Abstract dell`incontro a cura dell`Istituto Lombardo

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Abstract dell`incontro a cura dell`Istituto Lombardo
ISTITUTO LOMBARDO
Accademia di Scienze e Lettere
Convegno
Una nuova geologia
per la Lombardia
in onore di Maria Bianca Cita
Milano, 6-7 novembre 2008
6 novembre 2008
Milano, Istituto Lombardo
Palazzo Brera, Via Brera 28
7 novembre 2008
Milano, Regione Lombardia
Auditorium Giorgio Gaber, Piazza Duca D'Aosta 3
UNIVERSITÀ
DEGLI STUDI
DI PAVIA
UNIVERSITÀ
DEGLI STUDI
DI MILANO-BICOCCA
Redazione a cura di Ernestina Pellegrini
Comitato Scientifico:
Giuseppe Orombelli
Giuseppe Cassinis
Maurizio Gaetani
Andrea Piccin
Gian Bartolomeo Siletto
Carlo Maria Marino
Segreteria organizzativa:
Adele Robbiati Bianchi
Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere
Via Borgonuovo, 25 - 20121 Milano
Tel. 02.864087 (ore 8.30-16.30) - Fax 02.86461388
e-mail: [email protected]
ISTITUTO LOMBARDO
Accademia di Scienze e Lettere
Convegno
Una nuova geologia
per la Lombardia
in onore di Maria Bianca Cita
Milano, 6-7 novembre 2008
Riassunti
6 novembre 2008
Milano, Istituto Lombardo
Palazzo Brera, Via Brera 28
7 novembre 2008
Milano, Regione Lombardia
Auditorium Giorgio Gaber, Piazza Duca D'Aosta 3
PROGRAMMA
6 novembre 2008 - Istituto Lombardo – Via Brera 28, Milano
9,00 :
Saluto del Presidente dell’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere:
Antonio Padoa Schioppa
Giuseppe Orombelli (Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere – Università di Milano
Bicocca)
Introduzione al Convegno.
Geologia: le nuove conoscenze
Presiede: Giuseppe Orombelli
9,30 :
Maria Iole Spalla (Università di Milano) e Gian Bartolomeo Siletto (Regione
Piemonte) - L'evoluzione tettonica del Basamento Sudalpino Orobico dalla
convergenza Varisica a quella Alpina.
10,00 :
Maurizio Gaetani (Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere – Università di Milano)
Evoluzione del Sudalpino lombardo tra le orogenesi varisica ed alpina.
10,30 :
Elisabetta Erba (Università di Milano)
Paleoceanografia del Giurassico nella Tetide occidentale.
10,45 :
Andrea Di Giulio (Università di Pavia)
Dalla sedimentazione all’orogenesi e viceversa: analisi di bacino applicata al
bacino di foreland sudalpino.
11,0 – 11,30: Pausa caffè
Presiede: Fiorenza De Bernardi
11,30 :
Cesare Ravazzi (CNR-IDPA)
Processi geologici, clima e paleoambienti registrati negli archivi lacustri delle
Prealpi Lombarde tra l'inizio del Quaternario e le glaciazioni maggiori.
11,45 :
Giancarlo Scardia (INGV) e Giovanni Muttoni (Università di Milano)
Il contributo dei pozzi perforati dalla regione Lombardia alla conoscenza del
Pleistocene lombardo.
12,00 :
Roberta Pini e Cesare Ravazzi (CNR-IDPA)
Trasformazioni del paesaggio lombardo negli ultimi 16.000 anni: approccio
paleobotanico e vincoli cronologici.
12,15:
Carlo Baroni (Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere – Università di Pisa)
Paleolivelli tardoglaciali e olocenici del Lago di Garda.
12,30:
Claudio Smiraglia e Guglielmina Diolaiuti (Università di Milano)
Dalla crisi al collasso: l'evoluzione in atto dei ghiacciai lombardi.
1
12,45:
Mauro Guglielmin (Università dell’Insubria, Varese)
Il Permafrost in Lombardia: oggi e domani?
13,00 – 14,30: pausa pranzo
Presiede: Maurizio Gaetani
14,30 :
Andrea Zanchi (Università di Milano Bicocca)
La deformazione alpina nelle coperture del Sudalpino Orobico: cronologia
relativa e assoluta.
14,50 :
Cesare Perotti (Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere - Università di Pavia)
Assetto tettonico ed evoluzione strutturale delle Prealpi bresciane dalla fine
dell’orogenesi varisica ad oggi.
15,10 :
Cipriano Carcano e Sergio Rogledi (ENI)
“Il contributo dell’esplorazione petrolifera alla conoscenza geologica della
Lombardia”.
15,30 :
Andrea Tintori e Cristina Lombardo (Università di Milano)
Il Triassico lombardo nel contesto tetidiano e il recupero della biodiversità dei
vertebrati marini dopo la crisi P/T.
16,00:
Isabella Premoli Silva (Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere – Università di
Milano) - Biostratigrafia e ciclostratigrafia del Paleocene-Eocene lombardo.
16,15– 16,40 : Pausa caffè
Presiede: Giuseppe Cassinis
16,40 :
Stefano Poli (Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere – Università di Milano)
L'evoluzione del mantello terrestre racchiuso nelle Alpi Centrali: il contributo
della petrologia sperimentale.
17,10 :
Attilio Boriani (Università di Milano)
Protoliti sedimentari e magmatici del basamento orobico e di quello
austroalpino del foglio Sondrio e loro ruolo nel quadro della genesi della crosta
continentale pre-alpina.
17,30:
Massimo Tiepolo (C.N.R. – Istituto di Geoscienze e Georisorse, U.O. di Pavia) e Riccardo
Tribuzio (Università di Pavia) – Nuovi vincoli sull’origine ed età dei cumulati ricchi
in anfibolo dell’Adamello meridionale: implicazioni per l’evoluzione
dell’Orogene Alpino.
17,50:
Maria Bergomi e Annalisa Tunesi (Università di Milano Bicocca)
Shrimp telematico.
Negli intervalli visita all’esposizione di poster
2
Poster
Cristiano Ballabio, Enrico Casati, Roberto Comolli, Michele D’Amico, Chiara Ferré e
Franco Previtali (Università di Milano Bicocca)
Una testimonianza paleoambientale nella pianura lombarda:
la petroplintite e il fragipan del pianalto di Romanengo (Cremona).
Cristiano Ballabio, Roberto Comolli, Giulio Curioni, Franco Previtali
(Università di Milano Bicocca)
Modellizzazione dei processi di formazione del suolo in ambito alpino.
Fabrizio Berra, Valeria Caironi (Università di Milano), Gian Bartolomeo Siletto, (Regione Piemonte)
e Massimo Tiepolo ( CNR- Istituto di Geoscienze e Georisorse U.O Pavia)
Vincoli cronostratigrafici sull’attività vulcanica del Permiano inferiore
nei bacini permiani delle Prealpi Orobie (Lombardia):
significato delle datazioni su zirconi con laser ablation ICPMS.
Fabio Bona e Andrea Tintori (Università di Milano)
Mammalofaune Pleistoceniche in Lombardia.
Massimiliano Deaddis (C.N.R – IDPA Milano), Mattia De Amicis (Università di Milano Bicocca),
Cesare Ravazzi (C.N.R - IDPA Milano), Mauro Marchetti (Università di Modena e Reggio Emilia) e
Giovanni Vezzoli (Università di Milano Bicocca)
Approccio multidisciplinare allo studio dell’evoluzione geologica e
paleoambientale della Pianura Padana tra Adda ed Oglio dall’Ultimo
Massimo Glaciale: primi risultati.
Valter Maggi (Università di Milano Bicocca), Stefano Turri e Alfredo Bini (Università di Milano)
Il ghiaccio in grotta della Grigna Settentrionale: un nuovo archivio di
informazioni climatiche ed ambientali.
Manuela Pelfini e Giovanni Leonelli (Università di Milano)
Variazioni climatiche recenti, ritiro glaciale e risposta della vegetazione
arborea
Silvio Renesto (Università dell’Insubria , Varese )
Nuovi dati sulla diversità e significato paleobiogeografico dei Rettili del
Calcare di Zorzino (Norico, Triassico Superiore).
Giovanni Toscani e Silvio Seno (Università di Pavia)
Cinematica recente ed attuale dei fronti nord-appenninici e
dell’avampaese padano.
Andrea Zanchi, Paolo D’Adda, Stefano Zanchetta, Federico Agliardi (Università di MilanoBicocca), Fabrizio Berra (Università di Milano), Roberto De Franco (CNR-IDPA, Milano), Claudia
Farruggia, Francesco Galbiati, Massimiliano Grassi (Università di Milano-Bicocca), Cesare
Ravazzi (CNR-IDPA, Milano), Francesca Salvi (Università di Milano) e Simone Sironi (Università di
Milano-Bicocca)
Modellazione 3D: esempi dal Sudalpino Orobico.
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7 novembre 2008 – Palazzo della Regione Lombardia - Auditorium “Giorgio Gaber”
Geologia e Società
9,30
Saluti dell'Assessore al Territorio e Urbanistica, Regione Lombardia :
Davide Boni
Presiede: Dario Fossati, Dirigente U.O. Tutela e Valorizzazione del Territorio, Regione
Lombardia
9,40
Intervento dell’Ordine dei Geologi della Lombardia.
9,50
Andrea Piccin (Regione Lombardia – DG Territorio):
La conoscenza del territorio.
10,05
Massimo Ceriani (Regione Lombardia – DG Protezione Civile)
La prevenzione del rischio idrogeologico e sismico.
10,20
Gregorio Mannucci, Roberto Serra, Mauro Valentini e Enrico Zini (Arpa
Lombardia)
ARPA Lombardia: il monitoraggio geologico e idrometeorologico.
10,35
Fabrizio Galadini, Paola Albini, Paolo Augliera, Lucia Luzi, Mariano
Maistrello, Fabrizio Meroni, Francesca Pacor e Massimiliano Stucchi (INGV),
La difesa dai terremoti in Lombardia: stato dell’arte e prospettive.
10,55
Floriana Pergalani, Massimo Compagnoni e Maria Pia Boni (Politecnico di
Milano)
Nuova zonazione sismica e procedure per la valutazione degli effetti
sismici di sito nel territorio lombardo.
11,10 – 11,30:
Pausa caffè
11,30
Angelo Cavallin (Università di Milano Bicocca)
Le risorse idriche lombarde.
11,40
Vincenzo Francani (Politecnico di Milano)
Idrogeologia urbana.
11,55
Tullia Bonomi (Università di Milano Bicocca)
Parametrizzazione 3D e modelli idrogeologici del sottosuolo della Pianura
Lombarda.
12,10
Giorgio Pilla e Gianfranco Ciancetti (Università di Pavia)
Caratteristiche idrogeologiche ed idrochimiche del Trias lombardo: le ricerche
condotte nelle Alpi Meridionali tra la Val Seriana, le anticlinali Orobie e la Val
Camonica.
12,25
Giovanni Battista Crosta, Federico Agliardi e Paolo Frattini (Università di Milano
Bicocca)
Grandi fenomeni di instabilità nelle Alpi lombarde: caratteristiche e
distribuzione nel contesto dell'evoluzione recente dell'orogene alpino.
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12,45
Claudia Meisina (Università di Pavia)
Metodologie innovative di identificazione e di monitoraggio di terreni soggetti
a variazioni di volume connesse a fenomeni di siccità.
13,00
Franco Rodeghiero (Università di Milano Bicocca)
Miniere e cave non più attive: problema o risorsa?
13,15 – 14,30:
Pausa pranzo - buffet
Negli intervalli visita all’esposizione di poster
Geologia, scuola, informazione
14,30
Elisabetta Nigris (Università di Milano Bicocca)
L'insegnamento delle scienze: passione, processi e metodi
Presiede: Elisabetta Nigris - Scienze della Formazione, Università Milano-Bicocca
14,45
Marina Credali (Regione Lombardia)
La Lombardia sul WEB.
15,00
Paolo Gallese (Coop. Verdeacqua)
L’allegra regione di acquaterra.
15,15
Lisa Garbellini (IREALP)
Rischi naturali, conoscerli giocando – Un frutto del progetto Rinamed.
15,30
Maria Iole Spalla e Guido Gosso (Università di Milano)
Cosa ci raccontano le rocce della storia della Terra?
15,45
Bruno Messiga e Maria Pia Riccardi (Università di Pavia):
La Scienza dei Materiali Antichi: vedere l’arte attraverso le Geoscienze
16,00 – 16,45 Spazio domande
16,45
Dario Sciunnach (Regione Lombardia)
Geositi e sentieri geologici di Lombardia.
17,00
Anna Paganoni (Museo E. Caffi – Bergamo)
Musei e geoparchi in Lombardia.
17,15
Daniela Fanetti e Sabina Rossi (Università dell’ Insubria, Como)
Un tuffo nei laghi lombardi.
17,30
Alessandro Michetti (Università dell’ Insubria, Como)
Come crescono le montagne: terremoti ed evoluzione del paesaggio in
Lombardia.
17,45 – 18,00 Spazio domande e conclusioni
5
Poster
Barbara Aldighieri (CNR-IDPA), Alessio Conforto, Guido Mazzoleni, Giorgio Pasquaré e
Giuseppe Sfondrini (Università degli Studi di Milano)
Valchiavenna: Un esempio di cartografia geologico tecnica.
Marica Bersan, Giorgio Pilla, Gabriele Dolza, Claudia Meisina e Gianfranco Ciancetti
(Università di Pavia)
Le acque solforose nel contesto geologico-strutturale dell’appennino Pavese:
caratteristiche idrochimiche e isotopiche
Jan Blahut (CNR-IDPA - Università di Milano Bicocca), Mattia De Amicis (Università di Milano Bicocca),
Simone Frigerio (CNR-IDPA - Università di Milano Bicocca), Ilaria Poretti, Simone Sironi (Università
di Milano Bicocca) e Simone Sterlacchini (CNR-IDPA )
Rischio idrogeologico: valutazione della pericolosità e della vulnerabilità per la
stima economica dei danni e per la gestione in tempo reale delle emergenze.
Silvia Guffanti, Giorgio Pilla (Università di Pavia) Elisa Sacchi (Università di Pavia e CNR-IGG,
Sezione di Pavia) e Gianfranco Ciancetti (Università di Pavia)
Gli acquiferi profondi della Lombardia sud-occidentale: indagini
idrochimiche e geochimiche isotopiche a supporto della corretta gestione di
una risorsa strategica
Claudia Meisina, Achille Piccio e Davide Notti (Università degli Studi di Pavia)
Problematiche geologico-tecniche connesse al recupero ambientale di cave
cessate: l’esempio della Provincia di Pavia.
Manuela Pelfini e Valentina Garavaglia - (Università di Milano)
I sentieri escursionistici come strumemto didattico per la lettura del
paesaggio e per la comprensione dei processi geomorfologici.
Andrea Rossetti, Roberto Comolli, Michele D’Amico, Chiara Ferrè,
Fabio Moia e Franco Previtali - (Università di Milano Bicocca)
Metodi qualitativi di valutazione dell’erosione idrica nei suoli di montagna
Simone Sterlacchini, Mario Canziani (CNR-IDPA ), Simone Frigerio, Simone Poli (CNR-IDPA Università di Milano Bicocca) Simone Sironi e Mattia de Amicis (Università degli Studi di Milano Bicocca)
La gestione in tempo reale delle emergenze idrogeologiche in contesto urbano
Simone Sterlacchini (CNR-IDPA ), Jan Blahut (CNR-IDPA - Università di Milano Bicocca), Cristiano
Ballabio (Università di Milano Bicocca), Marco Masetti e Alessandro Sorichetta (Università di Milano)
Approccio metodologico per il confronto di mappe di previsione derivate da modelli statistici
6
Introduzione al Convegno
Giuseppe Orombelli
Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere
Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio,Università degli Studi di Milano - Bicocca
“Una nuova geologia per la Lombardia”: il tema di questo convegno, organizzato dall’Istituto
Lombardo e dalla Regione Lombardia – Direzione Generale Territorio e Urbanistica, è stato scelto
per far conoscere e porre a confronto le novità emerse nell’ultimo decennio sulla geologia della
nostra regione, anche a seguito dei rilevamenti condotti per la nuova carta geologica alla scala
1:50.000. Oltre ai nuovi dati raccolti, elementi di novità provengono dalle nuove idee, nuovi temi
di ricerca, nuove tecniche di indagine applicati al territorio lombardo, come pure dai nuovi
problemi ed esigenze posti dalla società, dalle nuove normative e dai nuovi attori (università, enti e
agenzie) che operano in questo settore.
Il convegno si inserisce nelle attività dell’Anno Internazionale del Pianeta Terra (Planet Earth
– Earth Sciences for Society), voluto dalle Nazioni Unite allo scopo di promuovere una maggiore
diffusione ed un più efficace utilizzo delle conoscenze geologiche a vantaggio dell’umanità. Tra
gli obiettivi più specifici di questa iniziativa internazionale, applicabili alla realtà lombarda, vi
sono la riduzione dei rischi geologici naturali e indotti dall’uomo, la valorizzazione e il corretto
impiego delle risorse naturali, in primo luogo l’acqua, la gestione dei problemi geologici del
territorio e delle aree intensamente urbanizzate, lo studio dei cambiamenti climatici e del loro
impatto sul territorio, la conservazione dei beni geologici. Un obiettivo a livello più generale è poi
quello di stimolare l’interesse del grande pubblico verso le Scienze della Terra, per richiamare
maggiori risorse umane ed economiche in questo settore, per potere fare fronte alle responsabilità
che gli competono (De Mulder, Nield & Derbyshire, 2006).
L’Istituto Lombardo, fin dalle sue origini napoleoniche, ha perseguito da un lato lo sviluppo
delle conoscenze, dall’altro la loro applicazione ai problemi di interesse economico e sociale; le
discipline geologiche, poi, hanno sempre mantenuto un saldo contatto con il territorio lombardo,
le sue potenzialità ed i suoi problemi.
La prima giornata del convegno è dedicata alle nuove conoscenze di base, con relazioni di
sintesi e con interventi più mirati su singoli argomenti; il mattino della seconda giornata è
dedicato a “Geologia e Società”, a tutti quegli aspetti, cioè, che hanno rilevanza sociale ed
economica. La sessione pomeridiana dell’ultimo giorno (Geologia, Scuola, Informazione) ha
invece scopo di diffusione della cultura e dell’informazione scientifica. Il convegno è quindi
rivolto a tutti quanti, per motivi professionali o culturali, desiderano avvicinarsi ad una conoscenza
aggiornata della geologia della nostra regione, studenti universitari, professionisti e tecnici degli
Enti Pubblici, insegnanti di Scienze, studenti delle Scuole di specializzazione per l’insegnamento
nella Scuola, ma pure, nell’ultima sessione, agli studenti delle scuole superiori.
Con questo convegno si intende, infine, onorare la Prof.a Maria Bianca Cita, figura eminente
della geologia italiana, che nei campi della micropaleontologia, della stratigrafia e della geologia
marina, in una lunga, brillante e ancora attivissima carriera, ha raggiunto eccellenza internazionale
di primo piano. Sebbena la sua attività da tempo sia rivolta alla Geologia marina del Mediterraneo,
i suoi iniziali legami con la geologia della Lombardia sono rimasti sempre vivi, come
testimoniano i due volumi delle Guide Geologiche Regionali d’Italia (da lei promosse) dedicati
alla Lombardia, usatissimi manuali di geologia regionale. Così pure nell’Istituto Lombardo M.B.
Cita è stata sempre molto attiva, presentando numerose note scientifiche sue, dei suoi
collaboratori e laureati ed organizzando cicli di lezioni.
E’ intenzione del comitato scientifico di pubblicare gli atti del convegno, con l’ambizione di
produrre un volume che possa servire come aggiornamento sulla geologia del territorio lombardo,
sia nell’ ambito degli studi universitari, sia per un più ampio pubblico interessato alle Scienze della
Terra.
7
8
Presentazioni orali
Geologia: le nuove conoscenze
9
10
L’evoluzione tettonica del Basamento Sudalpino Orobico:
dalla convergenza Varisica a quella Alpina
Maria Iole Spalla1 e Gian Bartolomeo Siletto2
1
Dipartimento di Scienze della Terra “A. Desio”, Università di Milano e C.N.R.-I.D.P.A.,
2
Regione Piemonte-Direzione Programmazione Strategica, Politiche Territoriali ed EdiliziaSettore Cartografico
Il dominio Sudalpino, che si estende dalle Dinaridi alle Alpi Occidentali a Sud del Lineamento
Periadriatico, rappresenta una parte della placca Adria che costituì la sovrastruttura crostale (lid
orogenico) della catena Alpina durante la sua evoluzione Mesozoico-Terziaria (ad es. Laubscher,
1983). Le Alpi Orobiche comprendono la parte centrale del dominio Sudalpino che si estende dal
Lago di Como al plutone dell’Adamello e tra la Linea Insubrica e la pianura padana e che è
costituita da un basamento metamorfico pre-Alpino e da coperture Permo-Mesozoiche. Le rocce
che costituiscono il basamento metamorfico sono prevalentemente gneiss e micascisti con
intercalati metagranitoidi, metabasiti, marmi e quarziti. Per i protoliti sedimentari è stato possibile
dedurre localmente un’età eo-Paleozoica (Mottana et alii, 1985; Gansser & Pantic, 1988) mentre
per molti protoliti intrusivi è stata suggerita un’età Ordoviciana (Beltrami et alii, 1971; Bonsignore
et alii, 1971; Siletto et alii, 1993; Colombo et alii, 1994; Bergomi, 2004). L’affinità litologica ha
portato all’individuazione, nel settore orobico di questo basamento, di due grandi unità
litostratigrafiche, considerate a lungo omogenee anche dal punto di vista della loro evoluzione
metamorfica (Vai et alii, 1981): gli Scisti di Edolo e gli Gneiss di Morbegno (Salomon, 1901;
Cornelius, 1916). A partire dalla fine degli anni ’80, l’applicazione del rilevamento geologicostrutturale delle traiettorie delle foliazioni sovrapposte e l’analisi delle loro relazioni con le
differenti paragenesi diagnostiche ha permesso di individuare, in questo basamento
apparentemente omogeneo, sostanziali differenze d’evoluzione strutturale e metamorfica con la
conseguente individuazione di unità tettoniche caratterizzate da differente evoluzione
geodinamica: le unità tettono-metamorfiche (UTM). Questo nuovo strumento, espressamente
sviluppato proprio per lo studio del basamento orobico, oltre a cambiare l’interpretazione tettonica
di questa porzione della catena Alpina (ad es. Spalla & Gosso, 1999), caratterizzata da
un’evoluzione strutturale polifasica ma dominata da un singolo ciclo metamorfico, è stato poi
applicato con fruttuosi e innovativi risultati anche a porzioni della catena caratterizzate da
metamorfismo policiclico (Spalla et alii, 2005 e rif. inclusi). Con questo metodo analitico sono
stati riconosciuti cinque tipi di UTM pre-Alpine nel basamento Sudalpino delle Alpi Orobiche
(Spalla et alii, 2007 e rif. inclusi): il tipo I, che comprende crosta continentale esumata dopo la
collisione e l’ispessimento alla fine della convergenza Varisica; (Diella et alii, 1992; Gosso et alii,
1997); il tipo II, che preserva parte della traiettoria P-T prograda, interpretata come l’effetto della
subduzione Paleozoica (Spalla et alii, 1999), seguita da un’evoluzione simile a quella che
caratterizza il tipo I; il tipo III, che rappresenta le unità Varisiche sopracrostali, accoppiate
tettonicamente in ambiente di facies scisti verdi alle unità di tipo I e II; il tipo IV, considerato come
conseguente all’esumazione di crosta profonda Varisica durante il rifting Permo-Mesozoico (ad es.
Spalla et alii, 2000); il tipo V, che consiste di crosta continentale che ha registrato il segnale
termico della subduzione, ma è sfuggito all’impronta metamorfica barroviana Varisica sincollisionale (ad es. Giobbi Origoni & Gregnanin 1983; Spalla et alii, 2007). Le unità tettoniche che
si sviluppano durante la convergenza Alpina spesso non coincidono con le unità tettoniche preAlpine (ad es. Schumacher & Laubscher, 1996; Carminati et alii, 1997), mostrando chiaramente
che contorni e dimensioni delle UTM evolvono nel tempo.
11
Evoluzione del Sudalpino lombardo tra le orogenesi varisica ed alpina
Maurizio Gaetani
Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere
Dipartimento di Scienze della Terra “A. Desio”, Università di Milano
Il Sudalpino lombardo è costituito da una piccola porzione di litosfera continentale della placca
africana, il promontorio di Adria. Ne seguì tutta l’ evoluzione, dalle fasi finali dell’orogenesi
varisica sino alle collisioni che diedero origine alla catena alpina. La sedimentazione fu pertanto
largamente controllata dagli eventi geodinamici, che ne scandirono i tratti salienti.
La storia inizia circa 300 Ma or sono nel Carbonifero sup., quando si depositarono in
Lombardia occidentale e Ticino sottili conoidi alluvionali ai margini dell’orogene ercinico. Il
contesto geodinamico divenne assai vivace nel successivo Permiano inferiore, quando connessi al
megashear destro tra Laurussia e Gondwana si formarono bacini stretti ed allungati, molto
subsidenti, in cui si accumulavano conoidi alluvionali, sedimenti lacustri e vulcaniti. Conclusi gli
eventi varisici, dal Permiano superiore al Cretaceo inferiore, per oltre 100 Ma, il contesto fu quello
di un margine continentale passivo. Inizialmente, la vasta piana alluvionale del Verrucano
Lombardo sfumava ad oriente in una baia marina poco profonda connessa con l’Oceano della
Paleo-Tetide. Gradualmente, nel Triassico basale si ebbero le prime timide ingressioni marine, che
giunsero sino al Lario o anche più a ovest. Questa tendenza si consolidò con il Triassico medio,
per cui durante l’Anisico tutto l’attuale Sudalpino divenne una baia marina poco profonda. La
ripresa degli organismi biocalcificanti, unitamente all’accentuarsi della subsidenza e la bassa
paleolatitudine, portarono alla formazione di estese e potenti masse carbonatiche, che oggi
formano gruppi montuosi come Grigne, Presolana e Concarena. Una certa vivacità geodinamica,
testimoniata da manifestazioni vulcaniche, causò anche l’instaurarsi di bacini marini abbastanza
profondi, su cui si affacciavano piattaforme carbonatiche simili alle attuali Bahamas. Questo ciclo
sedimentario si andò attenuando nel successivo Carnico, quando a S del Sudalpino emersero isole
con archi vulcanici. Il successivo ciclo portò alla formazione di un’estesa piana peritidale
carbonatica, simile all’attuale Golfo Persico, i cui resti ammiriamo oggi nel Moregallo, Resegone,
Alben e intorno al Lago d’Idro. Durante il Triassico sup. un nuovo scenario: iniziò ad aprirsi
l’Atlantico centrale e l’estensione si propagò verso oriente, insinuando bacini di rifting tra il
promontorio di Adria e l’Europa. La risposta sedimentaria è registrata nelle imponenti masse
argillose e carbonatiche del Norico-Retico, sigillate a tetto da un altro litosoma carbonatico. Al
primo impulso estensionale, che compensato dalla produttività, non raggiunse profondità marine
elevate, ne seguì uno maggiore, decisivo. A partire dall’Hettangiano sup., il margine passivo verso
l’Oceano Ligure-Piemontese in via di formazione si strutturò in fosse e paleoalti, a formare il
Bacino Lombardo, delimitato a E dalla Scarpata del Garda. Sugli alti poco o punto sedimenti, nelle
fosse anche migliaia di metri di spessore, come nel Triangolo Lariano. A metà Liassico si
attenuarono la subsidenza tettonica ed i grandi apporti di sedimenti, per cui la subsidenza termica
portò il bacino a profondità sempre maggiori, anche sotto la profondità di compensazione dei
carbonati. Mare aperto, upwelling e bassa latitudine favorirono la fioritura dei Radiolari, con
accumulo di silice. Intorno al limite Giurassico/Cretaceo, con l’esplosione del nannoplancton e con
la rotazione antioraria dell’Africa, Adria si mosse verso N. Iniziò la convergenza con l’Europa, che
portò poi all’emersione di primi rilievi alpini, la cui erosione si tradusse in potenti masse terrigene
deposte secondo correnti di torbida durante il Cretaceo sup.. Una pausa di circa 15 Ma con ancora
sedimentazione pelagica, e poi la definitiva collisione con l’Europa e la formazione della catena
alpina durante l’Eocene superiore -Oligocene inferiore.
12
Paleoceanografia del Giurassico nella Tetide occidentale
Elisabetta Erba
Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano
La successione giurassica del Bacino Lombardo costituisce un record geologico impareggiabile
per ricostruire la paleoceanografia della Tetide occidentale: decenni di studi stratigrafici,
sedimentologici, paleontologici, paleomagnetici e geochimici costituiscono un archivio dettagliato
di eventi locali, regionali e globali.
All’inizio del Giurassico si instaurò un regime pelagico a sedimentazione biogenica carbonatica
che perdurò fino al Cretacico Inferiore, interrotta durante l’intervallo Baiociano-Kimmeridgiano
dalla deposizione di sedimenti silicei a radiolari. La frammentazione di Pangea ed in particolare
l’apertura degli oceani Atlantico e Ligure-Piemontese ha controllato la sedimentazione giurassica
nel Bacino Lombardo, influenzandone la subsidenza e la migrazione relativamente alle placche
Europea ed Africana. Contemporaneamente cambiamenti paleoclimatico-oceanografici globali
inducevano variazioni nella struttura e composizione degli oceani nonché nel livello trofico e di
conseguenza nel biota marino. Il Giurassico è stato anche un periodo-chiave per la comparsa ed
evoluzione di molti gruppi planctonici che diversificandosi ed espandendosi sono diventati cruciali
per la biomineralizzazione. In particolare, la storia giurassica del nannoplancton calcareo ha, di
fatto, determinato il tipo e la quantità dei sedimenti marini, divenendo nel Giurassico Superiore i
più efficienti produttori di calcite del pianeta.
Nell’ultimo decennio studi multidisciplinari hanno permesso di reinterpretare la successione
giurassica carbonatico-radiolaritico-carbonatica del Bacino Lombardo come il risultato
dell’evoluzione geodinamica della Tetide occidentale. Studi di paleomagnetismo sono stati
essenziali per ricostruire la posizione del bacino: a partire dal Toarciano si è instaurata una
migrazione verso basse paleolatitudini, indotta dall’apertura dell’Oceano Atlantico Centrale, che
ha causato la sedimentazione di fanghi biogenici silicei (Radiolariti) nella fascia di upwelling
equatoriale tetideo. In seguito, l’apertura dell’Oceano Atlantico Meridionale ha innescato il
movimento antiorario della Placca Africana e lo spostamento del Bacino Lombardo verso
paleolatitudini tropicali. In accordo con la sedimentazione oceanica attuale, la ripresa della
sedimentazione carbonatica (Rosso ad Aptici) non sarebbe dunque il risultato di oscillazioni
verticali della CCD e/o del fondo marino legate rispettivamente al chimismo oceanico e alla
subsidenza, bensì rispecchierebbe i movimenti di Adria rispetto alle fasce latitudinali con
specifiche caratteristiche trofiche. Anche la tradizionale spiegazione della ripresa dei carbonati
grazie alla comparsa di nannoplancton altamente calcificante è smentita da dettagliati studi
biostratigrafici che datano con precisione le tappe evolutive di questo gruppo e la sua importanza
litogenetica.
Il Giurassico del Bacino Lombardo è anche prezioso per investigare uno degli episodi più
eclatanti di anossia oceanica, il cosiddetto Evento Anossico Oceanico del Toarciano rappresentato
da black shales, con elevato contenuto di materia organica. Le anomalie geochimiche e le profonde
modificazioni nelle associazioni (micro)paleontologiche hanno permesso di comprendere cause e
conseguenze di questo sconvolgimento ambientale. La messa in posto della provincia magmatica
del Karoo-Ferrar ha introdotto nel sistema oceano-atmosfera enormi quantità di CO2 causando uno
straordinario riscaldamento globale e probabilmente destabilizzazione di enormi quantità di clatrati
oltre che acidificazione degli oceani. Il biota marino ha subito estinzioni ed una crisi della
biocalcificazione, ma ha anche saputo adattarsi con nuove forme di vita effimere e permanenti.
13
Dall’orogenesi alla sedimentazione e viceversa:
analisi di bacino applicata al bacino di foreland Sudalpino
Andrea Di Giulio
Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Pavia
Le relazioni tra tettonica e sedimentazione sono un tema classico della geologia del
sedimentario, in particolare in contesti tettonicamente attivi quali le catene orogeniche. Nell’ultimo
decennio questo tema tradizionale ha avuto un nuovo, notevolissimo, impulso grazie allo sviluppo
degli studi da un lato sui processi che governano la crescita delle catene ed il loro smantellamento,
con particolare riferimento all’interazione tra tettonica e cambiamenti climatici, e, dall’altro lato,
sulle relazioni tra la tettonica attiva in catena e la storia sedimentaria, diagenetica e termica delle
unità di catena e dei bacini di foreland. Quest’ultimo aspetto in particolare riveste un’importanza
particolare per l’esplorazione petrolifera che trova nei bacini di foreland uno degli obiettivi
esplorativi più importanti.
In quest’ambito si inseriscono la maggior parte delle ricerche sviluppate negli ultimi anni dal
Gruppo di Geologia del Sedimentario e Paleontologia del Dipartimento Scienze della Terra
dell’Università di Pavia (SedGeo Group; http://manhattan,unipv.it/sedgeo/Homepage.htm ) in
collaborazione con diverse altre università e con ENI.
Vengono in quest’occasione presentati, a nome del gruppo ed a titolo d’esempio, i risultati
ottenuti negli ultimi anni su due temi riguardanti rispettivamente: 1) l’influenza dell’evoluzione
morfologica della catena sulla storia diagenetica delle successioni carbonatiche coinvolte
nell’edificio orogenico o nel suo immediato avampaese; 2) i fattori di controllo sulla subsidenza e
sui flussi sedimentari nel foreland sudalpino orientale durante il Cenozoico, con particolare
riferimento all’interazione tra tettonica e clima.
Il primo tema è stato sviluppato in collaborazione con ENI nell’ambito di un progetto di ricerca
sulla storia diagenetica e termica, con particolare riferimento ai processi di dolomitizzazione,
subita da unità di piattaforma carbonatica coinvolte in catene collisionali o nel loro immediato
avampaese. A questo scopo viene analizzata l’evoluzione post-deposizionale della piattaforma
liassica (Conchodon) coinvolta nella catena Sudalpina Centrale, e comparata con la storia della
coeva piattaforma (Calcare Massiccio) coinvolta nella catena dell’Appennino Centrale. I risultati
di questo studio comparato indicano come le fasi tardive della dolomitizzazione e in particolare il
chimismo dei fluidi dolomitizzanti risulti differente nei due casi e controllato dal diverso circuito
idrogeologico a grande scala che si instaura in una catena ad alto rilievo e forte effetto orografico
sulle precipitazioni (Alpi centrali nel Terziario) rispetto ad una catena a basso rilievo e basso
effetto orografico sulle precipitazioni (Appennino mio-pliocenico).
Il secondo tema è stato oggetto di un Progetto di ricerca interuniversitario cofinanziato dal
Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica focalizzato sull’evoluzione sedimentaria
terziaria del Bacino di retroforeland del Sudalpino orientale (Bacino Veneto Friulano) e in
particolare sull’interazione tra tettonica e clima come fattori di controllo sull’evoluzione del
bacino in termini di subsidenza, flusso detritico e loro distribuzione spazio-temporale. I risultati di
questo lavoro dimostrano che, anche in un bacino a fortissimo controllo tettonico, l’evoluzione
climatica lascia un’impronta riconoscibile nel record sedimentario e soprattutto che il controllo
climatico diventa predominante nel corso del Plio-Pleistocene, consentendo anche di discutere
quali processi climatici (frequenza e ampiezza delle variazioni globali di temperatura, cicli
glaciali) abbiano maggior impatto sul sistema erosione-deposizione che governa il flusso di massa
dalla catena al bacino di foreland.
14
Processi geologici, clima e paleoambienti registrati negli archivi lacustri
delle Prealpi Lombarde tra l'inizio del Quaternario e le glaciazioni maggiori
Cesare Ravazzi
Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali
Il territorio lombardo conserva numerose successioni sedimentarie di ambiente lacustre di età
tardo Cenozoica, una notevole particolarità che condivide, nelle Alpi, con alcuni settori del
versante francese e delle Prealpi Settentrionali. Questi bacini circumalpini, assieme ai bacini
intermontani sviluppati negli orogeni appenninici e dinarici, e alle successioni marine espanse di
alcuni settori del Mediterraneo (con particolare riguardo all’Adriatico, al Crotonese, alla fossa
Bradanica e al mare di Alboran), offrono importanti opportunità di correlazione, che evidenziano il
ruolo dei fattori regionali nella storia del clima e degli ecosistemi terrestri della regione
mediterraneo-alpina.
Indipendentemente dai problemi connessi con l’evoluzione geologica locale, le successioni
lacustri hanno registrato la documentazione stratigrafica - spesso con continuità di sedimentazione
e alta risoluzione - di intervalli della storia degli ecosistemi terrestri e del clima, quindi anche di
eventi regionali e globali: cicli climatici della banda delle oscillazioni orbitali e della banda delle
oscillazioni millenarie. Infatti, alle scarse opportunità di correlazione diretta dei corpi sedimentari ovvero i criteri geometrici, peraltro di difficile applicazione anche a scala locale per via delle
variazioni laterali di facies e di alterazione proprie dei depositi continentali - fanno riscontro
elementi di correlazione stratigrafica (bio, magneto, tefrostratigrafica e geocronologica) che si
avvantaggiano di continui aggiornamenti tecnologici e dello studio di nuove sequenze. Questi
progressi si devono alla collaborazione di numerosi specialisti: paleomagnetisti, tefrostratigrafi,
geocronologi, paleobotanici, paleontologi dei vertebrati e di invertebrati, paleoclimatologi.
Dal quadro dei siti studiati sono state scelte due finestre temporali:
- il Pleistocene Inferiore della successione di Leffe e dei siti finora correlati in ambito lombardo
(Ranica) e mediterraneo (Tenaghi Philippon), per la valutazione dei cicli climatici ad alta
frequenza, e delle relazioni con le variazioni di insolazione; inoltre per documentare l’inizio delle
glaciazioni alpine di maggiore ampiezza in corrispondenza della “transizione mediopleistocenica”. A scala regionale, sono interconnesse le relazioni con l’uplift del margine alpino
nell’ultimo milione di anni;
- la terminazione del MIS 20, l’evoluzione climatica e gli eventi millenari bruschi nel successivo
interglaciale nella successione varvata di Pianico-Sèllere
Infine viene proposto un quadro aggiornato dell’evoluzione degli ecosistemi terrestri nelle Alpi
durante il Quaternario, e ne viene illustrata l’importanza biostratigrafica: estinzioni e successioni
forestali caratteristiche offrono potenzialità di calibrazione di unità geologiche continentali,
transizionali e marine nell’area circumalpina.
15
Il contributo dei pozzi perforati dalla Regione Lombardia
alla conoscenza del Pleistocene lombardo
Giancarlo Scardia1 e Giovanni Muttoni2
1
Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia
2
Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano
Il record sedimentario pleistocenico continentale è generalmente frammentario e discontinuo,
soprattutto in quelle regioni, come la Lombardia, che hanno subìto in passato l’azione di ripetute
glaciazioni. L’assenza in affioramento di successioni stratigrafiche continue ha ostacolato lo sforzo
compiuto negli ultimi anni da molti ricercatori di inquadrare efficacemente in senso cronologico i
molteplici dati raccolti sull’evoluzione del territorio padano durante il Pleistocene.
A supporto e completamento dell’attività scientifica svolta in passato, si è aggiunto il
contributo della Regione Lombardia ed ENI, che verso la fine degli anni ’90 hanno dato inizio ad
un importante programma di ricerche sul sottosuolo, portato poi avanti dalla Regione Lombardia
fino al 2006. Nell’ambito di questo programma sono stati perforati 12 sondaggi a carotaggio
continuo, con il recupero di circa 1800 m di sedimenti. Tali carote sono state quindi oggetto di uno
studio interdisciplinare con analisi palinologiche, micropaleontologiche, petrografiche e
paleomagnetiche.
Il supporto cronostratigrafico fornito dalla magnetostratigrafia e l’osservazione di importanti
variazioni di facies, di petrografia e contenuto pollinico nelle carote hanno permesso di
riconoscere nel sottosuolo lombardo eventi globali e regionali avvenuti durante il Pleistocene. Il
più importante di questi eventi stratigrafici marca l’inizio delle grandi glaciazioni pleistoceniche
attraverso un drammatico cambio nell’architettura deposizionale della Pianura Padana. Questo
evento, datato con la magnetostratigrafia a circa 870.000 anni dal presente, è correlabile a scala
globale con la Mid-Pleistocene Revolution, che segna il passaggio tra il Pleistocene inferiore, più
caldo dell’attuale e con ridotte oscillazioni climatiche con frequenza di circa 40.000 anni, ed il
Pleistocene medio-superiore, caratterizzato dall’alternanza di glaciazioni e periodi interglaciali con
frequenza di circa 100.000 anni.
Un secondo evento stratigrafico, riconosciuto nel sottosuolo grazie allo studio dei sondaggi,
riguarda il sollevamento della media e alta pianura lombarda. Sono stati infatti osservati in alcune
carote depositi marini posti ad una quota superiore a quella del livello del mare di età
corrispondente. Questo fatto, riscontrato a scala regionale, ha suggerito l’esistenza di una fase di
sollevamento dell’edificio alpino durante il Pleistocene medio con tassi minimi valutati nell’ordine
di 0,1 mm all’anno. La natura di questo sollevamento non è univocamente interpretabile. Tuttavia,
la scarsa sismicità del territorio lombardo, con l’eccezione dell’area gardesana, e l’attuale assetto
strutturale alpino portano a ritenere il sollevamento del Pleistocene medio come un prodotto
dell’interazione tra clima e tettonica. Constatando infatti che l’evento di sollevamento è di poco
successivo all’inizio delle glaciazioni e considerando l’erosione che ogni glaciazione esercita sul
territorio interessato, l’ipotesi formulata è che la costante rimozione di massa dalla catena alpina
verso i bacini sedimentari periferici abbia innescato a lungo termine un bilanciamento isostatico
delle Alpi, con conseguente movimento verso l’alto dei volumi di roccia e sedimento che
costituiscono il sistema Alpi e alta-media pianura lombarda.
16
Trasformazioni del paesaggio lombardo negli ultimi 16.000 anni:
approccio paleobotanico e vincoli cronologici
Roberta Pini e Cesare Ravazzi
Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali
I depositi conservati sul fondo di laghi, torbiere e paludi sono considerati archivi naturali delle
trasformazioni ambientali e climatiche avvenute durante la sedimentazione. In questi ambienti si
conservano spesso successioni continue ed espanse e si verificano condizioni ideali per la
conservazione di polline, macroresti vegetali, alghe e resti animali che, attraverso opportuni
procedimenti, possono essere estratti dal sedimento e studiati. L’interpretazione dei dati
paleobotanici e la loro età radiometrica permettono di ricostruire, talora con elevata risoluzione
temporale, la storia dell’ambiente e delle sue modificazioni, naturali o antropiche.
Importanti informazioni per la ricostruzione della storia del paesaggio lombardo durante il
Tardoglaciale e l’Olocene derivano dallo studio paleobotanico di successioni lacustri e di torbiera,
reperibili in contesti di alta quota (Passo Gavia: Aceti, 2005), in aree di media montagna (torbiera
del Pian di Gembro: Pini, 2002), di collina e anfiteatro (lago di Annone: Wick, 1996; Lavagnone
di Desenzano del Garda: Arpenti et al., 2004) e di pianura (Moso di Crema: Deaddis et al.). I
record pollinici ottenuti da questi siti sono corredati da datazioni 14C AMS di resti di piante
terrestri che forniscono vincoli cronologici utili per la sincronizzazione e il confronto con altri
record continentali e marini.
I diagrammi pollinici mostrano che al ritiro dei ghiacciai al termine dell’Ultimo Massimo
Glaciale ampie aree vennero colonizzate da vegetazioni pioniere di ambiente freddo e arido
dominate da piante erbacee (Gramineae, Artemisia, Chenopodiaceae). Formazioni legnose a pino
cembro, ginepro, olivello spinoso, ontano verde e salice colonizzarono gli anfiteatri liberati dai
ghiacciai tra > 18 e 16 mila anni fa. Una prima, brusca trasformazione della vegetazione si verificò
all’inizio dell’interstadiale del Tardoglaciale, tra 14,7 – 14,3 mila anni cal BP, corrispondente
all’inizio del GI-1 nel record isotopico dei ghiacci GRIP. L’innalzamento del limite degli alberi
fino a circa 1700 m slm coincide con un aumento della densità forestale lungo un gradiente
altitudinale compreso tra la pianura e la media montagna. A partire da circa 13,5 mila anni cal BP
si diffusero boschi misti con conifere e alcune latifoglie termofile (Quercus sp. caducifoglie, Tilia,
Ulmus). Tra 12,7 e 11,5 mila anni cal BP, una parziale ma evidente contrazione delle foreste, con
abbassamento del limite degli alberi di circa 200 m ed espansione di vegetazioni di prateria e
steppa, rimarca gli effetti del Dryas Recente (GS-1 nel record GRIP) a sud delle Alpi, con
diminuzione delle temperature e soprattutto delle precipitazioni. L’inizio dell’Olocene è
contraddistinto dalla massiccia e brusca espansione delle latifoglie termofile fino a oltre 1300 m di
quota, in risposta ad aumenti della temperatura media di circa 4-6°C. L’immigrazione e la
diffusione di varie specie legnose scandisce la storia forestale degli ultimi 11,5 mila anni.
L’optimum climatico olocenico è evidenziato da un limite degli alberi molto elevato nell’area del
Passo Gavia tra 9 e 6,5 mila anni cal BP.
A partire dal Neolitico e con impatto più marcato durante l’Età del Bronzo e del Ferro, gli
effetti delle attività antropiche si sovrimpongono alle dinamiche naturali nel definire l’assetto del
paesaggio vegetale, dei suoli e del reticolo idrografico. All’inizio dell’Età del Bronzo (2100 a.C.)
ampie porzioni del territorio lombardo padano e pedecollinare vengono deforestate per dare spazio
a colture cerealicole e pascoli. La mobilità su distanze via via maggiori favorisce gli scambi di
materie prime, la conoscenza e lo sfruttamento di nuove essenze per l’alimentazione umana. Il
confronto tra dati pollinici e macroresti vegetali da contesti archeologici fornisce interessanti
informazioni circa l’uso e la provenienza di specie utilizzate per il sostentamento delle comunità
umane ed animali.
17
Paleolivelli tardoglaciali e olocenici del Lago di Garda
Carlo Baroni
Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere
Dipartimento Scienze della Terra, Università degli Studi di Pisa
In seguito al definitivo ritiro dei ghiacciai pleistocenici, che occupavano il bacino gardesano, si
sono create le condizioni per lo sviluppo di un paleo Lago di Garda che stazionava a quote più
elevate rispetto al livello attuale. Il grande volume d’acqua rilasciato dalla fusione dei ghiacciai in
ritiro, l’azione di sbarramento esercitata dalle morene deposte nell’ultima fase di massima
espansione glaciale e la soglia lacustre solo parzialmente erosa dal F. Mincio, hanno determinato
la formazione di un paleo invaso che, inizialmente, si spingeva oltre 30 m al di sopra del livello
medio del lago attuale, posto circa 65 m s.l.m. Lungo la costa del Benàco sono diffusamente
preservate evidenze geomorfologiche e sedimentologiche, riferibili a paleoinvasi tardoglaciali e
olocenici, posti a quote comprese tra il livello medio del lago attuale e il massimo invaso
individuato. Molte evidenze sono osservabili lungo le falesie rocciose, per ampi tratti ancora
attive, altri dati provengono da scassi artificiali e, infine, importanti informazioni provengono da
scavi stratigrafici condotti in siti archeologici perilacustri.
I principali corsi d’acqua che si riversano nel Benàco hanno costruito ampi delta,
particolarmente evidenti lungo la sponda occidentale, nell’alto lago. Nel basso lago, invece, si
sono sviluppati numerosi piccoli delta-conoidi, originati dallo smantellamento del margine interno
delle morene deposte nell’ultima fase glaciale. Il progressivo abbassamento del livello del lago,
principalmente dovuto all’approfondimento dell’incile ad opera del F. Mincio, ha indotto il
terrazzamento dei numerosi delta lacustri, con conseguente formazione di delta inscatolati. Le più
diffuse evidenze di paleolivelli lacustri sono comprese in una fascia costiera che si eleva non più di
15 m sul livello del lago attuale. Gran parte delle evidenze sono associate alle coste rocciose più
estese, che conservano traccia di solchi di battente relitti, lembi di piattaforme di abrasione,
paleospiagge, livelli concrezionari, forme di dissoluzione e altre forme di erosione lacustre. Le più
estese piattaforme di abrasione, ad esempio, sia attuali sia relitte, coronano le principali isole e
penisole. Degne di nota sono le piattaforme poste 3.5 m sul livello del lago attuale nella zona di
Manerba del Garda. Paleospiagge costituite da più o meno estesi accumuli di ciottoli ben
arrotondati si trovano su terrazzi lacustri e piattaforme di abrasione, ma anche sotto forma di
plaghe cementate addossate a paleofalesie. In alcuni tratti delle coste rocciose si osservano livelli
concrezionari carbonatici orizzontali, localmente aggettanti, sospesi sul livello del lago da 1 a 5,7
m, noti come calcareous rims; sono costituiti da alghe e altri organismi, tra i quali anche
gasteropodi d’acqua dolce (Bithynia tentaculata e Theodoxus fluviatilis) che hanno fornito età
comprese tra 10.070 ± 70 e 6140 ± 60 anni C-14 BP.
Numerosi siti archeologici perilacustri documentano che, almeno a partire da circa 6000 anni
BP, la quota massima dell’invaso lacustre non ha mai superato 3 m al di sopra del livello medio
attuale. Variazioni di livello inferiori al metro sono peraltro avvenute nell’Età del Bronzo antico e
medio (4100-3500 BP), come rilevato grazie a scavi archeologici di insediamenti palafitticoli.
Datazioni radiocarboniche e rilievi topografici di dettaglio hanno permesso di riconoscere che
nella regione benacense si individuano aree caratterizzate da sollevamenti e abbassamenti relativi
avvenuti negli ultimi 10.000 anni circa. La porzione settentrionale della costa lombarda, a N di
Salò, ad esempio, si sarebbe innalzata di circa 1 m rispetto alla porzione meridionale della stessa
costa, con un tasso di sollevamento medio di 10-12,5 cm/1000 anni.
18
Dalla crisi al collasso: l'evoluzione in atto dei ghiacciai lombardi.
Claudio Smiraglia e Guglielmina Diolaiuti
Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano
Le variazioni dei ghiacciai sono considerate una delle più indiscutibili e chiare evidenze del
Cambiamento Climatico in atto, il cui impatto è osservabile su gran parte della criosfera del nostro
pianeta. Sulle Alpi il regresso è iniziato verso la metà del XIX secolo con la conclusione della
Piccola Età Glaciale che, pur con brevi e limitate fasi di espansione, ha portato i ghiacciai alpini a
perdere nell’arco di un secolo e mezzo circa la metà della loro superficie. Questa tendenza sembra
accelerare negli ultimi decenni su tutta la catena alpina. La Lombardia vanta un’antica tradizione
in questo genere di ricerche, che ha visto studiosi come Desio, Nangeroni, Belloni dedicarsi
nell’ambito del Comitato Glaciologico Italiano ad approfondite analisi delle variazioni del
glacialismo e delle loro cause, cogliendo anche l’importanza pratica, a livello idrologico,
energetico, turistico, delle masse glaciali. Sulle Alpi Lombarde sono localizzati gli apparati glaciali
di maggiori dimensioni del versante meridionale della catena, in particolare nei massicci del
Cevedale e dell’Adamello, insieme ad una tipologia varia e completa: ghiacciai vallivi a bacini
composti, come i Forni; ghiacciai di altopiano con lingue radiali, come l’Adamello; ghiacciai
“neri”, come il Venerocolo, oltre ad un elevato numero di ghiacciai di limitate dimensioni, la cui
tipologia è condizionata dalla morfologia (di vallone, di pendio, di canalone, di conoide, etc.). La
disponibilità di materiale storico (serie di misure di variazioni frontali e di bilanci di massa, carte,
iconografia) unita a materiali più recenti (ortofoto, immagini satellitari, rilievi GPS, stazioni meteo
epiglaciali) permette di quantificare l’evoluzione del glacialismo lombardo e soprattutto di
delineare il recente incremento del regresso. In particolare il confronto del catasto realizzato dal
Servizio Glaciologico Lombardo con dati 1992 con i nuovi catasti regionali compilati a partire da
ortofoto del 1999 e del 2003, unito a rilievi GPS di terreno evidenzia una netta e continua
riduzione delle superfici glaciali con un accelerazione del fenomeno negli anni più recenti. Fra il
1992 e il 2003, considerando un campione di 249 ghiacciai comuni ai tre catasti, si è infatti avuta
una riduzione delle superfici di circa il 21% passando da circa 117 km2 nel 1992 a 104 km2 nel
1999 e a circa 92 km2 nel 2003. Sono stati soprattutto i ghiacciai di minori dimensioni (più piccoli
di 1 km2) a contribuire a questa riduzione, perdendo circa 13 km2 (53%). Il tasso di riduzione passa
da 1,6 km2 all’anno fra il 1992 e il 1999 a 2,6 km2 all’anno fra il 1999 e il 2003. In alcuni gruppi
montuosi come il Piazzi-Campo, caratterizzati dalla presenza di ghiacciai di medio piccole
dimensioni, il ritiro è stato anche più intenso e la percentuale di riduzione totale nel decennio in
esame ha raggiunto il 28%. Questo fenomeno sta comportando notevoli trasformazioni a livello
paesaggistico generale e a livello morfologico e morfodinamico locale. In particolare si osservano
incrementi numerici e dimensionali degli affioramenti rocciosi sulle superfici glaciali, formazione
di laghi proglaciali, incremento della copertura detritica, accelerazione delle fasi di sviluppo delle
forme epiglaciali, formazione di crepacci circolari con pseudodoline e successivi collassi, crolli di
seracchi e falesie, frammentazione in più corpi glaciali (da segnalare a proposito di quest’ultimo
processo la separazione avvenuta nel 2007 della lingua del Ghiacciaio di Fellaria Orientale – nel
gruppo del Bernina - dal bacino superiore). Questa serie di eventi conferma che l’evoluzione dei
ghiacciai lombardi ha superato la fase del “regresso attivo”, determinato dai bilanci di massa e
dalle dinamiche di breve termine dell’atmosfera per trasformarsi in un vero e proprio
“downwasting” e in un generalizzato collasso.
19
Il Permafrost in Lombardia: oggi e domani
Mauro Guglielmin
Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale, Università degli Studi dell’Insubria
Il permafrost è un qualsiasi materiale lapideo o sciolto che per più di due anni consecutivi
rimane a ad una temperatura inferiore a 0°C. Tale stato fisico dei materiali è quindi comune
laddove il bilancio energetico della superficie è negativo e quindi la presenza del permafrost è
intimimamente legata al clima e alla natura della superficie interessata. Il cambiamento
climatico quindi, direttamente e indirettamente (mutando le caratteristiche della superficie) può
modificare profondamente la distribuzione areale del permafrost e contemporaneamente
l’estensione del permafrost può dare utili indicazioni per ricostruire e comprendere il
cambiamento climatico.
In profondità lo spessore del permafrost invece dipende anche dall’assetto geologico
strutturale presente che condiziona le caratteristiche termiche dei materiali criotici.
Lo studio del permafrost oggi nel nostro territorio lombardo è ancora agli inizi, per quanto
riguarda la definizione della sua distribuzione areale e verticale anche se, limitatamente ad una
porzione dell’Alta Valtellina, molti studi anche di elevato livello e di innovazione sono stati
effettuati.
In Alta Valtellina esistono attualmente 3 pozzi di monitoraggio del permafrost (di cui 1 di
100 m di profondità) di cui uno ha una serie ormai decennale di dati. Inoltre nella stessa area
un sito di monitoraggio dello strato attivo (con 3 pozzi superficiali di 3 m di profondità)
registra le temperatura dal 1996. Oltre un centinaio di sondaggi geofisici e più di 200 indagini
BTS (Bottom Temperature of winter Snow cover) eseguite dal 1990 ad oggi, caratterizzano
piuttosto approfonditamente la distribuzione areale e verticale ed il contenuto di ghiaccio nel
Livignese e in alcune valli dell’Alta Valtellina. In questo settore, inoltre, 3 carotaggi hanno
consentito di analizzare il ghiaccio contenuto nel rock glacier Foscagno, che si è rivelato un
lembo di ghiaccio sedimentario relitto formatosi nel periodo medioevale. Le condizioni di
temperatura erano simili a quelle attuali ma, evidentemente, l’accumulo nevoso era assai
superiore, tanto da consentire la formazione di un ghiacciaio a circa 2500-2600 m di quota,
dove oggi non esistono neppure più nevai semipermanenti, anche a quote superiori.
L’importanza paleoclimatica del ghiaccio contenuto nel permafrost alpino è certamente una
delle sfide per la ricerca futura in quanto certamente lembi di ghiaccio molto più antichi
possono essersi conservati. Le sfide del futuro però sono certamente costituite da altri 3 punti
principali:
1) costituzione di una rete di monitoraggio del permafrost e dello strato attivo secondo i
protocolli internazionali;
2) studio delle relazioni tra permafrost e idrologia per una ottimizzazione e conservazione
delle risorse idriche in ambiente di alta montagna;
3) studio delle relazioni tra permafrost e vegetazione in un quadro di cambiamento
climatico e dei possibili feedback correlati
20
La deformazione alpina nelle coperture del Sudalpino Orobico:
cronologia relativa e assoluta
Andrea Zanchi
Dipartimento di Scienze Geologiche e Geotecnologie, Università degli Studi di Milano-Bicocca
Uno dei principali problemi relativi all’evoluzione strutturale del settore Orobico delle Alpi
Meridionali riguarda il riconoscimento e la datazione delle differenti fasi che hanno caratterizzato
l’orogenesi alpina. Numerosi studi effettuati sul basamento cristallino indicano la presenza di
almeno due eventi deformativi principali di età Alpina (Albini et al., 1994; Blom & Passchier,
1997; Carminati & Siletto, 2005). Considerando l’intera catena, Laubscher (1985) e Schönborn
(1992) propongono un numero più elevato di fasi, due delle quali precedenti alla messa in posto
dell’Adamello. Secondo questi autori, le prime due fasi risultano intervallate da fenomeni di tipo
distensivo, seguiti poi dalla propagazione della deformazione nei settori meridionali della catena e
dalla formazione di una profonda avanfossa di età Oligo-Miocenica, la cui attività cessa con la
messa in posto della “Milano Belt” nel Miocene Superiore (Bersezio et al., 1993; Fantoni et al.,
2004). Secondo le interpretazioni più “classiche” (Pieri & Groppi, 1981), dalla fine del Miocene
l’intero settore Sudalpino Orobico risulta caratterizzato soprattutto da fenomeni di sollevamento e
basculamento. Al contrario, indizi di attività compressiva recente sono stati osservati in vari settori
del Sudalpino centrale , mentre le maggiori evidenze sono concentrate più a est nel Bresciano
(Michetti, questo congresso). Tale attività è testimoniata anche da eventi sismici ricorrenti di
piccola intensità.
L’analisi strutturale di dettaglio condotta in alcuni settori chiave delle Orobie centrosettentrionali ha permesso di riconoscere la sovrapposizione geometrica di differenti eventi
tettonici, nonché di identificare i rapporti con elementi geologici potenzialmente utili per fornire
vincoli cronologici alle varie ipotesi formulate in precedenza. Tali elementi sono rappresentati dai
numerosi dicchi andesitici (1) presenti nella catena e dalle pseudotachiliti (2) formatesi lungo i
sovrascorrimenti sviluppati nel basamento cristallino al contatto con la copertura sedimentaria. La
datazione radiometrica dei filoni e delle pseudotachiliti è infatti potenzialmente in grado di fornire
una datazione diretta degli eventi tettonici, anche nell’ambito della porzione più antica della
catena, dove non sono presenti rocce di età più recente del Giurassico.
1) Filoni andesitici: in numerosi settori delle Orobie sono presenti sciami di dicchi verticali
orientati circa E-O, che attraversano sovrascorrimenti regionali nelle unità Triassiche (Presolana:
Zanchi et al., 1990; Fantoni et al., 1999), nonché pieghe di età alpina presenti nella parte più
settentrionale della copertura Permiana e nel basamento cristallino. Nuovi dati raccolti nella zona
di Leffe indicano che i filoni sono associati a strutture distensive che dislocano i precedenti
sovrascorrimenti presenti all’interno delle unità del Triassico Superiore, indicando una complessa
evoluzione polifasica anche nel settore centro-meridionale della catena. L’ampia variazione delle
età radiometriche fino ad oggi ottenute su anfibolo (K/Ar: Zanchi et al., 1990; Ar/Ar: Fantoni et
al., 1999) ha suggerito di datare minerali più stabili come lo zircone (U/Pb), attraverso l’utilizzo di
particolari strumenti (Tunesi, questo congresso; D’Adda, in prog.).
2) Pseudotachiliti: la presenza di queste particolari rocce, formatesi per attrito in seguito a fusione
localizzata prodottasi durante movimenti “rapidi” connessi a forte attività paleosismica lungo i
principali piani di sovrascorrimento presenti nel basamento Orobico, è stata già riconosciuta in
passato (Siletto, 1991). Questi materiali, oggi databili con vari metodi, hanno fornito
importantissimi nuovi dati ancora inediti sull’età dell’attività di queste strutture. In particolare,
lungo la Linea del Porcile e il Sovrascorrimento Orobico, sono state ottenute età che
indicherebbero la presenza di eventi compressivi pre-Terziari, avvenuti alla fine del Cretacico
Superiore, come già sostenuto da altri autori sulla base di differenti evidenze (Zanchi et alii, 1990).
Lo studio e la datazione sistematica di queste particolari rocce, tutt’ora in corso (D’Adda et al., in
prog.), consentirà di fornire un nuovo quadro relativo all’evoluzione della catena.
21
Assetto tettonico ed evoluzione strutturale delle Prealpi bresciane
dalla fine dell’orogenesi varisica ad oggi
Cesare R. Perotti
Dipartimento di Scienze della Terra – Università degli Studi di Pavia
Le Prealpi bresciane rientrano nella porzione centrale del Sudalpino e sono delimitate a sud
dalla Pianura Padana, ad ovest dalla Val Camonica, mentre a nord e a est sono marginate da due
importanti linee tettoniche costituite rispettivamente dalla linea Insubrica e dalla linea delle
Giudicarie sud.
La successione che affiora nell’area, compresa tra il Basamento Cristallino metamorfico preCarbonifero superiore ed i depositi più recenti di età quaternaria affioranti nella Pianura Padana e
nelle principali vallate, ha registrato una serie di eventi deformativi compresi tra l’orogenesi
varisica e le ultime fasi compressive di quella alpina.
Nel Permiano inferiore, l’assetto tettonico post-collisionale era caratterizzato dall’attività di
una serie di faglie trascorrenti destre, espressione di un regime geodinamico transtensionale di
significato regionale che interessò tutto il settore centrale dell’orogene varisico europeo. La
principale di queste faglie trascorrenti è la linea delle Giudicarie, ai margini della quale si
svilupparono una serie di coevi bacini di pull-apart o di strike-slip, i principali dei quali sono il
bacino di Collio, il bacino di Tione e quello di Tregiovo. Tale regime geodinamico favorì una
sostanziale lacerazione della catena ed un assottigliamento crostale accompagnato da intense
manifestazioni magmatiche e vulcaniche.
Durante il Permiano superiore, dopo un limitato impulso compressivo (il cosiddetto mid
Permian episode), si assistette ad un sostanziale cambiamento dello scenario tettonico con l’inizio
di un nuovo ciclo tettono-sedimentario, segnalato dalla discordanza angolare dei sedimenti clastici
del Verrucano Lombardo sui depositi precedenti e sul Basamento Cristallino, che vede l’instaurarsi
di condizioni più chiaramente estensionali, con il progressivo smantella- mento della catena
varisica e la peneplanazione della regione.
Nel Triassico inferiore e medio perdurò nella regione un regime tettonico essenzialmente
estensionale, intervallato però da episodi trascorrenti, che produsse frammentazione crostale e fu
accompagnato da una significativa attività vulcanica ladino-carnica di probabile ambiente di
retroarco.
Nel Carnico superiore iniziò il rifting intracontinentale che condurrà, verso la fine del
Giurassico, alla formazione dell’oceano ligure-piemontese, compreso tra la placca euro-asiatica e
quella dell’Adria. Il rifting si manifestò attraverso un complesso sistema di faglie normali e di
trasferimento che produssero una serie di bacini e di alti strutturali.
A partire dal Cretacico superiore fino al Miocene ed oltre un regime geodinamico compressivo,
connesso alla collisione fra la placca europea e quella Adria, dominò in tutta la regione, con lo
sviluppo di sovrascorrimenti e pieghe di importanza regionale indicanti nel complesso una
direzione di trasporto tettonico da nord verso sud. La messa in posto del plutone dell’Adamello
(42-30 Ma) costituisce un’importante elemento di datazione delle deformazioni e segnala la ripresa
di una complessa attività di trascorrenza oligocenica lungo la linea Insubrica e quella delle
Giudicarie. E’ comunque da ritenere che la principale fase di compressione che ha strutturato la
regione in esame e provocato i principali sovrascorrimenti sia post-Adamello e quindi postOligocene medio (fase neoalpina). Infatti, anche le linee sismiche e i pozzi esplorativi eseguiti
nell’antistante Pianura Padana evidenziano un chiaro e rilevante coinvolgimento dei depositi preMessiniani nei sovrascorrimenti alpini
In generale, comunque, l’architettura tettonica complessiva attuale di questo settore della
catena sudalpina risente sensibilmente dell’evoluzione geodinamica pre-terziaria e segnatamente
dell’eredità morfo-strutturale permiana e mesozoica.
22
Il contributo dell’esplorazione petrolifera alla conoscenza geologica della Lombardia.
Cipriano Carcano e Sergio Rogledi
Esplorazione nord Italia - Eni E & P - 20097 S.Donato Milanese (Milano)
Il Duca di Milano chiede: “…what seest you else in the dark backward and abysm of time ?”
W. Shakespeare. The Tempest
La stessa richiesta ci viene ripetutamente proposta da parecchi anni. Perché abbiamo la
possibilità di “vedere“ che cosa c’è al di sotto della superficie della Pianura Lombarda e correlarlo
con gli affioramenti delle Alpi Meridionali. Si è andato creando in 60 anni di ricerca petrolifera un
data base di linee di sismica a riflessione, che per la sola Lombardia è oggi di 30000 km e 932
pozzi esplorativi e di sviluppo. Nel 1959 AGIP pubblicava una relazione sull’attività della ricerca
mineraria in pianura Padana arricchita dalla riproduzione dei campi gassiferi. Desio (1965),
aggiorna il suo lavoro del 1952 con i dati AGIP, tema del lavoro: i movimenti tettonici del
Quaternario. Una pietra miliare è il Pieri-Groppi (1981), dove sono riprodotte delle sezioni
geologiche, basate su prospezioni sismiche attraverso la pianura Padana, lavori più recenti sono di
Fantoni, dal 1999 al 2004. Nel complesso, i contributi fin qui riportati possono essere visti come
studi isolati, dove lo studioso o il tecnico pubblica una propria interpretazione o un modello, senza
una vera interazione culturale tra industria ed enti di ricerca. Dal 1998 si è aperta una convenzione
con D.G. Territorio e Urbanistica della Regione Lombardia, basata sulla condivisione di
conoscenze e dati. Hanno fatto poi seguito l’accordo con APAT e l’Università dell’Insubria di
Como, e più recentemente con la sede di Milano e Pavia dell’INGV. La convenzione con la
Regione Lombardia ha portato alla realizzazione della cartografia degli acquiferi della pianura
lombarda. La metodologia messa a punto dall’industria petrolifera per lo studio dei bacini
sedimentari è stata impiegata, per la prima volta a scala regionale, per ottenere un modello degli
acquiferi. Le finalità è di ricostruire, attraverso l’interpretazione integrata di dati sismici e
stratigrafici, un modello tridimensionale a scala regionale del sottosuolo della pianura,
limitatamente alle successioni plio-pleistoceniche; riconoscendo in sottosuolo, su sezione sismica,
le superfici che delimitano i principali corpi geologici e gli acquiferi in essi ospitati. Sono stati così
individuati acquiferi, profondi e protetti, che possono costituire riserve idriche strategiche, e le
aree di ricarica degli acquiferi profondi. La Regione Lombardia ha così a disposizione uno
strumento di base per il calcolo delle riserve idriche sotterranee e del bilancio idrico. Una delle
superfici evidenziate è l’ormai nota “superficie rossa” che segna l’inizio delle grandi glaciazioni
pleistoceniche. L’identificazione di questa superficie come limite di sequenza è stata operata
attraverso l’interpretazione della sismica e dei dati di pozzo, ma la sua attribuzione temporale è
stata effettuata con analisi dei pollini e paleomagnetismo, fornite da CNR e Università di Milano.
Un risultato notevole è stato raggiunto con una forte sinergia. L’attività con APAT e INGV è
simile, cioè interpretazione del sottosuolo della pianura unilizzanto dati sismici e di pozzo, per
identificare strutture potenzialmente sismogenetiche e la loro posizione lungo il margine sudalpino. L’interazione si attiva con lo scambio di dati e conoscenze di sottosuolo e superficie. Noi
“siamo forti” con i dati di sottuolo mentre APAT e INGV “sono forti” con conoscenze strutturali e
di superficie. Ancora sinergia, sempre con la Regione Lombardia nell’ambito CARG, per la
realizzazione dei fogli Seregno e Milano. Soprattutto per il foglio Seregno si è avuto e prosegue un
ricco interscambio che sta portando alla revisione delle sequenze deposizionali dell’Oligo–
Miocene con novità in termini di attribuzione temporale, ambienti di deposizione e di riflesso
l’assetto strutturale del versante meridionale della catena alpina. La sinergia ha contribuito a un
riassetto stratigrafico e strutturale con l’attribuzione al Cattiano-Langhiano della serie affiorante
nell’area di Como. La revisione è stata stimolata dal modello di sottosuolo, ma confermata da dati
di superficie raccolti nell’ambito CARG.
23
Il Triassico lombardo nel contesto tetidiano e il recupero
della biodiversità dei vertebrati marini dopo la crisi P/T
Andrea Tintori e Cristina Lombardo
Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano
A partire dagli anni ‘70 dello scorso secolo, la paleontologia dei vertebrati in Lombardia
ha visto una rinascita, dopo un sonno che praticamente durava dai tempi di Stoppani. La
scoperta dei giacimenti Norici del Calcare di Zorzino hanno messo queste faune al centro
dell’attenzione mondiale per l’ottima conservazione e per la varietà di taxa tra i pesci e i
rettili. La scoperta dei più antichi rettili volanti, che anticipavano la comparsa del gruppo di
20 Ma, contribuì a rendere famosa questa associazione. Poco dopo si riaccese l’interesse
anche per il Triassico Medio del Monte San Giorgio, sito invece dalle antiche tradizioni
paleontologiche, tanto che Stoppani nel 1862 vi diresse la prima campagna di scavi
paleontologici in Italia. Il nostro interesse si concentrò sul più recente livello fossilifero del
MSG, risalente alla fine del Ladinico, livello trascurato da tempo e che invece ha fornito
molti nuovi taxa (tra i quali i primi insetti fossili del MSG) ma soprattutto chiarendo che la
fauna del MSG in realtà è costituita da diverse associazioni che coprono un intervallo
temporale di più di 10 Ma. Questo risultato ha poi costituito la base sia per ricostruire la
possibile posizione stratigrafica delle diverse specie che provengono da un altro sito storico
lombardo, Perledo, ma soprattutto per valorizzare il MSG come unicità a scala globale per
questa sua concentrazione di livelli a vertebrati marini. Ciò è valso tra l’altro il
riconoscimento quale Patrimonio Mondiale dell’Umanità per il lato svizzero nel 2003, ma
soprattutto ha promosso il MSG come successione di riferimento per i vertebrati marini
triassici, ora che sempre più livelli fossiliferi vengono alla luce nella Cina meridionale. Il
confronto tra le due estremità della Tetide si sta rivelando di grande interesse soprattutto per
quanto riguarda i pesci, che essendo più piccoli e comuni possono fornire associazioni più
ricche e complete. Le faune triassiche stanno assumendo una grandissima importanza come
testimonianza della ripresa dalla terribile crisi di fine Permiano: tale ripresa fu molto lenta e
problematica ma le varie tappe, almeno in ambiente marino, si stanno chiarendo proprio
grazie alla combinazione delle faune tedidiane. Infatti, oltre ad una comune base sia per i
pesci che per i rettili, alle estremità della Tetide le diverse fasi di ripresa interessano gruppi
differenti che ebbero radiazioni evolutive apparentemente in parallelo. Tuttavia qualsiasi
modello viene messo continuamente alla prova (ciò è normale in ambito scientifico!)
proprio dai nuovi ritrovamenti cinesi che si susseguono a ritmo incalzante: una nuova
associazione anisica ricchissima di pesci è stata scoperta lo scorso anno e le prime indagini
hanno già portato alla individuazine di molti nuovi taxa. Certamente da noi si procede a
ritmo più blando per la carenza di mezzi finanziari. Siamo tuttavia certi che anche in
Lombardia le nuove scoperte siano ancora possibili, prova ne sono i recenti ritrovamenti di
importanti livelli a pesci del ladinico inferiore in Valtravaglia e sul Grignone.
Non sono ugualmente da trascurare altri recenti progressi paleontologici. Per gli
invertebrati, gli avanzamenti più significativi sono avvenuti nel Triassico medio, con il
ritrovamento e descrizione di ammonoidi in località classiche o nuove, come la Val di
Scalve o la Val Brembana: Ugualmente significativo il rinvenimento di conodonti nel
Norico-Retico della Val Imagna.
Infine, come illustrato nel relativo poster, scavi in grotta e rinvenimenti nelle alluvioni
del Po hanno sensibilmente aumentato informazioni sulle faune a mammiferi del
Pleistocene lombardo.
24
Biostratigrafia e ciclostratigrafia del Paleocene-Eocene lombardo.
Isabella Premoli Silva
Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano
Le successioni sedimentarie del Paleocene ed Eocene lombarde sono state oggetto di nuove
ricerche in supporto alla stesura della Nuova Carta Geologica al 50.000 della Regione
Lombardia. I nuovi studi hanno permesso di individuare e formalizzare alcune formazioni e di
inquadrarle negli schemi biostratigrafici recenti basati sul plancton calcareo (foraminiferi e
nannofossili). In particolare, la Formazione di Tabiago, costituita da marne e calcari pelagici
con alcune intercalazioni di livelli torbiditici a grandi foraminiferi di mare basso nella parte
superiore, si estende dal limite Cretacico/Paleocene all’Eocene Medio (Zona a foraminiferi
P12; Zona a nannofossili NP15), mentre la sovrastante Formazione di Cibrone, poco affiorante,
è costituita da marne e subordinate marne calcaree ed areniti, ed è attribuibile interamente
all’Eocene Medio (Zona a foraminiferi P12; Zone a nannofossili NP15-NP16).
Parte della successione paleocenica della Formazione di Tabiago mostra in affioramento
alternanze ritmiche di marne più erodibili e di calcari più resistenti all’erosione. Al fine di
comprendere la natura di queste alternanze (o coppie) si è proceduto a uno studio
multidisciplinare: per ogni semicoppia si sono analizzati quantitativamente a) l’abbondanza e
composizione dell’associazione a foraminiferi planctonici, b) il grando di bioturbazione e c) il
contenuto in carbonato di calcio.
Nella semicoppia marnosa la fauna a foraminiferi è povera ma arricchita in specie del
genere Subbotina, indicatore di acque mediamente ricche in nutrienti e di temperature medio
fredde. Nella semicoppia calcarea la fauna a foraminiferi è dominata da taxa del genere
Morozovella, un indicatore caldo tipico delle acque tropicali con bassi tassi di nutrienti. Una
possibile interpretazione dei ritmi litologici suggerisce che le semicoppie marnose si siano
depositate in periodi di alta stagionalità: una accentuata stagionalità porta a una vigorosa
circolazione delle masse d’acqua inducendo un arricchimento in nutrienti nelle acque
superficiali e buona ossigenazione al fondo. I dati, quindi, indicano acque superficiali fertili per
le semicoppie marnose, mentre condizioni opposte caratterizzano le semicoppie calcaree: bassa
stagionalità, lenta circolazione e depauperamento di nutrienti nelle acque superficiali.
Inoltre, al fine di valutare le possibili periodicità che hanno causato le ciclicità osservate è
stata condotta un’analisi spettrale sulla distribuzione delle faune a foraminiferi planctonici e del
contenuto percentuale del carbonato di calcio. Le periodicità sono risultate in accordo con le
frequenze di Milankovitch per i cicli di precessione (21 ky), obliquità (41 ky) ed eccentricità
(100 ky), seppure il segnale più forte sia associato all’obliquità.
25
L'evoluzione del mantello terrestre racchiuso nelle Alpi Centrali:
il contributo della petrologia sperimentale
Stefano Poli
Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano
Le rocce di mantello hanno da sempre attirato l’attenzione dei petrologi, sia perchè
costituiscono un insostituibile vincolo sul comportamento fisico dell’interno del nostro pianeta sia
in quanto il loro coinvolgimento nei processi orogenici rivela la storia più profonda delle fasi pre e
sin-collisionali delle placche terrestri.
Frammenti di mantello litosferico subcontinentale sono conservati nelle falde pennidiche delle
Alpi Centrali. Corpi peridotitici variamente serpentinizzati sono rinvenibili nel complesso Val
Malenco-Chiavenna (Sondrio) e negli affioramenti di Alpe Arami e Cima di Ganone (Svizzera) e
al Monte Duria (Como).
I corpi ultrafemici della Val Malenco mostrano un’evoluzione prevalentemente in facies a
spinello e conservano traccia degli stadi di accoppiamento con la crosta inferiore e della messa in
posto di intrusioni gabbroidi. Al contrario, i corpi di Alpe Arami, Cima di Ganone e Monte Duria
presentano litologie in facies a granato, con sviluppo di una notevole varietà di associazioni
mineralogiche peculiari, tra cui smistamenti topotattici di FeTiO 3 nell’olivina messi in luce sin da
Möckel (1969). Sebbene sia unanime l’accordo circa il coinvolgimento di questi corpi in un
processo subduttivo con l’influsso di agenti metasomatici dallo slab in subduzione,
l’interpretazione di questi smistamenti, il significato della presenza di fasi idrate come anfibolo e
clorite, e la comparsa di carbonati, dolomite o magnesite, sono ampiamente dibattuti in letteratura.
In particolare la proposta provocativa che la peridotite di Alpe Arami possa aver registrato un
stadio evolutivo presso la zona di transizione tra mantello superiore e inferiore, a oltre 400 km
(Dobrzhinetskaya et al., 1996), ha innescato un dibattito scientifico tuttora aperto circa
l’interpretazione dei relitti di altissima pressione e circa i meccanismi geodinamici che possono
spiegare la veloce esumazione di rocce provenienti dal mantello profondo. Recenti determinazioni
delle condizioni registrate nelle peridotiti di Alpe Arami hanno infatti comunque suggerito
pressioni dell’ordine di oltre 5 GPa (> 160 km).
In questo quadro una corretta e dettagliata ricostruzione sperimentale della cristallochimica,
degli equilibri di fase, nonchè dell’evoluzione tessiturale in alta pressione è di fondamentale
importanza per l’interpretazione dei records naturali. Il laboratorio di petrologia sperimentale del
Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio” dell’Università di Milano
(http://users.unimi.it/~spoli/thelab.html) è il primo laboratorio italiano attrezzato per sintetizzare
associazioni di fase caratteristiche di tutto l’intervallo di pressioni interessanti il mantello
superiore, sino a 23 GPa. Studi sistematici dedicati alla ricostruzione dei diagrammi di fase di
peridotiti variamente arricchite in specie volatili C-O-H e in elementi mobili, come il potassio,
permettono la rilettura dei processi che hanno interessato la struttura profonda delle Alpi.
26
Protoliti sedimentari e magmatici del basamento orobico e di quello austroalpino del foglio
Sondrio e loro ruolo nel quadro della genesi della crosta continentale pre-alpina.
Attilio Boriani
Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano
Il basamento della crosta continentale italiana (BORIANI et al., 2004) ha acquisito i suoi caratteri
attuali a causa di eventi pre-varisici, varisici e alpini come risultato di processi continui di drifting
e amalgamazione di placche. L’accrezione della crosta italiana avvenne in tempi diversi (STAMPFLI
et al., 2002) al margine delle microplacche originate dallo spezzettamento del Gondwana. Tutti i
terreni sud-europei hanno una storia paleozoica comune, ma anche peculiarità, a seconda della loro
evoluzione individuale.
Il nostro basamento è costituito da rocce sedimentarie silicoclastiche da tardo- proterozoiche a eopaleozoiche, con granitoidi e vulcaniti di età ordoviciana. Queste rocce hanno subito un
metamorfismo varisico di varia intensità; sono poi coperte da rocce sedimentarie per lo più postcarbonifere. Lenti di rocce ultramafiche e mafiche, talora con relitti eclogitici sono presenti in
alcune unità.
L’orogenesi varisica, seguita da un’intensa attività magmatica ha stratificato e consolidato questa
nuova crosta. Basamento e copertura subirono poi l’orogenesi alpina con varia intensità. Con il
progetto CARG si è resa disponibile una grande quantità di dati di campagna, di laboratorio e di
età radiometriche sulle rocce pre-carbonifere del basamento della Lombardia.
Nuovi dati sull’età dei protoliti sono stati presentati da VECOLI et al. (2008) che ha datato le
metapeliti nere in facies degli scisti verdi di Col di Foglia (Sudalpino orientale) al Cambriano
superiore. I protoliti dei metasedimenti del basamento orobico sono costituiti di rocce
silicoclastiche pelitiche (Scisti di Edolo) e psammitiche (Gneiss di Morbegno) che derivano da
rocce sorgenti crostali da intermedie a acide del tardo-Neoproterozoico. Il loro pattern delle Terre
Rare è uniforme con arricchimento in Terre Rare leggere. Presentano affinità geochimiche con
sedimenti di un margine trailing-edge recente (BORIANI et al., 2007); un’età modello TDM (Nd) tra
1.7-2.0 Ga suggerisce una roccia sorgente proterozoica.
I protoliti di alcuni metasedimenti dell’area del Lago Maggiore (Serie dei Laghi) sono simili a
sabbie torbiditiche di arco insulare continentale, derivate dall’erosione di rocce di varia natura ed
età. Contengono popolazioni di zirconi detritici con età U-Pb che vanno da circa 638 a 2040 Ma.
Le metabasiti della Serie dei Laghi (GIOBBI ORIGONI et al., 1997) sono associate a lenti
peridotitiche con flaser gabbro e anfiboliti con relitti eclogitici. Le anfiboliti hanno pattern
geochimici che richiamano alcune toleiti di retro-arco. Le loro intercalazioni felsiche (leptiniti)
danno età magmatiche di zircone di circa 555 Ma. Rappresentano vulcaniti bimodali di arco/retroarco da una comune sorgente mantellica messesi in posto nell’Ediacarano.
Tutti i metasedimenti, con la sola eccezione delle kinzigiti dell’Ivrea-Verbano e della Serie del
Tonale, contengono lenti di meta-granitoidi ordoviciani. Secondo PINARELLI et al. (2008), i
protoliti sedimentari dei paraderivati non erano metamorfici al momento dell’intrusione dei
granitoidi ordoviciani. L’età di sedimentazione deve perciò essere più vecchia della loro messa in
posto (478 + 6.0 Ma nella Serie dei Laghi); tale vincolo non si applica però alle kinzigiti
dell’Ivrea-Verbano e della Serie del Tonale.
Il magmatismo ordoviciano è diffuso in tutte le unità meno che nella Serie del Tonale. L’ambiente
geodinamico sarebbe quello di un evento collisionale cambro-ordoviciano.
Gli ortogneiss del basamento orobico richiamano quelli del Lago Maggiore, ma i loro contenuti
più elevati in Y, Nb and Terre Rare suggerisco il coinvolgimento di un componente mafico di tipo
OIB. Gli Gneiss Chiari del Corno Stella rappresentano la sola eccezione: sono compatibili con una
derivazione per fusione parziale di meta-peliti in condizioni di assenza di fluidi con dehydration
melting di muscovite. Il magmatismo ordoviciano fu diacrono nelle Alpi Centrali: le età dei
protoliti vanno da circa 478 nella Serie dei Laghi, a 462 nelle Alpi Orobie, fino a 448 Ma nelle
falde austroalpine. Furono messi in posto in ambienti geodinamici diversi.
27
Nuovi vincoli sull’origine ed età dei cumulati ricchi in anfibolo dell’Adamello meridionale:
implicazioni per l’evoluzione dell’Orogene Alpino
Massimo Tiepolo 1 e Riccardo Tribuzio 1,2
1
C.N.R. - Istituto di Geoscienze e Georisorse, U.O. Pavia
2
Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Pavia
Studi recenti sulla distribuzione degli elementi in tracce nei magmi prodotti in ambiente
subduttivo suggeriscono un carattere residuale di questi fusi per cristallizzazione di anfibolo.
Tuttavia, essendo questo minerale solo raramente presente nei prodotti effusivi di arco, si sta
valutando la possibilità di un suo frazionamento criptico nelle porzioni medio-basso crostali.
Motivo dell’assenza nei prodotti superficiali sarebbe il suo campo termico di stabilità
relativamente ristretto ed incompatibile con la maggior parte delle temperature di effusione dei
magmi di arco.
A supporto dell’ipotesi di un frazionamento criptico di anfibolo nelle porzioni di crosta al di
sotto degli archi magmatici è il ritrovamento in alcune catene orogeniche di rocce di cumulo a
composizione femica ed ultrafemica (da orneblenditi a dioriti) in cui l’anfibolo è la fase
mineralogica predominante. Rocce ricche in anfibolo e con caratteristiche eccezionalmente simili
sono state segnalate nell’arco giapponese, nell’Orogene di Ross, nell’Orogene Delameriano e
nell’Orogene Alpino. In quest’ultimo sono ben note le rocce ricche in anfibolo affioranti
nell’intrusione dell’Adamello meridionale (es. Mt. Mattoni) e del Valmasino Bregaglia (es. Val
Sissone).
Caratteristica comune di questi cumulati ad anfibolo è la presenza anche di disequilibri chimici
riconducibili al riciclaggio di corpi intrusivi precedenti, appartenenti allo stesso evento orogenico.
Questo è evidente sia dai caratteri tessiturali di alcuni litotipi che da zonature composizionali in
elementi maggiori e in tracce dei singoli minerali che non sono riconducibili a semplici processi
d’evoluzione magmatica (tipo cristallizzazione frazionata o assimilazione e concomitante
cristallizzazione frazionata). Si presuppone pertanto che nella petrogenesi di questi cumulati ad
anfibolo siano coinvolti fusi magmatici a diversa composizione. Come mostrato dalle rocce
femiche dell’Adamello meridionale, tali disequilibri sono evidenti anche a livello di quei minerali
accessori, come lo zircone, che avendo un elevato campo di stabilità riescono a preservare traccia
della storia geologica precedente. In particolare, all’interno degli zirconi di alcune rocce gabbriche
ricche in anfibolo è stata riscontrata una componente ereditata appartenente a eventi magmatici di
poco precedenti, ma sempre riconducibili all’orogenesi Alpina. Questa evidenza è in accordo con i
più recenti studi e modelli petrogenetici sulla genesi dei magmi di arco, secondo cui la notevole
variabilità composizionale è riconducibile all’ibridizzazione dei magmi primari a seguito di
riciclaggio nei livelli crostali più profondi di corpi intrusivi precedenti.
Si comprende quindi come l’importanza delle rocce gabbriche ricche in anfibolo non sia solo
limitata alla possibilità di avere informazioni sull’evoluzione crostale dei magmi di ambiente
subduttivo ma come queste rocce racchiudano anche importanti “record” sulla storia petrologica
precedente e come quindi possano rappresentare una finestra per decifrare gli stadi iniziali di un
processo di subduzione.
28
SHRIMP telematico
Maria Aldina Bergomi, Annalisa Tunesi
Dipartimento di Scienze Geologiche e Geotecnologie, Università degli Studi di Milano-Bicocca
Nel 2004, l’Università degli Studi di Milano-Bicocca ha stipulato un accordo di cooperazione
con lo SHRIMP Center di Beijing per ricerche congiunte in ambito alpino.
Presso lo SHRIMP Center è in funzione dal 2001 una strumentazione altamente tecnologica e
costosa (SHRIMP- Sensitive High Resolution Ion MicroProbe) che consente analisi isotopiche e
chimiche “in situ” di materiali solidi attraverso il bombardamento del campione con un fascio
ionico del diametro di qualche micron. In campo geologico il suo utilizzo principale è la datazione
di rocce attraverso il metodo uranio/piombo (U/Pb).
La strumentazione è stata acquisita attraverso fondi del Ministry of Land and Resources ,
Ministry of Science and Technology , Chinese Academy of Sciences ed è in funzione 24 ore al
giorno per 7 giorni a settimana.
Nell’ottobre del 2007 presso il Rettorato dell’Università è stato firmato un importante accordo
con l’ Institute of Geology, Chinese Academy of Geological Sciences (CAGS) per l’utilizzo del
sistema operativo denominato SROS (SHRIMP Remote Operation System), che attraverso una
connessione Internet consente di utilizzare in remoto lo strumento SHRIMP II fisicamente allocato
a Pechino.
Il sistema è stato sviluppato congiuntamente da
• Beijing SHRIMP Center
• National Institute of Metrology, P.R. China
• Jilin University
A tale scopo, con il prezioso supporto tecnico e finanziario dell’Università di Milano-Bicocca,
è stato allestito un Laboratorio SROS presso il Dipartimento di Scienze Geologiche e
Geotecnologie a disposizione di studiosi italiani e stranieri. In questi primi mesi di attività, il
Laboratorio SROS ha già lavorato sia per studiosi interni di Bicocca che per ricercatori esterni con
ottimi risultati.
Le ragioni per cui utilizzare lo SROS sono molteplici:
• la strumentazione SHRIMP è molto costosa (€ 2.000.000,00)
• la strumentazione SHRIMP è rara (solo 9 SHRIMP al mondo sono attualmente operativi)
• c’è un’alta richiesta di tempo-macchina
• le richieste di utilizzo della macchina provengono da scienziati di tutto il mondo
VANTAGGI
• Gli studiosi possono osservare il campione da analizzare direttamente da monitor
scegliendo il punto analisi e ottenere il dato analitico in tempo reale
• Il sistema supporta la co-partecipazione all’analisi da parte di più studiosi dislocati in
qualsiasi parte del mondo che possono dialogare tra loro in tempo reale attraverso webcam.
• Risparmio sui costi di missione dei ricercatori.
Con la stipula dell’ accordo, l’Università degli Studi di Milano-Bicocca avrà l’esclusiva per tre
anni dell’utilizzo del sistema SROS in Europa. In questo modo, il laboratorio SROS allocato
presso il Dipartimento di Scienze Geologiche e Geotecnologie (UNIMIB) sarà un punto di
riferimento per tutti gli studiosi sia italiani che europei.
Per concludere Internet ha “stravolto” il nostro stile di vita ed anche il nostro modo di fare ricerca.
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Presentazioni orali
Geologia e Società
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La conoscenza del territorio
Andrea Piccin
Regione Lombardia – Infrastruttura per l’Informazione Territoriale
Conoscere il territorio, in tutti i suoi aspetti, è indispensabile per governarlo, nel senso più
ampio di questo termine. E’ per questo che Regione Lombardia, e in particolare la Direzione
Generale Territorio e Urbanistica, ha avviato e realizzato negli ultimi 10 anni numerosi progetti e
iniziative per acquisire, approfondire e aggiornare le informazioni sul proprio territorio, con
diverse sfaccettature disciplinari e in collaborazione con diversi Enti di Ricerca ed Università. Il
Progetto di Cartografia Geologica (CARG), avviato nel 1996, in circa 10 anni ha realizzato il
rilevamento geologico di più di 8.000 km2, ripartiti in 14 Fogli IGM, che interessano circa un terzo
del territorio lombardo. Dalla Valtellina alle Valli Bergamasche e Bresciane, teatro della grande
alluvione del 1987, alle aree di alta pianura tra Como e Brescia, nevralgiche per le nuove
infrastrutture e per l’alimentazione delle falde idriche, fino alle grandi conurbazioni urbane del
Milanese e alle fragili valli dell’Oltrepò Pavese: un’enorme patrimonio di conoscenza geologica
moderna, di grande dettaglio, frutto del lavoro a tappeto sul terreno di una schiera di giovani
geologi, che si sono formati e sono cresciuti in questo progetto. Informazioni preziose per la
pianificazione territoriale, dalla scala comunale a quella provinciale (molti Comuni hanno
beneficiato di questi dati per definire la componente geologica dei loro piani). Per la progettazione
preliminare di infrastrutture c’è la imponente Banca Dati Pedologica di ERSAF, che ha
cartografato e descritto i suoli lombardi, non solo per il loro utilizzo agricolo e forestale, ma anche
per capire l’evoluzione del territorio. Questi dati, uniti alla mappatura completa dell’uso del suolo
(DUSAF), costituiscono una fonte di informazione primaria sul territorio Lombardo. C’è stato poi
un affondo nel sottosuolo della Pianura, con un approccio innovativo finalizzato a mappare i
grandi corpi geologici che ospitano le principali riserve idriche: il lavoro “Geologia degli
Acquiferi Padani della Regione Lombardia”, realizzato con ENI-Agip nel 2002, ha rivoluzionato
la conoscenza del sottosuolo della Pianura Lombarda, applicando allo studio degli acquiferi le
tecniche e le metodologie proprie della ricerca petrolifera. La notevole quantità di analisi condotte
sui sondaggi profondi realizzati, anche in sinergia con il Progetto CARG, ha dato un notevole
contributo alla conoscenza dell’evoluzione quaternaria del bacino padano. Ma la Lombardia è
anche terra di laghi: sempre in sinergia con il Progetto CARG sono stati realizzati rilievi
batimetrici e geofisici dei più importanti laghi alpini (Sebino, Lario, Maggiore), accompagnati da
rilievi altimetrici di grande dettaglio (LIDAR aereo) per le aree spondali. E in montagna, dopo
aver completato il censimento delle frane (poi confluito nel Progetto Nazionale IFFI), mappando e
schedando oltre 130.000 fenomeni franosi, è stata realizzata la Carta di Localizzazione Probabile
delle Valanghe: entrambi rappresentano fondamentali strumenti di orientamento per la gestione
territoriale. Ancora, sono stati organizzati i dati di monitoraggio dei ghiacciai alpini nella Banca
Dati “Ghiacciai di Lombardia”, per poterne seguire l’evoluzione in questi anni di rapido
cambiamento climatico, per poter definire scenari di disponibilità di risorse idriche e di instabilità
idrogeologica, legati alla veloce riduzione degli apparati glaciali e del suolo ghiacciato (Carta della
Criosfera). Sono state mappate e descritte decine di migliaia di opere di difesa del suolo (Banca
Dati ODS), spesso realizzate a seguito dei grandi eventi calamitosi. E’ stato infine realizzato
l’atlante dei movimenti verticali del suolo, con tecniche di rilevamento radar satellitare
(Interferometria SAR).
Tutte queste informazioni, organizzate e rese disponibili nel Sistema Informativo Territoriale
regionale e integrate dalle informazioni prodotte dagli altri Enti del Sistema Lombardia
(www.cartografia.regione.lombardia.it), costituiscono un potente “cannocchiale” puntato sul
territorio, disponibile per chiunque sia interessato a guardarci dentro.
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La prevenzione del rischio idrogeologico e sismico
Massimo Ceriani
Regione Lombardia – Protezione Civile
Regione Lombardia negli ultimi anni ha prodotto numerose banche dati che interessano tutto il
territorio regionale. Al fine di effettuare una sintesi ed una integrazione di tutti i dati esistenti è
stato recentemente approvato il PRIM 2007 – 2010 (Programma Regionale Integrato di
Mitigazione dei rischi) che ha il merito di analizzare sia i singoli rischi, ed in particolare il rischio
idrogeologico vista la sua rilevanza in Lombardia, sia gli stessi integrati fra loro al fine di
individuare le aree a maggior rischio integrato.
Per la prevenzione del rischio idrogeologico è stata dapprima realizzata una multi hazard map
che utilizzando tutti i dati disponibili (frane, valanghe, alluvioni, uso del suolo, DTM, permafrost e
ghiacciai, reticolo idrografico ecc.) ha consentito di ottenere per ogni cella di 20 x 20 m un valore
di pericolosità relativa derivante dalla opportuna pesatura di tutti i dati analizzati. Incrociando la
pericolosità con 23 classi di bersagli (case, scuole, ospedali, strade e infrastrutture in genere) si è
ottenuta la prima cartografia del rischio idrogeologico regionale con celle della dimensione di un
chilometro quadro.
Infine per verificare quanto il sistema regione sta investendo per la prevenzione del rischio
idrogeologico, è stato condotto un censimento di tutti gli interventi di difesa del suolo che saranno
completati o iniziati fra il 2007 e il 2010 e che comporteranno un investimento complessivo di
oltre 500 milioni di euro.
Per la prevenzione del rischio sismico Regione Lombardia, in ottemperanza all’Ordinanza
3362/04, ha definito un articolato piano per la verifica della vulnerabilità degli edifici strategici e
rilevanti ai fini sismici e dettato i criteri (legge regionale 12/05) per lo studio geologico del
territorio.
Il lavoro di censimento, tutt’ora in corso, ha avuto inizio nel 2004 e riguarda sia i 41 i Comuni
in zona sismica 2 che i 238 Comuni in zona sismica 3 con la raccolta dei dati riguardanti gli edifici
e le opere strategiche e rilevanti appartenenti alle categorie indicate nel decreto regionale
“Approvazione elenco tipologie degli edifici e opere infrastrutturali”.
Sono stati dapprima raccolti i dati essenziali (tipologia edilizia, anno di costruzione, eventuali
interventi di adeguamento/miglioramento antisismico, cubatura) che hanno poi costituito il livello
di partenza per le cosiddette verifiche speditive. Tali verifiche, ottenute con la compilazione delle
schede di vulnerabilità sismica degli edifici in muratura ed in cemento armato, consentono di
ottenere, in maniera qualitativa, un indicatore sulla bontà costruttiva dell’edificio.
Ad oggi, nei comuni classificati in zona 2 e zona 3, sono stati analizzati oltre 2700 edifici
rilevanti e strategici. In particolare per 81 edifici in muratura o misti è stato valutato un indice di
vulnerabilità elevato e pertanto saranno necessari ulteriori approfondimenti.
Nel corso del 2006 è stato inoltre avviata una verifica di dettaglio su alcuni edifici appartenenti
ad aziende ospedaliere poste nei comuni a più alta sismicità.
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ARPA Lombardia: il monitoraggio geologico e idrometeorologico
Gregorio Mannucci, Roberto Serra, Mauro Valentini e Enrico Zini
ARPA Lombardia
Arpa è la struttura tecnica regionale che ha per specifico compito la protezione dell’ambiente. Nel
campo della geologia e dell’idrogeologia applicata si sono sviluppate attività diversificate nella
comune volontà di fornire dati ed informazioni a un “pubblico” ampio, sia pubblico che privato. Il
riscontro sociale è quindi intrinseco nelle attività di Arpa che ha come scopo primario la creazione
di basi dati validate, mentre l’attività di ricerca, è limitata all’analisi e risoluzioni di specifiche
problematiche. Viene illustrata, a titolo esemplificativo, una serie di progetti, descrivendo per
ciascuno il contesto in cui sono sviluppati, le metodiche applicate, i risultati raggiunti e/o previsti.
Progetto “shake up”sviluppato per la definizione, sulla base di dati quali-quantitativi delle
“curve di possibilità pluviometrica”, indispensabili per la valutazione delle portate di piena negli
alvei considerati. Tali informazioni sono di pronta applicabilità per il corretto dimensionamento di
opere idrauliche, ma anche per la previsione e stima probabilistica di eventi di piena e
dell’eventuale interazione con la stabilità dei versanti.
Progetto Ruinon. La frana del Ruinon (Valfurva, Provincia di Sondrio), una delle maggiori delle
Alpi, determina condizioni di rischio molto elevate, principalmente sulla viabilità di fondovalle. Il
dissesto è monitorato in continuo a partire dal 1997. Data la vastità dell’area e le forti
deformazioni di alcune zone (dell’ordine dei m/anno) nel 2000 si è sperimentato l’impiego di un
sistema radar ad apertura sintetica. Dal 2006 un sistema radar permanente è attivo per il controllo
della frana, rendendo possibile l’attivazione di un piano di emergenza sviluppato in funzione del
grado di criticità rilevato in tempo reale.
Progetto Marco e Rosa. Grazie a finanziamenti regionali nel 2002 si è completato il
rifacimento della nuova capanna “Marco e Rosa”, sul versante sud del Pizzo Bernina, a quota
3.610 m. Nell’agosto del 2003 un crollo di alcune migliaia di m3 di roccia si è verificato in
prossimità del rifugio. In accordo con il CAI si sono sviluppati approfondimenti sulla scarpata
rocciosa e si è installato un sistema di monitoraggio geotecnico e meteo-climatico, per evidenziare
eventuali deformazioni nell’ammasso roccioso su cui è fondato il rifugio.
Progetto “Idro”. In comune di Idro (Brescia) è presente una vasta “paleofrana” che incide
sull’alveo del fiume Chiese. Tale frana, la cui caratterizzazione geotecnica e cinematica ha
richiesto l’esecuzione di indagini geofisiche e geognostiche e l’installazione di un sistema di
monitoraggio, potenzialmente può interessare l’alveo del Chiese, determinandone lo sbarramento
con rischio di tracimazione incontrollata. Il sistema di monitoraggio ha reso possibile la
definizione di scenari di rischio e relativi precursori e quindi la redazione di un piano di Protezione
Civile a cura della Provincia di Brescia.
La Valtorreggio (Valmalenco, Sondrio) è caratterizzata dalla presenza di grandi aree franose,
soprattutto a seguito degli eventi alluvionali dell’estate 1987. Per migliorare le condizioni di
stabilità dei dissesti, monitorati in continuo tramite una rete geotecnica, e regimare il corso
d’acqua è in corso di redazione un progetto per il consolidamento dei versanti e la stabilizzazione
dell’alveo. Il progetto ha richiesto una capillare campagna geognostica, geofisica e l’installazione
di un sistema di monitoraggio integrativo. La presenza di rocce serpentinose ha consigliato di
verificare il contenuto di “amianto”, in previsione dei lavori che verranno realizzati nei prossimi.
Sperimentazione inerente la risposta sismica locale nell’area della Piana di Bormio, Sondrio.
Per una verifica “sul campo” delle prescrizioni tecniche inserite nelle “Nuove norme sulle
costruzioni” (D. M. 14 gennaio 2008) si è installata una stazione sismica permanente e verificata
la risposta sismica locale, tramite registrazioni periodiche utilizzando stazioni sismiche mobili.
Incrociando i dati sismici così acquisiti con le conoscenze geologiche, stratigrafiche, morfologiche
e geotecniche disponibili, si è proposto un quadro della situazione riscontrata. Il lavoro, che ha
evidenti ricadute locali per una corretta pianificazione urbanistica, vuole però essere un contributo
sperimentale in termini metodologici, da applicare eventualmente su altre aree
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La difesa dai terremoti in Lombardia: stato dell’arte e prospettive
Fabrizio Galadini, Paola Albini, Paolo Augliera, Lucia Luzi,
Mariano Maistrello, Fabrizio Meroni, Francesca Pacor, Massimiliano Stucchi
Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Sezione di Milano-Pavia
L’INGV (http://www.mi.ingv.it/) svolge in Lombardia ricerche nel campo della mitigazione
del rischio sismico, mediante studi mirati al miglioramento delle conoscenze sulla storia sismica,
sul modello strutturale legato al regime tettonico in atto e alla definizione del moto del suolo
atteso. Accanto alle indagini necessarie alla caratterizzazione sismogenetica e dei possibili effetti
dello scuotimento sismico, si pone l’attività di monitoraggio sismico, che la Sezione di MilanoPavia espleta mediante la rete accelerometrica (RAIS, http://rais.mi.ingv.it/) che consta di 20
postazioni distribuite in prevalenza sul territorio regionale.
In un recente lavoro di sintesi - di studi pluriennali su fonti storiche e di revisioni critiche di
materiali pubblicati - si è tentato di colmare l’evidente carenza conoscitiva sulle caratteristiche
della sismicità storica dell’area lombarda. Tale carenza è particolarmente evidente se si rapportano
le informazioni oggi disponibili sui terremoti del passato in quest’area con quelle relative al settore
veneto-friulano. La regione analizzata, compresa tra il bacino del fiume Adda e il Lago di Garda, è
stata caratterizzata da alcuni terremoti con Mw>5.5 (es., 1117, Veronese; 1222, Brescia; 1901,
Salò) e vari eventi con Mw compresa fra 4.8 e 5.5 (es., 1065, Brescia; 1396, Monza; 1642,
Bergamo). Per molti degli eventi sismici fino al 1700 le informazioni sono desumibili soltanto da
scarse fonti storiche. La determinazione epicentrale e l’attribuzione della magnitudo per tali eventi
sono da considerarsi, pertanto, con una certa cautela al fine di definire le caratteristiche sismiche
del territorio. I terremoti del 1117 e del 1222, in tale contesto, rappresentano un’eccezione rispetto
ai dati generalmente disponibili. E tuttavia vari problemi tuttora aperti rendono assai difficile
l’utilizzo della distribuzione del danno attribuibile a questi eventi nella prospettiva di un’affidabile
parametrizzazione.
Le indagini geologico-strutturali e di geologia del Quaternario, finalizzate a definire un quadro
strutturale compatibile con il regime tettonico in atto, sono necessarie per giustificare la storia
sismica e, in sostanza, per definire il comportamento sismogenetico della regione. Le geometrie
dei sistemi di faglia attivi alpini sono ora sufficientemente noti. Le conoscenze permettono di
formulare ipotesi sismotettoniche relative all’origine dei terremoti dell’area gardesana e del
Bresciano. In via di definizione sono invece le geometrie dei fronti appenninici, cui sono
attribuibili i terremoti al di sopra della soglia nel settore padano. Le ricerche attuali sono altresì
indirizzate ad una migliore caratterizzazione del complesso settore compreso tra la parte
meridionale del Lago di Garda (area di Sirmione), Verona e Mantova, all’interno del quale
potrebbe collocarsi l’area epicentrale del terremoto del 1117 (o una delle aree epicentrali, qualora
si considerasse questo evento come rappresentato da una sequenza sismica).
Uno dei settori regionali con maggiore frequenza di eventi sismici è l’area gardesana
occidentale; per questo motivo la rete di monitoraggio presenta una notevole densità di postazioni
nel Bresciano e se ne è pianificato l’addensamento nel Veronese. Nel corso del 2007, la rete ha
consentito la registrazione di 516 forme d’onda relative a 28 eventi locali e regionali (di cui una
decina localizzati nell’area citata) con magnitudo da 1.3 a 4.2, di cui sono stati calcolati i parametri
di interesse ingegneristico. L’analisi delle registrazioni ha permesso di ricavare informazioni utili
per il calcolo di scenari di scuotimento. Un esempio di tali applicazioni è rappresentato dallo
scenario realizzato utilizzando come terremoto di riferimento l'evento del 24 Novembre 2004 (M
5.2).
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Nuova zonazione sismica e procedure per la valutazione
degli effetti sismici di sito nel territorio lombardo
Floriana Pergalani, Massimo Compagnoni, Maria Pia Boni
Politecnico di Milano-Dipartimento di Ingegneria Strutturale, Milano
Il governo del territorio, considerando la problematica del rischio sismico, necessita di
approfondimenti a scale diverse: nazionali/regionali, comunali e di sito. A questi tre livelli
competono rispettivamente, in successione, i dati di pericolosità sismica e la zonazione sismica, la
conoscenza degli effetti sismici locali e la progettazione antisismica della singola struttura.
A seguito della redazione della pericolosità sismica predisposta dal Gruppo di Lavoro, 2004 e
dell’emanazione delle nuove Norme Tecniche per le Costruzioni, 2008, il panorama tecniconormativo, in campo sismico, è profondamente mutato. Si può evidenziare come, ad esempio, le
Norme Tecniche abbiano stabilito che la zonazione sismica non sia più determinante ai fini
strettamente progettuali, ma rimanga finalizzata alla gestione ed alla pianificazione territoriale. Di
conseguenza risulta necessario un aggiornamento tecnico-applicativo in materia sismica, alle
diverse scale citate.
Nel presente lavoro vengono descritte alcune proposte di aggiornamento della zonazione
sismica del territorio lombardo. Le mappe illustrate sono ottenute applicando un’ipotesi di criteri
per la definizione delle zone, che utilizza come parametri sia l’accelerazione massima attesa, sia il
valore del danno atteso medio annuo per un edificio standard. Quest’ultimo parametro consente,
essendo una misura integrale, di rilevare le differenti tipologie di sismicità che viceversa non
possono essere pienamente colte solo dall’accelerazione, che si riferisce ad un unico periodo di
ritorno.
Nel lavoro è anche descritta la messa a punto e l’applicazione di una procedura proposta per la
valutazione degli effetti locali che potesse essere facilmente ripetibile, da utilizzare all’interno
degli strumenti urbanistici. A seguito dell’emanazione della Legge Regionale n. 12 del 11 marzo
2005 per il governo del territorio e in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 57 della stessa legge
sono stati emanati con DGR n. 8/1566 e successiva DGR n. 8/7374 i relativi criteri ed indirizzi per
la definizione della componente geologica, idrogeologica e sismica del Piano di Governo del
Territorio. Nell’allegato 5 delle DGR è illustrata la procedura per la valutazione della componente
sismica ed in particolare per gli effetti di sito.
La procedura prevede tre livelli di approfondimento:
§ 1° livello, che consiste in un’analisi qualitativa, permette di individuare e delimitare le aree
soggette ad effetti sismici locali, sulla base dei principali scenari di pericolosità sismica locale;
a tal fine è stata messa a punto una tabella riassuntiva che raccoglie le principali situazioni che
possono dar luogo ad effetti di amplificazione litologica e morfologica, instabilità, cedimenti e
liquefazioni;
§ 2° livello, che consiste in un’analisi semiquantitativa, permette di determinare il valore del
Fattore di amplificazione tramite l’uso di curve di correlazione che richiedono la conoscenza
delle caratteristiche morfologiche, della caratteristiche stratigrafiche e dei valori della velocità
delle onde trasversali dei diversi orizzonti;
§ 3° livello, necessario nel caso in cui l’applicazione del 2° livello dimostri che la normativa
vigente non sia in grado di essere cautelativa, consiste in un’analisi quantitativa, condotta con
approccio numerico e/o sperimentale, permette di definire gli spettri di risposta del sito da
utilizzarsi in fase di progettazione.
La procedura proposta, inoltre, è caratterizzata dalla sua modularità che si presta ad una
continua e graduale implementazione ed aggiornamento.
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Le risorse idriche lombarde
Angelo Cavallin
Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università degli Studi di Milano - Bicocca
L’acqua è l’elemento che garantisce la vita nella sua complessità a livello planetario; è
essenziale per soddisfare le necessità umane fondamentali, come la salute, la produzione
alimentare, l’energia ed il mantenimento degli ecosistemi regionali e globali.
L'acqua è anche il costituente principale di tutti gli organismi viventi. Senz'acqua non ci
sarebbe vita, poiché la vita dipende dall'acqua. L'importanza dell'acqua non è limitata alle funzioni
vitali di sostentamento degli organismi e alla determinazione della morfologia terreste. L'acqua è
un fattore chiave nel condizionamento climatico della Terra, per l'esistenza dell'uomo, e per lo
sviluppo della civiltà. Oggi si considera spesso l'acqua alla stregua di un bene di consumo che
possiede un suo valore economico ed è oggetto di dispute legali, sociali e politiche. Con
l'espansione della popolazione del globo e col miglioramento delle condizioni di vita, la domanda
di acqua va rapidamente aumentando e la sua disponibilità sta diventando sempre più
problematica. L'uomo, in definitiva, dovrà fare sempre miglior uso dell'acqua a sua disposizione.
In Lombardia le acque hanno rappresentato e rappresentano una straordinaria opportunità:
l’utilizzo irriguo è stato e continua ad essere il motore principale dello sviluppo agricolo della
pianura; l’utilizzo per la produzione di energia ha permesso un elevato sviluppo industriale e
continua a fornire un notevole contributo in termini di apporti energetici da fonti rinnovabili; la
diffusa disponibilità di acque ha costituito una risorsa essenziale per l’insediamento industriale e
continua ad alimentare i processi produttivi insediati in Lombardia; grande rilievo assumono sul
territorio gli aspetti ricreativi delle acque, con la presenza di laghi ad elevata attrattiva turistica e di
ambienti naturali di pregio.
La domanda di risorse idriche per i vari usi, con concessioni per 130 miliardi di m3/anno,
supera di molto la disponibilità, con precipitazioni per 27 miliardi di m3/anno, per cui si viene a
creare una condizione di grave carenza idrica. Anche tenendo conto che le concessioni di acque
per uso idroelettrico non portano a un reale consumo delle risorse idriche, ma ad un utilizzo
dilazionato, che le riserve regionali rappresentate dalle acque immagazzinate nei laghi per 120
miliardi di metri cubi, nei ghiacciai per 4 miliardi e nelle falde sotterranee con oltre 100 miliardi di
metri cubi possono far fronte a particolari situazioni di emergenza, esiste un reale problema di
gestione delle risorse idriche regionali, anche a livello di bacino padano.
Per affrontare tali criticità legate alle carenze idriche si deve prevedere pertanto un utilizzo
razionale, consapevole e sostenibile di tale risorsa. Sicuramente le acque sotterranee
rappresentano una grande disponibilità per le sempre maggiori esigenze delle attività antropiche.
Quindi una corretta conoscenza della struttura del sottosuolo, delle sue caratteristiche
idrogeologiche, della quantità di acque che si infiltra e che viene prelevata e una corretta
valutazione del flusso, con l’uso di modelli tridimensionali, può permettere una corretta gestione
di tale risorsa soprattutto per il futuro in quanto è possibile simulare l’effetto sulla falda di
situazioni critiche.
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Idrogeologia urbana
Vincenzo Francani
Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano
La necessità di mantenere l’equilibrio delle risorse naturali che vengono sottoposte a
sfruttamento è particolarmente sentita nelle aree urbane, dove lo sviluppo edilizio e delle
infrastrutture ha su di esse un impatto particolarmente intenso, così da rendere indispensabile una
loro gestione particolarmente attenta ed una accurata programmazione della loro gestione.
Dal momento che l’adempimento di questo compito richiede non solamente la razionale
descrizione degli eventi naturali, ma anche una dettagliata ricostruzione del modello fisico del
sottosuolo e delle interazioni con l’ambiente circostante, gli studi geologici concorrono a definire
l’entità dei parametri fisici che caratterizzano il sottosuolo e dei meccanismi con i quali si
sviluppano i fenomeni che lo interessano.
Tale compito presenta aspetti di rilevante novità e richiede alla geologia, in particolare alle
discipline geologico- applicative, l’approfondimento di tematiche in cui finiscono con l’assumere
un importanza determinante, come ad esempio nella modellazione della circolazione idrica
sotterranea, tanto da renderle indispensabili nella progettazione di opere e nella gestione
ambientale delle aree urbane.
Nel corso dell’intervento saranno esaminati alcuni esempi della nuova impostazione degli studi
geologici e dei compiti assunti nella progettazione di interventi di controllo e riequilibrio delle
risorse.
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Parametrizzazione 3D e modelli idrogeologici del sottosuolo della Pianura Lombarda
Tullia Bonomi
Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università degli Studi di Milano - Bicocca
La necessità di una adeguata gestione delle risorse idriche, superficiali e sotterranee, al fine di
garantirne un uso e uno sfruttamento corretto, richiede una conoscenza completa del sistema
idrogeologico e idrologico in esame. A tal fine sono in corso da anni studi per integrare tra loro adeguate e
continue raccolte dati in situ con l’uso di strumenti innovativi che consentano di utilizzare al meglio i dati
raccolti e di produrre elaborazioni temporali e spaziali significative. I modelli matematici applicati
all’idrogeologia costituiscono un potente mezzo, ancora limitatamente diffuso in Italia ma molto diffuso
all’estero, per sintetizzare in un’unica struttura tutte le informazioni ricavate sul campo, per testare le ipotesi
circa il funzionamento del sistema reale, per coadiuvare nello studio di un sistema e per predire scenari futuri.
I dati idrogeologici derivati da reti di monitoraggio però sono una informazione fondamentale per validare i
modelli e renderli quindi strumenti previsionali affidabili e vanno gestiti in idonee banche dati integrate.
Le acque sotterranee rappresentano, in particolare, una grande disponibilità di risorse idriche
per le sempre maggiori esigenze delle attività antropiche. Per una stima sulla disponibilità idrica
sotterranea è fondamentale conoscere la risposta del sistema sotterraneo a tutte le sollecitazioni
esterne. Tale risposta è rappresentata dalle misure del livello della falda, senza le quali qualunque
interpretazione sulla reale disponibilità idrica diventa vana e tramite le quali è possibile capire
quali sono i fattori che influenzano maggiormente il bilancio sotterraneo. Nel ciclo idrogeologico
della Lombardia e nelle relative voci di bilancio si possono individuare aree in cui si riscontrano
andamenti della falda molto differenti tra loro in funzione delle diverse voci di bilancio prevalenti
in ogni settore. Per effettuare valutazioni quantitative sugli apporti al sistema sotterraneo, è però
necessario avere sequenze storiche molto ampie per cogliere non solo i trend stagionali ma anche
quelli pluriannuali e relazionarli con eventi meteorici significativi.
L’andamento della falda deve poi essere tradotto in reale disponibilità idrica, in quanto
all’interno del sottosuolo, l’acqua si muove tra i pori intercomunicanti presenti all’interno della
matrice solida. Quindi ad elevati volumi di terreno saturo, corrispondono volumi estremamente
ridotti di acqua disponibile. Per sviluppare queste valutazioni quantitative è necessario
parametrizzare tridimensionalmente il sottosuolo, cercando di stimare in dettaglio la distribuzione
della conducibilità idraulica e della porosità efficace per mezzo della quale l’acqua transita, e
conoscere la risposta del sistema, cioè l’andamento della falda, nello spazio e nel tempo. Il primo
aspetto si traduce nella ricostruzione della struttura idrogeologica, il secondo nella valutazione del
sistema di deflusso.
Il sottosuolo di una zona di pianura rappresenta l’infinita e complessa storia geologica alla
quale è stato sottoposto (fiumi, ghiacciai, laghi, etc.) e presenta quindi molte eterogeneità sia
laterali che verticali. Solamente con una buona ricostruzione delle reali eterogeneità degli acquiferi è
infatti possibile, per esempio, una modellizzazione dei pennacchi di contaminazione più aderenti ai
fenomeni reali. E’ qui presentata una metodologia per la ricostruzione di queste potenziali
eterogeneità che prevede un uso integrato di banche dati per pozzi e modelli di interpolazione
tridimensionali. Il nodo centrale del percorso è quello di integrare le classiche descrizioni
idrogeologiche con elaborazioni tridimensionali delle caratteristiche tessiturali ed idrogeologiche
dell’acquifero. Le aree di applicazioni interessano alcune province della Pianura Lombarda, nelle
quali è da tempo in corso una dettagliata raccolta di dati stratigrafici relativi a pozzi per acqua,
punto di partenza per le elaborazioni modellistiche tridimensionali.
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Caratteristiche idrogeologiche ed idrochimiche del Trias lombardo: le ricerche condotte
nelle Alpi Meridionali tra la Val Seriana, le Anticlinali Orobie e la Val Camonica
Giorgio Pilla e Gianfranco Ciancetti
Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Pavia
Il presente studio, intrapreso da alcuni anni, è stato realizzato in un ampio settore del Sudalpino
Orobico (350 km2 circa) contraddistinto dalla presenza di alcuni dei più importanti massicci
carbonatici delle Orobie (M. Vigna Vaga, Presolana, Pizzo Camino).
Da un punto di vista geologico la zona è contraddistinta dall’affioramento della successione
permo-triassica del Bacino Lombardo. Al basamento cristallino affiorante al limite settentrionale e
sud-orientale della zona, seguono terreni di natura vulcanica e silico-clastica di età permiana. Su
questi terreni si rinvengono le coperture carbonatiche e carbonatico-terrigene. Lungo la
successione triassica si ritrovano localmente orizzonti di carniole e di gessi e/o anidriti (Carniola di
Bovegno e Formazione di San Giovanni Bianco).
Da un punto di vista strutturale l’area è molto complessa per la presenza di più unità tettoniche
sovrapposte. I principali livelli di scollamento si localizzano alla base e nella porzione medio-alta
della successione carbonatica triassica, in corrispondenza dei litosomi evaporitici e di carniole.
Per quanto riguarda l’assetto idrogeologico dell’area l’evoluzione paleogeografica durante il
Trias ha avuto un riflesso notevole sulle caratteristiche idrogeologiche e sulle connotazioni
idrochimiche delle acque circolanti all’interno delle varie unità litostratigrafiche. Il modello
idrogeologico applicabile a tutta la fascia triassica delle Orobie centro orientali vede la presenza di
potenti unità carbonatiche fessurate e carsificate (Dolomia Principale-Formazione di Castro,
Formazione di Breno e Calcare di Esino) che rappresentano i più importanti acquiferi della zona,
delimitati alla base da unità idrogeologiche a bassa conducibilità idraulica.
L’enorme potenzialità idrica dei principali acquiferi carbonatici trova riscontro nelle numerose
sorgenti individuabili principalmente lungo i margini dei massicci stessi o lungo le incisioni dei
principali corsi d’acqua.
Per poter delineare l’assetto idrochimico dei circuiti idrici sotterranei, sono state analizzate in
laboratorio circa 200 acque sorgive delle oltre 900 sorgenti individuate nella zona. Su molte acque
emergenti nel settore orientale della zona (Pizzo Camino – M. Altissimo) è stato realizzato anche
uno studio isotopico per valutare l’origine delle acque sotterranee e la quota media del loro bacino
di alimentazione.
L’impronta chimica delle acque sotterranee studiate, riflette chiaramente le facies
mineralogiche degli acquiferi che le hanno veicolate: acque bicarbonato-calciche (magnesiache)
dalle sequenze carbonatiche triassiche ed acque solfato-calciche dai depositi evaporitici della
Carniola di Bovegno e della Formazione di San Giovanni Bianco.
In generale si osserva che le acque circolanti nei serbatoi carbonatici più elevati in quota
mostrano basse mineralizzazioni; al contrario nelle acque emergenti alla base dei massicci o in
prossimità dei principali corsi d’acqua, la mineralizzazione aumenta. In molti settori dell’area
studiata sono presenti anche acque derivate dal mescolamento dei due poli idrochimici principali.
Le acque studiate mostrano generalmente alti standards qualitativi, ad eccezione di locali
contaminazione riconducibili ad attività antropiche, come evidenziato dalle concentrazioni in
nitrati relativamente elevate riscontrate in alcune zone.
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Grandi fenomeni di instabilità nelle Alpi lombarde:
caratteristiche e distribuzione nel contesto dell'evoluzione recente dell'orogene alpino
Giovanni B. Crosta, Federico Agliardi e Paolo Frattini
Dipartimento di Scienze Geologiche e Geotecnologie, Università degli Studi di Milano-Bicocca
Le deformazioni gravitative profonde di versante sono state oggetto di studio ormai per svariati
decenni, tuttavia la loro esatta definizione e caratterizzazione sfugge ancora. Il riconoscimento e la
mappatura di questi fenomeni è incompleta e risente ancora molto dell’assenza di criteri precisi e
condivisi, nonché della comprensione dei meccanismi di innesco e del tipo di attività. Tutto ciò ha
portato al riconoscimento e classificazione di forme e processi molto diversi entro una stessa
categoria di fenomeni di instabilità di versante. Allo stesso tempo, la rilevanza di tali fenomeni è
stata spesso sottostimata sia in termini di frequenza che di attività e di eventuale influenza
sull’evoluzione geomorfologica delle aree alpine e sulle attività antropiche.
In questo contributo si esaminano i caratteri fondamentali per il riconoscimento e la
distribuzione dei fenomeni a scala dell’intero arco alpino, il grado di attività, i meccanismi di
controllo dell’instabilizzazione e del movimento, i possibili effetti sulla morfologia e sull’erosione.
L’esame della distribuzione dei fenomeni a scala dell’intero orogene alpino viene confrontata con
quella nelle Alpi lombarde e alcuni siti in particolare vengono esaminati per analizzare lo stato e
stile di attività.
L’inventario dei fenomeni a scala alpina è stato realizzato con tecniche innovative e fa uso di
semplici soluzioni che sono divenute disponibili solo negli ultimi anni. I fenomeni sono classificati
in base alla dimensione, le evidenze geomorfologiche, il grado di evoluzione, i rapporti con
lineamenti strutturali, con il reticolo idrografico e con i depositi superficiali.
Lo studio dello stato di attività sfrutta la disponibilità di serie storiche di dati di spostamento da
misure a terra, realizzate con tecniche topografiche classiche, e da misure in remoto tramite tecnica
PS-InSAR (TRE Tele-rilevamento Europa).
La distribuzione spaziale è analizzata in relazione alle caratteristiche morfologiche e
geologiche s.l. (posizione nella catena, elementi tettonici, sismicità, sollevamento).
Infine, l’evoluzione è studiata tramite l’analisi dei volumi coinvolti, sia in termini di ammassi
rocciosi dislocati che di detrito prodotto, e tramite l’applicazione di modellazione numerica di
alcuni fenomeni per cui risultano disponibili sufficienti dati.
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Metodologie innovative di identificazione e di monitoraggio di terreni soggetti a variazioni di
volume connesse a fenomeni di siccità
Claudia Meisina
Dipartimento di Scienze della Terra – Università degli Studi di Pavia
I cambiamenti climatici globali hanno portato alla ricorrenza sempre più frequente di periodi
caratterizzati da scarse precipitazioni quali gli anni 1989-1993, 1997-2000 e 2003. Gli effetti di tali
periodi siccitosi sono evidenti in corrispondenza dei terreni di fondazione di edifici e infrastrutture,
tanto da dar luogo al termine di “siccità geotecnica”. Tale terminologia è riferita al fenomeno di
ritiro dei terreni costituiti prevalentemente da argilla e che comporta lesioni agli edifici con
fondazioni superficiali.
Il fenomeno, pur non rientrando nell’ambito dei cosiddetti “rischi maggiori”, ha provocato
danni economici notevoli in Europa e in Italia; solo nell’Oltrepo Pavese il costo di ripristino degli
edifici lesionati ha avuto un’incidenza stimabile tra il 15% e il 25% in rapporto al valore
commerciale dei fabbricati. Emerge di conseguenza la necessità di un’attività di prevenzione
finalizzate all’identificazione, mappatura e monitoraggio di tali terreni nell’ottica di un’adeguata
pianificazione territoriale, sia a scala regionale che comunale (Piani di Governo del Territorio).
A tale scopo viene presentata una metodologia di identificazione dei terreni soggetti a
variazioni di volume e di valutazione della suscettibilità al ritiro-rigonfiamento messa a punto e
validata in regione Lombardia dove il fenomeno interessa principalmente i terreni alluvionali della
Pianura e le coltri eluvio-colluviali dell’Appennino Pavese. La metodologia si articola in diversi
livelli corrispondenti a diverse scale di lavoro (regionale, comunale).
A scala regionale la metodologia si basa sull’integrazione di approcci pedologici e geologicoapplicati. Essa consiste in un’analisi a criteri multipli e tiene conto dei principali fattori che
condizionano il fenomeno nei vari contesti geologici della regione.
A scala comunale è stato utilizzato un approccio geotecnico basato sulla previsione dei
parametri di ritiro-rigonfiamento (pressione e variazione percentuale di volume) mediante
l’utilizzo di reti neurali artificiali. A questa scala è stato anche determinato lo spessore della zona
attiva (terreno interessato dalle variazioni del contenuto d’acqua in risposta al clima) mediante il
confronto di prove penetrometriche statiche CPT eseguite in diversi periodi dell’anno.
Sono stati inoltre analizzati i limiti e le potenzialità dell’utilizzo dell’interferometria radar
differenziale da satellite (tecnica PSInSAR™) nell’identificazione e monitoraggio dei terreni
soggetti a variazioni di volume. A questo scopo i dati interferometrici sono stati integrati con dati
geognostici (sondaggi, trincee, ecc.), geotecnici (prove penetrometriche, prove di laboratorio) e
idrogeologici in aree campioni caratterizzate da terreni argillosi, da un’elevata densità di bersagli
radar e di edifici lesionati.
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Miniere e cave non più attive: problema o risorsa?
Franco Rodeghiero
Dipartimento Scienze Geologiche e Geotecnologie, Università degli Studi di Milano–Bicocca
La Legge Mineraria Italiana (R. D. 29 luglio 1927, n. 1443 – tuttora in vigore) divide le risorse
naturali minerarie in due categorie (prima categoria miniere, seconda categoria cave)
essenzialmente su base merceologica. Nel 1977 furono delegate alle Regioni funzioni
amministrative, legislative e di controllo sulle attività estrattive di IIa Categoria. Fecero seguito
quindi Leggi Minerarie Regionali con norme per la disciplina della coltivazione di sostanze
minerali di cava. Con la Riforma Bassanini le Regioni assumono le competenze relative alle
miniere (Ia categoria), le Provincie (con poche eccezioni) le funzioni relative a tutte le altre cave.
Dal secondo dopoguerra fino circa agli anni ‘80, prima che questo controllo legislativo da parte
della Regione Lombardia cominciasse a essere effettivo, per quanto riguarda le cave, lo
sfruttamento è stato abbastanza incontrollato. Nel 1982, con l’emanazione della prima legge
regionale sulle norme per la disciplina della coltivazione di sostanze minerali di cava, molte cave
sono state abbandonate, senza che venisse effettuata alcuna opera di ripristino o di messa in
sicurezza. Per quanto riguarda le sostanze minerali di Ia categoria l’abbandono di importanti
complessi minerari, attivi fino agli anni ’70, nelle Alpi Lombarde – ma anche in altre regioni
limitrofe alpine – ha lasciato sul territorio pesanti eredità, sia di aspetto socio–economico, sia di
natura ambientale, quali infrastrutture ed impianti, discariche e talora imponenti vuoti di
coltivazione mineraria. Questi fattori condizionano oggi di fatto una conveniente fruizione
territoriale e possono localmente anche costituire un serio vincolo che non può essere ignorato
dalla pianificazione, sia dal punto di vista urbanistico, ma anche per motivi di sicurezza del
soprasuolo e non ultimo per la protezione civile. Le problematiche maggiori sono legate
all’impatto visivo di scavi abbandonati a cielo aperto, soprattutto in areee montuose, al collasso del
tetto di vuoti di coltivazione mineraria che si sono spinti vicino alla superficie, senza rispettare
distanze di sicurezza da zone antropizzate, alla presenza di ingenti cumuli di discariche che, anche
se rappresentate nella maggior parte dei casi da materiale sterile di risulta (quindi roccia), possono
dare luogo a locali instabilità dei versanti, all’accumulo non controllato di fanghi di lavorazione
(fini di laveria) che, oltre a rilasciare elementi indesiderati nell’ambiente, se imbibiti d’acqua,
possono innescare pericolose colate di fango. Dal punto di vista della protezione civile il rischio
maggiore è la presenza, sovente non segnalata, di pozzi, gallerie, voragini, impianti in fatiscente
abbandono vicini ad aree urbanizzate. Per una Regione così densamente popolata come la
Lombardia un passo preliminare da intraprendere, in maniera responsabile e moderna, sarebbe un
censimento di tutti questi siti con una loro precisa georeferenziazione. D’altro canto, riferendosi
solo all’area alpina, numerosi tra i siti minerari dismessi costituiscono anche un prezioso
patrimonio storico-culturale e geologico-scientifico del nostro territorio. Poiché solo la conoscenza
e lo studio del loro profilo tecnologico di archeologia industriale e delle loro peculiarità geologiche
e giacimentologiche ne può permettere una adeguata e selezionata riqualificazione in base alla loro
specifica identità, il passo successivo potrebbe essere, in linea con azioni di recupero e
valorizzazione di siti meritevoli, avviate già da qualche anno in ambito di paesi europei, un loro
inserimento in progetti di riqualificazione e valorizzazione. Né si dimentichi che nuove situazioni
di mercato dei metalli e dei minerali, tecnologie innovative di prospezione e coltivazione,
rinnovate volontà di investimento nel settore possono portare a riavvii produttivi di attività
estrattive cessate sovente non per esaurimento del giacimento ma per motivi di economicità. Il
mantenimento quindi non solo della memoria storica ma anche della documentazione tecnica e
geo-giacimentologica, è quindi più che mai una opportunità scientifica, segno di responsabilità
sociale e una convenienza economica per il nostro Paese.
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Presentazioni orali
Geologia, Scuola, Informazione
45
46
L'insegnamento delle scienze: passione, processi e metodi
Elisabetta Nigris
Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione, Università di Milano Bicocca
In questi anni è in corso un acceso dibattito sull’insegnamento delle scienze, sul perché
dell’allontanamento dei giovani da queste discipline, sui modi per appassionarli e sulle strategie
più efficaci per promuovere l’apprendimento scientifico. Sicuramente le rappresentazioni sociali
e, dunque, i mezzi di comunicazione giocano un ruolo importante nell’incentivare o scoraggiare i
giovani nei confronti delle scienze, ma altrettanto decisivo risulta il ruolo della scuola, come anche
delle diverse esperienze educative di carattere divulgativo (musei, materiali video in commercio,
ecc.).
In questi anni molte sono state le esperienze nella nostra regione che sono andate in questa
direzione, da “Scienze under 18” al percorso di formazione degli insegnanti ISS; dal “Progetto est”
alle numerose iniziative dei musei milanesi e del territorio. E’ importante dunque raccogliere il
patrimonio accumulato negli anni dagli insegnanti, dagli operatori dei musei e dei Science center,
da un lato per sistematizzarle e diffonderle, dall’altro lato per promuovere maggiore ricerca sia nel
campo della didattica della scienze in generale che delle specifiche didattiche disciplinari.
Alla scuola e a chi conduce ricerche in campo della didattica delle scienze e delle didattiche
delle singole discipline spetta il compito di individuare alcune linee di intervento che, se non
possono rappresentare ricette magiche o prescrizioni coercitive, forniscano a chi insegna queste
discipline indicazioni chiare, semplici ed efficaci relative a:
v
modalità capaci di dare senso alle attività didattiche in ambito scientifico,
collegando i saperi epistemologicamente corretti con le esperienze quotidiane dei ragazzi e
con le loro conoscenze ingenue (quelle che Bachelard chiama “saperi ignoranti”);
v
modelli didattici in grado di superare un approccio preminente formale di
insegnamento della lingua che si riagganci alle conoscenze di tipo informale che
caratterizzano la maggior parte delle esperienze di apprendimento dei ragazzi;
v
metodologie didattiche al tempo stesso motivanti ed efficaci dal punto di vista
dell’insegnamento concettuale;
v
criteri per valutare i processi cognitivi e/o meta-cognitivi messi in atto con una certa
attività, lezione, metodologia didattica,… (processi convergenti o divergenti).
Al rigore della ricerca scientifica è dunque fondamentale che si affianchi la capacità di
delineare proposte didattiche realistiche e realizzabili nella scuola, in questo periodo di grandi
cambiamenti e disagi.
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Lombardia sul Web
Marina Credali
Regione Lombardia – Infrastruttura per l’informazione territoriale
Il primo sito istituzionale di Regione Lombardia nasce negli anni 1997-2000 ed “esplode” negli
anni 2002-2003; attualmente è un sistema complesso costituito da più di 70 siti/portali ai quali si
accede attraverso il portale ufficiale www.regione.lombardia.it, visitato ad oggi da quasi 2 milioni
di persone all’anno. E’ un sistema in evoluzione che a breve vedrà un’ulteriore trasformazione
verso un nuovo portale, che supererà le attuali “disomogeneità”.
Regione Lombardia vuol dire molte competenze in diverse aree tematiche, tanto lavoro… tanti
dati prodotti. In particolare nel settore della Infrastruttura Territoriale, a partire dall’anno 2001,
viene messo a disposizione dell’utenza esterna un “patrimonio geografico” tramite un portale
cartografico trasversale alle direzioni generali e quindi alle competenze tematiche. L’ultima
evoluzione in corso di attuazione, a partire dal rinnovato GEOPORTALE (2007), è verso
un’Infrastruttura per l’Informazione territoriale lombarda che prevede la partecipazione degli altri
Enti lombardi alla produzione, condivisione, gestione e diffusione dell’Informazione territoriale.
Attraverso il GEOPORTALE (www.cartografia.regione.lombardia.it) è possibile effettuare
ricerche di dati tramite il catalogo (utilizzando criteri geografici, tematici, temporali ed altri),
visualizzare mappe (senza disporre di particolari software) scaricare i dati in formati raster e
vettoriale e stampare.
Molte sono le basi dati disponibili di tipo raster: la Carta Tecnica Regionale alla scala 1:10.000
e alla scala 1:50.000 (derivata dalla precedente), le ortofoto digitali a colori (anno 1998-2000,
2003 e 2007 in corso di predisposizione), i modelli digitali del terreno, la carta fisica e la carta
politica alla scala 1:300.000).
Tra la basi dati vettoriali, che riguardano diverse aree tematiche con diversa copertura
territoriale, sono presenti:
− la cartografia geologica alla scala 1:50.000 (progetto CARG);
− il modello geologico del sottosuolo della pianura padana alla scala 1:250.000;
− il sistema informativo regionale delle valanghe alla scala 1:25.000;
− l’inventario delle frane e dei dissesti idrogeologici alla scala 1:10.000;
− i ghiacciai della lombardia (stato anni 1992, 1999 e 2003);
− i 10 tematismi della Cartografia geoambientale alla scala 1:10.000 (litologia, geomorfologia,
uso del suolo, idrologia/permeabilità, dissesto idrogeologico e pericolosità, capacità d’uso del
suolo, attitudini all’uso produttivo del suolo, degrado ambientale, rilevanze naturalistiche e
paesaggistiche, unità geoambientali);
− i 6 tematismi alla scala 1:25.000 delle basi informative ambientali della pianura (uso del
suolo, attività di sfruttamento del suolo, idrologia superficiale con reticolo attuale e storico,
rilevanze naturalistiche e paesaggistiche, litologia di superficie, geomorfologia);
− la cartografia pedologica (alle scale 1:50.000 e 1:250.000);
− la cartografia dell’uso e copertura del suolo (scala 1:100.000 - Corine Land Cover 90);
− lo strato informativo relativo ai bacini idrografici del territorio collinare-montano;
− i vincoli derivanti dalla pianificazione di bacino (fasce fluviali, aree a rischio idrogeologico
molto elevato, aree in dissesto) e dai relativi aggiornamenti formulati dai comuni;
−
la carta di fattibilità geologica delle azioni di piano alla scala 1:10.000.
Di notevole utilità applicativa sono inoltre le monografie dei punti di raffittimento della rete
planoaltimetrica IGM95 (i capisaldi della rete topografica) ed i dati morfologici ed idraulici
ricavati sui bacini idrografici alpini messi a disposizione dall’applicativo SIBCA (accessibile
sempre dal geoportale).
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L’allegra regione di acquaterra
Paolo Gallese
Cooperativa Verdeacqua
“L’allegra regione di Acquaterra" è un role play che unisce un software ludico di grande effetto
grafico, all’attività pratica e diretta dei bambini, che si cimentano nell’inventare e “costruire” una
regione geografica ideale e immaginaria: tramite l’attenta mediazione degli insegnanti, i bambini
avvicinano concetti fondamentali quali ambiente, territorio, sviluppo sostenibile. “L’allegra
regione di Acquaterra” è una attività nata grazie a una stretta collaborazione tra la Cooperativa
Verdeacqua e il Settore Territorio e Urbanistica della Regione Lombardia, con il sostegno di
IREALP. L’iniziativa, partita da un progetto pilota di 4 classi, ha visto la partecipazione
complessiva di 18 classi, che quest’anno saliranno a 27, per un totale di circa 600 bambini,
all’interno della rete di 27 scuole “Il bambino autore”.
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Obiettivi generali
Analizzare un sistema territoriale e antropico riconoscendo le trasformazioni apportate
dall’uomo, analizzare i problemi ambientali di un territorio, le diverse forme di
inquinamento, di dissesto, le possibili alternative sostenibili.
Imparare che da "scelta" si genera sempre "conseguenza" e come questo, su scala sociale,
produca diversi livelli di responsabilità.
Valutare problemi collettivi, presentare e difendere istanze, raggiungere compromessi,
valutare l’accettabilità, prendere decisioni insieme, assumersi responsabilità.
Acquisire un metodo e una esperienza che consentano non tanto di risolvere, quanto di
percepire chiaramente i problemi della realtà.
Modalità di lavoro
E’ previsto il coinvolgimento di quattro classi per volta: compito dei bambini sarà quello di
creare una regione e svilupparla. Dovranno creare i territori poi farli prosperare, discutendo le
strategie da adottare. Grazie alla grafica digitale gli sviluppi delle loro decisioni saranno
immediatamente visibili su schermo e le conseguenze potranno essere positive o negative,
confermando la correttezza delle scelte effettuate, o la loro superficialità.
Fase 1: I bambini creano i territori dando libero sfogo alla loro fantasia; provvedono a
disegnare le mappe e i particolari della loro regione, ne scrivono la storia, le leggende, si divertono
a dare nomi alle varie località.
Fase 2: I disegni vengono riprodotti mediante gli strumenti grafici di SimCity 4, con i quali si
potranno plasmare il territorio e gli ambienti immaginati dai bambini. Le classi cominceranno
quindi a interrogarsi su come dotare i loro territori di servizi pubblici, di energia, acqua, case,
industrie. Lo scopo del gioco è quello di creare una comunità in grado di prosperare, nel pieno
rispetto delle esigenze di salvaguardia ambientale.
Fase 3: Grazie ad appositi comandi virtuali, i bambini cercano di tenere sotto controllo lo
sviluppo sostenibile della loro regione. Sotto i loro occhi, la piccola regione risulterà animata in
maniera complessa e sarà possibile vedere i propri cittadini passeggiare, recarsi in macchina nei
luoghi di lavoro o da un paese all’altro, e addirittura organizzare manifestazioni di protesta; si
potrà analizzare la politica energetica, la regolazione del traffico, il miglioramento o
peggioramento dell’inquinamento, tutto in tempo reale. In SimCity 4 può succedere virtualmente
di tutto, trasformando la regione in un territorio prosperoso, oppure in una specie di inferno
inquinato e stravolto dall’antropizzazione e dal degrado.
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Rischi naturali: conoscerli giocando – Un frutto del progetto Rinamed
Lisa Garbellini
IREALP – Istituto di Ricerca per l’Ecologia e l’Economia Applicate alle Aree Alpine
Regione Lombardia, in particolare la DG Territorio, avvalendosi della collaborazione di Irealp,
ha partecipato nell’ambito della scorsa programmazione comunitaria (2000-2006) ad un progetto,
finanziato dal Programma di Iniziativa Comunitaria “Interreg III B – Spazio MedOcc”, intitolato
“Rinamed - Rischi Naturali dell’Arco Mediterraneo Occidentale”. Il progetto, di durata triennale,
si è concluso nell’ottobre del 2004. L’obiettivo generale del progetto è quello di definire un quadro
di prevenzione e di informazione comune allo spazio mediterraneo europeo sui rischi naturali che
possa adattarsi a ciascuna delle zone coinvolte. Nello specifico il progetto ha l’obiettivo di portare
il cittadino a conoscere e capire meglio i rischi naturali con i quali può venire a contatto.
A questo scopo, sono stati predisposti strumenti adattati al differente pubblico a seconda del
contesto locale, dell’età e del settore di attività. In particolare grazie al progetto Rinamed sono stati
creati alcuni strumenti formativi molto efficaci rivolti specialmente ai ragazzi:
• Gioco di ruolo Rinamed
• Video Rinamed
• Cd-rom Rinamed
• Mostra “Convivere con i rischi naturali”
Irealp, avendo sperimentato la validità di questi strumenti, ha ritenuto di individuare un modo
per valorizzarli in un’attività di educazione ambientale rivolta agli studenti della scuola primaria e
secondaria di primo e secondo grado, cogliendo l’opportunità offerta dal bando di Fondazione
Cariplo intitolato “Promuovere l’educazione ambientale”.
Nasce in questo modo, cofinanziato quindi dalla Fondazione Cariplo, il progetto “Rischi
naturali: conoscerli giocando” che si è articolato su due anni scolastici: nell’anno 2006-2007 si è
rivolto alle scuole primarie e secondarie di primo grado e nell’anno 2007-2008 alle scuole
secondarie di secondo grado. In totale sono state coinvolte 21 scuole, 40 classi e 730 studenti con i
propri insegnanti. Il territorio interessato è stato la provincia di Sondrio.
Gli incontri formativi nelle scuole sono stati l’occasione per far sperimentare ai ragazzi il gioco
di ruolo Rinamed e per farli riflettere, guidati dal personale di Irealp, sulla tematica del rischio
naturale, sulle attività di prevenzione, sui comportamenti da tenere in caso di calamità.
A conclusione di questo percorso, in entrambi gli anni scolastici, è stato organizzato un evento
finale cui sono state invitate le scuole aderenti all’iniziativa. In quest’occasione gli studenti hanno
potuto incontrare i volontari di Protezione Civile e Antincendio Boschivo che hanno svolto
esercitazioni e dimostrazioni.
La scelta della provincia di Sondrio come area di sperimentazione di questa iniziativa è legata
in particolare al fatto che, essendo l’unica provincia lombarda interamente montana, essa è
fortemente esposta ai rischi naturali, in particolare ai rischi di tipo idrogeologico. Inoltre proprio
nel 2007 ricorreva il ventennale della tragica alluvione che ha colpito la Valtellina nell’estate del
1987.
Il bilancio dell’iniziativa è positivo, confermato dall’apprezzamento degli studenti, ma
soprattutto degli insegnanti che hanno trovato questa modalità innovativa particolarmente
coinvolgente ed efficace.
Un altro aspetto significativo è dato dal coinvolgimento di più attori che, con ruoli diversi,
hanno concorso per la realizzazione di queste finalità di educazione al rischio naturale. Infatti, con
Irealp hanno collaborato alcuni Enti territoriali, l’Ufficio Scolastico Provinciale, gli Istituti
Scolastici e i gruppi di volontari della Protezione Civile.
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Cosa ci raccontano le rocce della storia della Terra?
Maria Iole Spalla e Guido Gosso
Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano
Secondo varie antiche saggezze e la prosa letteraria, nulla appare più immutabile di una roccia.
La Geologia, al contrario, va sempre meglio dimostrando quanto e come le rocce siano parte di un
grande ciclo, universale e terrestre. Esse cedono continuamente parti ad altre rocce e ciò accade
sotto il nostro sguardo, come, e più efficacemente, in profondità nella crosta, nella litosfera, nel
mantello e nucleo della Terra; le rocce scambiano anche parti con le altre sfere terrestri, non
formate da rocce. Sono allora la parte costitutiva importante del mondo minerale e le madri di tutto
quanto esiste sul pianeta. I percorsi dei costituenti delle rocce, i minerali e i loro elementi chimici,
sono spesso tracciabili e i Geologi hanno messo in opera percorsi analitici e linee di sintesi che
manifestano come da pochi granuletti di minerale compresi in una roccia si possa tracciare gran
parte della sua storia. Come si genera una catena di montagne, fenomeno attraente per la fantasia
di tutti, è racchiuso nei messaggi di scambio chimico che le rocce si sono inviate in diversi
ambienti. I Geologi usano dire paradigmaticamente che “ogni roccia è la testimonianza del suo
ambiente”, segnala il luogo terrestre, anche profondamente sotterraneo, in cui è nata! E qui le cose
si complicano, quanto all’apparente astrusità dei messaggi, ma in realtà, come per ogni
investigazione, più messaggi raccogliamo, meglio individueremo il loro mondo di provenienza
(proprio così come ricostruiamo le tracce lasciate dagli autori di un misfatto). Ad esempio i granuli
delle rocce sono capaci di cambiare forma, come i metalli che siamo abituati a forgiare, e più sono
scesi in profondità, meglio hanno cambiato foggia, laminandosi, torcendosi e filandosi, come sotto
le presse di un’officina. La lettura scientifica di una combinazione sufficientemente convincente di
marcature naturali ci porta a solide convinzioni sul percorso di formazione di molte rocce, che
spiegano avvenimenti terrestri importanti come i moti dei continenti, sino a ieri fatto confinante
col fantastico.
Ora un vantaggio, che libera la scienza dal suo alone austero: guardare le rocce in laboratorio è
assolutamente avvincente, almeno quanto andare a raccoglierle nei grandi panorami terrestri, le
catene montuose, i deserti, gli abissi oceanici. E’ fortemente coinvolgente dal punto di vista
estetico: un mondo colorato degno di un critico d’arte moderna! Senza questa fascinazione, nessun
geologo abituato ai grandi spazi passerebbe volentieri notti e notti d’inverno chiuso in un bunkerlaboratorio scientifico.
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La Scienza dei Materiali Antichi: vedere l’Arte attraverso le Geoscienze
Bruno Messiga e Maria Pia Riccardi
Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Pavia (www.smalab.org)
Uno degli ambiti nei quali le Geoscienze hanno prodotto innovazione, in questo decennio, nasce
dall’intersezione con le Scienze Archeologiche e Storico-Artistiche. Questa ibridizzazione dei
Saperi produce innovazione metodologica e di processo, traendo criteri di interpretazione dei
processi pre-industriali dalla visione oolistica, propria delle nostre discipline.
L’esempio che si propone parte dalla considerazione che esistono vetri naturali e vetri
artificiali e che entrambi, dopo la loro formazione percorrono, nel tempo, strade diverse
caratterizzate, comunque da processi di alterazione. Sorprendentemente esiste una profonda
similitudine nei processi di alterazione dei vetri naturali e quelli artificiali: i pattern di alterazione
dei vetri naturali sono simili a quelli che si sviluppano in vetri artificiali.
Il primo studio sul processo di alterazione del vetro risale al 1922 quando Mellor descrisse il
processo di attacco di licheni sui vetri di una vetrata istoriata. Il confronto tra la ricerca condotta
sull’alterazione dei vetri vulcanici dei centri di emissione oceanici e su quelli ritrovati in sedimenti
archeologi o su quelli delle vetrate istoriate, mostra pattern di alterazione sorprendentemente simili
che sono indicativi di analoghi processi che avvengono in Natura, sebbene in ambienti
completamente differenti.
Lo studio dei materiali antichi si interessa dei numerosi fattori che hanno concorso a dotare i
manufatti di caratteristiche intrinseche di estrema complessità. Per questa ragione gli studi devono
ricorrere a svariate tecniche di indagine che, solo integrandosi, consentono di studiare i processi di
produzione dei manufatti e di trasformazione delle materie prime, queste ultime, in genere, di
origine”geologica”.
Nello studio di una produzione storica, le domande alle quali occorre fornire una risposta sono
del tipo: - quali sono gli attributi di provenienza dell’oggetto e delle materie prime che lo
costituiscono? - quale effetto hanno le caratteristiche fisico-chimiche dei materiali e l’abilità
dell’artigiano specializzato sugli attributi materiali e funzionali dei manufatti?
Questa dimensione intangibile del Bene Culturale completa la sua fruizione sociale, quindi lo
valorizza. Un manufatto, oggetto tangibile, può essere compreso ed interpretato attraverso la sua
dimensione intangibile. Le ricerche infatti sono rivolte, non solo alla caratterizzazione degli
attributi chimico-fisici dei prodotti, ma anche alla definizione della sequenza di produzione e alla
sua organizzazione.
Lo studio dell’alterazione delle vetrate della Certosa di Pavia attraverso la scoperta delle
antiche tecniche di produzione e di lavorazione non rappresenta solo un elegante esercizio di
ricerca ma fornisce informazioni essenziali alla progettazione di un restauro sostenibile e alla
scelta dei materiali compatibili. Le forme e gli agenti dei processi di alterazione sono uno
strumento per comprendere la cinetica dell’avanzamento del degrado e forniscono quindi elementi
essenziali per predisporre i piani di manutenzione programmata, per conservare dopo il restauro. In
tale ambito l’acquisizione del massimo delle conoscenze è lo strumento indispensabile a supporto
delle decisioni operative. Al tempo stesso la ricerca deve fornire strumenti diagnostici che siano
praticabili.
52
Geositi e sentieri geologici di Lombardia
Dario Sciunnach
Regione Lombardia, Direzione Generale Territorio e Urbanistica
Nel 1982, la Lombardia è stata la prima regione italiana a elaborare un elenco (che è andato
ampliandosi negli ultimi 15 anni grazie all’attività della Direzione Generale regionale Qualità
dell’Ambiente) di siti di interesse geologico e naturalistico per i quali avviare azioni di tutela
specifica. Oltre 50 siti caratterizzati da un interesse abiotico prevalente o parziale sono stati
assoggettati a una normativa di tutela cogente tramite l’istituzione di riserve e monumenti naturali
(L.R. 86/83), sicché oggi risultano ben noti sia alle popolazioni locali, sia agli addetti ai lavori.
I geositi trovano una posizione definita nella normativa comunitaria, in particolare nella
Raccomandazione del Consiglio d’Europa Rec(2004)3 sulla conservazione del patrimonio
geologico e delle aree di particolare interesse geologico, adottata dal Comitato dei Ministri il 5
maggio 2004: sono inoltre oggetto di un censimento nazionale, coordinato da IRPA – già APAT
(Progetto “Conservazione del Patrimonio Geologico Italiano” - CPGI).
Dal 2004, nel quadro delle attività di attuazione del Progetto CARG, la Direzione Generale
Territorio e Urbanistica ha aderito al Progetto CPGI. In tale contesto è stata avviata un’indagine
che ha tenuto conto di diverse tipologie di fonti (siti precedentemente vincolati in quanto riserve o
monumenti naturali; località-tipo o stratotipi di unità litostratigrafiche validate nell’ambito del
Catalogo delle Formazioni Geologiche Italiane; siti di rilevanza geologica mondiale, es. siti
UNESCO definiti per caratteristiche naturali e GSSP; geoparchi e sentieri geologici già istituiti;
schede inventario compilate da soggetti individuati come referenti; situazioni ampiamente
consolidate nella conoscenza diffusa del territorio e nella letteratura, note alla Direzione Generale
o segnalate per iniziativa autonoma di specialisti ed esperti; siti individuati ex novo nel corso dei
rilevamenti CARG; studi e pubblicazioni di settore), ma anche di criteri che garantissero una
correlazione con il grado di geodiversità del territorio. A questo scopo si è contingentato, almeno
in via orientativa, il numero di geositi da istituire in ciascuna provincia valutandone il grado di
correlazione con il grado di geodiversità del territorio: quest’ultimo quantificato calcolando, per
ciascuna provincia, l’indice di diversità di Shannon-Weaver su base litostratigrafica.
Sempre nel 2004, il D.Lgs. 42 (“Codice dei beni culturali e del paesaggio”, meglio noto come
“Codice Urbani”) ha stabilito la necessità di adeguare entro Maggio 2008 i Piani Paesistici
Regionali vigenti, riconoscendo, tra l’altro, le “singolarità geologiche” di cui alla storica Legge
1497/39 come beni paesaggistici da assoggettare a norme di tutela e valorizzazione.
Regione Lombardia ha adempiuto al compito presentando l’integrazione e aggiornamento del
Piano Territoriale Paesistico Regionale, vigente dal 2001 (D.G.R. n. VIII/6447 del 16 Gennaio
2008). Un forte elemento di novità del nuovo articolato normativo, che sarà efficace dopo
l’approvazione in Consiglio Regionale, sta nell’aver incorporato i geositi come nuova categoria di
tutela e valorizzazione del territorio. L’art. 22 della normativa di Piano definisce i geositi, ne
stabilisce una classificazione secondo i motivi di interesse scientifico prevalente (mutuati dalla
Scheda Inventario APAT) e, in base alla classificazione, li assoggetta a tre tipologie di tutela
distinte e specifiche. Attribuisce inoltre alle province (alcune delle quali avevano già istituito
geositi attraverso i propri PTCP) e ai parchi l’onere di perimetrare i siti individuati puntualmente
nel Piano Paesaggistico Regionale, nonché la facoltà di individuare ulteriori geositi di rilevanza
locale. Nei collegati repertori e nella cartografia di Piano, immediatamente vigenti, si individuando
in totale 264 geositi, 34 dei quali di livello locale
53
Musei e geoparchi in Lombardia.
Anna Paganoni
Museo Civico di Scienze Naturali “E. Caffi”, Istituto di Geologia e Paleontologia – Bergamo
Associazione Italiana di Geologia &Turismo Il 2008 è stato proclamato l’Anno Internazionale del Pianeta Terra dall’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite ed è stato rivolto un appello per la diffusione delle Scienze della Terra nella
società.
Tra i protagonisti di questo percorso culturale i musei svolgono un ruolo di primo piano; sono
infatti istituti per vocazione attenti alla conservazione della natura e dei suoi tesori, promotori di
iniziative di tutela, conservazione e valorizzazione.
I musei naturalistici in primo luogo ma anche gli ecomusei, i monumenti naturali, i parchi ed i
geoparchi sono impegnati nella conservazione dei beni geologici in senso lato e nella contestuale
valorizzazione in senso turistico ed educativo (vedi ad es. www.museoscienzebergamo.it www.triassico.it - www.geologiaeturismo.it). Ne è un esempio la recente realizzazione del
progetto EST: educare alla Scienza ed alla Tecnologia che ha visto protagonisti musei e raccolte
museali lombardi.
Nella nostra regione i musei hanno difficoltà a svolgere un ruolo di primo piano in questo
campo, confrontandosi troppo spesso con forti pressioni antropiche, scarsa inclinazione verso la
conservazione del territorio e sensibilità generalmente rivolta verso il patrimonio culturale non
naturalistico.
La recentissima istituzione nel giugno 2008 del primo geoparco alpino italiano nell’area
Adamello-Brenta potrebbe essere uno stimolo per un suo ampliamento in territorio lombardo.
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Un tuffo nei laghi lombardi
Daniela Fanetti e Sabina Rossi
Dipartimento Scienze Chimiche ed Ambientali, Università degli Studi dell’Insubria, Como
I bacini lacustri, oltre ad essere un elemento che caratterizza in modo rilevante il paesaggio
della nostra regione, rappresentano una preziosa fonte di dati per gli scienziati che si occupano
dello studio della storia geologica del territorio. I laghi infatti possono essere considerati dei
contenitori di informazioni che permettono di ricostruire i processi geologico-ambientali avvenuti
all’interno dello specchio d’acqua a livello locale, ma anche per studiare a più ampia scala le
trasformazioni dell’ambiente e del clima nel passato. Al pari di altri archivi naturali, i bacini
lacustri contengono una serie di indicatori ambientali (ad es. gli elementi chimici, i sedimenti, i
fossili animali e vegetali) che possono essere analizzati e misurati: essi hanno registrato la storia
del clima e dell’ambiente, talvolta con estremo dettaglio. Questi indicatori ci raccontano, come le
pagine di un libro, cosa è avvenuto nel territorio circostante nel passato e ci permettono di
ipotizzarne l’evoluzione futura.
Negli ultimi anni importanti spunti di ricerca sono venuti dallo studio dei laghi situati nelle
Prealpi Lombarde, che sono stati investigati grazie alla collaborazione di numerosi istituti
scientifici europei. Tra i grandi bacini lombardi il Lago di Como, che è il più profondo lago sudalpino (425 m), è stato oggetto di uno studio morfobatimetrico completo ed i suoi sedimenti sono
stati investigati con una strumentazione sismica ad alto dettaglio che ha consentito di definire la
loro struttura interna, grazie alle sezioni in 2D prodotte, e di ottimizzare l’ubicazione di
campionamenti diretti di materiale. Dallo studio della morfologia del fondo si è potuto suddividere
un lago così esteso e complesso come il Lario in diversi sottobacini, accumunati dalle stesse
caratteristiche idrologiche e limnogeologiche. Dalle indagini sismiche e dalle analisi dei sedimenti
si è definito: il tipo di sedimentazione che ha caratterizzato il lago nel recente passato; quali sono
le sorgenti dei sedimenti presenti; qual è il tasso di sedimentazione nei vari sottobacini lacuali;
quali eventi straordinari sono stati registrati nel record sedimentario (alluvioni, frane, terremoti) e
quali eventi registrati nel Lario sono comuni ad altri laghi (es. Lago d’Iseo) e hanno pertanto
valenza regionale.
I depositi lacustri sono stati inoltre oggetto di analisi palinologiche: lo studio del polline fossile
è una delle tecniche più precise e versatili per la ricostruzione del paesaggio e delle sue
modificazioni, attraverso lo studio dei resti vegetali che vengono intrappolati all’interno dei
depositi. Le carote prelevate dal fondo del lago hanno fornito dei profili pollinici poco definiti, ma
maggiori informazioni sono venute dall’analisi di lunghe perforazioni nel settore perilacustre, che
descrivono l’evoluzione della vegetazione dalla fine dell’ultima glaciazione all’interglaciale
attuale. La storia della vegetazione trova conferma anche dai numerosi profili pollinici dei laghi
lombardi noti in letteratura ed in corso di studio (ad es. il Lago d’Iseo). Uno degli aspetti più
interessanti emersi è come la vegetazione a latifoglie abbia subito una repentina e significativa
diffusione a livello regionale non appena le condizioni climatiche migliorarono al termine
dell’ultimo periodo glaciale. La rapidità della risposta della vegetazione ai mutamenti climatici è
confermata da studi ad alto dettaglio su sedimenti di cui si conosce una precisa scansione
temporale, come ad es. i depositi lacustri del paleolago di Pianico-Sellere (BG). Questi depositi
documentano un periodo interglaciale del Pleistocene medio in cui le foreste di latifoglie
scomparvero talvolta in meno di un secolo a seguito di un peggioramento climatico.
Da questi studi emerge l’importanza sia delle analisi multidisciplinari, per ottenere una più
precisa ricostruzione delle dinamiche ambientali, che degli archivi lacustri, in quanto continui e
poco disturbati, molto sensibili alle variazioni in atto in un intorno che coinvolge l’intero bacino
idrografico e patrimonio comune da preservare e proteggere.
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Come crescono le montagne: terremoti ed evoluzione del paesaggio in Lombardia
Alessandro Maria Michetti
Dip. di Scienze Chimiche ed Ambientali, Università dell'Insubria, Como
Perché la Lombardia è una regione sismica, anche se i terremoti forti vi avvengono raramente?
Come crescono le Alpi? Come i terremoti possono influenzare l’evoluzione del paesaggio
lombardo? Quali contributi offre la geologia alla mitigazione del rischio sismico? Le risposte a
queste domande sono strettamente connesse fra loro e sono l’oggetto di una disciplina, la
Paleosismologia, che negli ultimi decenni ha avuto grande svilupp ed è stata recentemente
applicata anche nel territorio lombardo.
Grazie a una collaborazione fra varie Università ed Enti di Ricerca (Insubria, Milano, UCL
London, Innsbruck, Brescia, Boulder, Servizio Geologico d’Italia, ISPRA, Regione Lombardia) e
con il contributo di ENI, negli ultimi anni è stato possibile raccogliere dati sull’attività tettonica
recente e sul potenziale sismico dell’Avanfossa Padana, con particolare riferimento al fronte
strutturale sudalpino lombardo. Ed è proprio nelle avanfosse, i grandi bacini sedimentari allungati
ai fianchi delle catene montuose, che nascono le strutture tettoniche che porteranno alla nascita di
nuove montagne. Non deve quindi stupire che lungo le Prealpi Lombarde e nella fascia
pedemontana antistante si localizzino le sorgenti sismiche più significative, dal punto di vista della
pericolosità, di tutta la Regione.Tale attività sismica, e quindi tettonica, è dovuta ai fronti
appenninici ed alpini che, al di sotto della pianura, entrano in collisione generando un complesso
sistema di pieghe e sovrascorrimenti. Già in passato diversi Autori avevano evidenziato
l’attivazione di tali strutture anche in tempi recenti (Desio, 1965; Bini et al., 1992; Serva, 1990;
Zanchi et al., 1997), ma solo negli ultimi anni la tematica è stata affrontata con un approccio
moderno (Burrato et al., 2003; Chunga et al., 2007; Sileo et al., 2007; Livio et al., 2008).
Il quadro strutturale emerso, anche attraverso la raccolta di nuovi dati sul terreno, è diverso da
quello comunemente accettato, ed ha permesso di chiarire come la tettonica compressiva del
settore pedemontano lombardo sia stata attiva durante tutto il Quaternario. Inoltre, è stato
evidenziato come i terremoti della Pianura Padana non possano essere considerati solamente come
un fenomeno “secondario” dello sviluppo dell’Avanfossa Appenninica, e quindi essenzialmente
dell’attività legata alla fascia di svincolo giudicariense (Galadini e Galli, 2001; Guidoboni et al,
2005). Resta aperto il problema legato ai forti terremoti medievali, come l’evento del 25/12/1222
(Io = IX-X MCS, Magri e Molin, 1986; Guidoboni, 1986; Serva, 1990; Guidoboni, 2002),
localizzato nell’area meridionale della diocesi di Brescia, oppure quello del 03/01/1117 nel
veronese (Io = IX-X MCS; Guidoboni e Valensise, 2005; Galli, 2006), ancora orfani di una propria
struttura sorgente. L’intensità epicentrale evidenziata dalle fonti storiche, implica necessariamente
lo sviluppo di fenomeni di deformazione e dislocazione superficiale, oltre che di altri effetti
secondari sul terreno. Infatti, gli effetti descritti si riferiscono a rilasci di energia sismica legati a
terremoti con ipocentro poco profondo, che nelle scale di intensità (Michetti et al., 2004; 2007)
risultano tipicamente accompagnati da fagliazione superficiale. Nell’area epicentrale di tali
terremoti, quindi, doveva essere possibile osservare effetti tettonici ambientali cosismici e, con la
ripetizione di tali eventi, osservare depositi e morfologie che fossero il risultato della sommatoria
nel tempo di tali eventi sul paesaggio (concetto di paesaggio sismico; Serva et al., 1988; Michetti
et al 2005).
La ricerca sul terreno di tali evidenze, ha consentito l’individuazione nell’area epicentrale del
terremoto del Bresciano del 25/12/1222 di una località passibile di indagini paleosismiche, ubicata
sulla sommità di uno dei cosiddetti “rilievi isolati” della Pianura Lombarda (piccoli colli sollevati
nel Quaternario per cause tettoniche; Desio, 1965). Sul Monte Netto di Capriano del Colle (Bs)
recenti lavori di cava, hanno infatti messo in luce una sequenza fluviale o fluvioglaciale ricoperta
da coltri loessiche che presenta chiare tracce di deformazioni tettoniche recenti. Di particolare
rilievo la presenza di fenomeni di fagliazione superficiale cosismica, che vengono documentati per
la prima volta con tale evidenza stratigrafica nell’ambito dell’intera Avanfossa Padana.
56
Poster
57
58
Valchiavenna: Un esempio di cartografia geologico tecnica
Barbara Aldighieri1, Alessio Conforto2, Guido Mazzoleni 2,
Giorgio Pasquaré 2 e Giuseppe Sfondrini 2
1
CNR-IDPA,
2
Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano
Nell’ambito del “Progetto Valchiavenna” è’ stata realizzata una cartografia geologico-tecnica
alla scala 1:10.000, sulla base CTR della Regione Lombardia, estesa su 548 km² di territorio,
comprendente tutto il bacino italiano del Fiume Mera. Questa deriva direttamente dai rilievi di
terreno, non è ricavata a posteriori da una cartografia geologica di tipo tradizionale e costituisce un
prototipo che viene qui proposto. Si compone di:
Carta litotecnica:
sono state riconosciute 40 unità litologiche informali (25 per i depositi quaternari, 15 per il
substrato). I depositi sono stati distinti in funzione dei processi che li hanno generati, evidenziando
le caratteristiche litologiche e tessiturali che ne definiscono le proprietà di maggior interesse
pratico come permeabilità, propensione alla rimobilizzazione ecc. Il substrato, distinto in
affiorante e subaffiorante, è stato classificato mediante l’incrocio della tipologia litologica con gli
effetti della deformazione duttile subita, individuando sette gruppi principali (1: rocce intrusive; 2:
metagraniti ed ultramafiti compatte; 3: ortogneiss e gneiss migmatitici; 4: paragneiss; 5:
metavulcaniti; 6: metasedimenti carbonatici; 7: metapeliti e miloniti). Le caratteristiche primarie di
compattezza (determinate dalla storia geologica precedente l’ultima fase di deformazione fragile e
corrispondenti solo in pochi casi alla miglior qualità teorica della “matrice roccia”) peggiorano dal
gruppo 1 al gruppo 7.
Carte dei lineamenti fragili:
si è quindi realizzata una carta dei lineamenti (i cui dati derivano dalla combinazione di cartografia
diretta sul terreno e fotointerpretazione di dettaglio) che definisce tipologia ed estensione del
reticolo di fessurazione.
L’incrocio dei dati delle due carte permette di individuare, su scala regionale, corpi di roccia
omogenei dei quali si possano definire, in primo approccio ed in modo semiquantitativo, le
caratteristiche che determinano il comportamento meccanico in condizioni di deformazione
fragile.
Come è noto la qualità dell’ammasso dipende non tanto dalla matrice roccia quanto dal reticolo
di fessurazione; in questa ottica sono state realizzate le varie “Classificazioni geomeccaniche” in
uso per la progettazione delle opere di ingegneria. In questo lavoro si è tenuto presente questa
scelta in modo da poter passare agevolmente dai dati cartografici rilevati alle varie classificazioni
geomeccaniche.
Parallelamente all’acquisizione dei dati sul terreno si è elaborato un modello concettuale, per
costruire una banca dati che ben interpretasse le relazioni esistenti tra le informazioni, per poi
definire dei prodotti di output finalizzati alla realizzazione di una cartografia originale, mirata,
come detto, alla rappresentazione degli aspetti applicativi.
La banca dati geografica è stata realizzata in ambiente ESRI, utilizzando ArcGis 8.x e poi
ArcGis9.x. Come cartografia di base per la rappresentazione delle mappe è stata scelta la
cartografia C.T.R. a scala 1:10.000 della Regione Lombardia.
Si è scelto di assegnare ad ogni tipo di informazione uno strato informativo (layer) con una
propria struttura relazionale interna. La banca dati risulta così composta da una serie di layer, la
cui aggregazione e combinazione permette la realizzazione di carte tematiche mirate per la
descrizione e la rappresentazione degli aspetti litologici, morfologici, strutturali, geomeccanici,
ecc. del territorio.
59
Una testimonianza paleoambientale nella pianura lombarda:
la petroplintite e il fragipan del pianalto di Romanengo (Cremona)
Cristiano Ballabio, Enrico Casati, Roberto Comolli,
Michele D’Amico, Chiara Ferré e Franco Previtali
Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università degli Studi di Milano Bicocca
Il pianalto (terrazzo) di Romanengo (Cremona) si compone principalmente di alternanze
piuttosto regolari di sabbie e argille fluviali del Pleistocene Medio, presenti fino alla profondità
di 200 m circa. L’antico terrazzo è stato interessato da un sollevamento tettonico connesso ad
una struttura anticlinale profonda, ancora attiva nel Pleistocene (Desio, 1965). Tale movimento
doveva già essersi concluso o attenuato nel Pleistocene Superiore (Cremaschi, 1987), quando
iniziavano a depositarsi, attorno al pianalto i sedimenti sabbioso-ghiaiosi costituenti il
cosiddetto “Livello Fondamentale della Pianura”. Contestualmente al sollevamento,
l’alterazione atmosferica e i processi pedogenetici portavano alla formazione di suoli lisciviati
(Luvisols, Alfisols, Sols Lessivés), interessati, tra l’altro, da fenomeni di gleyzzazione
(idromorfia).
Le oscillazioni di livello di una falda freatica presente nel substrato sabbioso-argilloso
determinavano cicli alterni di saturazione idrica e di disseccamento dei suoli. Le condizioni
climatiche dovevano presumibilmente essere poco più calde e umide delle attuali (e.g., un
interglaciale), capaci cioè, di sviluppare una plintite. Tale particolare orizzonte pedologico si
sviluppa per segregazione di ferro e manganese nel suolo, indotta da intensi fenomeni di
ossido-riduzione provocati dalle oscillazioni della falda. In condizioni di saturazione idrica la
maggior parte del ferro si trova allo stato ferroso e mobile, ma esso precipita in forma di ossido
quando le condizioni del mezzo divengono più secche, e non si discioglie nuovamente, o solo
in parte, quando le condizioni ritornano ad essere umide. La plintite presenta una struttura
reticolare o poligonale a screziature rosse e brune, con zone grigie di deplezione. Il ferro è
accompagnato da significative quantità di alluminio e manganese, in presenza di silice e
minerali minori.
L’esposizione agli agenti atmosferici, con abbassamento di livello o sparizione della falda,
il diradamento della vegetazione, un cambio climatico, favoriscono la trasformazione della
plintite in petroplintite, con indurimento irreversibile e acquisizione di consistenza litoide e
impermeabilità. Numerosi termini sono stati impiegati in letteratura per designare tale corpo
pedogenetico: ironstone, corazza ferruginosa, laterite pisolitica, duricrust, ferricrete/silcrete
crust.
Nel pianalto di Romanengo, ad una profondità oscillante fra 150 e 200 cm., è stato
rinvenuto un orizzonte petroplintico. Quest’ultimo è coperto da oltre un metro di loess, a
spese del quale si sono sviluppati dei Luvisols, racchiudenti un orizzonte a fragipan. Questo
orizzonte possiede tessitura limoso-sabbiosa, elevata densità apparente, durezza e coesività
allo stato secco, friabilità allo stato umido, struttura prismatica o colonnare. Nell’area la
formazione del fragipan può attribuirsi a fenomeni di gelivazione, avvenuti nelle fasi fredde,
tardo-pleistoceniche.
Attualmente, le petroplintiti si rinvengono in regioni tropicali e subtropicali e pertanto la
loro presenza all’interno della serie stratigrafica sopradescritta, costituisce un testimone di
condizioni paleoclimatiche più calde delle attuali, esistite nel Pleistocene in tale zona della
pianura padana.
.
60
Modellizzazione dei processi di formazione del suolo in ambito alpino
Cristiano Ballabio, Roberto Comolli, Giulio Curioni e Franco Previtali
Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università di Milano Bicocca.
L’utilizzo delle reti neurali (ANN: Artificial Neural Network) nelle scienze del suolo è
relativamente recente, come la loro applicazione nella cartografia dei suoli. Un uso più rilevante
delle reti neurali avviene nel telerilevamento, dove la capacità di questi algoritmi di classificare e
modellizzare sistemi complessi assume un ruolo di particolare utilità. Questa capacità di sintesi
può essere sfruttata per simulare la complessità spaziale e la variabilità del suolo, permettendo un
approccio sintetico, basato sull’esperienza, non diverso da quello umano.
L’area di studio presa in considerazione è la porzione italiana della Val Bregaglia: situata nella
parte occidentale delle Alpi Retiche, la valle presenta un andamento est-ovest con quote variabili
tra i 200 e i 3000 m s.l.m.; l’energia del rilievo è molto accentuata e la presenza di estese DGPV
interessa in particolare il versante sud.
Nell’area sono stati aperti, descritti, campionati, analizzati e classificati 80 profili pedologici.
Poiché la variabilità spaziale dei suoli in un ambiente così eterogeneo non consente un
approccio classificativo automatico, è stato necessario ridurre la complessità dei parametri da
tenere in considerazione; per questo si è scelto di operare sui processi pedogenetici attivi in
quest’area di montagna, creando una serie di indici che esprimessero, in modo lineare, il grado del
processo di pedogenesi; sono stati presi in esame i processi di podzolizzazione, brunificazione,
acidificazione, melanizzazione e lettieramento.
L’approccio qui presentato si basa sulla capacità di particolari tipi di rete neurale di
approssimare una funzione di qualsivoglia complessità, non necessariamente lineare. In
particolare, il modello di rete utilizzato appartiene alla famiglia dei “multi layer perceptron”
(MLP): questa tipologia di reti è in grado di agire come classificatore puro, ma anche di
approssimare funzioni. Per addestrare la rete sono stati utilizzati gli indici dei diversi processi di
pedogenesi, mentre come input sono state considerate unità geologiche, tipologie vegetazionali,
uso del suolo e variabili topografiche (esposizione, quota e pendenza).
Sul totale dei profili pedologici disponibili, 50 sono stati utilizzati per la fase di addestramento,
mentre i restanti 30 sono stati usati per la validazione.
La rete è stata addestrata mediante un apprendimento supervisionato (supervised learning),
comprendente esempi tipici di ingressi (le variabili ambientali), con le relative uscite loro
corrispondenti (gli indici calcolati per i 50 profili): in tal modo la rete può imparare ad inferire la
relazione che li lega. Successivamente, la rete è addestrata mediante un opportuno algoritmo
(tipicamente, la backpropagation, algoritmo d'apprendimento supervisionato), il quale usa tali dati
allo scopo di modificare i pesi ed altri parametri della rete stessa, in modo da minimizzare l'errore
di previsione relativo all'insieme d'addestramento. Se l'addestramento ha successo, la rete impara a
riconoscere la relazione incognita che lega le variabili d'ingresso a quelle d'uscita, ed è in grado di
fare previsioni anche laddove l'uscita non è nota a priori.
Per il processo di podzolizzazione, il campione di validazione mostra valori di R2 pari a 0,68: la
metodologia utilizzata sembra dunque essere molto promettente per lo studio della distribuzione
spaziale dei suoli negli ambienti alpini.
61
Vincoli cronostratigrafici sull’attività vulcanica del Permiano inferiore nei bacini permiani
delle Prealpi Orobie (Lombardia): significato delle datazioni su zirconi con laser ablation
ICPMS
Fabrizio Berra1, Valeria Caironi1, Gian Bartolomeo Siletto2 e Massimo Tiepolo 3
Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano
2
Regione Piemonte Dir. Program.Strategica, Politiche Territoriali ed Edilizia Sett.Cartografico
3
CNR- Istituto di Geoscienze e Georisorse U.O Pavia
1
Datazioni radiometriche sulla durata del vulcanismo effusivo del Permiano inferiore delle Alpi
Meridionali sono disponibili in bibliografia sulla successione della Formazione di Collio del
Bacino Trumplino (BS) e sul settore atesino. Nella successione permiana delle Prealpi Orobiche
non sono disponibili datazioni affidabili e questo non consente di avere vincoli sulla durata
dell’evento vulcanico che caratterizza buona parte della successione del Permiano Inferiore. La
realizzazione dei fogli geologici nell’ambito del Progetto CARG della Regione Lombardia ha
fornito l’opportunità di effettuare, oltre ad una revisione stratigrafica della successione, datazioni
radiometriche sui depositi effusivi su una sezione della successione vulcanitica del Permiano
inferiore (Vulcanite del Monte Cabianca, “Collio vulcanico” Auct.) potente circa 700 metri nel
settore studiato (alta Val Seriana). In questa successione, stratigraficamente compresa, con limiti
netti, tra il Conglomerato Basale e la Formazione del Pizzo del Diavolo (“Collio sedimentario”
Auct.) sono stati raccolti e separati meccanicamente zirconi da un totale di cinque campioni della
parte basale e della parte sommitale della Vulcanite del Monte Cabianca, al fine di eseguire analisi
radiometriche U-Pb. Dopo l’analisi morfologica e della struttura interna, mediante
catodoluminescenza, sono stati determinati i rapporti 206Pb/238U e 207Pb/235U mediante laser
ablation ICPMS.
I risultati ottenuti indicano una complessità maggiore nell’interpretazione delle datazioni nella
parte sommitale dell’unità rispetto alla parte inferiore. Il campione basale (raccolto nel primo
flusso piroclastico al di sopra del Conglomerato Basale) presenta una distribuzione unimodale
delle età ed è possibile definire una età concordia media a circa 279 Ma. Fa eccezione in questo
campione un‘analisi che risulta leggermente più giovane a circa 245 Ma. Alcune analisi più
vecchie (attorno a 290-320 Ma) sono state rinvenute in campioni sovrastanti stratigraficamente
pochi metri e sono riferite a zirconi ereditati.
Anche gli zirconi estratti dai campioni provenienti dalla parte sommitale della Vulcanite del
Monte Cabianca appartengono morfologicamente ad una sola popolazione, con caratteristiche
analoghe a quelli presenti nei campioni raccolti alla base dell’unità. Tuttavia le età ottenute da
questi zirconi presentano una distribuzione marcatamente bimodale che evidenzia due picchi: uno
antico attorno ai 280 Ma ed uno più giovane attorno ai 270 Ma. È verosimile interpretare questa
distribuzione bimodale delle età con la presenza nelle vulcaniti dell’ultima fase di zirconi
appartenenti alla fase precedente che risultano indistinguibili su base morfologica per le
similitudini composizionali dei due eventi magmatici. Si ritiene affidabile quindi l’età data dal
picco più giovane a circa 270 Ma per la fine dell’attività vulcanica responsabile della deposizione
della Vulcanite del Monte Cabianca.
I dati preliminari raccolti indicano una durata di circa 10 Ma per la fase vulcanica nel bacino
permiano delle Prealpi Orobiche. Tale durata risulta maggiore di quella documentata nel Bacino
Trumplino e soprattutto risulta leggermente più giovane l’inizio dell’attività effusiva, suggerendo
una migrazione nel tempo dell’attività vulcanica del Permiano inferiore nelle Alpi Meridionali.
62
Le acque solforose nel contesto geologico-strutturale dell’appennino Pavese: caratteristiche
idrochimiche e isotopiche
Marica Bersan, Giorgio Pilla, Gabriele Dolza, Claudia Meisina e Gianfranco Ciancetti
Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Pavia
Il presente lavoro ha previsto lo studio delle acque contraddistinte da idrogeno solforato
emergenti in un area piuttosto ampia, che si colloca alle propaggini settentrionali della catena
appenninica centrata sull’Appennino Pavese, tra la Val Trebbia, la Val Staffora e l’antistante
Pianura Padana, fino al Colle di San Colombano.
Le acque studiate emergono pertanto in contesti geologici e tettonico-strutturali piuttosto
differenti; settori interni della catena appenninica (finestra di Bobbio), fronte sepolto
dell’Appennino settentrionale (arco emiliano), sovrascorrimenti ed importanti strutture tettoniche
di questo settore dell’Appennino, che condizionano e controllano la circolazione idrica sotterranea
superficiale e profonda e il chimismo delle acque studiate.
Lo studio ha previsto inizialmente, il censimento delle acque contraddistinte da idrogeno
solforato. Ad eccezione di alcune acque (Salice Terme, Rivanazzano, Miradolo Terme, San
Colombano al Lambro, Bobbio), molte delle quali note già dal periodo romano, le rimanenti erano
conosciute solamente a livello locale.
In totale sono state studiate circa 30 acque sotterranee acquisendo sul terreno i valori della
portata delle sorgenti, i principali parametri chimico-fisici (temperatura, conducibilità elettrica,
pH, potenziale redox) e la concentrazione in idrogeno solforato. Le analisi chimiche sono state
realizzate presso il Laboratorio di Idrologia, Idrogeologia e Idrochimica del Dipartimento di
Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Pavia.
Sulle stesse acque sono state effettuate anche analisi isotopiche relative agli isotopi stabili della
molecola dell’acqua (Ossigeno-18 e Deuterio) e dei dei solfati e solfuri disciolti (d34S e d18O).
Dallo studio idrochimico è emerso che le acque campionate possiedono idrofacies chimiche
molto differenziate (Na-Cl, Na-HCO3, Ca-SO4, Na-SO4, Ca-HCO3 e Ca, Mg-HCO3), con una
grande variazione nel loro grado di mineralizzazione (TDS variabile circa tra 500 mg/l e 40000
mg/l). Le medesime presentano concentrazioni significative in H2S o HS-, comprese tra pochi mg/l
e 17 mg/l circa.
Le indagini condotte hanno permesso di formulare alcune ipotesi circa l’origine delle acque e
della loro mineralizzazione, evidenziando, grazie all’indagine isotopica dei solfati e dei solfuri
disciolti, significative differenze relative alla provenienza dei composti dello zolfo e dei processi
ossido-riduttivi che li vede coinvolti.
63
Rischio idrogeologico: valutazione della pericolosità e della vulnerabilità per la stima
economica dei danni e per la gestione in tempo reale delle emergenze
Jan Blahut12, Mattia De Amicis1, Simone Frigerio 12 , Ilaria Poretti1 ,
Simone Sironi 1e Simone Sterlacchini 2
1
Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio,Università degli Studi di Milano - Bicocca
2
CNR-IDPA
Nell’ambito del progetto europeo “Mountain Risks: from prediction to management and
governance”, è stato messo a punto uno schema metodologico finalizzato alla gestione di eventi
idrogeologici “critici” attraverso l’utilizzo di Geographical Information Systems (GIS), Sistemi di
Supporto alle Decisioni (DSS - Decision Support Systems), e tecnologie mobili. La metodologia è
stata messa a punto e testata nell’ambito della Comunità Montana Valtellina di Tirano (Regione
Lombardia, Alpi Centrali), un’area complessa dal punto di vista socio-economico e caratterizzata
da un elevato livello di pericolosità e rischio idrogeologico. Innanzitutto è stata eseguita un’analisi
relativamente alle condizioni di pericolosità effettivamente esistenti sul territorio montano al fine
di identificare geograficamente e mappare specifici scenari di pericolosità, sulla base dei risultati
ottenuti attraverso l’applicazione di modelli statistici, l’analisi di record storici, la disponibilità di
conoscenze pregresse, e la legislazione vigente a livello nazionale, regionale e locale. Il passo
successivo ha riguardato l’analisi dettagliata (1:2.000) degli elementi vulnerabili presenti
nell’ambito del territorio montano oggetto di studio (popolazione, infrastrutture, attività, servizi
pubblici e privati, ecc.) al fine di definirne le principali caratteristiche. Ulteriori studi hanno
riguardato la comprensione dei possibili effetti fisici sugli elementi esposti, causati dall’impatto di
eventi potenzialmente distruttivi. È inoltre in corso di realizzazione la caratterizzazione dei trend e
dei driver socio-economici attualmente agenti nell’area di studio. Al termine, sono stati derivati
alcuni scenari potenziali di rischio, caratterizzati dalla concomitante presenza di alti valori di
pericolosità e di elementi vulnerabili con differente importanza dal punto di vista sociale,
economico e strategico. A livello di ogni scenario di rischio identificato, è stata quindi eseguita
una stima del danno diretto potenziale. Al tempo stesso, sono stati definiti piani di protezione
civile al fine di gestire gli eventi idrogeologici “critici” previsti negli scenari predefiniti. In tal
caso, è stato messo a punto un flusso di operazioni, gestito mediante un Sistema di Supporto alle
Decisioni (implementato in un GIS), per una gestione in tempo reale delle situazioni di emergenza.
64
Mammalofaune Pleistoceniche in Lombardia
Fabio Bona e Andrea Tintori
Dipartimento di Scienze della Terra “A. Desio”- Università degli Studi di Milano
Le ricerche sui mammiferi Pleistocenici in Lombardia non hanno mai avuto un grande
seguito, benchè fin dalla metà del XIX secolo Cornalia e Stoppani se ne fossero interessati.
Fin a pochi anni fa la Lombardia costituiva in realtà un buco nero soprattutto rispetto alla
grande attività che si svolgeva ad Est, soprattutto in Veneto
Nel 1991 hanno avuto inizio gli scavi paleontologici presso la Caverna Generosa, una
cavità, posta sul confine Italo-svizzero a 1450 m. s.l.m., scoperta nel 1988. La grotta era
costituita, prima degli interventi per facilitarne l’accesso, da uno stretto cunicolo iniziale,
lungo circa 25 metri, per mezzo del quale si accedeva ad una prima sala, (“saletta”), dalla
quale, attraverso uno stretto sifone, si arrivava in una sala più ampia (“Sala Terminale”) dove
furono trovati i primi reperti che hanno dato il via agli scavi paleontologici. Nel 1998, in
collaborazione con la Ferrovia Monte Generoso SA (con sede in Svizzera), gestore di una
struttura recettiva a 1600 metri di quota poco sotto la vetta del Generoso e del trenino a
cremagliera che la raggiunge, si è ampliato l’angusto cunicolo d’accesso per facilitare il
passaggio dei turisti. Nella primavera del 1999 la grotta stata aperta ai turisti.
La visita ha inizio, per chi arriva dalla Svizzera, presso la stazione d’arrivo del trenino
(che parte da Capolago), dove è stata allestita una piccola mostra costituita da poster che
illustrano lo scavo in grotta e i principali taxa di mammiferi rinvenuti. Visitata la mostra, una
piacevole passeggiata di circa trenta minuti porta all’imbocco della grotta. Per chi giunge
dall’Italia, la visita ha inizio dalla Baita di Orimento (raggiungibile con l’auto via San Fedele
Intelvi) con una serie di pannelli esplicativi sui vari aspetti geo-paleontologici del Monte
Generoso che conducono il turista direttamente davanti all’ingresso della cavità (finanziati
dalla CMLario Intelvese nell’ambito di un progetto InterregIIIa ‘Un percorso di 350 milioni
di anni’).
Giunti nei pressi della grotta s’incontra la guida, che illustra al turista le principali scoperte
fatte in questi anni di lavoro e soddisfa le prime curiosità del visitatore. Dopo l’introduzione
ha inizio la vera e propria visita alla grotta (il settore visitabile si estende per circa settanta
metri su un percorso sub-orizzontale). All’interno della cavità si osservano i fenomeni carsici
che l’hanno generata e le modalità di formazione del deposito paleontologico. Giunti nella
“Sala Terminale” si osserva l’ampia area di scavo. Sono visionabili anche riproduzioni delle
principali ossa, con anche crani e mandibole, d’Ursus spelaeus. Inoltre per circa tre-quattro
settimane l’anno è possibile osservare le attività di scavo.
Il successo di questa iniziativa sta nei numeri: da meno di mille visitatori del 1999 si è
passati agli oltre 5000 del 2003, con una media frequenza che si è stabilizzata sulle 4000 unità
annue. La grotta è aperta da Giugno fino alla fine di Settembre tutti i giorni, mentre dalla fine
d’Aprile e per tutto il mese di Maggio e a Ottobre solo su prenotazione di gruppi e
scolaresche.
Questa prolungata attività di ricerca e valorizzazione sul Monte Generoso rappresenta il
seguito di altre ricerche svolte in grotte lombarde a partire dalla fine degli anni 80, in
particolare nella Grotta Sopra Fontana Marella al Campo dei Fiori sopra Varese, dove, in
collaborazione con il Civico Museo Insubrico di Induno Olona, furono eseguiti scavi per
diversi anni, ottenendo la miglior sequenza medio-tardo pleistocenica della Lombardia per
quanto riguarda i micromammiferi.
Più recentemente sono iniziate anche ricerche atte a definire con maggior precisione la
composizione e la distribuzione delle faune pleistoceniche delle alluvioni del Po. Tali faune,
sebbene conosciute da tempo, non sono mai state affrontate nel loro insieme, sia per
comprendene la tafonomia sia per risalire ai depositi primari che vengono via via smantellati
durante le piene del Po e dei suoi affluenti lombardi, principalmente il Ticino e l’Adda.
65
Approccio multidisciplinare allo studio dell’evoluzione geologica e paleombientale della
Pianura Padana tra Adda ed Oglio dall’Ultimo Massimo Glaciale: primi risultati
Massimiliano Deaddis 1, Mattia De Amicis2, Mauro Marchetti 3,
Cesare Ravazzi1, Giovanni Vezzoli 4
1
C.N.R - IDPA, Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali, Milano
2
Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università di Milano Bicocca
3
Dipartimento Scienze della Terra, Università di Modena e Reggio Emilia
4
Dipartimento di Scienze Geologiche e Geotecnologie, Università degli studi di Milano-Bicocca;
Il lavoro si prefigge di ricostruire l’evoluzione geologica e paleoambientale nell'area della
Pianura Padana compresa tra Adda e Oglio a partire dalle fasi di aggradazione dell'Ultimo
Massimo Glaciale (LGM).
L’approccio utilizzato prevede l’applicazione di tecniche di indagine diverse ma
complementari, rivolte a inquadrare l'area oggetto di studio nel contesto della pianura alluvionale
lombarda sotto vari aspetti: geocronologia, paleoecologia, meccanismi evolutivi e fattori forzanti
di natura climatica.
Per l'indagine morfometrica è stato realizzato un DTM di grande dettaglio, rendendo possibile
anche l'applicazione delle tecniche dei processi di segmentazione che non considerano solo le celle
vicine, ma classificano le forme in base ad una serie differente di permutazioni e combinazioni.
La ricostruzione paleoambientale prende inizio dall'interpretazione delle forme di erosione e di
aggradazione fluviale che si possono rinvenire sia sulla odierna superficie sia in sezioni esposte o
evidenziate da perforazioni a carotaggio continuo, e prosegue con lo studio petrografico,
palinologico e radiometrico di successioni stratigrafiche scelte.
Sono state condotte analisi petrografiche quantitative per individuare la provenienza dei
sedimenti e caratterizzare il paleodrenaggio dell'area di studio. Le analisi hanno permesso di
identificare e delimitare parzialmente i margini di contatto tra il conoide alluvionale del paleoAdda e quello del paleo-Oglio.
L’analisi palinologica delle principali sezioni stratigrafiche ha permesso di individuare unità
biostratigrafiche che forniscono informazioni paleovegetazionali e biocronologiche, nonché la
caratterizzazione delle relazioni tra processi di sedimentazione, erosione, contesto climatico
regionale ed eventi globali.
L’integrazione delle informazioni raccolte tramite morfometria, morfologia e stratigrafia ha
permesso di individuare una serie di unità stratigrafiche di carattere informale e di forme, che
compongono la nuova carta geologica dell’area studiata. Sono state inoltre riconosciute le
principali trasformazioni geologiche e paleoambientali avvenute in questo tratto di pianura padana
tra la parte media dell’ultima glaciazione (Würm medio), l’inizio dell’LGM (30 mila anni cal BP;
Lambeck et. al., 2002) e il Tardoglaciale (19 – 11,5 mila anni cal BP).
66
Gli acquiferi profondi della Lombardia sud-occidentale: indagini idrochimiche e
geochimiche isotopiche a supporto della corretta gestione di una risorsa strategica
Silvia Guffanti1, Giorgio Pilla1, Elisa Sacchi 12, Gianfranco Ciancetti 1
1
Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Pavia
2
CNR-IGG, Sezione di Pavia
La presente ricerca ha avuto come obiettivo lo studio degli acquiferi del sottosuolo della
Lombardia sud-occidentale che si sviluppano a nord del F. Po (territori compresi nell’ambito delle
Province di Pavia e di Lodi), con particolare riferimento a quelli che si sviluppano a maggiori
profondità. Lo studio è stato condotto sia con le tecniche proprie dell’idrogeologia classica sia con
tecniche idrochimiche e geochimiche isotopiche.
Da un punto di vista idrogeologico, il sottosuolo dell’area lombarda investigata, a nord del F.
Po, è contraddistinto da un acquifero compartimentato multifalda, a falda superiore libera. Lo
spessore dell’acquifero freatico è di circa 60-80 m, mentre i sottostanti acquiferi confinati, che si
sviluppano anche fino a profondità superiori a 200 m, mostrano nei settori meridionali, spessori
inferiori, a causa della presenza di morfostrutture sepolte modellate nei terreni marini. Localmente
il substrato di origine marina tende ad innalzarsi a livelli prossimi al piano di campagna o ad
innalzarsi al di sopra del piano generale della pianura (bassa pianura pavese - lodigiana).
Da un punto di vista idrochimico le acque mostrano un’idrofacies di tipo bicarbonato-calcica,
con un grado di mineralizzazione generalmente medio-basso, che tende ulteriormente a diminuire
all’aumentare della profondità dei circuiti. Le acque degli acquiferi freatici mostrano chiari indizi
di inquinamento di origine superficiale; al contrario le acque contenute negli acquiferi più
profondi, idraulicamente isolati da quelli più superficiali da orizzonti impermeabili a sviluppo
regionale, mostrano standards qualitativi decisamente elevati.
L’utilizzo degli isotopi stabili della molecola dell’acqua, ha permesso di evidenziare le
diversità esistenti tra le falde studiate, permettendo di identificare anche le loro aree di
alimentazione. Per gli acquiferi più superficiali, lo studio isotopico ha permesso di evidenziare il
contributo alla ricarica apportato dalle acque di precipitazione e dalle acque di irrigazione, mentre,
per le falde profonde, caratterizzate da valori del segnale isotopico molto più omogenei, si
apprezza essenzialmente il contributo apportato dalla falda di monte, a confermare l’isolamento di
queste ultime da quelle soprastanti. L’omogeneità del segnale dell’ossigeno-18 e del deuterio a
livello regionale, evidenzia come le falde profonde abbiano continuità e una notevole estensione
areale. Tali acquiferi ospitano acque contraddistinte da tempi di permanenza nel sottosuolo,
calcolati attraverso l’utilizzo del carbonio-14, di alcuni migliaia di anni. Siffatti tempi trovano
giustificazione dalla lontananza della loro area di ricarica (fascia pedemontana alpina) e
dall’innalzamento verso meridione dei sottostanti terreni mio-pliocenici marini a bassa
permeabilità, che ostacolano il loro naturale percorso verso i quadranti sud-orientali. Alcuni pozzi
attingenti a falde più profonde (Lomellina) mostrano tempi di soggiorno maggiori (superiori a
10000 anni) e rapporti isotopici più negativi, evidenziando condizioni climatiche al momento della
ricarica, molto differenti da quelle attuali.
Lo studio evidenzia come l’idrochimica e la geochimica isotopica siano strumenti di grande
efficacia per acquisire informazioni significative in merito alla circolazione idrica sotterranea. Gli
elevati tempi di residenza delle acque negli acquiferi profondi sottolineano, infine, come tale
risorsa non sia rinnovabile in tempi brevi. Questa particolarità, insieme alle elevate caratteristiche
qualitative di queste acque inducono ad una profonda riflessione sul loro sfruttamento per fini che
non siano esclusivamente idropotabili.
67
Il ghiaccio in grotta della Grigna Settentrionale: un nuovo archivio di informazioni
climatiche ed ambientali
Valter Maggi1, Stefano Turri2, Alfredo Bini2
1
Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio,Università degli Studi di Milano - Bicocca
2
Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano
Il ghiaccio in grotta, così come i ghiacciai, sembra essere uno degli archivi di informazioni
climatiche ed ambientali più promettenti, con la differenza che questi depositi si trovano spesso
ben al disotto della linea delle nevi permanenti, coprendo quindi una fascia altitudinale più bassa.
In Italia le principali manifestazioni si trovano sulle Alpi, comprendendo quindi anche la
Lombardia.
L’area del Moncodeno, così come l’intera Grigna Settentionale (LC), rappresenta un settore
intensamente carsificato dove sono presenti numerose grotte a prevalente sviluppo verticale. In
alcune di queste grotte è stata osservata l’esistenza di depositi di neve e ghiaccio che possono
essere in alcuni casi ricondotti a depositi di precipitazione diretta delle nevicate. Altre grotte
invece presentano depositi di ghiaccio a profondità molto elevate, in cavità che non presentano
contatto con l’esterno. La grotta LOCO1650 “Abisso al Margine dell’Alto Bregai” (Moncodeno,
imbocco a 1800 m a.s.l.) è rappresentata da un pozzo di oltre 80 m di profondità separato dalla
superficie da un meandro che non permette l’ingresso diretto di neve o valanghe. A circa 50 m di
profondità in posizione mediana, il pozzo è quasi. completamente ostruito da un deposito di
ghiaccio di circa 20 m di spessore, che presenta una stratificazione evidente, senza però
raggiungerne la base. Questo ghiaccio, originato da acqua di stillicidio percolante dalla roccia,
rappresenta un’interessante oggetto di studio della formazione ed evoluzione di ghiaccio in
profondità.
A partire dal 2001 la grotta ed il deposito sono soggetti di studi di carattere topografico,
glaciologico e microclimatico. Inoltre, a partire dal 2005 è stata installata una stazione microclimatica nel suo interno con termometri, igrometri ed anemometri per studiare i fenomeni di
circolazione dell’aria, confrontati con dati esterni provenienti da una stazione meteorologica
posizionata all’ingresso della grotta. Inoltre è stata effettuata una perforazione nel ghiaccio per
determinarne la composizione chimica e confrontare i dati con altri depositi di ghiaccio in grotta
(italiani e stranieri) e dei ghiacciai alpini studiati.
68
Problematiche geologico-tecniche connesse al recupero ambientale di cave cessate: l’esempio
della Provincia di Pavia.
Claudia Meisina, Achille Piccio, Davide Notti
Dipartimento di Scienze della Terra – Università degli Studi di Pavia
Le risorse estrattive della Provincia di Pavia sono costituite da sabbie e, in misura minore, da
ghiaie nella zona di pianura alluvionale a Nord del F. Po (Lomellina e Pavese), coltivate per
arretramento di terrazzo o in cave a fossa spesso con lago. La fascia di pianura dell’Oltrepo
Pavese, caratterizzata da sedimenti alluvionali limosi e limoso-argillosi coltivati a fossa,
costituisce un bacino di rilevanza regionale per la fabbricazione dei laterizi. La zona collinare e
montana dell’Oltrepo rappresenta un bacino produttivo di rocce silicee, impiegate come correttivi
nella fabbricazione del cemento; altre risorse presenti, non più sfruttate allo stato attuale, sono
costituite da pietre da taglio, marne da cemento e gessi. Circa 1000 cave sono ormai dismesse e
sono state recuperate ad uso agricolo, o avviate a recupero spontaneo.
Gli scopi della ricerca, che si inserisce nell’ambito di un progetto della Provincia di Pavia
riguardante la “Definizione di linee guida per recupero ambientale delle aree di cava in Provincia
di Pavia” sono stati: 1) la messa a punto di una metodologia per la selezione delle cave cessate da
sottoporre a recupero ambientale nell’ambito del territorio provinciale, 2) lo studio dei problemi di
stabilità di fronti di scavo in relazione alla tipologia dei materiali estratti anche al fine di definire le
migliori pratiche per il recupero ambientale delle aree di cava.
La metodologia proposta per la selezione delle cave cessate da sottoporre a recupero
ambientale si articola in quattro livelli, caratterizzati da un grado di approfondimento crescente. Il
grado di vocazione al recupero ambientale delle cave cessate, viene determinato tenendo conto di
una serie di obiettivi (dimensionale, ambientale, economico, geologico-geometrico). Ogni
obiettivo è caratterizzato da indicatori puntuali da applicare alle singole situazioni rilevate; in loro
funzione sono definite le migliori pratiche per l’attuazione dei progetti di recupero/reinserimento
ambientale delle aree di cava cessate.
In una seconda fase la ricerca ha comportato, in alcuni siti selezionati mediante la metodologia
sopra esposta, la caratterizzazione geotecnica dei materiali estratti attraverso prove di laboratorio,
la valutazione, attraverso indagini in sito, dei cinematismi di potenziale rottura delle scarpate a fine
scavo nelle principali tipologie di attività estrattiva in Provincia di Pavia.
69
I sentieri escursionistici come strumento didattico per la lettura del paesaggio e per la
comprensione dei processi geomorfologici
Manuela Pelfini e Valentina Garavaglia
Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio” – Università di Milano
L’elevato numero di sentieri turistici presenti sul territorio lombardo rappresenta un potenziale
prezioso per l’organizzazione di percorsi didattici. Molti sentieri sono già stati proposti come
itinerari mono e pluritematici per la conoscenza dei siti di interesse geologico e geomorfologico.
Ancora poco sperimentato è il loro utilizzo didattico. Proposte in tal senso consentono la
trasmissione delle conoscenze di base, la diffusione dei risultati della ricerca scientifica ed offrono
sputi agli enti locali per un’ulteriore valorizzazione del territorio.
Il presente lavoro mostra i risultati di una prima esperienza realizzata nel Parco Nazionale dello
Stelvio. Dopo aver identificato un sentiero idoneo ad un utenza scolastica per facilità di accesso e
ricchezza di spunti di lavoro (osservazione dei geomorfositi, analisi dei processi di versante e delle
opere di difesa) è stato proposto un itinerario didattico articolato in stop proponenti attività ed
approfondimenti. Tale itinerario è stato inserito in un progetto realizzato in collaborazione con una
scuola secondaria di primo grado della provincia di Milano. L’utilizzo di lezioni frontali che
introducono ai temi delle Scienze della Terra, seguite da escursioni, attività pratiche sul terreno ed
in laboratorio si è rivelata una buona metodologia di divulgazione. La presenza di forme di
deposito glaciale e di depositi di frana databili con tecniche dendrocronologiche si è dimostrata
una strategia vincente per mantenere alto il livello di interesse e per raggiungere gli obiettivi.
L’utilizzo di metodi di indagine riproponibili sul campo e utilizzabili per ricostruire l’evoluzione
recente del territorio alpino permette di accedere con maggior facilità ad una lettura integrata del
paesaggio. In particolare, l’uso degli anelli di accrescimento delle piante (dendrocronologia) come
metodo di datazione e come strumento per la lettura del segnale climatico ha permesso di
affrontare in modo indiretto sia i concetti di scala temporale degli eventi sia quelli di cambiamento
climatico e delle conseguenti risposte dei sistemi biologico ed abiologico.
70
Variazioni climatiche recenti, ritiro glaciale e risposta della vegetazione arborea
Manuela Pelfini e Giovanni Leonelli
Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio” – Università di Milano
Piante arboree e ghiacciai sono elementi cardine per la lettura dell’evoluzione del paesaggio e
del clima di una regione. Gli studi sulle serie di accrescimento anulare e sull’età delle piante
arboree rinvenute nelle aree proglaciali e sui versanti possono fornire preziose informazioni per
analizzare la risposta dei sistemi fisici e biologici alle variazioni climatiche ed ambientali. Il ritiro
delle fronti glaciali ha messo in luce resti lignei sepolti il cui studio in territorio lombardo ha
consentito di ampliare le conoscenze sulle fluttuazioni glaciali oloceniche, evidenziando sia fasi
precedenti il culmine della Piccola Età Glaciale (Gruppo del Bernina-Disgrazia) sia fasi precoci
della stessa. Alla contrazione attuale delle masse glaciali segue l’ampliamento delle aree
proglaciali, ricolonizzate dalla vegetazione arborea. Ricerche recenti nella Valle dei Forni
mostrano come le piante arboree ormai si spingano sino in prossimità della fronte (un esemplare di
Picea abies di 7 anni a 2435 m slm); la vegetazione a conifere mostra una generale progressiva
riduzione del tempo di insediamento nelle aree neodeglaciate, ridottosi di circa 1/4 per la Valle dei
Forni rispetto alle fasi immediatamente successive alla Piccola Età Glaciale. Lungo i versanti è
possibile osservare una progressiva “risalita” dei limiti altitudinali della vegetazione arborea. Un
recente studio ha rivelato come la struttura della treeline e la sua dinamica siano intensamente
influenzate non solo dalla variabilità climatica ma anche dagli indici di continentalità idrica e
termica nonché da limiti imposti alla vegetazione dalla morfologia del territorio e dall’attività
antropica; la Valfurva (nel settore lombardo del Gruppo Ortles-Cevedale) mostra limiti più elevati
sia per la treeline (2400 m) sia per le singole specie, rispetto alle Alpi Orobie (treeline intorno ai
2250 m di quota in Val Brembana).
La rete di cronologie costruite per il gruppo Ortles-Cevedale mostra un segnale climatico ad
andamento concorde sebbene con intensità differenti; sono particolarmente evidenti l’intervallo a
crescita limitata intorno agli anni ’20 del 19° secolo, che corrisponde al culmine della Piccola Età
Glaciale (PEG) e la pulsazione fredda degli anni ’80 del 20° secolo. Meno evidente è invece la
risposta al riscaldamento in atto, filtrata da situazioni locali, anche nel caso di eventi estremi, quali
l’estate calda del 2003 che ha avuto invece conseguenze ben più significative per i ghiacciai. Il
confronto tra i dati di bilancio di massa di alcuni ghiacciai campione e le cronologie di pino
cembro mostra una buona correlazione, sebbene variabile nel tempo; la correlazione tra dati
climatici e serie dendrocronologiche e tra dati climatici e bilanci di massa ha mostrato invece
andamenti divergenti documentando una progressiva differenziazione nelle risposte dei sistemi
biologici ed abiologici all’input climatico.
71
Nuovi dati sulla diversità e significato paleobiogeografico dei Rettili del Calcare di
Zorzino (Norico, Triassico Superiore)
Silvio Renesto
Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale, Università degli Studi dell’Insubria - Varese
Nuovi ritrovamenti e revisioni degli esemplari già noti hanno consentito di incrementare
considerevolmente le conoscenze sulla diversità e le relazioni paleobiogeografiche dei
Rettili Norici dell’Italia Settentrionale, in particolare di quelli ritrovati nel Calcare di
Zorzino, che rappresenta una delle principali unità fossilifere del nostro Paese per i
vertebrati di quel periodo.
Dagli affioramenti del Calcare di Zorzino provengono sia rettili acquatici che terrestri e
proprio in un giacimento vicino a Cene (BG) è stato trovato per la prima volta un rettile
volante Triassico.
Nonostante il calcare di Zorzino si sia depositato al fondo di bacini intrapiattaforma, i
rettili acquatici non presentano grande diversità. I più abbondanti sono i Placodonti, rettili
specializzati per un regime alimentare durofago; sono poi presenti dei Talattosauri
semidurofagi e fitosauri piscivori, questi ultimi con un adattamento alla vita acquatica molto
più spinto che nelle forme continentali.
I ritrovamenti di rettili terrestri sono più frequenti di quelli di rettili francamente
acquatici e gli scheletri sono molto spesso completi e articolati, testimoniando un
brevissimo trasporto “post-mortem”. Questi rettili dovevano vivere su piccole isole derivate
dall’emersione di porzioni della piattaforma, immediatamente adiacenti ai margini dei
bacini. La comunità dei rettili terrestri del Calcare di Zorzino è caratterizzata da una elevata
varietà di rettili di medie o piccole dimensioni, soprattutto predatori di invertebrati, spesso
altamente specializzati per la vita arboricola. Sono presenti anche pochi resti isolati di
Arcosauri, sia vegetariani che predatori, di dimensioni medio grandi. Per questi ultimi
tuttavia, data l’estrema frammentarietà dei resti, non è possibile escludere che derivino da
carcasse galleggianti provenienti da aree emerse più distanti.
Inizialmente si pensava che, a parte i frammenti attribuibili a carcasse galleggianti
trasportate da aree continentali più distanti, i Rettili del Calcare di Zorzino rappresentassero
degli endemismi, solo lontanamente correlabili sistematicamente con i gruppi coevi ritrovati
in depositi continentali.Più recentemente invece si è potuto osservare come i rettili del
Calcare di Zorzino siano strettamente correlati, in un caso addirittura a livello di genere, con
taxa rinvenuti in giacimenti continentali di età coeve o leggermente più antiche, soprattutto
in Inghilterra e negli Stati Uniti., Molte di queste forme erano considerate problematiche e
di attribuzione incerta, in quanto per lo più costituite da resti isolati di difficile
interpretazione. Solamente tramite il confronto con i rettili del Calcare di Zorzino, molto
meglio conservati, è stato possibile chiarire la loro posizione sistematica. Per alcuni gruppi
l’ anatomia e la distribuzione stratigrafica delle forme continentali ha consentito inoltre di
ipotizzare che esse rappresentino le forme ancestrali da cui hanno avuto origine, per rapida
diversificazione in ambiente insulare, le specie che si ritrovano nel Calcare di Zorzino.
La fauna a Rettili del Calcare di Zorzino riveste quindi una notevole importanza per la
comprensione della diversità e delle relazioni paleobiogeografiche dei Rettili Norici.
72
Metodi qualitativi di valutazione dell’erosione idrica nei suoli di montagna
Andrea Rossetti, Roberto Comolli, Michele D’Amico, Chiara Ferrè,
Fabio Moia e Franco Previtali
Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università degli Studi di Milano - Bicocca
La valutazione dell’erosione idrica, in aree di montagna, fa spesso ricorso a stime
modellistiche, le quali però vengono raramente verificate, anche per le difficoltà frapposte
dall’ambiente. Nell’area di studio della Val Bregaglia (settore italiano), allo scopo di approfondire
la conoscenza dei fenomeni di erosione idrica, è stata pianificata una campagna di rilevamento,
nell’ambito della quale sono state descritte e caratterizzate 80 stazioni, scelte come rappresentative
dei pedoambienti tipici della valle. Esse sono state distribuite spazialmente lungo i versanti, in
punti la cui precisa localizzazione ha tenuto conto dei fattori correlati all’erosione idrica in
ambienti montani: esposizione, pendenza, vegetazione e quota; tali fattori sono stati incrociati fra
loro per ottenere una significativa casistica degli ambienti della valle, anche dal punto di vista
distributivo. In ogni stazione sono stati individuati quadrati di 10 m di lato, al cui interno si sono
eseguite osservazioni pedologiche speditive (minipit sottili) per studiare la tipologia degli orizzonti
organici, la struttura e il contenuto di sostanza organica. Sono stati misurati gli spessori degli
orizzonti organici e degli orizzonti minerali prossimi alla superficie, fino a circa 30 cm di
profondità. Per ogni stazione si sono inoltre valutate alcune caratteristiche ambientali,
quantificando secondo opportuni descrittori empirici i segni visibili dei fenomeni erosivi in corso o
pregressi. Ognuno di questi indicatori di erosione è stato classificato secondo una scala di intensità
con valori da 0 a 3. Gli indicatori utilizzati sono stati suddivisi in due gruppi: quelli correlati
all’erosione (percentuale di suolo nudo, affioramento di radici, scollamento del suolo, evidenze di
scorrimento idrico preferenziale) e quelli correlati alla protezione del suolo (percentuale di
pietrosità superficiale, spessore degli orizzonti organici, presenza di macroresti vegetali).
Una volta portata a termine la fase di rilevamento di campagna, è stata effettuata
l’interpretazione e riclassificazione dei dati raccolti. Trattandosi di indicatori di tipo qualitativo, è
stato necessario effettuare un pre-trattamento del dato, al fine di giungere alla creazione di un
indice empirico di erosione. Ad ogni descrittore pedologico o indicatore di erosione è stato
attribuito un peso, stimato in base alla valutazione della sua importanza nei confronti del processo
erosivo. I risultati restituiti dall’elaborazione hanno permesso di associare un valore numerico ad
ogni stazione, espressione del predominio di processi erosivi o conservativi. Sono state
successivamente definite alcune classi di erosione a copertura dell’intero range di valori restituito
dall’indice empirico, dalla classe 0 (erosione nulla) alla classe 4 (erosione molto forte).
Secondo questo indice empirico, le zone della Val Bregaglia soggette ad erosione maggiore
sono risultate quelle dei pascoli di alta quota, dei lariceti ed in minor misura del bosco di latifoglie,
quando in presenza di pendenze elevate.
L’indice empirico definito come sopra sembra in grado di descrivere adeguatamente e di
sintetizzare l’insieme dei dati raccolti in campo. Ulteriori applicazioni dovranno valutare
l’adeguatezza della metodologia all’interno di processi di validazione di modelli di erosione
applicati ad aree montane. A tal fine, si ritiene necessario un approfondimento nelle fasi di pretrattamento e pesatura del dato.
73
Proposta di una metodologia per il confronto dei risultati previsionali derivati da modelli
statistici per la valutazione della predisposizione dei versanti agli eventi franosi
Simone Sterlacchini 1Jan Blahut 12 , Cristiano Ballabio 2 ,
Marco Masetti 3 e Alessandro Sorichetta3
1
CNR-IDPA
2
Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio,Università degli Studi di Milano - Bicocca
3
Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano
La valutazione della predisposizione dei versanti all’innesco di fenomeni franosi ha conosciuto
significativi progressi negli ultimi anni anche attraverso l’utilizzo di metodologie statisticoprobabilistiche implementate nell’ambito di Sistemi Informativi Territoriali. Sebbene tali tecniche
di analisi dei dati spaziali siano ormai ampiamente adottate e riconosciute come strumenti utili per
una efficace gestione del territorio a grande scala e sebbene a tutt’oggi esistono in letteratura
numerosi procedure per la valutazione dei risultati predetti (attraverso l’analisi delle curve relative
al tasso di successo ed al tasso previsionale), scarsa attenzione viene spesso prestata alla
valutazione della variabilità spaziale dei risultati predetti.
L’analisi statistica delle relazioni esistenti tra gli eventi franosi passati ed i fattori predisponenti
permette la costruzione di carte recanti la distribuzione spaziale delle probabilità di accadimento di
eventi futuri. Attraverso la realizzazione di un consistente numero di esperimenti è stato possibile
constatare come la qualità dei risultati ottenuti non aumenti progressivamente ed automaticamente
con il numero dei fattori predisponenti utilizzati nella procedura di modellizzazione, nonostante
che il significato di questi fattori sia stato preventivamente e profondamente analizzato.
Pertanto, questo studio è finalizzato alla valutazione delle correlazione esistente tra differenti
pattern spaziali dei valori di probabilità predetti nell’ambito di differenti mappe di suscettibilità da
frana, calcolate e caratterizzate da curve relative al tasso di successo e al tasso previsionale molto
simili. L’approccio proposto viene applicato in un ambiente alpino (Comunità Montana Valtellina
di Tirano, Alpi Centrali) in cui i fenomeni franosi in generale ed i debris flows in particolare
rappresentano i processi a maggior grado di pericolosità. La metodologia ha fatto ricorso ad una
modellazione statistico-probabilistica delle relazioni esistenti tra gli eventi franosi passati (debris
flows, nel caso specifico) ed i fattori predisponenti, utilizzando il Weights of Evidence modeling
technique tramite l’applicativo ArcSDM (Arc Spatial Data Modeler). Le mappe predittive così
ottenute sono state classificate in 10 classi, ognuna delle quali contenente il 10% dell’area di
studio a più elevato valore di predisposizione al dissesto, secondo una scala decrescente dal valore
più alto a quello più basso. In modo tale è stato possibile effettuare una comparazione oggettiva
dei risultati predetti in mappe differenti ma caratterizzate da curve del tasso di successo e del tasso
previsionale molto simili. Le varie mappe di predisposizione così classificate sono state
confrontate tra loro attraverso applicazione di alcune tecniche statistiche ( Kappa Statistic, Cluster
Analysis e Principal Component Analysis) al fine di analizzare la variabilità spaziale dei risultati
predetti. I risultati hanno mostrato un’importante variabilità a livello dei risultati predittivi ottenuti
e ciò si è verificato anche in corrispondenza delle classi a maggior predisposizione al dissesto.
74
La gestione in tempo reale delle emergenze idrogeologiche in contesto urbano
Simone Sterlacchini1, Simone Frigerio 1,2,Mario Canziani1, Simone Poli1,2,
Simone Sironi2 e Mattia de Amicis2
1
CNR-IDPA
2
Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio,Università degli Studi di Milano - Bicocca
Nell’ambito della Convenzione tra la Comunità Montana Valtellina di Tirano (Sondrio, Italia)
e l’Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali (IDPA, sezione di Milano) del Consiglio
Nazionale delle Ricerche (CNR, 2004), ha preso l’avvio uno studio finalizzato allo sviluppo di
metodologie informatiche atte alla gestione di rischi idrogeologici (a livello degli effetti fisici
attesi, conseguenti a fenomeni potenzialmente pericolosi) e finalizzate, in ultima analisi, alla
definizione di un Piano di Protezione Civile. Tale piano è stato inizialmente definito, in via del
tutto sperimentale, in una porzione del comune di Grosotto (Sondrio), identificata come possibile
scenario di rischio, sulla base delle informazioni a disposizione; si è inoltre tenuta in
considerazione la reale struttura organizzativa delle squadre di Protezione Civile, attualmente
operanti a livello comunale.
75
Cinematica recente ed attuale dei fronti nord-appenninici e dell’avampaese padano
Giovanni Toscani e Silvio Seno.
Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Pavia
Con questo lavoro si intende presentare un progetto di ricerca di durata biennale che ha avuto
inizio nel maggio 2007 e si concluderà nel maggio 2009 ricadente nell’ambito dei progetti
sismologici finanziati dalla “Convenzione INGV-DPC 2007-2009”.
La ricerca, iniziata con uno studio sull’assetto tettonico della zona degli archi ferraresi e che si
intende ora trasferire ad un settore lombardo della Pianura Padana, ha come obbiettivo generale
quello di fornire contributi alla conoscenza dell’assetto sismotettonico dei fronti Nord-Appenninici
e in subordine Sudalpini e del loro avampaese integrando dati di sottosuolo (indagini sismiche),
dati di superficie (geomorfologici e morfotettonici) e di laboratorio (modelli analogici). In
particolare verrà analizzato come la deformazione risulta suddivisa e ripartita sui diversi fronti dei
thrust Nord-Appenninici lungo diversi transetti (alcuni ricavati da dati di letteratura, altri
appositamente interpretati) e quale dei thrust attualmente attivi può essere sorgente di terremoti
potenzialmente pericolosi (soprattutto in considerazione dell’alta vulnerabilità della Pianura
Padana). I fronti più esterni della catena Nord-Appenninica sono sepolti sotto una spessa coltre di
sedimenti prevalentemente clastici che riempiono il bacino Padano. Essi sono costituiti da un
sistema di thrust ciechi Nord-Est vergenti associati ad anticlinali che controllarono la deposizione
dei potenti cunei clastici sintettonici, dove i sedimenti di età Plio-Quaternaria raggiungono potenze
dell’ordine dei 7-8 km. La rapida sedimentazione nascose e tuttora nasconde le strutture in crescita
e di conseguenza le evidenze dirette di superficie di possibili attività tettoniche recenti ed attuali
dei thrust sepolti sono molto scarse. Tuttavia, evidenze di attività recente ed attuale (seppur
debole) sono fornite dalla sismicità registrata e dalle anomalie nel drenaggio superficiale
(deviazioni fluviali e repentini cambi nella prevalente attività dei corsi d’acqua, elementi la cui
posizione verrà confrontata con quella delle maggiori strutture sepolte e con le deformazioni dei
depositi più recenti).
Verranno interpretati, convertiti in profondità e retrodeformati due transetti (sismica a
riflessione) a scala regionale, con prevalente andamento Nord-Sud (dall’Appennino affiorante
nella zona di Stradella (PV) fino alle valli bergamasche). Lo studio della ripartizione della
deformazione e la retrodeformazione delle sezioni geologiche aiuterà nella comprensione
dell’evoluzione temporale della deformazione con particolare riferimento alla sua storia recente
(Plio-Quaternaria) ed attuale.
La comprensione dell’evoluzione dei fronti esterni sepolti è di fondamentale importanza per
mettere in luce quali fronti (o tratti di fronti) siano ancora attivi e, di conseguenza, nel predire quali
delle sorgenti sismogenetiche attualmente conosciute e mappate potrebbero essere coinvolte in
attività tettoniche attuali.
Al termine del progetto, si auspica di poter presentare una ricostruzione dettagliata
dell’evoluzione tettonica Plio-Quaternaria dei fronti Appenninici sepolti lungo i transetti che
verranno presi in considerazione, ottenuta integrando i dati ed i risultati provenienti dai diversi
approcci proposti. Nei casi in cui i dati di sismica a riflessione lo consentiranno, si tenterà di
chiarire le interazioni possibili tra i fronti sepolti ad opposta vergenza della catene NordAppenninica e Sud-Alpina, principalmente riproducendo l’assetto tettonico osservato con
esperimenti analogici realizzati in una scatola di taglio che consenta la riproduzione
contemporanea di due catene ad opposta vergenza
76
Modellazione 3D: esempi dal Sudalpino Orobico.
Andrea Zanchi1, Paolo D’Adda1,Stefano Zanchetta1, Federico Agliardi1, Fabrizio Berra2 Roberto
De Franco3, Claudia Farruggia 1, Francesco Galbiati1, Massimiliano Grassi1, Cesare Ravazzi3,
Francesca Salvi2e Simone Sironi4.
1
Dipartimento di Scienze Geologiche e Geotecnologie, Università degli studi di Milano-Bicocca;
2
Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano
3
CNR-IDPA, Milano;
4
Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio,Università degli Studi di Milano - Bicocca
La sperimentazione di una serie di procedure, messe a punto e testate da un ampio gruppo di
lavoro, ha reso possibile la ricostruzione 3d di elementi geologici di ogni tipo a partire da
informazioni cartografiche a carattere geologico-strutturale. Le ricostruzioni così ottenute possono
poi essere successivamente implementate attraverso dati provenienti da indagini di altro tipo
(pozzi, sondaggi, sezioni sismiche, ecc.).
In questo poster vengono presentati tre esempi significativi tratti da ricostruzioni effettuate
nell’ambito di strutture presenti in provincia di Bergamo nella copertura del Sudalpino delle Alpi
Meridionali. Le ricostruzioni sono basate essenzialmente sull’utilizzo di differenti software:
ArcGis per l’archiviazione dei dati geologici di terreno, gOcad e MOve 2008 per la modellazione
2d, 3d e 4d (retrodeformazione).
Il primo esempio riguarda la deformazione gravitativa profonda di versante di Fuipiano in Val
Imagna, per la quale sono state realizzate sezioni bilanciate bidimensionali e una ricostruzione 3d
relativa alle principali superfici di scivolamento.
Il secondo esempio riguarda la ricostruzione 3d della geometria del bacino Plio-Quaternario di
Leffe, ottenuta con gOcad attraverso la combinazione di dati di terreno, le stratigrafie di pozzi e
sondaggi e una sezione sismica.
Il terzo esempio è riferito al settore centrale delle Unità Autoctone Carbonatiche e al loro
contatto con l’Anticlinale Orobica. In questo caso la modellazione riguarda la ricostruzione della
complessa zona di trasferimento della Val Vedra, che separa settori della catena caratterizzati da
un differente assetto dei sistemi di sovrascorrimento. In questo caso la ricostruzione è stata
effettuata con 2d e 3d move, attraverso la realizzazione di una ventina di sezioni geologiche basate
su dati di superficie.
77
78
AUTORI
79
80
Federico Agliardi
Università degli Studi di Milano-Bicocca
Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie
Piazza della Scienza 4 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Jan Blahut
C.N.R – IDPA – Università Milano - Bicocca
Dip. Scienze Ambiente e Territorio
Piazza della Scienza 1– 20126 Milano
E mail: [email protected]
Paola Albini
INGV, Sezione MI-PV
Via Bassini, 15 - 20133 Milano
E mail: [email protected]
Fabio Bona
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Barbara Aldighieri
CNR IDPA
Via Mario Bianco 6 - 20131 Milano
E mail: [email protected]
Maria Pia Boni
Politecnico di Milano
Dipartimento di Ingegneria Strutturale
Piazza Leonardo da Vinci, 32 - 20133 Milano
E mail: [email protected]
Paolo Augliera
INGV, Sezione MI-PV
Via Bassini, 15 - 20133 Milano
E mail: [email protected]
Tullia Bonomi
Università degli Studi di Milano – Bicocca
Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio
Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Cristiano Ballabio
Università degli Studi di Milano – Bicocca
Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio
Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Attilio Boriani
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Carlo Baroni
Università degli Studi di Pisa
Dipartimento Scienze della Terra
Via S. Maria, 53 - 56100 Pisa
E mail : [email protected]
Valeria Caironi
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail : [email protected]
Maria Aldina Bergomi
Università degli Studi di Milano-Bicocca
Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie
Piazza della Scienza 4 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Mario Canziani
C.N.R – IDPA
Piazza della Scienza 1– 20126 Milano
E mail: [email protected]
Fabrizio Berra
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail : [email protected]
Cipriano Carcano
Esplorazione nord Italia - Eni E & P
20097 S.Donato Milanese (Milano)
E mail: [email protected]
Marica Bersan
Università degli Studi di Pavia,
Dipartimento Scienze della Terra
Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia
E mail:
Enrico Casati
Università degli Studi di Milano – Bicocca
Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio
Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Alfredo Bini
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail. [email protected]
Angelo Cavallin
Università degli Studi di Milano – Bicocca
Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio
Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
81
Massimo Ceriani
Regione Lombardia
D.G. Protezione Civile
Via Rosellini 17 - 20124 Milano
E mail: [email protected]
Michele D’Amico
Università degli Studi di Milano – Bicocca
Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio
Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Gianfranco Ciancetti
Università degli Studi di Pavia
Dipartimento Scienze della Terra
Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia
E mail: [email protected]
Massimiliano Deaddis
C.N.R – IDPA
Laboratorio di Palinologia e Paleoecologia
Piazza della Scienza 1– 20126 Milano
E mail: [email protected]
Roberto Comolli
Università degli Studi di Milano – Bicocca
Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio
Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Mattia De Amicis
Università degli Studi di Milano – Bicocca
Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio
Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Massimo Compagnoni
Politecnico di Milano
Dipartimento di Ingegneria Strutturale
Piazza Leonardo da Vinci, 32 - 20133 Milano
E mail: [email protected]
Roberto De Franco
C.N.R – IDPA
Piazza della Scienza 4– 20126 Milano
E mail: [email protected]
Alessio Conforto
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Andrea Di Giulio
Università degli Studi di Pavia
Dipartimento Scienze della Terra
Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia
E mail: [email protected]
Marina Credali
Regione Lombardia
Infrastruttura per l’informazione Territoriale
Via Sassetti, 32/A - 20124 Milano
E mail: [email protected]
Guglielmina Diolaiuti
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Giovanni B. Crosta
Università degli Studi di Milano-Bicocca
Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie
Piazza della scienza 4 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Gabriele Dolza
Università degli Studi di Pavia
Dipartimento Scienze della Terra
Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia
E mail: [email protected]
Giulio Curioni
Università degli Studi di Milano – Bicocca
Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio
Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Elisabetta Erba
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Paolo D’Adda
Università degli Studi di Milano-Bicocca
Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie
Piazza della scienza 4 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Daniela Fanetti
Università degli Studi dell’Insubria, Como
Dipartimento Scienze Chimiche ed Ambientali
Via Valleggio, 11 – 22100 Como
E mail
82
Chiara Ferré
Università degli Studi di Milano – Bicocca
Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio
Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Silvia Guffanti
Università degli Studi di Pavia
Dipartimento Scienze della Terra
Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia
E mail:
Vincenzo Francani
Politecnico di Milano
Dipartimento Ingegneria Idraulica e Ambientale
Piazza Leonardo da Vinci, 32 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Mauro Guglielmin
Università degli Studi dell’Insubria
Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale
Via H.J. Dunant 3 – 21100 Varese
E mail: [email protected]
Paolo Frattini
Università degli Studi di Milano-Bicocca
Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie
Piazza della Scienza 4 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Giovanni Leonelli
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Simone Frigerio
C.N.R – IDPA – Università Milano - Bicocca
Dip. Scienze Ambiente e Territorio
Piazza della Scienza 1– 20126 Milano
E mail: [email protected]
Cristina Lombardo
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Maurizio Gaetani
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Lucia Luzi
INGV, Sezione MI-PV
Via Bassini, 15 - 20133 Milano
E mail: [email protected]
Fabrizio Galadini
INGV, Sezione MI-PV
Via Bassini, 15 - 20133 Milano
E mail: [email protected]
Valter Maggi
Università degli Studi di Milano – Bicocca
Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio
Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Paolo Gallese
Cooperativa Verdeacqua
Viale Gadio 2 20121 Milano
E mail: [email protected]
Mariano Maistrello
INGV, Sezione MI-PV
Via Bassini, 15 - 20133 Milano
E mail: [email protected]
Valentina Garavaglia
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Gregorio Mannucci
Arpa Lombardia
Via F. Restelli 3/1 – 20124 Milano
E mail: [email protected]
Lisa Garbellini
IREALP
Area Progetti Europei e Regionali
Via Melchiorre Gioia, 72 - 20125 Milano
E mail: [email protected]
Mauro Marchetti
Università di Modena e Reggio Emilia
Dip. Scienze della Terra
Largo Sant’Eufemia,19 41100 Modena
E mail: [email protected]
Guido Gosso
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Marco Masetti
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail. [email protected]
83
Guido Mazzoleni
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Francesca Pacor,
INGV, Sezione MI-PV
Via Bassini, 15 - 20133 Milano
E mail: [email protected]
Claudia Meisina
Università degli Studi di Pavia
Dipartimento Scienze della Terra
Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia
E mail: [email protected]
Anna Paganoni
Museo Civico Scienze Naturali “E.Caffi”
Istituto di Geologia e Paleontologia
Piazza Cittadella, 10 - 24129 Bergamo
E mail: [email protected]
Fabrizio Meroni
INGV, Sezione MI-PV – Via Bassini, 15
20133 Milano
E mail: [email protected]
Giorgio Pasquaré
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Bruno Messiga
Università degli Studi di Pavia
Dipartimento Scienze della Terra
Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia
E mail: [email protected]
Manuela Pelfini
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Alessandro Maria Michetti
Università dell'Insubria
Dip. di Scienze Chimiche ed Ambientali
Via Valleggio, 11 - 22100 Como
E mail: [email protected]
Floriana Pergalani
Politecnico di Milano
Dipartimento di Ingegneria Strutturale
Piazza Leonardo da Vinci, 32 - 20133 Milano
E mail: [email protected]
Fabio Moia
Università degli Studi di Milano – Bicocca
Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio
Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Cesare R. Perotti
Università degli Studi di Pavia
Dipartimento Scienze della Terra
Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia
E mail: [email protected]
Giovanni Muttoni
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Andrea Piccin
Regione Lombardia
Infrastruttura per l’informazione Territoriale
Via Sassetti, 32/A - 20124 Milano
E mail: [email protected] Via
Elisabetta Nigris
Università Milano Bicocca
Dipartimento di Scienze della Formazione
Via Thomas Mann, 8 20162 Milano
E mail [email protected]
Achille Piccio
Università degli Studi di Pavia
Dipartimento Scienze della Terra
Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia
E mail: [email protected]
Davide Notti
Università degli Studi di Pavia
Dipartimento Scienze della Terra
Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia
E mail:
Giorgio Pilla
Università degli Studi di Pavia
Dipartimento Scienze della Terra
Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia
E mail: [email protected]
84
Roberta Pini
C.N.R – IDPA
Laboratorio di Palinologia e Paleoecologia
Piazza della Scienza 1– 20126 Milano
E mail: [email protected]
Sergio Rogledi
Esplorazione nord Italia - Eni E & P
20097 S.Donato Milanese (Milano)
E mail: [email protected]
Simone Poli
C.N.R – IDPA – Università Milano - Bicocca
Dip. Scienze Ambiente e Territorio
Piazza della Scienza 1– 20126 Milano
E mail: [email protected]
Andrea Rossetti
Università degli Studi di Milano – Bicocca
Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio
Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Stefano Poli
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Sabina Rossi
Università degli Studi dell’Insubria, Como
Dipartimento Scienze Chimiche ed Ambientali
Via Valleggio, 11 – 22100 Como
E mail: [email protected]
Ilaria Poretti
Università Milano - Bicocca
Dip. Scienze Ambiente e Territorio
Piazza della Scienza 1– 20126 Milano
E mail: [email protected]
Elisa Sacchi
CNR-IGG, Sezione di Pavia
Dipartimento Scienze della Terra
Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia
E mail: [email protected]
Isabella Premoli Silva
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Francesca Salvi
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Franco Previtali
Università degli Studi di Milano – Bicocca
Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio
Piazza della Scienza 1 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Giancarlo Scardia
INGV, Sezione MI-PV
Via Bassini, 15 - 20133 Milano
E mail: [email protected]
Cesare Ravazzi
C.N.R – IDPA
Laboratorio di Palinologia e Paleoecologia
Piazza della Scienza 1– 20126 Milano
E mail: [email protected]
Dario Sciunnach
Regione Lombardia
Direzione Generale Territorio e Urbanistica
Sassetti, 32/A - 20124 Milano
E mail: [email protected]
Silvio Renesto
Università degli Studi dell’Insubria
Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale
Via H.J. Dunant 3 – 21100 Varese
E mail: [email protected]
Silvio Seno
Università degli Studi di Pavia
Dipartimento Scienze della Terra
Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia
E mail: [email protected]
Maria Pia Riccardi
Università degli Studi di Pavia
Dipartimento Scienze della Terra
Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia
E mail: [email protected]
Franco Rodeghiero
Università degli Studi di Milano-Bicocca
Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie
Piazza della Scienza 4 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Roberto Serra
Arpa Lombardia
Via F. Restelli 3/1 – 20124 Milano
E. mail: [email protected]
Giuseppe Sfondrini
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
85
Gian Bartolomeo Siletto
Regione Piemonte Dir. Program.Strategica,
Politiche Territoriali ed Edilizia Sett.Cartografico
Corso Bolzano, 44 - 10121 TORINO
E mail: [email protected]
Giovanni Toscani
Università degli Studi di Pavia
Dipartimento Scienze della Terra
Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia
E.mail: [email protected]
Simone Sironi
Università Milano - Bicocca
Dip. Scienze Ambiente e Territorio
Piazza della Scienza 1– 20126 Milano
E mail: [email protected]
Riccardo Tribuzio
C.N.R. – I.G.G.- U.O. Pavia
Università degli Studi di Pavia
Dipartimento Scienze della Terra
Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia
E mail: [email protected]
Claudio Smiraglia
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Annalisa Tunesi
Università degli Studi di Milano-Bicocca
Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie
Piazza della Scienza 4 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Alessandro Sorichetta
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Stefano Turri
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Maria Iole Spalla
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail [email protected]
Mauro Valentini
Arpa Lombardia
Via F. Restelli 3/1 – 20124 Milano
E mail: [email protected]
Simone Sterlacchini
C.N.R – IDPA
Piazza della Scienza 1– 20126 Milano
E mail: [email protected]
Giovanni Vezzoli
Università degli Studi di Milano-Bicocca
Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie
Piazza della Scienza 4 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Massimiliano Stucchi
INGV, Sezione MI-PV
Via Bassini, 15 - 20133 Milano
E mail: [email protected]
Stefano Zanchetta
Università degli Studi di Milano-Bicocca
Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie
Piazza della Scienza 4 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Massimo Tiepolo
CNR- I.G.G. - U.O Pavia
Dipartimento Scienze della Terra
Via A. Ferrata, 1 – 27100 Pavia
E mail: [email protected]
Andrea Zanchi
Università degli Studi di Milano-Bicocca
Dip. di Scienze Geologiche e Geotecnologie
Piazza della Scienza 4 – 20126 Milano
E mail: [email protected]
Andrea Tintori
Università degli Studi di Milano
Dipartimento Scienze della Terra “Ardito Desio”
Via Mangiagalli 34 – 20133 Milano
E mail: [email protected]
Enrico Zini
Arpa Lombardia
Via F. Restelli 3/1 – 20124 Milano
E mail: [email protected]
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