Intervista a Paola Torrioni sulla sua tesi di

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Intervista a Paola Torrioni sulla sua tesi di
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Sociologia e Ricerca Sociale
Aprile 2004, Anno 1, Numero 4
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Professione Sociologo
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Intervista a Paola Torrioni
di Michele Manocchi
D: La prima confidenza verso chi
viene rivolta?
D: Ciao Paola. Puoi parlarci
R: In genere verso un amico etero
della tua tesi di dottorato?
(60%), o omosessuale (35%) poi a
Su quale tema hai lavorato?
genitori, fratelli, e una piccola
R: Ciao. Mi sono dedicata al tema
percentuale si rivolge ad altri, come
dell’omosessualità con una tesi dal
medici o ministri della chiesa. Io non
titolo, Omosessualità al maschile e
mi sono soffermata sulla specificità
al femminile: teorie e ricerche sociodell’interlocutore, perché su questo
logiche. Ha come oggetto di studio
tema c’è già molta letteratura. Quello
l’omosessualità e nello specifico un
L’abbiamo intervistata sulla sua che a me interessata era evidenziare
aspetto in particolare che è il mole tappe del percorso: a che età si
tesi di dottorato.
mento in cui uomini e donne arriscoprono i primi desideri omoerotici?
vano a dichiararsi omosessuali,
Quando vi è la prima sperimentazione sessuale e con
quindi si identificano in un modello di identità omochi? Persone dello stesso sesso oppure no? Chi ha
sessuale.
rapporti sessuali con persone dello stesso sesso ma
Ho cercato di mettere in luce questo processo andando
anche dell’altro sesso, ha percorsi diversi rispetto a chi
a individuare quali sono le tappe salienti dell’esperienza
è, diciamo, sessualmente stabile?
omosessuale, che è caratterizzata dal fatto che avviene
Quest’ultima domanda sembrerebbe portare ad un altro
molto spesso in silenzio, in segreto, in un ambiente,
elemento di distinzione, nel senso che persone, sia
potremmo dire, ostile, in quanto non c’è socializzazione
uomini che donne, che hanno un percorso sessuale più
all’essere omosessuali, anzi i modelli con i quali i ragazzi
stabile, quindi con partner dello stesso sesso, arrivano
si devono confrontare oggi sono modelli di una sessaal coming-out prima, dal punto di vista anagrafico,
lità essenzialmente ed esclusivamente etero, in cui tutte
rispetto a chi invece è più fluido e quindi ha rapporti sia
le altre forme di sessualità sono sbagliate, devianti e
con lo stesso che con l’altro sesso.
problematiche.
Oltre a questi due elementi, ho cercato anche di situare
Ho cercato di individuare le tappe e di metterle in
il momento della confidenza, il momento dell’autorelazione con le fasi della vita, perché quello che in
definizione che si connota in modo diverso per uomini e
letteratura molto spesso si riscontra è che, più nel
donne.
passato che oggi, si arrivava ad una piena consapevolezza e ad una più o meno completa accettazione della
D: Ecco, hai detto prima che hai fatto attenzione a
propria omosessualità molto spesso in età adulta:
mantenere le differenze di genere…
questo comportava il rivivere tutte le proprie esperienze
R: Sì, la prospettiva di genere è presente in tutti i
sessuali e affettive secondo una nuova logica e quindi
capitoli della mia tesi. Io ho lavorato su due campioni:
secondo una nuova ottica sessuale e anche di identità,
uno nazionale, che ho avuto grazie alla gentilezza del
ma significava anche scontrarsi con delle difficoltà
professor Barbagli e di Asher Colombo, i quali hanno
maggiori nel poter modificare alcuni aspetti della propria
lavorato dal 1995 al 2000 ad una survey nazionale con
identità, già decisamente formata. Oggi è forse un po’
questionario, che ha consentito di ottenere più di 3000
più ‘semplice’ per i ragazzi e le ragazze, anche se non
questionari, ma non equamente suddivisi tra uomini e
dico certo che sia facile o un cammino senza ostacoli,
donne, in quanto il 75% del loro campione era costituito
raggiungere la consapevolezza di provare desideri
da uomini; nel 2001 a Torino è stata effettuata un’altra
omoerotici. Quindi, ho cercato di capire come coorti
indagine, coordinata da Chiara Saraceno e Alessandro
diverse e come uomini e donne – perché la mia tesi è
Casiccia, per indagare l’esperienza omosessuale di gay
molto attenta alle differenze tra i generi – hanno
e lesbiche torinesi grazie alla quale si è ottenuto un
affrontato le stesse tappe, come le hanno vissute, e
campione di più di 500 casi, equamente suddiviso tra
come sono arrivati a definirsi omosessuali.
uomini e donne; sottolineo equamente, perché molto
Paola Torrioni ha concluso da
poco il triennio di dottorato di
ricerca presso il Dipartimento di
Scienze Sociali dell’Università di
Torino, e continua a collaborare
con il Dipartimento per varie
attività di ricerca.
D: Quindi, ti sei concentrata proprio sul momento
in cui le persone si palesano omosessuali, avendo
però già un percorso di esperienze omosessuali
alle spalle.
R: Sì, la maggior parte del campione era arrivata al
coming-out (momento dello svelamento) con famiglie e
amici dopo un certo percorso. Io ho analizzato una
parte peculiare del coming-out, ovvero il momento della
prima confidenza, che sicuramente non esaurisce in toto
il momento del coming-out perché è solo una delle
prime fasi di questo percorso di svelamento, ma che
risulta proficuo da un punto di vista analitico. Ad
esempio, da come avviene la prima confidenza, si
tratteggiano ampie differenze tra gay e lesbiche: i gay
la vivono come una prima e vera presentazione; le
lesbiche invece come una confidenza, e quindi un primo
palesare dei dubbi.
spesso
la
letteratura
propone
un’esperienza
prettamente maschile dell’omosessualità, e come si
vede, invece, confermato dagli studi nord-europei e
come ritorna anche nel nostro caso, l’omosessualità
vissuta dalle donne è diversa. È diverso il concetto di
sessualità, è diverso il modo di identificarsi nell’identità,
appunto, gay o lesbica: questo mi ha portato a utilizzare
la differenza di genere come uno strumento di
differenziazione, utilizzando invece come strumenti
analitici, teorici, il concetto di identità sessuale e il
concetto di carriera morale, che consente di recuperare
il senso di continuità che esiste nelle vicende biografiche
e introduce la possibilità di allargare la prospettiva e
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quindi di indagare quali significati assumono per le
persone
omosessuali,
nei
diversi
processi
di
ricostruzione del sé, la presenza (o l’assenza) di
determinati eventi: come ad esempio il coming-out, il
rapporto eterosessuale o la convivenza con il/la partner
dello stesso sesso. Quindi, in che modo gay e lesbiche
modificano il loro pensare a se stessi come esseri
sessuati nel mondo in base alle tappe che raggiungono,
o non raggiungono, di questa ipotetica carriera, che io
ho standardizzato in tappe per ragioni legate alla
confrontabilità dei casi, ma che ovviamente è variegata
e con specificità proprie dei singoli casi.
D: Sei ricorsa anche ad altri strumenti di analisi?
R: Sì, oltre a questa parte più quantitativa, costituita
dall’analisi dei dati raccolti con le survey, ho utilizzato
anche una trentina di interviste in profondità, che sono
sempre il frutto del lavoro fatto qui a Torino tra il 2000
e il 2001 e che aveva dato vita anche a un convegno
specifico su questi temi e sulla transessualità. Io ho
utilizzato questi dati per aprire una nuova prospettiva,
guardando a determinate fasi in un’ottica di carriera,
dando quindi un po’ di dinamicità ai dati.
D: Potresti indicarci alcuni dei risultati più
interessanti ai quali sei giunta?
R: Beh, un primo risultato importante è legato a come
gay e lesbiche percepiscono la propria identità sessuale:
se non ricordo male, circa il 70-75% (dipende da quale
campione consideriamo) dei gay si definisce esclusivamente omosessuale; la percentuale cala drasticamente tra le donne: se consideriamo il campione nazionale sono il 60% quelle che si dichiarano esclusivamente omosessuali , mentre nel campione torinese la
percentuale scende ancora di più assestandosi al 35%.
In più in entrambi i campioni femminili circa il 20% delle
donne si dichiara tendenzialmente bisessuale.
Questo può significare che nell’universo femminile una
certa fluidità sessuale è più contemplata, possibile, è più
diffusa, a discapito di una identificazione esclusivamente
omosessuale, pur in donne che vivono con compagne e
che si sentono lesbiche omosessuali. Mentre, la stessa
cosa in ottica maschile, il fatto cioè di considerarsi
bisessuali, è vista da alcuni intervistati come una
patetica cortina di fumo, una scusa per non affrontare le
difficoltà che nel cammino di svelamento ovviamente ci
sono, un modo per tenere il piede in due staffe:
insomma, un elemento estremamente negativo.
Un altro elemento sicuramente interessante è la
struttura delle carriere, in cui notiamo, ad esempio, che
negli uomini c’è una fase abbastanza immediata di
sperimentazione sessuale dai 14 ai 17 anni, anche della
sessualità con persone dello stesso sesso; mentre nelle
donne la sperimentazione sessuale con altre donne è
posticipata intorno ai 20 anni, quindi c’è una prima fase
di esperienze eterosessuali e solo dopo omosessuali.
Solo un 15-20% delle donne non ha avuto rapporti
etero, mentre ben il 40% dei maschi non ha avuto
rapporti eterosessuali, quindi anche qui notiamo una
forte componente di genere. Inoltre, si nota nelle
carriere maschili in cui non vi sono state esperienze
sessuali con donne la propensione a raggiungere
l’autodefinizione come gay subito dopo le prime
esperienze omosessuali, verso i 17 anni, quasi come se
il fatto di provare sentimenti e attrazione, sperimentare
fisicamente questa attrazione, fosse una specie di
propulsore per arrivare a dichiararsi più facilmente
omosessuali. Chi invece, sempre tra i maschi, ha un
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percorso più fluido in cui vi sono sia esperienze etero
che esperienze omosessuali, raggiunge verso i 19 anni il
momento dell’auto -identificazione.
Un’altra interessante differenza di genere riguarda il
fatto che il momento “conclusivo”, (tra virgolette perché
in una prospettiva di carriera non esiste un vero e
proprio momento conclusivo), per gli uomini sia il
coming-out, mentre per le donne è l’auto-definizione.
Quindi per le donne arrivare a definirsi lesbiche richiede
un processo un po’ più lungo di quello intrapreso dagli
uomini.
Dicevo che non si tratta del momento conclusivo, anche
perché io ho cercato di inserire nella ricerca un rapporto
tra i momento della conoscenza del partner e il
momento della nascita della coppia, perché sono altri
elementi che aiutano a completare il quadro di questa
carriera affettivo-relazionale. In questo, uomini e donne
si differenziano un po’ meno, rispetto alle altre tappe.
Quello che comunque è interessante è che tra il
momento della confidenza, il coming-out per gli uomini,
l’auto-definizione per le donne, e il momento del
raggiungimento di una relazione stabile, passano molti
anni, circa otto. Quindi c’è tutto un periodo di limbo, se
vogliamo, di altra sperimentazione su se stessi, sulla
propria vita, che ritarda, rispetto alle coppie etero, il
momento della convivenza e del rapporto di coppia.
D: Immagino che dal momento del coming-out,
inizi un altro periodo della vita, dove ci si vede nel
mondo in modo diverso, cambiano i rapporti con
gli altri, intraprendendo, credo, nuovi percorsi di
socializzazione ed entrando in modo diverso nei
contesti abituali.
R: È interessante notare come il rapporto di coppia
abbia effetti diversi su uomini e donne, nel senso che
nel momento in cui gli uomini hanno un compagno
tendono a entrare nella comunità, ancora di più; le
donne invece usano il rapporto di coppia come se
potessero finalmente entrare appieno nella loro sfera
privata, e quindi la comunità da mezzo per conoscere la
propria compagna, diventa marginale e loro tendono a
viversi il rapporto in modo più intimo, rispetto ai gay
che invece tendono ad essere più coinvolti.
D: Quindi per i gay la coppia tende a diventare un
volano di socializzazione, mentre per le lesbiche è
il contrario.
R: Sì esatto, per le donne ha un altro tipo di funzione.
Del resto lesbiche e donne etero sono molto più simili
tra di loro di quanto lo siano le donne e gli uomini etero.
Le donne, in generale, e anche in letteratura si riscontra
questo, sono molto più attente alla relazione, la vivono
coinvolgendosi completamente, per cui è come se
questa relazione diventasse il riferimento centrale del
loro mondo. Anche le donne lesbiche vivono in questo
modo il rapporto di coppia.
Una parte che ho cercato di sviluppare nell’ultimo
capitolo della tesi riguarda proprio il ruolo della
comunità
all’interno
dell’esperienza
omosessuale.
L’identità sessuale è socialmente costruita, e anche
quella omosessuale risente di questi processi sociali. Ho
cercato di vedere se uomini e donne sono coinvolti
all’interno delle diverse comunità e se c’è qualche
legame con la visibilità esterna della propria
omosessualità. Qui tornano le differenze di genere:
come dicevamo prima, gli uomini tendono ad essere più
coinvolti, quindi a frequentare di più, a essere più iscritti
alle associazioni omosessuali. In questo incide anche il
fatto che le associazioni omosessuali maschili sono
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storicamente più radicate, anche nella realtà torinese,
per cui hanno una visibilità più diffusa, riconosciuta e
sono maggiormente integrate.
Nell’immaginario femminile, invece, c’è più la visione di
luoghi chiusi, ghettizzanti, e quindi non così
frequentabili, se non in situazioni particolari in cui si
desideri stare in luoghi protetti e uscire da una logica
etero che implica la negazione di una qualsiasi altra
forma di sessualità e quindi la negazione della propria
vita affettiva e interiore.
C’è un ulteriore tema, che è quello della visibilità, del
farsi vedere e lasciarsi identificare come gay o lesbiche.
Per queste ultime è più “semplice” essere visibili,
perché, se vogliamo, sulla sessualità femminile c’è una
sorta di indifferenza o di maggior accettazione di
comportamenti affettuosi in pubblico, che ovviamente
non è estesa all’omosessualità maschile. C’è anche una
diversa percezione sociale dell’omosessualità femminile,
che probabilmente è vista come meno “pericolosa” di
quanto lo possa essere l’omosessualità maschile; questo
a causa di tutti i retaggi e i pregiudizi legati proprio al
rapporto sessuale tra due uomini, che molto spesso
finisce per toccare terreni assolutamente impropri come
la pedofilia o le violenze. Cosa potrà mai succedere tra
due donne? Nulla, non hanno armi, non possiedono
organi per penetrarsi… di conseguenza sono percepite
come inoffensive, con giudizi di valore screditanti.
Questo potrebbe essere uno dei motivi per i quali le
donne lesbiche possono permettersi di essere più
visibili, però i percorsi non sono così lineari e si vedono
degli intrecci tra coinvolgimento nelle comunità sessuali
e visibilità che richiedono necessariamente degli
approfondimenti, così come andrebbe sviluppato
l’approccio attraverso le carriere, per vedere, ad
esempio come a seconda del cambiamento della
carriera omosessuale ci sono dei cambiamenti nelle altre
carriere: lavorativa, professionale, amicale, abitativa.
Spesso viene fuori dalle storie di vita che al momento
del coming-out si va a vivere da soli o comunque si va
fuori dalla famiglia di origine.
Così come un proficuo terreno di indagine è quello
legato alle prime scoperte della propria omosessualità,
che
spesso
avvengono
nella
delicata
età
dell’adolescenza, e che quindi si sovrappongono a tutte
le problematiche tipiche dell’età.
D: Una cosa interessante sarebbe indagare a quali
discriminazioni sociali sono andati incontro gay e
lesbiche.
R: Dalle interviste in profondità, (che poi io chiamo
storie di vita, perché una delle cose che ho scoperto
durante la ricerca è il fatto che gli intervistati e le
intervistate tendono ad ancorare con precisione le tappe
della loro carriera omosessuale a determinati periodi
della loro vita, dando alla fine un quadro storico delle
loro esperienze, all’interno del quale sentono l’esigenza
di collocarsi) emerge, proprio in relazione alla scoperta
della loro attrazione per o
l stesso sesso, come molti
uomini e donne si definiscano “non previsti”, degli
adolescenti non previsti dalla famiglia, dalla società…
D: In che senso “non previsti”?
R: Nel senso che loro sono portatori di una sessualità
non prevista, e non sanno neanche dare un nome a
questa cosa che provano, perché magari hanno dei
modelli di omosessualità, soprattutto maschile, che non
si confanno a quello che loro sentono. Nella logica
sociale dell’omosessualità, che si porta dietro tutta una
serie di pregiudizi e stereotipi, l’omosessuale maschile è
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un effeminato, che ha atteggiamenti da donna, che
parla e si muove in certi modi, che ha una grande e
incontrollata fame sessuale, per cui potrebbe tranquillamente abusare di qualsiasi uomo che incontra… È ovvio
che un ragazzo che invece si sente assolutamente
uomo, quindi non nega la sua identità di genere, non si
sente diverso nella sua identità di genere ma è diverso
nella sua identità sessuale per cui non prova attrazione
per le donne ma per gli uomini, assolutamente non si
ritrova nel modello ste reotipato di omosessualità che
oggi circola nella nostra società.
I ragazzi di adesso hanno uno strumento in più dalla
loro parte, che è Internet: in modo anonimo è possibile
rintracciare notizie, confrontarsi con altri, avere
spiegazioni da esperti che possono interpretare la
situazione. Per uomini che adesso hanno 50-70 anni e
che quindi non hanno avuto questo supporto ulteriore,
si riproponeva in modo ancora più amplificato il fatto di
vivere emozioni che erano incomprensibili, non avevano
alcun modello di riferimento, il tutto in un momento di
crescita particolare, dove esperienze negative possono
avere ripercussioni nella formazione della propria
identità, che poi si protraggono negli anni, interiorizzando quei giudizi negativi e stereotipati che la società
rimanda.
Il momento della scuola è molto delicato, perché senza
una famiglia in grado di supportare e accompagnare
percorsi di svelamento della propria identità sessuale,
senza insegnanti di riferimento, o senza una forte rete
amicale in grado di contenere le tensioni tipiche dell’età,
diventa difficile affrontare bene la situazione.
D: Cosa ti ha dato questa ricerca?
R: È stata un’esperienza arricchente perché mi ha fatto
scoprire quanto sia socialmente costruita una parte di
noi che consideriamo biologicamente determinata.
Quanto noi, come uomini e come donne, etero o
omosessuali, siamo poi il frutto di determinazioni sociali,
in cui se si cambia cultura, modello, paio di occhiali,
quello che prima non era permesso lo diventa, quello
che prima non era concepitolo lo diventa, e viceversa. E
questo mi ha aiutato a capire molto di più gli
eterosessuali di quanto mi aspettassi potesse accadere
da un lavoro fatto su una condizione che è, appunto,
considerata deviante.
Poi è stato un lavoro molto impegnativo, molto lungo,
che mi ha anche fatto capire quanta umiltà… quanto sia
necessaria la passione per portare a termine una
ricerca: è un continuo scavare, un continuo mettersi alla
prova, anche su quello che si dava per assodato, per
acquisito. Mi sono dovuta confrontare con concetti molto
impalpabili, come l’identità sessuale, ad esempio, e
confrontarmi con diverse discipline: la sociologia, la
psicologia, l’antropologia. Ti trovi a confrontarti con dei
concetti enormi, che difficilmente si possono rendere
operativi, e quindi, insomma, tocchi diversi tuoi limiti.
Ma allo stesso tempo mi ha arricchito perché questo
continuo confronto dà grandi prospettive, ti aiuta a
entrare in modo più specifico all’interno di concetti che
in apparenza possono sembrare semplici ma che in
realtà non lo sono. Io vengo da un background di
stampo più quantitativo, e mi sono appassionata
tantissimo delle interviste in profondità, delle storie di
vita: mi sono resa conto di quanto questo materiale così
ricco sia difficilmente comprimibile all’interno di un
lavoro di tesi. Era quasi un peccato dover selezionare
dei temi, perché emergevano così tanti spunti che era
difficile lasciar cadere delle idee di analisi e di ricerca in
favore di altre.
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