, come è noto, è
individuato non solo nel titolare del rapporto di lavoro, ma anche nel soggetto che ha la responsabilità
dell'impresa, ed è quindi chiamato a compiere le più importanti scelte di carattere economico, gestionale ed
organizzativo e ne porta le connesse responsabilità.
E' quindi razionale che, nel diverso contesto dell'attività cantieristica di cui qui si tratta, emerga anche la
figura del committente, che è il soggetto che normalmente concepisce, programma, progetta, finanzia l'opera.
Tale ruolo giustifica l'attribuzione di una sfera di responsabilità per ciò che riguarda la sicurezza e la
conseguente assegnazione del ruolo di garante.
La legge, infatti, gli attribuisce alcuni obblighi sia nella fase progettuale che in quella esecutiva, destinati ad
interagire e ad integrarsi con quelli di altre figure di garanti legali.
Il committente infatti (in mancanza del responsabile dei lavori), nella fase di progettazione esecutiva
dell'opera, ed in particolare al momento delle scelte tecniche, nell'esecuzione del progetto e
nell'organizzazione delle operazioni di cantiere, è tenuto - tra l'altro, per quel che maggiormente qui interessa
- a:
- attenersi ai principi e alle misure generali di tutela di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 3;
- determinare la durata dei lavori o delle fasi di lavoro che si devono svolgere simultaneamente o
successivamente tra loro, al fine di permettere la pianificazione dell'esecuzione in condizioni di sicurezza
(art. 3, comma 1);
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- valutare i documenti di cui all'art. 4, comma 1, lett. a) e b) (ossia, il piano di sicurezza e di coordinamento
di cui all'art. 12 e il piano generale di sicurezza di cui all'art. 13 (la cui redazione grava sul coordinatore per
la progettazione), nonchè il fascicolo contenente le informazioni utili ai fini della prevenzione e protezione
dai rischi cui sono esposti i lavoratori, tenendo conto delle specifiche norme di buona tecnica e dell'allegato 2
al documento U.E. 260/5/93) (art. 3, comma 2);
- comunicare alle imprese esecutrici e ai lavoratori autonomi il nominativo del coordinatore per la
progettazione e quello del coordinatore per l'esecuzione dei lavori (art. 3, comma 6);
- verificare l'idoneità tecnico-professionale delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione ai
lavori da affidare (comma 8).
Inoltre, il D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 6, comma 2, come sostituito dal D.Lgs. 19 novembre 1999, n. 528, art.
6, costituisce chiaramente il committente quale garante dell'effettività dell'opera di coordinamento posta in
capo ai coordinatori per la progettazione e per la esecuzione. E' previsto infatti che "la designazione del
coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l'esecuzione, non esonera il committente o il
responsabile dei lavori dalle responsabilità connesse alla verifica dell'adempimento degli obblighi di cui
all'art. 4, comma 1, e art. 5, comma 1, lett. a)".
In forza di tale norma, la nomina di un coordinatore per l'esecuzione dei lavori non può esonerare da
responsabilità il committente (o il responsabile dei lavori), nè per ciò che riguarda la redazione del piano di
sicurezza e del fascicolo per la protezione dai rischi cui si è già fatto cenno, nè - quel che maggiormente qui
interessa - per ciò che attiene alla vigilanza sul coordinatore, in ordine allo svolgimento dell'attività di
coordinamento e controllo circa l'osservanza delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di
coordinamento e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro.
Orbene, non può dubitarsi che una tale congerie di doveri imposti a carico del committente dalle norme
menzionate (ora trasposte in termini coincidenti nel Testo unico per la sicurezza del lavoro di cui al D.Lgs. 9
aprile 2008, n. 81), tanto più in quanto nel caso di specie non schermati dalla nomina di un responsabile dei
lavori, configuri a carico dello stesso una posizione di garanzia rilevante ai fini della imputazione oggettiva,
secondo lo schema della causalità omissiva, del tragico evento de quo.
In particolare, non può negarsi che l'obbligo gravante sul committente di vigilanza sulle attività di
coordinamento e controllo spettanti al coordinatore per l'esecuzione dei lavori sia rimasto gravemente
inadempiuto.
Giova al riguardo anzitutto rimarcare che, come questa S.C. ha avuto modo di evidenziare, in virtù della
citata previsione di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 6, comma 2, al committente (o in sua vece al
responsabile dei lavori) non è attribuito dalla legge il compito di verifiche meramente formali, ma una
posizione di garanzia particolarmente ampia, comprendente l'esecuzione di controlli sostanziali ed incisivi su
tutto quel che concerne i temi della prevenzione, della sicurezza del luogo di lavoro e della tutela della salute
del lavoratore, accertando, inoltre, che i coordinatori adempiano agli obblighi sugli stessi incombenti in detta
materia (v.
Sez. 4, n. 14407 del 07/12/2011 - dep. 16/04/2012, P.G. e P.C. in proc. Bergamelli, Rv. 253294, la quale ha
escluso in particolare che le verifiche di cui al D.Lgs. n. 496 del 1996, art. 4 abbiano carattere formale,
affermando che la mancata esecuzione dell'analisi dei rischi e l'omessa previsione di misure di sicurezza per
l'esecuzione dei lavori incidono sulla posizione del committente in relazione sia alla scelta dei tecnici
incaricati della redazione del piano, sia agli obblighi allo stesso imposti di accertare che detti tecnici si
fossero adeguatamente fatti carico dei temi della prevenzione, della sicurezza e della tutela della salute del
lavoratore; v. anche Sez. 4, n. 46839 del 02/11/2011 - dep. 19/12/2011, Medi e altri, Rv. 252143, secondo cui
"in tema di infortuni sul lavoro, il responsabile dei lavori edili, in virtù del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 6,
comma 2, nel testo risultante a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 528 del 1999, art. 6, è tenuto a
svolgere una funzione di super-controllo, verificando che i coordinatori adempiano agli obblighi su di essi
gravanti, ed in particolare non solo deve assicurare ma anche verificare l'applicazione, da parte delle imprese
esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento,
nonchè la corretta applicazione delle procedure di lavoro").
E' stato al riguardo in particolare evidenziato che, con la segnalata modifica del D.Lgs. n. 626 del 1994, art.
6, "ai fini dell'attuazione della direttiva 92/57/ CEE in materia delle prescrizioni di sicurezza e di salute da
osservare nei cantieri
temporanei o mobili , il legislatore del 1999 ha ritenuto opportuno, non
solo delineare in termini più specifici gli obblighi dei committenti e dei responsabili dei lavori ma anche
ampliarne il contenuto statuendo che essi sono tenuti a svolgere una funzione di super-controllo, verificando
che i coordinatori adempiano agli obblighi su loro incombenti qua è quello consistente, non solo
nell'assicurare - come nel testo normativo originario - ma anche nel verificare l'applicazione, da parte delle
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imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di
coordinamento di cui all'art. 12 nonchè la corretta applicazione delle procedure di lavoro.
... Nè al fine di accertare se il coordinatore abbia rilevato o meno l'eventuale omessa osservanza delle
prescrizioni contenute nel piano di sicurezza occorrono particolari competenze specifiche, trattandosi di un
mero raffronto tra ciò che è stato eseguito e ciò che, in base alle prescrizioni contenute nel piano di sicurezza,
doveva essere compiuto" (Sez. 4, n. 46839 del 2011, Medi e altri, cit., in motivazione).
Alla luce di tali indicazioni, non può non rilevarsi che proprio lo scambio epistolare segnalato dal ricorrente,
intervenuto tra il coordinatore per la sicurezza e la società committente poco tempo prima del tragico
occorso, lungi dal dimostrare l'adempimento da parte del committente degli obblighi a suo carico derivanti
dalle ricordate norme, lascia emergere un atteggiamento meramente formale, inappropriato e incoerente
rispetto alle finalità ad esse sottese.
Come segnalato in ricorso, infatti, era accaduto che il coordinatore per la sicurezza con nota del 26/02/2003
aveva comunicato al committente le proprie dimissioni da tale incarico, motivate dalla mancata
presentazione da parte delle ditte operanti nel cantiere della documentazione richiesta e, soprattutto, per quel
che in questa sede interessa, dall'avere egli riscontrato che il personale presente in cantiere teneva un
comportamento negligente e noncurante nei confronti anche delle più elementari norme di sicurezza (lo
stesso ricorrente evidenzia che il capo cantiere aveva pochi giorni prima segnalato al coordinatore che le
piastre fornite dalla MA.BO. - una delle quali pochi giorni dopo si sarebbe rivelata fatale proprio a causa
dell'insufficiente numero di funi che la agganciavano alla gru - avevano i fori d'aggancio ostruiti).
In riscontro a tale comunicazione, con nota del 28/2/2003, la società committente, e per essa il suo legale
rappresentante odierno ricorrente, informava il coordinatore dimissionario che le squadre presenti in cantiere
erano state "richiamate ad un atteggiamento di collaborazione". Il tenore di tale comunicazione, e soprattutto
il fatto che la stessa è pervenuta appena due giorni dopo la precedente comunicazione del coordinatore,
rendono del tutto ragionevole la presunzione sottesa alla decisione impugnata che l'intervento della
committente sia rimasto limitato nell'ambito di un mero formale richiamo, non seguito da una verifica diretta
sui luoghi dell'effettiva incidenza dello stesso e, comunque, della misura e della costanza in cui le ditte
operanti in cantiere si fossero di fatto determinate alla puntuale osservanza delle prescrizioni del piano di
sicurezza. A tal fine, considerato il descritto contenuto degli obblighi imposti al committente, non poteva lo
stesso ritenersi sollevato dall'obbligo di provvedere a una più puntuale e, soprattutto, diretta verifica, dal fatto
che, come ancora segnalato dal ricorrente, successivamente a tale comunicazione, il coordinatore per la
sicurezza avesse revocato le dimissioni e, in data 7/3/2003 (appena cinque giorni prima del sinistro), avesse
annotato nel registro di coordinamento, in termini evidentemente generici, il riscontro di "una situazione
conforme, nell'esecuzione delle lavorazioni, alle prescrizioni del piano di sicurezza".
6.1.2. Quanto al nesso causale, non può negarsi che proprio l'inosservanza dell'obbligo predetto, da un lato,
abbia avuto significativa incidenza nella sequenza che ha condotto al tragico evento, come è possibile
agevolmente cogliere, con giudizio controfattuale, ove si consideri che un corretto e attento adempimento di
un tale obbligo avrebbe potuto avere l'effetto di attivare e sollecitare il coordinatore ad un più costante
controllo della osservanza del piano di sicurezza e della correttezza delle procedure di lavoro; dall'altro,
avrebbe con ogni probabilità consentito di verificare la persistenza di quel difetto già poco tempo prima
segnalato delle lastre fornite dalla ditta MA.BO. (ostruzione dei fori di aggancio) che, come detto, si sarebbe
rivelato fatale di lì a pochi giorni.
Considerato, infatti, che, come detto, tale problema era stato espressamente segnalato dal capo cantiere non
più di due settimane prima, è più ragionevole presumere, in mancanza di univoche indicazioni di segno
contrario, che si trattasse di vizio strutturale destinato quindi a ripresentarsi, piuttosto che di occasionale e
imprevedibile vizio legato a isolata contingenza lavorativa.
Che poi in ciò si sia annidato il momento causale determinante dell'evento è motivato del tutto congruamente
dai giudici di merito e in particolare nella sentenza di primo grado (come noto idonea a integrare quella di
secondo grado per il principio della c.d. doppia conforme), nella quale invero si argomenta in modo
logicamente ineccepibile e, quindi, incensurabile in questa sede, il convincimento - in questa parte
discordante dalla ricostruzione ipotizzata dal consulente del PM - secondo il quale la trave fosse in realtà
ancorata non su 8 punti (4 per lato) ma solo su 4 (2 per lato), facendo leva sulle indicazioni dello stesso
gruista.
Altrettanto congruamente motivata è poi la valutazione secondo la quale la presumibile mancata completa
essiccazione della trave, e il suo non essere dunque sufficientemente matura, non ha comunque assunto
rilievo decisivo nella causazione del sinistro, atteso che, anche in tali condizioni, se fosse stata agganciata nei
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14 punti previsti (7 per lato) dal piano di sicurezza, non sarebbe potuta collassare o, quanto meno, non con le
conseguenze tragiche che invece il suo cedimento ha avuto nell'occorso.
Il richiamo, da parte del ricorrente, di tali temi istruttori, allo scopo di darne una lettura diversa o di
contestarne l'adeguato approfondimento, si risolve pertanto nella mera prospettazione di una alternativa
valutazione di merito, certamente inammissibile in questa sede, trattandosi come detto di aspetti
espressamente considerati dal giudice a quo e nondimeno giudicati inidonei a pervenire a una diversa
ricostruzione dei fatti rispetto a quella motivatamente accolta, sulla base di un chiaro ed esaustivo
ragionamento probatorio esteso a tutti gli elementi emersi nel processo.
6.1.3. La colpa, specifica, addebitata al ricorrente discende, poi, in re ipsa, dalla accertata violazione degli
obblighi ad esso imposti dalie viste norme antinfortunistiche, afferendo invece propriamente all'elemento
oggettivo l'accertamento dell'efficacia eziologica di tale violazione (sia secondo il criterio della causalità
della colpa, sia in relazione alla rilevanza del comportamento alternativo lecito): accertamento, come visto,
nella specie incensurabilmente motivato nelle sentenze di merito, non potendo dubitarsi nè che i doveri
specifici imposti ai committenti sono certamente intesi a prevenire situazioni di pericolo quale quella
tragicamente sviluppatasi, nè che il loro adempimento nella situazione data avrebbe concorso ad alzare
nettamente la soglia di attenzione su un pericolo evidente quale quello rappresentato dalla impossibilità di
rispettare, per le condizioni in cui venivano consegnate le travi, le prescrizioni di sicurezza, e avrebbe,
dunque, con elevato grado di probabilità logica, contribuito ad impedire l'evento.
Può allo stesso modo ritenersi, in re ipsa, e dunque implicitamente motivata, anche la prevedibilità ex ante
dell'evento, questa dovendo ovviamente rapportarsi non alle concrete e specifiche modalità dell'evento
effettivamente realizzatosi, ma alla serie finale del meccanismo causale che l'ha determinato (spaccatura e
caduta della trave in quanto non adeguatamente agganciata alla gru): evento in tal senso certamente
prevedibile, non potendo dubitarsi che lo stesso rientrasse tra i rischi che le norme violate miravano a
prevenire (c.d. concretizzazione del rischio).
6.2. Congruamente motivato sia pure per implicito, ma in termini tuttavia chiaramente evincibili dal
complesso della decisione e insindacabili in questa sede, è poi il diniego delle attenuanti generiche, così
come, la determinazione del trattamento sanzionatorio.
6.2.1. Quanto alle prime è sufficiente rammentare che, secondo consolidato indirizzo della giurisprudenza di
questa Corte, la concessione delle attenuanti generiche risponde a una facoltà discrezionale, il cui esercizio,
positivo o negativo che sia, deve essere bensì motivato, ma nei soli limiti atti a far emergere in misura
sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del
reato ed alla personalità del reo. Detta motivazione, in caso di diniego delle attenuanti in parole, può in
particolare legittimamente ricavarsi, per implicito, anche mediante raffronto con le espresse considerazioni
poste a fondamento del loro avvenuto riconoscimento, con riguardo ad altre posizioni esaminate nella stessa
sentenza, quando gli elementi mentori illustrati in dette considerazioni appaiano quegli stessi la cui
mancanza ha assunto, nel quadro di una valutazione generalmente negativa, efficacia determinante (Sez. 1, n.
6992 del 30/01/1992 - dep. 16/06/1992, Altadonna ed altri, Rv.
190645; cfr. anche ex multis Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003 - dep. 22/09/2003, Dell'Anna e altri, Rv.
227142).
Nella specie tale implicita, ma nondimeno sufficiente, motivazione si ricava per l'appunto, a contrario, dal
chiaro riferimento, quale elemento che ha giustificato la concessione delle attenuanti generiche a soli due
coimputati (a differenza di tutti gli altri, compreso il M.) allo stato di incensuratezza degli stessi:
situazione invece, contrariamente a quanto dedotto, non riscontrabile per il ricorrente, risultando egli attinto
da precedente specifico, sia pur risalente, senza che la sua implicita negativa valorizzazione ai fini in
questione possa considerarsi impedita dalla pur ottenuta riabilitazione. Questa, infatti, estingue le pene
accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna ma non preclude la valutazione dei precedenti penali e
giudiziari del riabilitato, trattandosi di situazioni di fatto di cui il giudice deve tener conto, a norma dell'art.
133 c.p., nell'apprezzamento del comportamento pregresso dell'imputato ai fini della determinazione della
pena (v. Sez. 6, n. 16250 del 12/03/2013 - dep. 09/04/2013, Schirinzi, Rv. 256186; Sez. 6, n. 9116 del
01/07/1998 - dep. 04/08/1998, Egidi C, Rv. 211580).
6.2.2. Quanto poi alla dosimetria della pena, è appena il caso di ricordare che, per altrettanto costante
insegnamento, "la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra
nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato
globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 c.p.. Anzi, non è neppure necessaria una specifica motivazione
tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale"
(Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).
25
In relazione alle esposte coordinate di riferimento è da escludersi che, nel caso in esame, la quantificazione
della pena ovvero il diniego delle attenuanti generiche siano frutto di arbitrio o di illogico ragionamento o
che comunque si espongano a censura di vizio di motivazione, non potendo in particolare assumere rilievo la
comparazione con il trattamento (esattamente uguale) riservato ai coimputati per i quali è stata pronunciata
condanna, non valendo questa a palesare di per sè (in mancanza di elementi - emergenti dalla stessa sentenza
o da altri atti del processo specificamente indicati, di rilievo univoco e decisivo - che conducano in modo
chiaro e oggettivo ad una diversa ponderazione del rilievo causale o del disvalore della condotta), un vizio di
manifesta illogicità nell'applicazione, nel singolo caso in considerazione, dei criteri dettati dall'art. 133 c.p.
(da rapportare ovviamente a ciascun reo, singolarmente considerato).
7. Venendo quindi al ricorso proposto in difesa di F. G., se ne deve altresì rilevare l'infondatezza, con
riferimento a tutti i dedotti profili di censura.
7.1. Non può invero, anzitutto, dubitarsi che lo stesso, quale datore di lavoro della vittima, fosse investito di
una posizione di garanzia in ordine alla predisposizione e osservanza di tutte le misure e procedure di lavoro
prescritte a tutela della sicurezza del proprio dipendente, nè tanto meno che sia stata proprio tale sua
posizione ad essere considerata fonte della responsabilità, per omissione, ascritta in sentenza, in relazione in
particolare agli specifici obblighi che ne derivavano a suo carico ai sensi del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547,
artt. 181 e 186, la cui violazione è contestata in rubrica.
Le stesse, peraltro, costituiscono evidentemente una specificazione degli incisivi obblighi di protezione già
derivanti a carico del datore di lavoro dalla norma fondamentale rappresentata dall'art. 2087 c.c. che, come
noto, obbliga l'imprenditore "ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del
lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei
prestatori di lavoro". Tale norma codicistica, pertanto, e l'interpretazione che ne è data nella giurisprudenza
di questa S.C., possono essere richiamate quale chiave ermeneutica nella concreta declinazione degli
obblighi comportamentali imposti dalle norme speciali espressamente richiamate.
Ebbene, secondo pacifica interpretazione di tale fondamentale disposizione, il compito del datore di lavoro
non si esaurisce nella formale predisposizione della piano di sicurezza, nella consegna ai lavoratori dei mezzi
di prevenzione e nell'attuazione statica delle misure necessarie, essendo lo stesso tenuto ad accertarsi che le
disposizioni impartite vengano nei fatti eseguite e ad intervenire per prevenire il verificarsi di incidenti (v.
Cass. civ., Sez. lavoro, 09-03-1992, n. 2835), attivandosi per far cessare eventuali manomissioni o modalità
d'uso pericolose da parte dei dipendenti, quali la rimozione delle cautele antinfortunistiche (Cass. civ. Sez.
lavoro, 27-05-1986, n. 3576) o il mancato impiego degli strumenti prevenzionali messi a disposizione (Sez.
4, n. 6486 del 03/03/1995 - dep. 03/06/1995, Grassi, Rv. 201706).
Si è in tal senso precisato che, in tema di sicurezza antinfortunistica, il compito del datore di lavoro, o del
dirigente cui spetta la sicurezza del lavoro, è molteplice e articolato, e va dalla istruzione dei lavoratori sui
rischi di determinati lavori e dalla necessità di adottare certe misure di sicurezza, alla predisposizione di
queste misure e, quindi, ove le stesse consistano in particolari cose o strumenti, al mettere queste cose, questi
strumenti, a portata di mano del lavoratore e, soprattutto, al controllo continuo, pressante, per imporre che i
lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino alla misure in esse previste e sfuggano alla superficiale
tentazione di trascurarle. Il responsabile della sicurezza, sia egli o meno l'imprenditore, deve dunque avere la
cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del
lavoratore ed ha perciò il preciso dovere non di limitarsi a assolvere formalmente il compito di informare i
lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali
norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro (così Sez. 4, n. 6486 del 03/03/1995 dep. 03/06/1995, Grassi, Rv.
201706; ma vds. anche, nello stesso senso, Sez. 4, n. 13251 del 10/02/2005 - dep. 12/04/2005, Kapelj, Rv.
231156, secondo cui "in tema di infortuni sul lavoro, il compito del datore di lavoro è articolato e comprende
l'istruzione dei lavoratori sui rischi connessi a determinate attività, la necessità di adottare le previste misure
di sicurezza, la predisposizione di queste, il controllo, continuo ed effettivo circa la concreta osservanza delle
misure predisposte per evitare che esse vengano trascurate e disapplicate, il controllo infine sul corretto
utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione").
Alla luce di tali univoche indicazioni normative e giurisprudenziali, emerge evidente l'inconferenza
dell'affermazione del ricorrente secondo cui (nessun addebito potrebbe ad esso muoversi poichè) "la vittima
era stata erudita ed attrezzata come previsto dalla normativa antinfortunistica, a nulla rilevando che i punti di
aggancio non fossero quelli proposti dalla casa costruttrice".
Per il caso in cui con tale (non meglio illustrata) allegazione difensiva si intenda ipotizzare l'esistenza di un
concorrente negligente comportamento della stessa vittima, varrà segnalare che il contenuto e la pregnanza
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dei suindicati obblighi di protezione posti a carico del datore di lavoro escludono che il datore di lavoro
possa limitarsi a fare affidamento sul diretto, autonomo, rispetto da parte del lavoratore delle norme
precauzionali, essendo invece suo compito non solo apprestare tutti gli accorgimenti idonei a garantire la
sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro ma anche di adoperarsi perchè la concreta esecuzione del lavoro
avvenga nell'osservanza di tutte le misure sicurezza.
Ne deriva pertanto che, secondo principio ripetutamente affermato, poichè le norme di prevenzione
antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua
negligenza, imprudenza e imperizia, il comportamento anomalo del lavoratore può acquisire valore di causa
sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l'evento, tanto da escludere la responsabilità del datore di lavoro
e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, solo quando esso sia
assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento
del tutto esorbitante e imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni
ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore. Tale risultato, invece, non è collegabile al
comportamento, ancorchè avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore, posto in essere nel
contesto dell'attività lavorativa svolta, non essendo esso, in tal caso, eccezionale ed imprevedibile (v. e
pluribus Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011 Millo e altri, Rv. 250710; Sez. 4, n. 15009 del 17/02/2009, Liberali
e altro, Rv. 243208; Sez. 4, n. 25532 del 23/05/2007, Montanino, Rv. 236991; Sez. 4, n. 25502 del
19/04/2007 - dep. 04/07/2007, Scanu, Rv. 237007; Sez. 4, n. 47146 del 29/09/2005 - dep. 23/12/2005,
Riccio, Rv. 233186; Sez. 4, n. 38850 del 23/06/2005 - dep. 21/10/2005, Minotti, Rv. 232420; Sez. 4, n.
40164 del 03/06/2004 - dep. 13/10/2004, Giustiniani, Rv. 229564).
7.1.2. Palesemente aspecifico è poi il riferimento contenuto in ricorso alla giurisprudenza che esclude la
responsabilità del titolare dell'impresa in presenza di preposti, nonchè il richiamo a quanto lo stesso imputato
avrebbe dichiarato nel corso del suo esame circa la necessità, essendo all'epoca dei fatti operativi una decina
di cantieri dislocati in tutta Italia, di fare affidamento, una volta assolto l'obbligo di erudire il personale e
dotarlo di attrezzatura antinfortunistica, "su una delega di funzioni in materia di sostanziale osservanza della
normativa".
Nessun riferimento risulta nelle sentenze di merito ad allegazioni difensive che avessero prospettato
l'esistenza di figure, operanti nel cantiere, munite di specifiche e valide deleghe di funzioni in materia di
sicurezza, di guisa che la contraria affermazione contenuta nel ricorso, che sembrerebbe dare invece per
acquisita una siffatta circostanza, si appalesa come detto aspecifica e inammissibile, non confrontandosi con
l'impianto motivazionale della sentenza (che sotto tale profilo non viene fatta segno di alcuna censura di
carenza motivazionale o travisamento di prova) e, comunque, mancando di indicare specificamente gli
elementi di prova che non sarebbero stati considerati dal giudice del merito e che avrebbero, invece, dovuto
fare emergere tale circostanza (tali certamente non potendosi considerare le stesse affermazioni
dell'imputato, peraltro esse stesse richiamate in modo del tutto generico, senza allegazione o indicazione
specifica dell'atto processuale nel quale esse sarebbero state rese, venendo meno con ciò il ricorso anche al
requisito di autosufficienza).
Per quanto tali considerazioni esauriscano di per sè il tema in esame, mette conto, comunque, ad
abundantiam, rammentare che, secondo pacifico indirizzo, la delega di funzioni - ovvero anche la presenza in
cantiere di un preposto (come tale formalmente incaricato o anche solo in via di fatto identificabile) - non
escludono l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato
(o del preposto) delle funzioni trasferite.
E' bensì vero che l'obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato - al quale vengono
trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo - e non impone il controllo, momento
per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni, con la conseguenza che, in presenza di
una siffatta delega, detta vigilanza non può avere per oggetto la concreta, minuta conformazione delle
singole lavorazioni - che la legge affida al garante - concernendo, invece, la correttezza della complessiva
gestione del rischio da parte del delegato (v. Sez. 4, n. 10702 del 01/02/2012 - dep. 19/03/2012, Mangone,
Rv. 252675; cfr.
anche, con riferimento alla figura del preposto, ex aliis Sez. 4, n. 20595 del 12/04/2005 - dep. 01/06/2005,
Castellani ed altro, Rv.
231370); non può però dubitarsi che, nella fattispecie, alla stregua di quanto evidenziato nella sentenza di
primo grado - circa l'emergenza, almeno da un paio di settimane prima dell'incidente, di evidenti e gravi
inosservanze delle prescrizioni di sicurezza e, in particolare, di un serio problema relativo alle modalità di
messa in opera delle lastre - tale concorrente obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro sarebbe
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comunque venuto nella specie in rilievo, analogamente a quanto si è detto - mutatis mutandis - per gli
obblighi di super-controllo gravanti sul committente.
7.2. Quanto poi al dedotto travisamento di prova in cui la Corte d'appello sarebbe incorsa (nei termini
sintetizzati al par. 4.2.2.
della presente sentenza), occorre anzitutto rimarcare che, versandosi in ipotesi di doppia conforme e, cioè, di
doppia pronuncia di eguale segno (nel nostro caso, di condanna), un tale vizio può essere rilevato in sede di
legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio
asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione
del provvedimento di secondo grado (v. Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 - dep. 29/01/2014, Capuzzi e altro,
Rv. 258438; Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013 - dep. 06/11/2013, Buonfine e altri, Rv. 256837; Sez. 4, n.
19710 del 03/02/2009, Buraschi, Rv. 243636). Invero - sebbene in tema di giudizio di cassazione, in forza
della novella dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il
vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante
che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva - esso può essere fatto
valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso
di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in
cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto
probatorio non esaminati dal primo giudice (v. Sez. 2, n. 5223 del 24/01/2007, Medina, Rv. 236130).
Nel caso di specie, invece, il giudice di appello ha riesaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al
tribunale e, dopo avere preso atto delle censure degli appellanti, è giunto alla medesima conclusione della
sussistenza della dedotta responsabilità.
Ciò detto, deve peraltro rilevarsi che le censure mosse dal ricorrente con il motivo in esame, mirate ad
affermare che la ritenuta parziale inattendibilità della ricostruzione della dinamica operata dal consulente
tecnico del P.M. avrebbe dovuto condurre la Corte d'appello a prendere in considerazione ricostruzioni
alternative, non si confrontano con il reale e più esteso contenuto delle considerazioni svolte nelle sentenze
di merito che, come sopra già s'è rilevato, lungi dal porre a fondamento della decisione la ricostruzione
operata dal detto consulente o tanto meno attribuire alla stessa un contenuto diverso da quello che ha in realtà
(contenuto per vero fedelmente riferito e criticamente valutato dai giudici del merito), traggono fondamento,
circa la sequenza causale finale dell'incidente, da altre fonti di prova, specificamente indicate e nel loro
complesso valutate con coerenza e linearità argomentativa, tali da sottrarre certamente la motivazione a
censure di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità.
7.3. Quanto, infine, alla doglianza relativa alla mancata concessione delle attenuanti generiche, valgono per il
F. le medesime considerazioni sopra svolte per il primo ricorrente; anche in tal caso, infatti, implicita, ma
nondimeno sufficiente, motivazione del diniego si ricava, a contrario, dal chiaro riferimento, quale elemento
che ha giustificato la concessione delle attenuanti generiche a soli due coimputati (a differenza di tutti gli
altri, compreso il F.) allo stato di incensuratezza degli stessi:
situazione, invece, non riscontrabile per il F., risultando lo stesso attinto da tre precedenti, due dei quali
peraltro riguardanti la violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni.
8. Deve anche essere rigettato il ricorso proposto dal difensore di S.V..
Appare in tal senso assorbente il rilievo che, nei suoi confronti, come riferito nella parte narrativa, è stata
pronuncia sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, con revoca anche delle statuizioni
civili.
Ed invero, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., comma 2, in presenza di una causa di estinzione del reato, una
pronuncia assolutoria nel merito (perchè il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso o il fatto non
costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato), è consentita solo nel caso in cui le ragioni in fatto e
in diritto di quest'ultima emergano con evidenza ("risulta evidente").
Secondo pacifico insegnamento una tale condizione si verifica solo nei casi in cui le circostanze idonee ad
escludere l'esistenza del fatto, la sua rilevanza penale o la non commissione da parte dell'imputato, emergano
dagli atti in modo assolutamente incontestabile, tanto che la valutazione da compiere in proposito appartiene
più al concetto di constatazione che a quello di apprezzamento.
Ciò in quanto il concetto di "evidenza", richiesto dall'art. 129 c.p.p., comma 2, presuppone la manifestazione
di una verità processuale così palese da rendere superflua ogni dimostrazione, concretandosi in una
pronuncia liberatoria sottratta ad un particolare impegno motivazionale (v. e pluribus Sez. 4, n. 3003 del
11/12/2007 - dep. 21/01/2008, Panico, Rv. 238673; Sez. 3, n. 28168 del 30/04/2003 - dep. 01/07/2003, P.M.
in proc. Mascolo e altro, Rv.
225593; Sez. 6, n. 3945 del 15/02/1999 - dep. 25/03/1999, PG in proc. Di Pinto e altri, Rv. 213882).
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Tale evidenza non può nella specie ritenersi sussistente, alla luce di quanto non illogicamente apprezzato in
sede di merito circa in particolare l'obbligo per il noleggiatore, nel caso quale quello di specie di "nolo a
caldo", di rispondere non solo dell'efficienza del mezzo ma anche del corretto operare dell'addetto al mezzo
(v. in tal senso, ex aliis, Sez. 4, n. 1763 del 14/10/2008 - dep. 16/01/2009, Mazzuoli e altro, Rv. 242490).
La censure svolte dal ricorrente investono (la correttezza in diritto e la congruenza della motivazione addotta
dalla corte di merito circa) la configurabilità in concreto di tale responsabilità, per essere l'incidente
ascrivibile - egli assume - alla cattiva organizzazione di lavoro dell'impresa noleggiante e non invece a
negligenza o imperizia dell'addetto alla gru. Un positivo apprezzamento di tali censure richiederebbe però un
vaglio secondo i consueti parametri della adeguatezza della motivazione, dovendosi per ciò stesso escludere
che la ricostruzione proposta emerga con carattere di assoluta evidenza dal testo delle sentenze e si imponga
pertanto sulla declaratoria di estinzione ai sensi della citata disposizione.
9. E' infine infondato anche il ricorso proposto dalla difesa di D.F..
[…]
10. Per le considerazioni che precedono deve in definitiva pervenirsi al rigetto di tutti i ricorsi, con la
conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 8 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2014
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