la poesia di saba scoperta del reale e riconquista del passato
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la poesia di saba scoperta del reale e riconquista del passato
LA POESIA DI SABA SCOPERTA DEL REALE E RICONQUISTA DEL PASSATO PREMESSA Per sentire anche noi la voce che viene dalle cose e dal profondo1, abbiamo deciso di andare a cercare le tracce di Saba nella sua città natale: in verità di Saba a Trieste resta ben poco: una statua in bronzo, qualche targa e la sua libreria antiquaria. In libreria abbiamo incontrato Mario Cerne, che ha conosciuto personalmente Saba e ha accettato di raccontarcelo. Questa visita è stata per noi un tentativo di guardare la realtà così come la guardava il poeta e ci ha spinti a voler comprendere fino in fondo il suo percorso umano e artistico. La poesia di Umberto Saba racconta la vita quotidiana degli uomini: per dare voce a questo mondo di cose e sentimenti, il poeta sceglie le parole per la loro pregnanza semantica, per la loro concretezza, per la loro capacità di oggettiva definizione della realtà da descrivere. Tra queste parole ci sono quelle domestiche, quotidiane, quelle dell’infanzia e degli affetti, ma egli attinge, anche e anzitutto, alla tradizione lirica italiana, da Dante a Leopardi, fino a D’Annunzio. AMAI Amai trite parole che non uno osava. M'incantò la rima fiore amore, la più antica, difficile del mondo. Amai la verità che giace al fondo, quasi un sogno obliato, che il dolore riscopre amica. Con paura il cuore le si accosta, che più non l'abbandona. 1 U.Saba, Il Canzoniere (1900-1954), Trieste e una donna, Il pomeriggio, Einaudi, Torino 1978 1 Amo te che mi ascolti e la mia buona carta lasciata al fine del mio gioco.2 La sfida di Saba è quella di praticare una poesia onesta, autentica e non contraffatta, operando con quanto messogli a disposizione dalla tradizione: in un momento culturale in cui le avanguardie dichiarano guerra al linguaggio tradizionale, Saba rilancia la volontà di rinnovarlo, di rivitalizzare parole trite e rime logore e banali, facendo uso di materiali linguistici che altri rifiutano. Il poeta triestino impara a scrivere versi leggendo i grandi autori della tradizione, da autodidatta: compra i classici della letteratura italiana sulle bancarelle di Città vecchia a Trieste. Questo giovane uomo ha capito che, così come la musica, la pittura, la scultura si imparano soprattutto a bottega, dai grandi maestri, anche per la poesia vale l’apprendistato. E proprio leggendo i classici, Saba deve aver compreso che la letteratura non è avulsa dalla vita, ma è prima di tutto un modo per capire il mondo, che scrivere vuol dire educarsi alla capacità di vedere la realtà, osservando ciò che ci sta davanti con curiosità e divertimento: insomma per fare poesia ci vuole un occhio allenato a vedere, capace di meravigliarsi o di provare pena. Così la poesia di Saba aiuta l’uomo a scoprire la verità dell’esperienza quotidiana, ritrovando sempre la segreta presenza di un bene. Ne deriva che anche la presenza incancellabile del male nella realtà assume un valore diverso: la poesia trasforma il dolore in una sorta di drammatico appello alla forza interiore dell’amore. POESIA E' come a un uomo battuto dal vento, accecato di neve - intorno pinge un inferno polare la città l'aprirsi, lungo il muro, di una porta. Entra. Ritrova la bontà non morta, la dolcezza d'un caldo angolo. Un nome posa dimenticato, un bacio sopra ilari volti, che solo vedeva oscuri in sogni minacciosi. Torna Alla strada, anche la strada è un'altra. 2 U.Saba, Il Canzoniere (1900-1954), Mediterranee, Amai, Einaudi, Torino 1978 2 Il tempo al bello si è rimesso; i ghiacci spezzano mani operose, il celeste rispunta in cielo e nel suo cuore. E pensa che un estremo di mali un bene annunci.3 I primi quattro versi di questa lirica raccontano la sofferenza dell’uomo, il quale si trova in un contesto ostile, dove subisce l’offesa della natura (il vento lo percuote, la neve accecante gli impedisce di comprendere ciò che lo circonda), ma poi egli ritrova qualcosa di intimamente prezioso che credeva per sempre perduto: si tratta di una condizione dell’essere legata all’amore, alla bontà, che la vita adulta sembrava avere offeso e per sempre bandito dal reale, e che ora invece si configura come riscoperta della forza interiore dell’amore. È nella realtà , dunque, che Saba cerca quel varco che possa introdurre al significato dell’esistenza e dare senso al proprio destino: non è compito della filosofia trovare la strada e la meta: è il poeta il solo che ode la voce che viene dalle cose e dal profondo.4 NON HO NULLA da dire ai filosofi, ne essi hanno nulla da dire a me. Come li avvicino diventano fluidi; si dilatano all’universale per non essere toccati in un solo punto nevralgico. Tutti i loro sistemi sono “toppe”, per nascondere una “rottura di realtà”. I poeti promettono di meno e mantengono di più.5 Secondo Saba il filosofo può offrire all’uomo solo la capacità di ragionare, di sistemare il suo pensiero e di dare a questo una forma logica e coerente.6 E’ la scoperta della Psicanalisi, invece, che lo aiuta a comprendere pienamente se stesso: diceva Socrate:”Conosci te stesso” e diceva cosa giusta. Ma oggi sappiamo che, per conoscere noi stessi, non basta più conoscere quello che ci affiora alla coscienza, che la conoscenza dell’uomo e delle attività dell’uomo passano attraverso la strada sotterranea scoperta dalla psicanalisi.7 Saba sperimenta un contatto diretto con la psicoanalisi, quando entra in cura presso un allievo di Freud, il dottor Weiss, nel tentativo di 3 U.Saba, Il Canzoniere (1900-1954), Parole, Poesia, Einaudi, Torino 1978 U.Saba, Il Canzoniere (1900-1954), Trieste e una donna, Il pomeriggio, Einaudi, Torino 1978 5 U.Saba, Scorciatoie e Raccontini (1934-1948), Prime scorciatoie, Einaudi, Torino 2011 6 U.Saba, Prose varie, Poesia, filosofia e Psicanalisi, 1946, Mondadori, Milano, 1964 7 U.Saba, Prose varie, Poesia, filosofia e Psicanalisi, 1946, Mondadori, Milano, 1964 4 3 superare le sue gravi crisi depressive. Questa esperienza, non soltanto, segna il percorso esistenziale del poeta, ma incide anche sull’elaborazione di motivi e simboli che egli tratta nel suo Canzoniere. Attraverso la terapia psicanalitica, Saba risale alle cause psicologiche della lacerazione interiore che segna il suo io, identificandole con un evento traumatico della sua infanzia, quando all’età di tre anni egli subisce la separazione dall’amatissima balia, a cui la madre lo aveva affidato, fino al momento di riprenderlo con sé, dopo essere stata abbandonata dal marito. PREGHIERA ALLA MADRE Madre che ho fatto soffrire (cantava un merlo alla finestra, il giorno abbassava, sì acuta era la pena che morte a entrambi io m’invocavo) madre ieri in tomba obliata, oggi rinata presenza, che dal fondo dilaga quasi vena d’acqua, cui dura forza reprimeva, e una mano le toglie abile o incauta l’impedimento; presaga gioia io sento il tuo ritorno, madre mia che ho fatto, come un buon figlio amoroso, soffrire. Pacificata in me ripeti antichi moniti vani. E il tuo soggiorno un verde giardino io penso, ove con te riprendere può a conversare l’anima fanciulla, inebbriarsi del tuo mesto viso, sì che l’ali vi perda come al lume una farfalla. E’ un sogno, 4 un mesto sogno; ed io lo so. Ma giungere vorrei dove sei giunta, entrare dove tu sei entrata - ho tanta gioia e tanta stanchezza!farmi, o madre, come una macchia dalla terra nata, che in sé la terra riassorbe ed annulla.8 Il poeta, ormai adulto, coglie il riscoperto amore verso di lei come frutto di una difficile evoluzione della coscienza e immagina un’incontro con la madre morta negli spazi ridenti di un aldilà dove finalmente poter portare a compimento una comunicazione profonda con lei. Il senso di morte da cui rifuggiva da adolescente si trasforma ora in un anelito al perfetto compimento di una fusione che il poeta vorrebbe raggiungere con l’anima della madre, paragonando il suo desiderio di rincontrarla alla letale attrazione che spinge le falene a volare intorno ad un lume che può bruciare le loro ali (si che l’ali vi perda come al lume/una farfalla). Le radici delle sue lacerazioni giovanili sono riportate in modo ancora più chiaro e diretto nel seguente sonetto: MIO PADRE È STATO PER ME "L'ASSASSINO" Mio padre è stato per me "l'assassino"; fino ai vent'anni che l'ho conosciuto. Allora ho visto ch'egli era un bambino, e che il dono ch'io ho da lui l'ho avuto. Aveva in volto il mio sguardo azzurrino, un sorriso, in miseria, dolce e astuto. Andò sempre pel mondo pellegrino; più d'una donna l'ha amato e pasciuto. 8 U.Saba, Il Canzoniere (1900-1954), Cuor morituro, Preghiera alla madre, Einaudi, Torino 1978 5 Egli era gaio e leggero; mia madre tutti sentiva della vita i pesi. Di mano ei gli sfuggì come un pallone. "Non somigliare - ammoniva - a tuo padre": ed io più tardi in me stesso lo intesi: Eran due razze in antica tenzone.9 Saba all’età di vent’anni scopre di assomigliare molto al padre, sia nel fisico (lo sguardo azzurrino) che nel carattere (il dono ch’io ho da lui l’ho avuto). L’incontro con il padre non porta però ad un’accettazione piena del suo modello, né ad un rifiuto del modello materno, bensì alla possibilità, per il poeta, di osservare e giudicare entrambi da diversi punti di vista, in un percorso di autoanalisi, volto a conoscere meglio soprattutto se stesso. Saba, quindi, capisce che per accettare la propria condizione di uomo, per affrontare la realtà, per vivere, nessuno può prescindere dalle proprie origini: l’essere umano ha bisogno di radici, di passato, di storia e di memoria. Scrive ancora in Storia e cronistoria del Canzoniere: il passato, che per volontà di vita, il poeta tenta di respingere da sé, per non aggravare il cumulo delle memorie, ritorna da ogni parte, dovunque il poeta volga gli occhi, qualunque nuovo affetto gli faccia battere il cuore.10 E in Scorciatoie e raccontini: il passato, anche se lo sentiamo agli ultimi limiti della resistenza consola più del futuro. Di questo vediamo appena i primi contorni, freddi e minacciosi.11 Sembra quasi che Saba abbia riscoperto le riflessioni sul tempo del grande filosofo stoico Seneca quando affermava: la vita è divisa in tre momenti: il passato, il presente, il futuro. Di questi momenti, quello che stiamo vivendo è breve, quello che dobbiamo ancora vivere è incerto, quello che abbiamo vissuto è sicuro.12 Forse si può interpretare come ricerca di una sicurezza e di un rifugio nel passato anche la scelta di Saba di dedicarsi all’attività di libraio antiquario. E’ il 1919, un anno dopo la fine della Grande Guerra, quando Umberto Saba, alias Umberto Poli, acquista la Libreria Antica e Moderna di Giuseppe Maylaender, in via San Nicolò 30 a Trieste, grazie al lascito ereditario ricevuto alla morte della zia Regina. La Libreria Antica e Moderna, che il suo amico Nello Stock chiama “la bottega 9 U.Saba, Il Canzoniere (1900-1954), Autobiografia 3, Einaudi, Torino 1978 U.Saba, Storia e cronistoria del Canzoniere (1940-1947), Mondadori, Milano, 1964 11 U.Saba, Prose, Mondadori, Milano, 1964 12 Seneca, De brevitate vitae, X, 2-5 10 6 dei miracoli”, gli consente di avere una modesta, ma dignitosa entrata economica e di potersi dedicare liberamente alla poesia. E’ proprio con il marchio editoriale della libreria che Saba nel 1921 pubblica a sue spese Il Canzoniere. “Una strana bottega d’antiquario s’apre, a Trieste, in una via secreta. D’antiche legature un oro vario l’occhio per gli scaffali errante allieta. Vive in quell’aria tranquillo un poeta. Dei morti in quel vivente lapidario la sua opera compie, onesta e lieta, d’Amor pensoso, ignoto e solitario. Morir spezzato dal chiuso fervore vorrebbe un giorno; sulle amate carte chiudere gli occhi che han veduto tanto. E quel che del suo tempo restò fuore e del suo spazio, ancor più bello l’arte gli pinse, ancor più dolce gli fe’ il canto.” 13 Nel 1924 viene assunto come aiutante Carlo Cerne, il “Carletto di Saba”, un figlio, più che un collaboratore per lui. CARLETTO Il buon Carletto, come schedo un libro, ne muta il prezzo a suo arbitrio. Poi quello trascrive sui risguardi, mette a un lato la scheda, sceglie lo scaffale; vada, o no, venduto (egli spera venduto). 13 U.Saba, Il Canzoniere (1900-1954), Autobiografia (1924), Einaudi, Torino 1978 7 La sua giornata in Libreria gli corre rapida, che il lavoro non gli manca, per lui, per me, per i suoi figli. Io grato gli sono, e più che non creda. Ripenso (questo non glielo dico ancora; temo si offenderebbe; ha in odio i paragoni) il canarino in gabbia affaccendato.14 Dopo la morte di Saba nel 1957, Carletto acquista la proprietà della libreria dalla figlia del poeta Linuccia. Nel 1960 la gestione dell’attività passa a Mario, figlio di Carlo, che ancor oggi, tutte le mattine, tira su la vecchia saracinesca di questo gioiello. Così decidiamo di approfittarne e in un ventoso pomeriggio di dicembre andiamo a trovare il signor Cerne nella sua libreria. Mario Cerne è come il genio della lampada: qualsiasi indicazione letteraria tu gli chieda lui la esaudisce, dopo aver dato una bella spolverata a qualche vecchio tomo. Lì nascosti si possono trovare volumi, documenti antichi e cimeli di Saba: Mario Cerne ci permette anche di battere i tasti della vecchia macchina da scrivere Olivetti che Saba utilizzava, a volte, per scrivere. Non solo: accetta di rispondere alle nostre domande per aiutarci a capire meglio l’animo del poeta. Signor Mario Cerne può spiegarci e raccontarci la storia di questa libreria? La storia di questa libreria è molto semplice: l'attività libraria è iniziata nel 1914, l'edificio era stato costruito invece nel 1907. Il nome dell'attività era Mylaender e alla fine della prima guerra mondiale il titolare si era trasferito a Bologna. Umberto Saba nel ‘19 era direttore di una sala cinematografica dove adesso c’e un grande magazzino, passando davanti a questa libreria ha visto che era in vendita. Il suo primo pensiero, l'ha detto dopo, è stato "mai e poi mai finirei i miei giorni in quell'antro oscuro". Mai fare calcoli: un mese dopo aveva comprato la libreria e aveva iniziato l'attività con una commessa, che poi ha cambiato. Ma nel ‘24 si è trovato senza nessun supporto e casualmente si è presentato un giovane che aveva 17 anni, era mio padre e venne assunto. Con lui Saba ha instaurato un rapporto padre-figlio che prevaleva su quello datore di lavoro-dipendente e sono andati avanti fino al 1938, anno in cui sono state emanate le leggi razziali,annunciate da Mussolini proprio durante una visita a Trieste. Saba essendo ebreo non poteva gestire un'attività 14 U.Saba, Il Canzoniere (1900-1954), Quasi un racconto (1951), Einaudi, Torino 1978 8 commerciale, allora come tanti altri ebrei egli ha fatto una finta vendita a mio padre che ha portato avanti la libreria durante tutto il periodo bellico. Saba è andato prima a Parigi, poi è andato Milano, poi era nascosto a Firenze e alla fine è andato a Roma. Finita la guerra è rientrato e mio padre ha restituito la libreria, ma dato che Saba aveva un socio tacito che non era interessato a continuare l'attività, ha venduto la sua quota a mio padre, il quale è diventato socio di Saba. Il rapporto tra loro due è sempre stato come tra padre e figlio, quindi Saba lavorava quando voleva, andava via quando voleva; lui era l'artista, non il commerciante, anche se aveva tanti contratti con i quali s'era comprato biblioteche. Morto Saba nel ‘57 a Gorizia, mio padre ha continuato la sua attività, e nei primi anni Sessanta sono venuto ad aiutarlo. Mio padre poi è morto nell’81, ho continuato io fino ad oggi; il problema adesso è la mia età: prima o poi arriverà il momento di tirare i remi in barca, o si farà qualcosa o diventerà integralmente un museo o qualcuno mi dovrà sostituire (per i tempi che corrono mi sembra molto difficile) o vedremo cosa succederà. Intanto, notizia di ieri, per l'Expo di Milano del 2015 vogliono clonare questa stanza in piazza San Babila, nel padiglione della cultura che Sgarbi sta organizzando. Ci può spiegare proprio l'attività di Saba all'interno di questa libreria? Il suo era un operare concreto e pratico o affidava la sua attività al suo socio che come ha detto era suo padre? Tutte due le cose: dato che Saba non aveva uno studio a casa, le sue poesie e tutte le sue cose lui le scriveva qua. Quando lui aveva voglia di scrivere, si chiudeva qui dietro e scriveva i suoi versi. Se no faceva opera di schedatura dei libri, accoglieva casualmente i clienti, dico casualmente perché Saba non era disponibile, se era di buona voglia si, se no no. Voleva stare in pace quando aveva la vena poetica come ad esempio quella volta, mi ha raccontato mio padre, che doveva avere una poesia pronta in mente e mio padre gli dava fastidio perché girando per il negozio lo disturbava, allora l'ha preso e ha detto: vai a prendere un caffè nel bar qua di fronte! Mio padre è andato si è dilungato un po' troppo, è tornato in libreria e Saba non aveva ancora finito. Quindi gli ha detto: vai a prenderti un altro caffè. Voleva stare tranquillo. E quindi può spiegarci ancora una volta il rapporto tra suo padre e Umberto Saba? Il concetto più preciso del rapporto tra Umberto Saba e mio padre è stato quello del rapporto tra padre e figlio. Probabilmente, e questa è solo una mia ipotesi, visto che Saba non aveva mai visto suo padre (perché mi pare che suo padre l'abbia visto quando aveva 24 anni) e avendo trovato mio padre orfano si era immedesimato nel sostituire i suoi genitori. Poi Saba nei confronti di mio padre è sempre stato riconoscente. Ho qui una copia del Canzoniere con una dedica in cui Saba che non era estremamente generoso, scriveva: “ A Carlo Cerne, il famoso Carletto, il quale più coi fatti che 9 con le parole mi ha aiutato a vivere”. Può sembrare una frase semplice ma detta da Saba ha un valore non indifferente. Ci racconta un episodio che gli è rimasto impresso? Una delle ultime volte che ho visto Saba è stato al funerale di sua moglie, un funerale aconfessionale, ma prima di andarsene, il poeta che era a braccetto del sindaco di Trieste disse che non poteva sopportare un funerale laico; così, mentre la bara veniva messa nel cubicolo a lei destinato, Saba chiese al sindaco di recitare il Padre nostro, la preghiera che quando era bambino gli aveva insegnato la balia Beppa Sabaz. Questo episodio non fu mai completamente accettato dalla comunità ebraica di Trieste; così come quella lettera che Saba aveva scritto a Mussolini, nel tentativo di salvarsi dalle persecuzioni razziali.15 Il comportamento di Saba al funerale della moglie rappresenta, a nostro avviso, un esempio significativo del suo modo di essere e della sua peculiare sensibilità religiosa, quella di un uomo che avverte la presenza del mistero nella vita e nella morte, e sente il bisogno sia di instaurare una comunicazione con il divino, sia di rispondere agli interrogativi esistenziali. Saba è consapevole che nel percorso di ricerca della verità il dolore rappresenta una componente fondamentale, perché assume una funzione pedagogica: è di fronte ad esso che si manifesta la vera essenza delle cose. LA CAPRA Ho parlato a una capra. Era sola sul prato, era legata. Sazia d'erba, bagnata dalla pioggia, belava. Quell'uguale belato era fraterno al mio dolore. Ed io risposi, prima per celia, poi perché il dolore è eterno, ha una voce e non varia. 15 Intervista realizzata a Trieste presso la Libreria antiquaria di Saba il 5 dicembre 2014 10 Questa voce sentiva gemere in una capra solitaria. In una capra dal viso semita sentiva querelarsi ogni altro male, ogni altra vita.16 Il belato lamentoso di una capra, legata e bagnata di pioggia, diventa, dunque, riecheggiato nell'animo del poeta, il lamento di ogni essere vivente, il lamento stesso del “male di vivere”, la voce di una sofferenza che, al di là di ogni barriera e razza, unisce tutti i viventi. L'anafora finale “ogni altro male, ogni altra vita” lega in modo indissolubile i due termini “male” e “vita”, con una considerazione che possiamo paragonare alle parole del Canto notturno di un pastore errante nell'Asia di Leopardi: “a me la vita è male”17 , pronunciate in un luogo lontano e indefinito da un anonimo pastore, portavoce degli stati d'animo di tedio e di sgomento provati dall'uomo di fronte alla vanità e all'incomprensibilità dell'esistenza. Saba, comunque, è un guerriero indomito, un po' come l'eroe omerico Ulisse: sa che nella vita bisogna sempre alzare le vele e prendere i venti del destino/ dovunque spingano la barca.18 Proprio la lirica Ulisse, presente in una delle ultime sezioni del Canzoniere, rappresenta il miglior ritratto dell’uomo e del poeta. ULISSE Nella mia giovinezza ho navigato lungo le coste dalmate. Isolotti a fior d'onda emergevano, ove raro un uccello sostava intento a prede, coperti d'alghe, scivolosi, al sole belli come smeraldi. Quando l'alta marea e la notte li annullava, vele 16 U.Saba, Il Canzoniere (1900-1954), Casa e Campagna, La Capra, Einaudi, Torino 1978 G.Leopardi, I Canti, Canto notturno di un pastore errante nell’Asia, Mondadori, Milano 1987 18 Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, George Gray, Einaudi, Torino 1978 17 11 sottovento sbandavano più al largo, per fuggirne l'insidia. Oggi il mio regno è quella terra di nessuno. Il porto accende ad altri i suoi lumi; me al largo sospinge ancora il non domato spirito, e della vita il doloroso amore.19 Il poeta si identifica nel personaggio di Ulisse, l'eroe greco che rispecchia il suo stato d'animo e la sua disposizione di spirito: l'autore è, infatti, nella tarda maturità, ma sente di non avere esaurito la propria parabola esistenziale; anzi, il viaggio della vita può ancora offrirgli verità da scoprire. Secondo la versione dantesca del mito, Ulisse, giunto ormai vecchio in patria, dopo molte peregrinazioni, sente l'impulso di rimettersi in viaggio, per soddisfare la sua inesausta sete di conoscenza, abbandonando perciò nuovamente l'isola natale e gli affetti familiari. Allo stesso modo, il poeta non aspira alla quiete o al conformismo; non si rassegna a una condizione senile di rinuncia e di passiva attesa della morte, Il porto/accende ad altri i suoi lumi. Come Ulisse, Saba è animato da uno slancio giovanile: me al largo/sospinge ancora il non domato spirito, e si sente destinato a nuove esperienze, anche se ciò significa dover affrontare nuove prove e inquietudini, perché ogni istante della vita, anche l'ultimo, è dato per cercare la verità e la felicità. Anche noi desideriamo che nella nostra vita l’impeto della giovinezza, con tutte le sue domande e le sue inquietudini, duri per sempre. 19 U.Saba, Il Canzoniere (1900-1954), Mediterranee, Ulisse, Einaudi, Torino 1978 12