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Settimana N° 65 (11-17 ottobre 2010)
URBAN BIKE MESSENGERS: LA RIVOLUZIONE SUI PEDALI
Scritto da Antonella Pascale
In tempi di crisi sempre più spesso il lavoro bisogna inventarselo, tentando per quanto possibile di non venir meno
alle proprie passioni. È quello che hanno fatto a Milano Roberto Peia, Andrea Vulpio e Luca Pietra, appassionati
ciclisti ed ecologicamente compatibili. Si sono inventati l’Urban Bike Messengers, cioè un pony express in
bicicletta!
Il servizio è molto semplice e simile al servizio taxi: si contatta telefonicamente o tramite e-mail il corriere che
invierà il biker più vicino all’indirizzo segnalato, il quale è dotato di zaini impermeabili che possono trasportare
fino a 10kg e il prezzo della consegna è di circa 5 euro per chi compra un carnet da minimo dieci corse, dai 7 ai 20
euro per le richieste fuori abbonamento. Si tratta dunque non solo di corrieri ecologici, ma anche più veloci negli
spostamenti, accorciando di gran lunga le distanze aggravate dal traffico cittadino. Il corriere in bicicletta utilizza
come mezzi di trasporto bici elettriche (possono raggiungere i 40 km orari), biciclette da corsa e velomobili. Ogni
ciclista viene inoltre dotato di computer palmare che oltre al sistema di navigazione, organizza gli itinerari e le
consegne, il tutto monitorato da un sistema centralizzato in grado di seguirne in tempo reale la posizione e l’orario
di consegna.
Forza nelle gambe e buona resistenza sono i requisiti
necessari per svolgere questo genere di attività che
certamente si rivela essere una buona alternativa al lavoro
nei call-center o al comune precariato. Bando dunque ai
furgoncini e motorini, inquinanti, costosi e senza alcuna
possibilità di ovviare all’annoso problema degli ingorghi
stradali. Dopo Parma, Bari, Carpi, Reggio Emilia, Roma,
Firenze, Torino e Milano, da ottobre anche Bologna ha la
sua sede di ciclisti express che copriranno il centro e le zone
decentrate con la maggiore concentrazione industriale: da
Casalecchio di Reno, a San Lazzaro, a Quarto Inferiore.
Abbiamo contattato Marco Gombi, appassionato ciclista e tra i fondatori dell’UBM di Bologna. “A Milano il
servizio ha riscosso un successo incredibile, lavorano tantissimo, hanno circa 150 clienti, anche molto importanti e
di fama internazionale. In più ci sono tantissimi ciclisti a disposizione. Sono partiti da tre ragazzi pedalatori e in
due anni sono arrivati ad avere un discreto numero di dipendenti”. E a Bologna? “Per adesso abbiamo più ciclisti
del necessario. In queste settimane abbiamo avuto tantissime richieste di persone che vogliono collaborare con
noi. Per adesso abbiamo circa 20 o 30 persone che non vedono l’ora di scendere in strada con le biciclette.
Chiaramente Bologna non è Milano, per adesso 3 o 4 persone sono più che sufficienti”.
Oltre al normale servizio di pony express l’UBM Bologna propone in esclusiva anche un servizio di pubblicità
itinerante “Con le nostre biciclette trainiamo un carrellino con un pannello 70-100 e facciamo pubblicità a chi
vuole sponsorizzare le proprie attività o un evento. Attualmente a Bologna non lo fa nessuno, siamo i primi a
proporre un genere di pubblicità alternativa, ecologica e anche di grande interesse, che sicuramente riscuote
notevole curiosità. Per gli eventi le biciclette si possono anche solo affittare per una o due giornate. E in centro è
un ottimo mezzo perché non giriamo con i furgoni che inquinano bensì con la nostra bicicletta e il nostro
carrellino”. Ecologia e cambiamento corrono dunque di pari passo: da una parte riducendo le emissioni inquinanti
di automobili e ciclomotori e dall’altra un servizio rapido ed efficiente che tiene conto delle esigenze di tutti.
IL FUTURO DELL'ACQUA A BOLOGNA
Scritto da Alessandro Kostis
Quali prospettive per la gestione dell'acqua, la più preziosa della risorse a nostra disposizione? Se lo sono chiesti,
in un incontro all'Urban Center di Bologna, alcuni rappresentanti delle istituzioni bolognesi, coordinati da
Legambiente Bologna.
Dopo gli incontri dedicati a rifiuti, biodiversità, e consumo del suolo, nell'ambito del ciclo di appuntamenti
denominato “Sette passi per l'ambiente”, è toccato al cosiddetto oro blu essere al centro dell'attenzione. La parola
d'ordine del dibattito è stata “risparmio”. Un risparmio di consumi che deve venire non solo dai cittadini, ma
anche e soprattutto dalle amministrazioni pubbliche. Marco Farina, in rappresentanza del Comune di Bologna, ha
elencato i prossimi obiettivi da conseguire in questo senso: “Il Comune ha intenzione di ridurre del 10% i consumi
dei dieci luoghi più idroesigenti della città, tra cui, ad esempio, possono essere menzionati i Giardini Margherita.
In secondo luogo – continua Farina – vogliamo lavorare sulla sensibilizzazione, e quindi abbiamo predisposto un
programma di educazione ambientale per le scuole”.
Ma non finisce qui. Il programma forse più innovativo previsto dall'amministrazione bolognese è quello per il
riutilizzo delle acque meteoriche. Diventerà infatti obbligatorio per le nuove costruzioni ad uso agricolo e
industriale (almeno per quelle che superino una certa ampiezza)
avere una cisterna interrata in cui convogliare le acque piovane.
“Queste acque potranno essere poi usate per l'irrigazione, o per il
fabbisogno interno delle aziende”, conclude Farina.
All'incontro era presente anche Andrea Caselli, coordinatore del
Comitato per l'acqua pubblica, che ha puntato il dito contro
l'indifferenza del mondo politico per la raccolta firme che, in poco
più di due mesi, ha portato 1.400.000 adesioni alla proposta
referendaria. “Nessun partito ha condiviso il nostro progetto, né ci
ha aiutato in alcun modo nella raccolta firme, e, nonostante questo
disinteresse, abbiamo ottenuto un risultato inimmaginabile a priori:
dalla nascita della Repubblica mai si era raggiunto un numero
simile di firme. Eppure – contesta Caselli – non si è nemmeno
aperto un dibattito nella società civile o sui media”.
Un'indifferenza che non ha tuttavia contagiato il gestore bolognese dell'acqua, cioè Hera, che, visti realizzati i
propositi di risparmio idrico, ha deciso di aumentare le tariffe in conseguenza dei mancati introiti. Come
giustamente fatto notare da Alfredo Sanvinello, Presidente di Legambiente Medicina, “da una parte le istituzioni
ci dicono di limitare i nostri consumi, dall'altra Hera, appena lo facciamo, alza i prezzi”. E pensare che il consumo
civile di acqua non pesa che per il 10-15% del totale. Chissà cosa accadrebbe se fosse il mondo dell'agricoltura
(che usa il 60-70% delle risorse idriche) a iniziare a risparmiare sui consumi.
INSEGUONO LA LUCE, MA NON CHIAMATELI GIRASOLE
Scritto da Lou Del Bello
Michele Natali, 24 anni, è ingegnere elettronico. E, alla faccia di tutti clichés sugli scienziati, anche un musicista,
pianista al conservatorio. L'abbiamo intervistato perché questo ragazzo di origini lughesi è cofondatore e
promotore di un progetto scientifico nuovo e utile nel campo delle rinnovabili.
BiaSol è un progetto (tra poco un'impresa vera e propria) che opera sulle tecnologie di solar tracking. Il nome dice
qualcosa, ma Michele lo spiega meglio: “Un dispositivo per il solar tracking 'insegue' il sole, muovendo i pannelli
verso i raggi per sfruttare al massimo le loro potenzialità e migliorare la resa dell'impianto. Quando abbiamo
cominciato, quattro anni fa, l'idea era molto nuova, oggi invece ci sono varie aziende che si sono buttate nel
settore”. Michele ha concepito l'idea di BiaSol un po' per caso, nel tentativo di coniugare le applicazioni tecniche
di quanto studiava al suo interesse per l'ecologia. Dalla sua nascita, il progetto ha vinto diversi premi per
l'imprenditoria giovanile e ha ottenuto il sostegno di fondazioni e imprese private, oltre che dell'università.
Negli anni si sono succeduti numerosi collaboratori, che hanno contribuito alla crescita di BiaSol unendo le loro
diverse professionalità. “Al momento non siamo ancora un'impresa a tutti gli effetti – spiega Natali – ma in questi
giorni stiamo terminando le pratiche per ufficializzare la nostra posizione, decidendo la forma di impresa più
consona al modello di business che vogliamo affrontare, (srl o snc – società di capitali o di persone)”.
Se il solar tracking era, quattro anni fa, una novità
assoluta, oggi è impiegato da molti. In cosa consiste
dunque la novità del progetto BiaSol rispetto a quelli
già sperimentati? “Innanzitutto le altre aziende hanno
avuto molti problemi perché i primi sistemi, basati per
esempio sui sensori ottici, presentavano difficoltà in
caso di variazioni meteorologiche e questo ne riduceva
la resa. In altri casi i pannelli si facevano ombra l'uno
con l'altro. Noi abbiamo creato un algoritmo che
considera tutti questi fattori e tiene conto della
posizione del sole: grazie anche alle informazioni
disponibili sulla geometria dell'impianto, riesce ad
evitare le ombre. In questo modo possiamo
massimizzare la produzione energetica”.
Ma attenzione, non chiamatelo girasole: la meccanica dell'impianto si discosta dal comportamento del noto fiore
giallo, anche se per rendere l'idea il solar tracking viene spesso associato a questo. Il sistema di Natali e soci è
infatti più simile a quello dei pannelli fissi, per costi e struttura del telaio. Grazie a BiaSol l'impatto visivo degli
impianti si riduce molto, e i pannelli, anziché avere la comune base in cemento, sono ancorati al suolo da grosse
viti in metallo, che saranno più semplici da smaltire una volta esaurita l'efficacia delle celle fotovoltaiche. “Il
miglioramento nell'efficienza degli impianti dotati di dispositivo solar tracking rispetto a quelli fissi si può
quantificare in un 33% - aggiunge Natali. Ma questa percentuale è indicativa e può subire importanti variazioni in
base al luogo e alle condizioni in cui viene misurata”.
Che futuro c'è per le energie alternative, in Emilia-Romagna ma anche a livello globale? “L’energia rispettosa
dell’ambiente prende forma dall’ascolto della natura. Al contrario la ricerca tecnologica si fonda sulla
proliferazione degli oggetti e delle merci. Per sviluppare le fonti ecocompatibili occorre ripensare all'energia che
la natura produce autonomamente: come afferma Picasso a proposito della sua pittura 'Io non cerco, io trovo',
perché tutte le grandi scoperte sono forma di rivelazione”.
INQUINAMENTO ACUSTICO: DIAMO VOCE AL QUARTIERE NAVILE
Scritto da Laura Simoni
Al Bar Gil, all’angolo tra via della Beverara e via Bottego, incontro un gruppetto di simpatici signori sulla
sessantina: quasi tutti neopensionati che chiacchierano comodamente seduti ai tavolini nel dehors del locale
rimasto fermo agli anni Ottanta.
Il loro pomeriggio è scandito dal regolare passaggio degli aeromobili che, sorvolando la via ogni dieci minuti,
rimarcano con il lungo ruggito la potenza dei loro motori a propulsione. Loro, che qui ci vivono da decenni,
seguono i velivoli con lo sguardo, li osservano, li studiano: sanno quali sono più silenziosi e che traiettoria
prendono quando c’è vento. «Ormai, dopo tanto tempo, non ci facciamo più caso al rumore», mi dicono. Ma non
tutti qui la pensano allo stesso modo.
Cristina è una studentessa che da cinque anni abita allo studentato vicino al Museo del Patrimonio industriale. Si
lamenta: «Quando sono al telefono con mia mamma e passa un aeroplano, devo chiederle di aspettare e
interrompo la comunicazione per una decina di secondi, altrimenti non sento nulla. Prima la situazione era
tollerabile perché ne passavano meno, ma ora è insopportabile. Non c’è un attimo di tregua, volano sulle nostre
teste per tutto il giorno e fino a tarda sera. Fortunatamente nel nostro studentato l’aula studio è al piano
seminterrato, quindi almeno quando studiamo siamo isolati dal rumore.»
Marco è un papà incontrato fuori dalla scuola elementare di via della Beverara. Anche lui mi parla
dell’impossibilità di effettuare una telefonata senza interruzioni e auspica un po’ di pace nei momenti di relax
casalinghi: «Senza i doppi vetri alle finestre è impossibile guardare la tv». Chiara fa la quinta elementare, ma
nonostante la giovane età ha ben presente il problema dell’inquinamento acustico: «Certo che si sentono gli
aeroplani quando siamo in classe. Quando volano sulla scuola, la maestra deve sospendere la lezione finché non
torna il silenzio». «La mia famiglia ed io abitiamo in zona Noce, vicino a via Zanardi – continua Andrea, il papà
della bimba – negli ultimi mesi sentiamo il rumore dei motori dei velivoli anche la sera, fino alle 23!».
Il signor Nipoti ha una bottega di ceramica e terracotta,
abita da sessantacinque anni in questo quartiere e da anni
partecipa alle attività dell’associazione culturale “Il Ponte
della Bionda”, nata sulle sponde del Canale Navile per la
valorizzazione e la salvaguardia del territorio. Per far capire
quanto il rumore degli aerei vada ad incidere
profondamente su ogni aspetto della vita dei residenti mi
racconta questo simpatico aneddoto: «Ogni anno, con
l’avvicinarsi dell’estate, l’associazione organizza spettacoli
teatrali all’aperto. Quando passano gli aerei, l’attore deve
troncare la battuta e riprendere la recitazione dopo il
passaggio del volo.»
Per chi, come me, abita in un quartiere residenziale silenzioso, dove l’unico rumore che entra dalle finestre è
quello del vocio allegro dei bimbi che escono da scuola, è difficile comprendere a pieno il problema legato
all’inquinamento acustico aeroportuale. Ma basta passare poche ore nel quartiere Navile per rendersi conto della
gravità della situazione. Provare per credere.
UNA BUONA MAPPA
Scritto da Biljana Prijic
Si è appena chiusa la settimana internazionale del design, che quest’anno si è tenuta a Bologna, dove il tema
battezzato non poteva che essere il cibo. Design per l’alimentazione, quindi, nella città nota (anche) per tortellini e
affini.
Anche Sottobosco ha giocato il suo ruolo contribuendo alla compilazione della FairCity Map, un progetto
dell’agenzia Kitchen - che ha disegnato anche il logo di Sottobosco - per censire e mappare le realtà piccole e
medie dell’alimentazione da agricoltura biologica, a kilometro 0 e in diversi modi etica della nostra città.
Ci sono i mercatini settimanali, da quello del sabato al Lumière a
quello della Scuola di Pace; ci sono le botteghe che vendono alimenti
sfusi prodotti nei dintorni, come legumi e cereali “dimenticati”, ma
anche locali originali che propongono aperitivi e colazioni bio da
leccarsi i baffi; ci sono i ristoranti, sia strettamente vegetariani sia
aperti ai carnivori ma con prodotti da allevamenti controllati; abbiamo
inserito anche alcune gelaterie, perché siamo golosi, ma soprattutto
perché ci piace sapere come viene preparato il nostro gelato.
Abbiamo avuto anche dei dubbi. Inserire una catena di supermercati
bio? Non ne eravamo certi. Poi abbiamo pensato che alcuni prodotti
che ci piace usare per le cene di redazione - come il lievito di birra in
polvere - li troviamo solo lì. Ed è per questo che abbiamo inserito
nella mappa questa catena.
Abbiamo avuto anche delle sorprese spiacevoli, contando alcuni negozi e locali che credevamo aperti e invece, a
una verifica telefonica, sono risultati chiusi. Purtroppo queste piccole realtà hanno una mortalità d’esercizio
piuttosto alta, perché non sempre riescono a promuoversi, e sulla voce “comunicazione” non possono certo godere
delle economie di scala della grande distribuzione.
Per questo Kitchen ha pensato di metterle in rete in un unico strumento, sperando sia utile. E Sottobosco ha
contribuito all’elenco con riunioni in cui ciascun redattore ripensava alle volte in cui era passato nella tal via e
aveva notato il tal negozio di cibi bio. Ma come si presenta la FairCity Map? Una particolare mappa di Bologna
con 40 pallini numerati e colorati che corrispondono a un elenco di altrettanti mercati, botteghe e ristoranti che
propongono cibi “etici”, ciascuno con indirizzo e contatti telefonici e web, quando esistenti.
E soprattutto FairCity Map è un progetto aperto, senza scopo di lucro, e che vivrà se sarà ritenuto utile e valido. Se
avete gruppi d’acquisto o botteghe bio da segnalare, contattate Kitchen: la segnalazione sarà inserita nella
prossima edizione della mappa.
Se invece volete ritirarne gratuitamente una, passate in via San Felice 26 finché ce n’è. I visitatori della giornata
“Open studios” all’interno di Design per l’hanno apprezzata molto. Così la settimana internazionale del design
dedicata al cibo durerà molto più di una settimana. E servirà a promuovere un cibo che è buono due volte.
A BOLOGNA LA COSTITUENTE ECOLOGISTA
Scritto da Filippo Piredda
20% nei sondaggi in Germania, 19,9% della candidata presidenziale in Brasile, 6% in Svezia, la prima
parlamentare in Gran Bretagna, i partiti Verdi spopolano ovunque in Europa e nel mondo. E in Italia?
Alla vigilia di probabili imminenti elezioni, dopo mesi a parlare di ville, dossier e mercato di voti, il partito si è
sciolto qualche settimana fa per affrontare da capo l’ennesimo svolta politica. Venerdì 15 e sabato 16 ottobre a
Bologna (Scuderia Piazza Verdi 2), ci sarà la Costituente Ecologista che punta a superare e ampliare il movimento
ambientalista. Già in passato su queste colonne si era detto che i Verdi da anni dicono cose sacrosante su green
economy, cambiamenti climatici, fonti rinnovabili, raccolta
differenziata, trasporto pubblico, ma il problema è sempre
stato quella della scarsa capacità di comunicazione e di
tradurre in risultati la propria rappresentanza politica.
Il nuovo inizio parte da qui, l’appello titola “Io cambio” (qui
per il pdf) “riteniamo necessario impegnarci per dare una
risposta al degrado politico, morale e ambientale ed ai gravi
problemi economici e sociali che segnano il nostro tempo”. Il
testo continua affiancando la salute del Pianeta ai mali
italiani, la dimensione etica alle questioni prettamente
ecologiste. Come prevedibile non si fa cenno ad altri partiti,
né al Pd né a quelli considerati “fratelli e/o coltelli” come
Grillini o Sinistra ecologia e libertà. Tra i firmatari ci sono
una serie di nomi molti noti tra scienziati, intellettuali ed esperti del settore: Tozzi, Mercalli, Covatta, Bonelli,
Maraini, Monicelli, Comencini, Napoleoni, Viale, Bettin, Deaglio. E molte associazioni che hanno già aderito:
Legambiente, Italia Nostra, Lipu, Cittadinanza Attiva, Greenaccord, Radicali, Banca Etica. Come vedete
nell’elenco ci sono anche presenze inedite in campo ambientalista.
Le intenzioni ci son tutte. Un unica nota critica: iniziare con “Noi che amiamo profondamente l’Italia”, mi ricorda
l’incipit di una tristemente famosa discesa in campo avvenuta un giorno di gennaio del 1994. Son certo che sia un
cattivo presagio presto smentito.
A BOLOGNA SI PEDALA IN FESTA
Scritto da Lou Del Bello
Asta di bici nel centro della città: un appuntamento così conosciuto dai bolognesi che in occasione di
“Ciclo(ri)party”, un'asta con la festa intorno, ci siamo accorti che non avevamo mai parlato di questa iniziativa. Il
gruppo Scatènati, promotore delle aste, è nato in seno alle associazioni studentesche l'Altra Babele e Terzo
Millennio, e ha lo scopo di contrastare il mercato nero delle biciclette nel capoluogo emiliano.
Come sintetizza Vito Bernardo, responsabile delle iniziative sociali del progetto, nato nel 2008 ma attivo già dagli
anni precedenti, “avere una bici a Bologna vuol dire disporne a noleggio per un tempo indefinito”. La si compra
ad un prezzo relativamente basso, ma si sa già che nell'arco di un tempo più o meno lungo (a seconda di quanto si
è “bravi” a custodirla e del peso della catena) verrà rubata. E il giro ricomincia, con una nuova bici acquistata
sottocosto dagli stessi che l'hanno rubata.
Il progetto Scatènati ha avuto un enorme successo in pochi anni proprio per questo: “Non si tratta di una bella idea
tra le mille che già esistono in ambito di promozione sociale – spiega Bernardo – ma della risposta ad un preciso
bisogno dei cittadini, e in particolare degli studenti che per la maggior parte si spostano a pedali”.
Il 7 ottobre, giovedì scorso, si è dunque svolta una grande
festa (si stimano i partecipanti tra i 1500 e i 2000) per
celebrare la bici “pulita”, sia dal punto di vista ecologico
che di quello del mercato. In via Filippo Re si è mangiato
e bevuto sulle note di un concerto a ingresso libero. Feste
e aste sono organizzate periodicamente (sempre più
spesso) e per controllare le prossime date si può
consultare il sito ufficiale www.scatenati.info.
Lo slogan “per lo stesso prezzo, meglio usata che rubata”
riunisce coloro che cercano una bici (quasi) nuova, ma
anche chi ne ha già una, con qualche acciacco, che non
vorrebbe dare via ma non sa come riparare.
Nel tempo, infatti, attorno all'asta si sono sviluppati vari servizi paralleli: un laboratorio di formazione per aiutare
chi è negato nell'arte del “ciappino” a riparare da solo la propria bici, la ciclo officina, il servizio 3R, ritira-ripararivendi, per chi vuole liberarsi dei vecchi veicoli inutilizzati. L'idea 3R è interessante perché è modellata su
un'esigenza specifica della città, ma affronta uno dei temi importanti e universali di questi anni, cioè la riduzione
dei rifiuti. E lo fa tramite il riuso, che rispetto al riciclo riduce le scorie e l'energia impiegata.
Tra gli altri progetti paralleli oggi al via, c'è anche “L'adolescenza in Bici” (titolo di Brizziana memoria per noi
over 25, cresciuti con Jack Frusciante), cioè un laboratorio per educatori ciclo riparatori. In pratica si insegna ai
partecipanti ad aggiustare una bici e a trasmettere a loro volta le tecniche imparate a colleghi universitari o ragazzi
delle scuole medie inferiori. Un modo intelligente per invertire il circolo vizioso del mercato nero insegnando il
consumo responsabile.
Come funziona un'asta? Lo si capisce solo andandoci, perché le parole non possono restituire il piglio di una
manifestazione così bizzarra, rumorosa quanto pacifica, colorata. Le bici in palio non sono assegnate a chi paga di
più (costano tutte dai 15 ai 25 euro), ma a chi fa più casino, indossa il costume più buffo, si esibisce nelle
performances più strampalate. E vi assicuro, vale la pena partecipare anche se non avete bisogno di una bicicletta,
perché questa folla tumultuante e pazzoide vi strapperà più di un sorriso.
(Le immagini che illustrano gli articoli sono prese da Flickr)