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Editoriale Giordano Gagianesi Sommario Modellisti navali (cosa significa) In questo numero 2 4 8 16 20 23 24 31 Editoriale Storia di una nave Parliamo della Partenope Intervista con un Modellista Una giornata con Albino Benedetto Storia di un Modello La Stella Polare Angolo del Principiante Costruiamo un Gozzo Schede Monografiche La Goletta Botta e risposta Posta o e-mail dei nostri lettori Notizie dal Web Recensioni dal Web Redazione Moia Andrea Antoniazzi Pierangelo Bartolacci Ivan Oss Germano Tenti Massimiliano Uboldi Antonio Venturin Roberto Bragonzi Luciano Mattavelli Rodolfo Vassallo Andrea Aglitti Simona Impaginazione grafica Antonini Adriano Contatti Redazione di VM [email protected] Associazione AMN Magellano Via Paravisi, 1 20092 Cinisello Balsamo (Milano) C.F. 94598450156 [email protected] Foto in copertina “Goletta Buona Madre” modello di Luciano Bragonzi (Lubra) 2 Una delle prime cose che i bambini imparano crescendo è quella di perfezionare la loro abilità nel gioco; gradualmente, i giochi che praticano, si fanno sempre più complessi ed articolati. L’abilità nell’uso delle mani si affina, spesso riescono in poco tempo a disfare un gioco anche piuttosto complicato; è la sete di conoscenza innata in questi piccoli demoni. È quello che tutti noi abbiamo fatto a suo tempo. Poi, l’incanto, per ragioni diverse, finisce o si attenua notevolmente ed è un vero peccato perché il gioco, in special modo quello manuale, tiene sveglio il cervello ed impegna tutti i sensi. Un validissimo aiuto per tenere sempre attivo il cervello ci può essere fornito dal modellismo navale che ci insegna a riprodurre in piccolo un oggetto, nel caso di specie una barca, mantenendo tutte le proporzioni in modo armonioso e realistico. Il modellismo navale è una di quelle attività che permettono, con intelligenza ed abnegazione, di prolungare il gioco ben oltre la gioventù donando dei piaceri intensi e completi, come possono essere quelli di poter realizzare qualche cosa con le proprie mani. È un’arte che richiede, oltre alla necessaria abilità manuale, la capacità di lettura di piani di costruzione, di disegni, della conoscenza delle manovre e della navigazione, dell’evoluzione storica delle navi, della tecnica, della sensibilità artistica, e così via. Bisogna dunque essere disegnatori tecnici, carpentieri, velai, cordai, meccanici, fabbri, pittore, scultori, decoratori, storici e fotografi. Tutte queste abilità non nascono subito in noi ma si acquisiscono col tempo e con la pratica, offrendo al modellista l’opportunità di migliorarsi; basta avere grande volontà. Di solito, si viene attratti da qualche modello già fatto, forse da un amico, e si cerca di capirne i segreti. Spinti da un certo interesse si inizia ad approfondire l’argomento e si comincia a curiosare facendo i primi acquisti per cimentarsi nel nuovo gioco: nascono così i primi mostruosi “capolavori”. A questo punto si rischia di rinunciare non sentendosi all’altezza, questo è il momento più critico del nostro futuro di modellista navale. Riuscendo a superare questo scoglio si apre davanti a noi un percorso pieno di grandi soddisfazioni. Importanti sono le visite presso le mostre dove vengono esposti modellini di fattura medio - alta. Qui, qualche piccolo particolare attrae sempre la curiosità e può essere spunto di riflessioni su come è stato risolto un certo problema. In ogni rassegna non mancano mai una serie di barche che, come ogni sequenza storica che si rispetti, inizia con navi romane e greche. Di queste, quel poco che si conosce lo si deve ai ritrovamenti, ma solo per quanto riguarda l’opera viva, che è la parte meno interessante dei modelli. Poi si passa alle caravelle di Cristoforo Colombo, eseguite manco a dirlo alla perfezione, anche se paradossalmente, gli storici non conoscono ancora a quale tipologia di barche ricondurle. Seguono i così detti galeoni, categoria che comprende qualsiasi nave, basta che abbia tante vele e soprattutto tanti cannoni. Queste navi sembrano dei grandi barconi, lenti, poco manovrieri e sono solo il simbolo della forza e dell’arroganza delle nazioni In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 Editoriale che le armavano. Di solito una rassegna termina con l’Amerigo Vespucci che è una ricostruzione, in ferro, di una nave antica e tutto sommato bruttarella come scafo e si salva solo perché è la nave scuola della Marina. Tutti quelli che si dedicano al modellismo navale hanno iniziato costruendo questo tipo di modelli, me compreso, che ancora oggi, quando mi capita l’occasione di montare uno di questi modelli, non rifiuto l’offerta e lo realizzo al massimo delle mie possibilità. Ma allora cosa bisognerebbe trovare in una bella rassegna? Bisognerebbe trovare i modelli delle barche che si trovano sotto casa, quelle vere insomma, quelle di cui non si dispone, volendo di tutta la documentazione necessaria. Le barche da carico o da pesca, le prime barche da diporto, i vaporetti, le navi traghetto e, perché no il pattino da spiaggia. Se tutti i modellisti si fossero interessati allo studio ed alla ricerca della documentazione di queste barche, ora disporremmo di un immenso archivio storico che avrebbe favorito anche lo scambio di idee e sarebbe stato motivo di molti dibattiti. È preferibile vedere riprodotte fedelmente le navi da lavoro, da pesca e trasporto: i gozzi, i trabaccoli, le golette, i brigantini, i cutter, i clipper, le tartane, i leudi, barche specializzate a vari tipi di pesca e tutte le barche che funzionavano veramente a vela; ma anche le barche dei fuorilegge di ogni epoca, per esempio i contrabbandieri, perché dalla loro velocità e manovrabilità dipendevano la vita e la morte dell’equipaggio. Queste barche hanno fatto veramente la storia della marineria. Di tutto questo si sta velocemente perdendo il ricordo e purtroppo resteranno pochissime tracce. Vi sono però delle scusanti, la mancanza di una documentazione adeguata e facilmente reperibile. Quando un amante del mare entra in una delle rare librerie marinaresche, vi trova quasi solo libri francesi e inglesi che descrivono minuziosamente i loro scafi e l’armo, mentre la produzione italiana è scarsa qualitativamente e quantitativamente, ma soprattutto non è orientata alla costruzione e al dettaglio dei particolari, questo porta a non interessare l’eventuale attività di modellista navale. L’uomo ha affrontato i disagi ed i pericoli del mare per tre fondamentali ragioni: per trasferire se stesso ed i suoi beni da un punto all’altro del globo; per sfruttare le risorse che offre e perché in fondo gli piace. L’uomo quindi solca , sfrutta ed ama il mare. L’uomo non doveva sentirsi a suo agio a cavalcioni di un tronco d’albero: cominciò presto a costruire zattere, scavare i tronchi più grossi e gonfiare pelli di animali. Primo motore fu la mano, poi venne il remo; molto più avanti la vela ed il timone: furono invenzioni paragonabili a quella della ruota per i trasporti terrestri. Dice Victor Hugo che, se il mare è il simbolo della potenza del Signore, la nave è la dimostrazione della capacità dell’uomo. Certe imbarcazioni sono eterne perché eterna è la loro bellezza e le avventure che le hanno viste protagoniste, queste sono ricordate, esaltate e riprodotte mentre altre resta- no nell’anonimato. Sono le imbarcazioni minori. Quelle che avendo una dignitosa, ma modesta storia alle spalle spesso ingiustamente dimenticate e dimenticate muoiono. Non bisogna che ciò accada e abbiamo l’obbligo di far qualcosa per portare in vita storie, tecniche costruttive e caratteri di semplici barche che rischiano di estinguersi, nel disinteresse di molti. L’esercizio di attività pescherecce, salvo rare eccezioni, richiede l’uso di natanti idonei alle varie tecniche, oltre che robusti, capienti e dotati di ottime qualità nautiche. Per questo in ogni epoca e in ogni parte del mondo, la dove si pratica la pesca, si sviluppa una parallela attività, rapportata sia alle capacità economiche e tecnologiche, sia alle concrete necessità di ciascuna popolazione. Negli ultimi anni è poco cambiata la tendenza ed ha avvicinato molti modellisti volenterosi a ricercare informazioni su natanti storici da lavoro. Anche certe istituzioni pubbliche cercano di recuperare vecchie imbarcazioni per esporle in musei appositamente allestiti; purtroppo non c’è grande interesse da parte dei nostri governanti e non sempre le iniziative hanno un seguito e vengono quasi boicottate. Diversa è la situazione in altre nazioni che valorizzano la storia, ad esempio possiamo citare la Svizzera, nazione non bagnata dal mare, dove esistono diversi musei di marineria. Nei paesi nordici vengono recuperate e restaurate imbarcazioni anche molto antiche ed esposte in musei appositamente costruiti a cura anche in piccoli centri. In Italia, paese di navigatori, ancora non esiste questa vocazione e ci troviamo appena all’inizio col rischio di perdere parte della nostra storia e della nostra cultura. Esistono musei in grandi città italiane allestiti molto dignitosamente che mettono in rassegna varie fasi di progresso umano. Ma non è sufficiente; sarebbe ragionevole il recupero, tanto per citare come esempio dei vari gozzi, ogni paese costiero infatti ha il suo natante, costruito per assecondare le proprie esigenze di pesca o di trasporto e adattato al mare della propria costa. Personalmente, da diversi anni sto raccogliendo tantissimo materiale e costruendo modelli. Ora, per esempio, sto vedendo di archiviare questa grossa mole di documenti. Nel farlo ho riscoperto tanti scritti interessanti che non ricordavo più nemmeno di avere: si è trattato di una scoperta molto gradevole. Quindi che fare? Semplice: continuare ad impegnarsi in ricerche più approfondite, internet è uno strumento validissimo in tal senso; navigando (tanto per restare in argomento) con un poco di fortuna, si può trovare quasi tutto, basta avere pazienza e dedicarci del tempo; si possono avere contatti con altri amanti di storie marinare ed arricchirci con nuove esperienze abbandonando quella forma di gelosia che a volte ci perseguita limitandoci fortemente. Bisogna correggere, almeno tentare, la rotta in modo da vedere in costruzione un Amerigo Vespucci in meno ed un vero gozzo in più. In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 Giordano Gagianesi 3 Storia di una Nave Parliamo della Partenope Marco Topa (Tricera) L’Ammiraglio Francesco Caracciolo L’Ammiraglio Francesco Caracciolo Uno dei personaggi più controversi del tempo fu sicuramente Francesco Caracciolo, le cui azioni ed idee sono ancora oggi frutto di discussioni. Nato il 18 gennaio 1752, fu subito avviato alla carriera marinara. Gli esordi furono promettenti e in non rare occasioni ebbe l’opportunità di mettere in luce le sue qualità di uomo e di ufficiale. La sua ascesa in campo militare coincise con il potenziamento della flotta voluto da Ferdinando IV. Francesco Caracciolo fu tra i prescelti per andare a fare esperienza presso la Marina Britannica ed imbarcato sul vascello britannico Malborough. Al ritorno in patria, continuò ad essere tra i protagonisti della rinata flotta meridionale, che, nell’intento dei suoi animatori, avrebbe dovuto far rivivere la grandezza ed il prestigio da essa già raggiunta durante il periodo angioino-aragonese. Nel 1784 al comando dello sciabecco “San Gennaro il Vigilante” fu in prima fila in una impresa che 4 vide anche legni di altri stati combattere con vigore ed efficacia i pirati barbareschi di Algeri, che con le loro scorrerie rendevano poco sicure la navigazione nel Mediterraneo e la vita nelle città costiere dell’Italia meridionale ed insulare. Il “San Gennaro” compì prodigi di valore, mentre la figura del suo comandante diveniva sempre più prestigiosa. L’avvento della Rivoluzione ed il relativo isolamento della Francia che ne scaturì, ad opera degli altri stati ancora a regime feudale, provocò un accostamento ancor maggiore tra il Regno di Napoli e la Gran Bretagna, grazie anche alla presenza di legni inglesi nel Mediterraneo. Ovviamente, le due marine procedettero affiancate nella lotta, ora reale ed ora latente, contro la Francia repubblicana; anche se quella del reame dovette subire la ben più forte presenza inglese, che non tralasciava occasione per imporsi con autorità. Francesco Caracciolo continuò a battersi bene, tenendo alta la bandiera della Marina napoletana: al comando di una possente nave di 74 cannoni, il “Tancredi” prese parte alla spedizione contro Tolone nel 1794. L’anno dopo ed esattamente nei giorni 13 e 14 marzo del 1795 confermò ancora di possedere grandi capacità tattiche e manovriere riuscendo con la sua nave a decidere le sorti della battaglia di Noli. In questi anni, probabilmente, Caracciolo cominciò a maturare il suo distacco dagli Inglesi, vista la loro “spocchia” nei riguardi degli alleati, non tralasciando occasione per umiliare la flotta napoletana, coinvolgendo in un giudizio di pressappochismo e pavidità i marinai e gli ufficiali della stessa. L’Ammiraglio Nelson In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 Storia di una Nave Nel 1799 i francesi occupato il regno vi favorirono il sorgere della repubblica Partenopea, mentre Ferdinando di Borbone si rifugiava a Palermo; il Re scelse di effettuare il viaggio a bordo dell’inglese Vanguard, al comando di Nelson, quasi confermando e approvando i giudizi degli inglesi sulla flotta napoletana. Durante la traversata, Caracciolo ha occasione di mostrare la propria padronanza del mare durante il viaggio, quando riesce a superare indenne col Sannita una tempesta che invece provoca molti danni alla nave di Nelson. Ferdinando riconosce ed elogia la bravura di Caracciolo, suscitando così l’invidia e la gelosia dell’ammiraglio inglese. Dopo appena una settimana dalla partenza del sovrano, il Vicario del re, incapace di far fronte alla situazione, ordinò che le 78 piccole unità da guerra che si trovavano a Posillipo venissero date alle fiamme. Successivamente anche tre vascelli, una fregata ed altri scafi più leggeri, vennero incendiati per ordine britannico onde evitare cadessero in mani francesi. Giunto a Palermo, chiese al sovrano il permesso di poter ritornare momentaneamente a Napoli a sistemare delle cose personali lasciate in sospeso. Ottenuto il consenso, all’arrivo sul continente fu salutato con entusiasmo da coloro che guidavano la giovane Repubblica nel suo iniziale difficile cammino, che gli chiesero di mettere a disposizione del loro ideale la sua competenza. Inizialmente l’ammiraglio preferì non assumere alcun impegno ma quando però, ai primi di aprile del 1799, la Repubblica cominciò a vacillare sotto i colpi della reazione ed alla notizia che gli Inglesi erano sbarcati a Procida, abbandonato ogni indugio, assunse il comando dell’esigua flottiglia napoletana. Nominato comandante della Marina e subito battezzato “Caio Duilio della Repubblica partenopea”, si comportò con coraggio, dando non pochi fastidi ai nemici, che se riuscirono a trionfare fu solo per la notevole sproporzione di forze esistenti. Infatti, dopo l’incendio della flotta, non poté operare se non con poche cannoniere e scafi sommariamente adattati a navi da guerra. Nel giugno del 1799 la Repubblica capitolava. Furono compiuti eccidi degni della più orribile barbarie, a cui si aggiunse anche la Corte, invalidando una regolare capitolazione che Ruffo aveva concesso ai repubblicani con l’intento di salvare loro la vita. Costoro, dopo una farsa di processo, furono poi condotti al patibolo, ove tutti seppero morire Il Cardinale Ruffo con fierezza, fermezza e dignità. Anche Nelson, unitosi al coro, volle dare un contributo personale al bagno di sangue, ordinando l’impiccagione del Caracciolo. Degno di nota è il fatto che l’ammiraglio inglese, oltre a contravve- La Fregata Minerva In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 5 Storia di una Nave nire a dei patti debitamente firmati, violando una capitolazione, dimostrò di non possedere neanche quel sentimento di fratellanza che normalmente accomuna gli uomini di mare. Fu spietato e feroce in un modo che mal si addiceva non solo ad un marinaio, ma anche ad un ammiraglio di una grande potenza. Spergiuro e sanguinario, forse ancora avvelenato dalla figura fatta in occasione dello spostamento della Corte da Napoli a Palermo, non si accontentò di eliminare l’avversario, lo volle anche umiliare trattandolo alla stregua di un pirata o di un ribelle, negandogli il diritto di morire fucilato, come si addice ad un vero soldato, facendolo impiccare all’albero della fregata “Minerva” Dopo l’esecuzione, avvenuta il 29 giugno del 1799, il corpo del duca Francesco Maria Caracciolo, in segno di massimo disprezzo, fu buttato in mare. Di questo assassinio non si può però ignorare che furono complici anche il Re e la Regina, i quali, la capitolazione, in B. Croce La Rivoluzione napoletana del 1799) Al corpo di Caracciolo, risalito a galla ed in seguito ad uno sconcertante episodio, fu poi concessa cristiana sepoltura nella chiesa di Santa Maria della Catena a Santa Lucia dove, sulla sua tomba, spicca FRANCESCO CARACCIOLO AMMIRAGLIO DELLA REPUBBLICA NAPOLETANA FU DALL'ASTIO DELL'INGENEROSO NEMICO IMPESO ALL'ANTENNA IL 29 GIUGNO DEL 1799 I POPOLANI DI SANTA LUCIA QUI TUMULARONO L'ONORANDO CADAVERE IL MUNICIPIO DI NAPOLI 1881 la seguente epigrafe: L’Ammiraglio Caracciolo chiede cristiana sepoltura; Dipinto di Ettore Cercone una volta tanto d’accordo, vollero che la Repubblica affogasse in un bagno di sangue. Per il Caracciolo fu, di fatto, una vera e propria “soppressione”; tant’è vero che la regina scriveva il 19 giugno al Ruffo, insinuando a costui la necessità di metterlo a morte: “Fra i rei scellerati l’unico che desidererei non andasse in Francia è l’indegno Caracciolo: questo ingratissimo uomo conosce tutte le cale e buchi di Napoli e Sicilia, e potrebbe molto molestare, anzi mettere la sicurezza del Re in pericolo: cosa che mi fa temere”. E il giorno dopo il Re faceva eco al sentimento della moglieª (Cfr. B. Croce Il Nelson e 6 La Fregata Partenope alla fonda nel porto di Napoli (1866/67) FREGATA PARTENOPE Per quanto riguarda la presentazione della nave, questa volta la mia scelta è caduta sulla Fregata “Partenope”. Di navi col nome “Partenope” ne sono state tre: La prima Partenope fu un vascello a tre ponti, carena ramata, 74 cannoni e 18 carronate , varata nel In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 Storia di una Nave 1789 a Castellammare di Stabia. Operò in azioni contro le flottiglie di barbareschi (come erano denominate le popolazioni dei litorali africani affacciati sul Mediterraneo) e nel 1795 si unì alla squadra inglese a Livorno nelle operazioni belliche contro la Francia rivoluzionaria e a tutela dei locali interessi napoletani. Fu affondata nel gennaio 1799 all’imboccatura del porto di Castellammare di Stabia per renderlo inagibile agli occupanti francesi. La seconda Partenope fu una fregata in legno e a vela, carena ramata, costruita a Castellammare di Stabia nel 1834. La terza Partenope fu un incrociatore torpediniere in ferro, costruito a Castellammare di Stabia nel 1889 ed entrato in servizio nel 1890. Nel 1906 fu trasformato in nave affondamine. Venne silurata ed affondata il 23 marzo Varo dell’Incrociatore Partenope Cenni Storici L’attività del vascello sotto bandiera borbonica si limitò a compiti di ruolo nel Mediterraneo e ad un viaggio a Rio de Janeiro nel 1843. Nel 1848, 1849 e 1850 trasportò truppe in Sicilia per sedare i moti insurrezionali. Dal 1855 al 1857 fu adibita a nave scuola del Collegio di Marina. Nel maggio 1860 venne inviata in Sicilia per contrastare lo sbarco dei Mille. Giunta a Marsala ormai al termine delle operazioni di sbarco, sparò qualche cannonata (con il ferimento di un garibaldino) e rientrò a Palermo lasciando quel porto quando Garibaldi occupò la città, rientrando a Napoli il 21 giugno 1860. Il 6 settembre 1860 Re Francesco II° partì da Napoli Dati Tecnici per Gaeta ed il Partenope fu uno dei pochi vascelli che lo seguì, insieme agli avvisi Etna, Delfino e Messaggero. Durante l’assedio subì danni gravi e, con la caduta della Fortezza, venne catturato dai piemontesi che lo riportarono in cantiere a Napoli alle riparazioni. Il 17 marzo 1861 venne iscritta nei Registri della neonata Regia Marina Italiana come fregata a vela di 1° rango. Dal 1864 fu adibita a Nave Scuola Cannonieri. Rimase in servizio nel Tirreno tra Genova e La Spezia. Il 12 marzo 1867 venne disarmata e radiata il 22 aprile 1868. Ridotta a pontone, venne utilizzata come deposito alla Spezia sino all’8 luglio 1869 per passare alla demolizione. Partenope Fregata di 1° Rango a vela Castellammare di Stabia 28/11/33 17/11/34 In servizio nella Marina Borbonica fino al 17 marzo 1861 quando fu Servizio incorporata nella Regia Marina Italiana normale 2.583 tonn. Dislocamento pieno carico 2.913 tonn. lunghezza f.t. 58,44 m. lunghezza p.p. 52,70 m. Dimensioni larghezza 13,64 m. immersione 7,09 m. 1 motrice alternativa 3 caldaie potenza: 400 ihp 1 elica Motore 8 nodi Velocità Combustibile carbone dal 1862 26 cannoni in batteria di ferro liscio ad avancarica da 24 libbre francesi 4 cannoni-obici in batteria da 200 mm. Armamento 20 cannoni-obici in coperta di ferro liscio da 160 mm. Equipaggio 420 22/04/68 Radiazione demolita dopo l'8 luglio 1869 Destino Nome Tipo Cantiere Impostazione Varo In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 7 Intervista ad un Modellista Luciano Bragonzi (Lubra) INTERVISTA AL MODELLISTA ALBINO BENEDETTO Quando sono entrato nel “laboratorio” di Albino ci ho messo un poi per essere sicuro che quello era il posto di lavoro di un modellista. Il locale è letteralmente tappezzato, e anche suddiviso, da scaffali zeppi di libri fino al soffitto. Penso che siano molte centinaia. È pur vero che oltre al posto/computer si nota un bel tornio e una macchina plurismerigliatrice e accantonato in un angolo del pavimento un aggeggio rotondo, autocostruito, che lui definisce “centrifuga per la resina”. 8 Ma l’impressione che si ha è che sia un bibliofilo prima che un modellista nonostante il palmares sui suoi modelli. Un’occhiata veloce sui libri mi ha fatto pensare che il suo modellismo ha toccato un poi tutti i campi: navale e non navale, navigante e statico, plastica e legno, e quanto altro. DOMANDA. È proprio così ?. RISPOSTA. Si ma ho cominciato con il navale, frequentavo le scuole medie, abitavo a Cremona e mio padre faceva il disegnatore meccanico, un suo collega gli chiese di fargli i disegni in scala per la riproduzione di una specie di motoscafo ricavate da una pagina della allora famosa rivista Scienza e Vita. Il committente aveva intenzione di costruirne due: uno per sé ed uno da vendere ad un cliente. Mentre mio padre eseguiva i disegni, (un motoscafo di fantasia lungo circa 70cm.). Io nel vedere quello che faceva gli dissi: “lo voglio anch’io”. Così invece del pagamento in contanti del lavoro, venne pattuita la costruzione di un terzo modello. Ma il modello tardava ad arrivare, il costruttore, dopo i primi due si era stufato e così dietro mie insistenze, ottenni un “semilavorato”: un semplice scafo vuoto e senza ponte. A quei tempi i negozi di modellismo (almeno a Cremona) praticamente non c’erano ed il modellismo come lo intendiamo adesso non esisteva. Ho cercato di finire lo scafo facendo del mio meglio senza mezzi, senza materiali e senza riferimenti “veri”. Ne è venuta fuori una cosa di fantasia, In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 Intervista ad un Modellista assurda, impossibile, ma era una barca !!, mi sono divertito da matti. Poi sono venuto a Milano e, lavorando in cantina come diciamo noi, da solo senza contatti e conoscenze, usando delle semplici fotografie su un catalogo di navi tedesche, con la sola indicazione di larghezza e lunghezza, ho fatto quella che io credevo essere una nave in scala di una motosilurante classe Jaguar, che sarebbe l’evoluzione post bellica delle molto più famose S-boote della 2° guerra mondiale. Ero sinceramente convinto di aver fatto chissà che cosa, anche se l’opera viva, che nelle foto non era visibile, era tutta di mia totale invenzione. Fatto sta che un giorno che ero al laghetto provando e cincischiando, non avendo radiocomando né altro, con questo modello in acqua per vedere se almeno andava diritto, mi avvicina un signore, mi chiede alcune cose e mi invita ad iscrivermi al suo club modellistico. Tale signore si chiama Fulvio Cucci ed è il fondatore e l’allora presidente del Gruppo Modellistica Sestese. Iscrivendomi ho quindi scoperto l’associazionismo, lo stare insieme a gente che ne sapeva più di me. Fu così che la mia convinzione di essere bravo, basata in primo luogo sulla totale mancanza di confronto, si ridimensionò alquanto e capii che solo frequentando altri modellisti sarebbe stato possibile fare un deciso salto di qualità. In ogni modo con la mia “ciofeca”, i soci del GMS mi han- no spinto a partecipare a delle gare di campionato a “linea diritta”. (Una categoria “Naviga” di gare dinamiche, concepita per incoraggiare i neofiti alle gare, anche se privi di qualsiasi tipo di radiocomando). Questo tipo di gare consisteva nel percorrere, con barche a motore senza radiocomando, un campo di 10 x 100 metri delimitato da boe. Era suddiviso in due categorie EK per barche riprodotte in scala, ed EX per tutti gli altri scafi di ogni forma purché galleggiassero e navigassero. Date le qualità da “ciofeca” e l’assoluta mancanza di documentazione del modello, a dispetto dei miei onesti convincimenti, fui forzato a partecipare nella classe EX. Ma mi rifeci con onore, vincendo per ben tre anni consecutivi il campionato italiano della categoria. Come si suole dire, l’appetito viene mangiando e, trovato un interessante libro sulle motosiluranti, rimasi “fulminato” dalla motosilurante Vosper Thornicroft “Brave Borderer – P-1011”. La lezione dello scafo precedente mi era servita e così scrissi in Inghilterra per avere disegni e foto ufficiali; in seguito feci molte ricerche e trovato molta documentazione, e devo dire che per quell’epoca, la mole di materiale raccolto poteva considerarsi davvero notevole. Quando poi ho voluto trasformarla in navigante ho avuto grosse difficoltà, perché ho scoperto a mie spese il significato del rapporto peso / potenza. In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 9 Intervista ad un Modellista Il modello (questo è il mio primo che posso definire tale) esiste ancora, anche se in cattive condizioni ed è nella mia casa al mare che funge anche da deposito di molti dei miei modelli. È stata realizzato in scala 1:25 perché secondo un mio personale punto di vista, il navigante sotto il metro di lunghezza non funziona bene, più che un modello che naviga sembra un giocattolino. Dopo questa esperienza, in tutti i casi stimolante, e visto il problema della velocità in scala, ho deciso di cambiare soggetto e così ho scelto una barca “pacioccona” e simpatica: un rimorchiatore. In questo mi ha aiutato il fatto che i miei genitori erano originari di Genova e io frequentavo sovente il mare Ligure. Frequentavo spesso parenti e conoscenti che vivevano del mare, e per tali conoscenze mi riusciva facile visitare tutto il porto di Genova, quando questo, allora, era riservato solo ad una certa “elite”. Mi fu quindi possibile fare decine di fotografie del rimorchiatore Cile, anche se a quei tempi non esistevano le digitali. Sempre tramite le conoscenze riuscii ad avere dalla “Rimorchiatori Riuniti” anche i disegni, originali da cantiere, completi del medesimo. Il Cile è il vecchio e tipico rimorchiatore dall’aspetto pacioso di un tempo e non altamente tecnologico come gli odierni rimorchiatori che hanno sì acquistato in 10 manovrabilità e precisione di moto, ma come anche le altre navi, del resto, hanno perso quel loro vecchio fascino. Ho quindi fatto il modello in scala 1: 25, totalmente autocostruito, con tecniche un poi mie; lo scafo è in legno rivestito di vetroresina, anche se nella realtà è in metallo. DOMANDA. Allora adesso ti chiedo di parlarmi della dovuta o non dovuta fedeltà dei materiali per fare un buon modellismo. RISPOSTA. Il modellismo per me è sopratutto apparenza, un modello ben fatto deve apparire vero. Non deve necessariamente essere in tutto e per tutto uguale al vero, intendo dire che non è necessario che le varie parti siano dello stesso materiale del vero ma, molto più semplicemente, debbano apparire uguali a quelle vere. Quando l’osservatore, nel guardare il modello “vede” quello vero, lo scopo è raggiunto. Ecco perché io uso molto la plastica, la maggio- ranza dei miei modelli rappresentano navi metalliche e con la plastica si possono facilmente e felicemente riprodurre parti che nella realtà sono metalliche. Con la plastica risulta più facile riprodurre oggetti complicati, si incolla rapidamente e permette un lavoro rapido e preciso. La plastica è a metà strada tra il legno ed il vetro: si taglia col seghetto come il legno, oppure si spez- In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 Intervista ad un Modellista za come il vetro (senza il pericolo di tagliarsi!). Poi c’è la resina: soprattutto quando si tratta di fare numerose copie dello stesso pezzo anche con una buona manualità diventa difficile farli in maniera identica, a meno di mettere in conto un certo numero di scarti. Con la resina, basta fare un solo esemplare, chiamato in gergo : Master, che poi si riproduce sempre uguale nel numero di copie desiderate con la resina e gli stampi in silicone. Per facilitare le colate ed avere un prodotto finale senza difetti, le odiate bolle che si producono nella fusione della resina versandola nello stampo, mi sono costruito la centrifuga che tu hai fotografato, ideale specie per i particolari di piccole dimensioni. È pur vero che non tutto è riproducibile in un solo stampo, così a secondo del soggetto necessitano più stampi, ma comunque sempre uno solo per ogni sotto-pezzo che compone il soggetto. I cannoni di un vascello o di una nave moderna sono il tipico esempio per l’uso di tale tecnica. Molti contestano questa tecnica e considerano più giusto tornirli in ottone o comprarli nel metallo che trovano per la loro scala. Già, ma i cannoni antichi erano in bronzo (non ottone) o raramente in ferro... e allora perché non farli in resina e colorarli in maniera adeguata e veritiera ? DOMANDA. Forse è per questo che il tuo amico Pilani ti definisce Plasticaro? RISPOSTA. Si io iniziai ad essere plasticaro quan- do il lavoro non mi lasciava molto tempo per il modellismo e la famiglia poco spazio. Fare modellismo plastico richiede molto meno spazio e altrettanto meno attrezzature, ed è da quel periodo che tutti i miei modelli, navali e non, naviganti e non, sono fatti in scala 1:72 (o 1:75 che è con essa compatibile). I modelli di plastica, sostanzialmente da Kit, sono praticamente già fatti e l’abilità del singolo modellista si estrinseca in primo luogo sulla finitura superficiale, sulla verniciatura e sull’invecchiamento. Sempre da quel periodo viene anche l’idea dell’uso dell’omino in scala (che io chiamo scherzosamente Gedeone), anche se l’idea non è mia, ma nasce dal lavoro che ho fatto come professione. Ho lavorato nel petrolchimico, e devi sapere che la progettazione di un impianto, negli anni pre-CAD 3D, è stata parimente fiancheggiata dalla costruzione di un modello in scala, che era fatto per capire e vedere la fattibilità di tutto il complesso (veramente molto complesso). Tutto ciò allo scopo di verificare e controllare la sua fattibilità esecutiva e la sua operatività gestionale e manutentiva. Nel modellino industriale era di normale uso la figura di un omino in scala con una posa che forse ricorda un saluto che si può facilmente definire “nostalgico”. È raffigurata una persona eretta con una mano appoggiata sul fianco e l’altra mano al- In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 11 Intervista ad un Modellista zata e tesa verso l’alto. La mano sul fianco dà la misura minima per il passaggio nei cunicoli e la mano tesa in alto la massima altezza per le eventuali valvole da manovrare. Gli addetti alla costruzione di questi modelli (pe- troliferi e petrolchimici) adoperavano materiali plastici: lastre, tubi, tralicci, gru, e omini , tutti rigorosamente e solamente in scala 1:33,3 (scala di derivazione USA). Frequentare l’ufficio modello e quindi copiare le tecniche in uso mi ha portato ad approfondire la conoscenza sul materiale plastico ed i trucchi per come costruirmi i particolari. Da qui si è anche affinata in me la capacità di “leggere” i particolari che meglio valorizzano un modello e di usare questo materiale per cose a volte impensabili. Dal modello che hai fotografato puoi vedere che anche le bandiere in testa d’albero sono in plastica. DOMANDA. Tu sei anche presidente di una associazione modellistica qui a Sesto San Giovanni il Gruppo Modellistico Sestese (GMS)? RISPOSTA. Come già detto, sono in questo gruppo fin da ragazzo. In GMS non ci sono esclusività o gelosie e quindi nel mio periodo della plastica ho fatto anche parte del CMPR (Club Modellismo Plastico Ravenna – sezione di Milano) Tale distaccamento, un tempo attivissimo e arcinoto, si ritrovò improvvisamente senza sede e senza nome e rischiava di estinguersi. Fu quindi 12 conseguenza naturale il travaso dei componenti di tale Club nel GMS, del quale ultimo io ero già di fatto il presidente. Nei molti anni trascorsi e varie vicissitudini, siamo arrivati ad oggi con un numero variabile tra i 25/30 soci. Col tempo i “plasticari” puri si sono parecchio dispersi e oggi siamo quasi esclusivamente un club navale, sia navigante che statico, sto però notando una tendenza dei naviganti nel cercare una maggiore fedeltà nell’esecuzione dei modelli e quindi di portarsi nello statico, non disdegnando l’uso della plastica e della resina. Questo anno abbiamo celebrato i 40 anni di vita del GMS con una importante mostra modellistica. DOMANDA. Da modellista a tutto campo che consigli ti senti di dare ad un principiante? RISPOSTA. Ovviamente è meglio iniziare con una scatola di montaggio. In tutti i casi, prima di iniziare il lavoro è consigliabile raccogliere documentazione del soggetto che dovremo costruire. Le dimensioni della mia biblioteca la dicono lunga in proposito .... La documentazione va studiata molto bene, ci aiuterà a capire meglio quello che dovremo realizzare e come procedere nelle varie fasi. Soprattutto nel modellismo navale la velocità di costruzione è solitamente inversamente proporzionale con l’avanzamento del lavoro. Si parte baldanzosi con la costruzione dello scafo e del pon- In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 Intervista ad un Modellista te, ma dopo, quando si arriva ai particolari, molto spesso noiosi perché ripetitivi, o molto difficoltosi, si procede al rallentatore. Qui vale il consiglio che ha dato il buon Enrico Pilani: dare la precedenza ai particolari più difficili. Fatti quelli saremo sicuri di portare a buon fine l’opera. Per la costruzione dei molti pezzi ripetitivi, vale la costruzione in resina, che credetemi è meno complicata di quanto appare. Sono molti i modelli fatti da principianti, anche ben eseguiti, ma finiti con vernici sbagliate. La colorazione deve essere fatta con vernici non solo corrette nella tonalità, ma anche nel riflesso. Un modello finito con vernici perfettamente opache apparirà come di gesso, uno perfettamente lucido sembrerà di cera. Ai tempi delle macchine analogiche, si potevano fare diapositive e con queste un esperimento che, purtroppo, con le digitali non è possibile. Si riprende un soggetto reale per intero, poi si proietta la foto sullo schermo regolando la distanza del proiettore fino a che l’immagine non assume le dimensioni del modello. Fatto questo si osserva il risultato – (la foto deve essere bella nitida!): Se il soggetto reale ci appariva perfettamente opaco quando visto al vero e da vicino, visto ridotto appare leggermente lucido; al contrario per un soggetto lucido: esso appare sì lucido, ma meno di quanto ragionevolmente ci si aspetti. Il colore è un’impressione ottica che sarebbe qui troppo lunga e complicata descrivere, ma prendete per buono il consiglio: uno strato finale di trasparente semi-opaco (o semi-lucido, secondo i casi) permette di ottenere il risultato di credibilità che cerchiamo. Quando è possibile, il suddetto sistema di rimpicciolire le foto ti fa anche capire quali sono i particolari che valorizzano il modello e quali quelli non indispensabili per la veridicità del medesimo. Facciamo un esempio. La chiodatura, sia di navi di ferro che in legno. Su un sommergibile è evidente che la chiodatura è un particolare che fa premio e valorizza il modello, ma attenzione a non esagerare. Con il sistema suddetto sarà possibile scoprire come, con certi tipi di scale, la visione dei chiodi risulti quasi invisibile. Stesso discorso si può fare per il calafato delle navi di legno e per qualsiasi altro particolare minuto. Ultimo consiglio, ma forse il più importante: “nessuno nasce imparato”. Frequentare altri modellisti è sicuramente la maniera più veloce per apprendere e migliorarsi, iscrivetevi e frequentate un club modellistico, se ciò fosse difficoltoso, oggi con il computer e attraverso internet è possibile colloquiare col mondo intero..... e Magellano mi sembra un ottimo esempio. In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 13 Intervista ad un Modellista Dopo questo tuo gradito apprezzamento non mi resta che ringraziarti e salutarti. Luciano Bragonzi 14 In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 Intervista ad un Modellista In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 15 Storia di un Modello La Stella Polare Andrea Vassallo (Vass) STELLA POLARE Durante una mostra modellistica a Montichiari (Brescia), a cui feci visita, vidi uno stupendo diorama rappresentante una nave imprigionata tra i ghiacci, mi avvicinai, una vocina all’interno della mia testolina mi diceva, ”avvicinati guardala bene perché sarà il tuo prossimo modello” ed infatti così fù, con la mia nuova telecamera di allora, che montava cassette VHS, la ripresi in tutta la sua bellezza, il modello giaceva su un fianco imprigionato dai ghiacci quasi privo di tutti i pennoni, senza vele e con un’intensa attività tutto intorno di slitte, cani, uomini atti a scaricare materiale dalla nave per portarlo in un paio di tende costruite poco lontano. Fui affascinato da quel modello di cui non sapevo assolutamente nulla, lessi il nome a poppa, era la Stella Polare. 16 Fu così che inizia una scrupolosa ricerca per sapere la storia di quella nave, parliamo di circa 1718 anni fà Ai tempi internet non era alla portata di tutti e non circolavano le informazioni che possono circolare oggi. Dunque tra biblioteche, musei e associazioni modellistiche riuscii a risalire ad un magro bottino di informazioni ed ai preziosi disegni della nave in possesso dell’Associazione NaviModel di Milano. Tra queste l’informazione più interessante fu quella che in circolazione c’erano alcune copie di un libro che la casa editrice Hoepli aveva stampato molto tempo addietro, intitolato “La Stella Polare nel mar Artico” feci di tutto per trovare il libro finché in una bancarella di libri usati ne trovai una copia malconcia ma ancora leggibile che ancora oggi tengo come una reliquia. In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 Storia di un Modello pensato di betulla da 5 mm, un ottimo compensato a 5 strati indistruttibile nel tempo e indeformabile, se ne trova partendo da uno spessore da 0,4mm in sù, si lavora molto bene, anche se costa un pochino lo consiglio a tutti i modellisti. Ma parliamo della nostra stella polare, mese dopo mese prendeva forma lo scafo di una nave goletta a tre alberi, trinchetto a vele quadre, maestra e mezzana con picco e boma. Lo scafo fu rivestito con listelli di tiglio da 1,5x10mm, non badavo a rispettare le misure in scala di questi poiché poi il tutto andava verniciato di bianco e non si sarebbe più visto niente. Finito il fasciame stuccato e carteggiato, la parte interna fu “calafatata” con garza imbevuta di vinavil, questo dava maggior robustezza al modello, mentre la parte esterna fu verniciata con due mani di vernice bianca oliosintetica con pistola a spruzzo. Fatto ciò segnai la linea di galleggiamento e verniciai l’opera viva di verde come descritto sul libro acquistato, a vernice ancora fresca gli soffiai Nel libro c’era la storia della spedizione del Duca degli Abruzzi Luigi Amedeo di Savoia alla conquista del Polo Nord con la nave Stella Polare. Iniziai i primi studi del disegno in scala 1:50, il primo pensiero che mi venne alla mente fù dove collocare il modello una volta finito, naturalmente compreso di bacheca che in questa scala avrebbe avuto una misura di: lunghezza cm130, larghezza cm 50 e altezza cm 80 , questo quesito avrebbe determinato la riduzione o no delle dimensioni del modello e di conseguenza l’aumento della scala di riduzione. Fui fortunato perché in casa avevo giusto un posticino che poteva accogliere il modello nella sua scala originale. Nella mia cantina attrezzata a laboratorio modellistico iniziai a tagliare chiglia e ordinate in comIn viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 17 Storia di un Modello contro della sabbia, questo per simulare le incrostazioni marine che si formano tutto intorno al bagnasciuga (linea di galleggiamento) di una nave quando questa rimane per lunghi periodi in acqua, accentuandola in alcune zone del tipo pala del timone e nel perimetro del bagnasciuga oltre qua o accessorio che doveva essere presente sui ponti in modo da sapere la loro esatta collocazione. Fatto ciò incollai i falsi ponti e li rivestii con listellini tagliati a misura seguendo lo schema della posa del fasciame reale sui ponti. Incollato e asciugato iniziai l’invecchiamento del- e la dell’opera viva. Tutto ciò per dare al modello una parvenza di invecchiamento, a parer mio invecchiare un modello vuol dire dargli un’anima, l’invecchiamento è l’impronta che lascia sia l’uomo che il tempo, dunque se si vuol riprodurre un modello e lo si vuol collocare in un certo periodo storico vissuto dalla nave reale, non si può escludere l’invecchiamento o l’usura a meno che non sia appena uscita dal cantiere di costruzione. Finito lo scafo fu il turno dei falsi ponti, che furono ritagliati sempre in compensato e una volta accertato che si inserivano nel modello, prima di incollarli segnai a matita su di essi ogni particolare le tavole, facendo prima prove in pezzi preparati precedentemente per lo scopo e con vari prodotti tipo bitume di giudea ,olio di lino cotto, cenere e aniline varie, otenni la tonalità che mi soddisfaceva quindi l’applicai ai ponti. La costruzione dei vari particolari del modello (io sono un amante dei particolari) mi portò via parecchio tempo, cercai di ricostruire tutto ciò di cui venivo a conoscenza, in questo oltre al libro mi venne incontro un altro disegno di cui venni a conoscenza durante una visita ad una fiera di modellismo, in uno stand era esposto un magnifico disegno della stella polare disegnato dall’Ing. Bonassi, 18 In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 Storia di un Modello fui folgorato da quei disegni molto particolareggiati e chiari che ne comprai subito una copia direttamente dal suo autore con cui mi soffermai per più di un’ora a parlare della nave e delle sue ricerche fatte al museo di Sande Fjord in Norvegia. I nuovi disegni differenziavano da quelli di NaviModel in molti particolari, specialmente nell’alberatura che ho dovuto rifare completamente, ciò era dovuto al fatto che i disegni di NaviModel provengono da un modello di uno sconosciuto modellista dal quale fu copiato il modello tuttora esposto al museo della Scienza e della Tecnica di Milano che ricostruisce la nave al ritorno dal Polo senza pennoni, boma e picchi e al quale per esigenze di festeggiamenti fu montata un’attrezzatura non sua. Tra fare e disfare il tutto mi impegnò per 6 anni, ma alla fine di tutto questo tempo e lavoro mi rimane l’immensa soddisfazione di aver ricreato un pezzo della storia della marineria Italiana. Andrea Vassallo In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 19 Angolo del Principiante Costuiamo un gozzo parte 1ª Francesco Garofalo (Alimurimeta) Premessa Con questo mio scritto ho intenzione di fornire una piccola guida pratica alla costruzione di un modello navale in legno che sia di aiuto per tutti coloro che si cimentano per la prima volta in tale attività. Proprio nello spirito della massima chiarezza e didattica ho deciso di utilizzare, quale modello dimostrativo, il kit del gozzo mediterraneo da pesca, fornito dalla ditta Mamoli. Tale kit appartiene ad una serie espressamente dedicata ai principianti del modellismo navale. Comunque sono state apportate delle modifiche per rendere più elegante questo modello, senza complicare troppo la sua costruzione. Contenuto del kit Partiamo quindi con il commentare il contenuto del kit e la qualità Dei materiali. Come prima cosa si osserva la presenza di uno scafo prefabbricato ottenuto mediante fresatura 20 CNC di un blocchetto di faggio. Quindi avere a disposizione uno scafo bello e pronto è un bel risparmio di tempo, ma soprattutto un’agevolazione per il neofita. Nel complesso il risultato ottenuto è buono, anche se bisogna verificare e rettificare un po’ la scanalatura per l’alloggiamento della chiglia e dell’impavesata. Nel kit è presente tutto il necessario per la costruzione del modello, come listelli in varie essenze e sagome, impavesate già tagliate, stoffa per le vele e la minuteria di finitura ed in quantità sovrabbondante rispetto al necessario (in caso di rottura di un pezzo si può rimediare). La qualità dei legni è nella media dei kit in commercio, mentre sono di fattura decisamente buona gli accessori in metallo bianco, come elica, passacavi, gallocce e ancora. Viene fornito un foglio contenete le fasi di montaggio con i relativi disegni esemplificativi e i disegni in scala 1:1 dei pezzi da tagliare per ottenere la chiglia e il timone. In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 Angolo del Principiante FASI DI COSTRUZIONE 1. La prima operazione da fare è quella di leggere attentamente le istruzioni contenute nel kit, al fine di definire un percorso logico e la successione delle fasi di costruzione. Di fatti alcune attività di montaggio hanno una priorità maggiore rispetto ad altre. Invertire la sequenza logica delle fasi di costruzione può portare ad errori e complicazioni nella realizzazione del modello. 2. Dopo la lettura delle istruzione e una ricognizione dei disegni, si passa alla fase di montaggio vera e propria. Seguendo le istruzioni ci viene chiesto di effettuare il taglio dei componenti della chiglia e del timone. Dunque per prima cosa dobbiamo recuperare i disegni di tali pezzi. Il progetto prevede di ritagliarli direttamente dal piano di costruzione. Io suggerisco di fare una fotocopia degli stessi in modo da disporre sempre dell’originale se fosse necessario riprodurre tali pezzi. 3. Ciò fatto si passa alla fase di incollaggio dei disegni sui listelli in legno da 2 mm di spessore. N.B. I pezzi della chiglia sono ottenuti con listelli da 20 x 2 mm e 18 x 2.Verificate tali misure prima di incollare i disegni poiché il dritto di prua è più largo rispetto alla chiglia e al dritto di poppa. Per tale operazione io utilizzo colla per carta in stick tipo UHU. La colla fa presa subito, quindi si può passare alla fase di taglio. 4. Per eseguire il taglio si utilizza una sega ad archetto per lavori di traforo a mano. Sene trovano a buon mercato nei centri di bricolage (meno di 10 €), complete di un set di lame aventi denti di vario passo. Esistono anche seghe da traforo elettriche come quella mostrata nella foto precedente, ma l’acquisto è sconsigliabile per un principiante (circa 140 €). Dopo un po’ di olio di gomito valuterete se continuare con la seghetta a mano o passare ad una elettrica. 5. Dopo avere tagliato tutti i componenti della chiglia (nonché il timone e gli stabilizzatori), si passa alla rimozione della carta da disegno. Tale operazione si esegue bagnando la In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 21 Angolo del Principiante carta con dell’acqua calda per pochi secondi. La stessa si imbibisce e si stacca con facilità. Dopo aver staccato la carta si consiglia di lavare i pezzi con acqua calda per rimuovere i residui di colla. 8. Dobbiamo ora procedere alla rifilatura della chiglia mediante impiego di lime e tamponi di carta abrasiva. A tal proposito io impiego carte con grana che va dal 100 al 400 a seconda debba sgrossare o levigare. 6. I pezzi della chiglia devono essere provati “a secco” ovvero senza colla, per verificare se si incastrano bene tra loro e nella scanalatura presente sullo scafo. Quasi certamente è necessario eseguire qualche aggiustaggio ovvero levigare un po’ le estremità dei pezzi poiché risultano sovrabbondanti. Forse è necessario rettificare anche la scanalatura nello scafo, soprattutto a poppa e prua, al fine di garantire la migliore giunzione possibile del dritto di poppa e prua con lo scafo. 9. Passiamo ora a preparare lo scafo per l’incollaggio delle impavesate ovvero della parte superiore delle fiancate del gozzo. Dobbiamo verificare che la profondità dell’incavo presente nello scafo sia almeno pari allo spessore dell’impavesata ( 1 mm ). Nel mio caso il bordo è risultato ben sagomato e preciso, ma in altre scatole non è sempre tutto ben fatto. Pertanto, se necessario, bisognerà ripassare con una limetta quadra la scanalatura al bordo della scafo. Ciò detto si passa a verificare il profilo dell’impavesata e se necessario si rettifica con carta abrasiva e limette. N.B. E’ importante che l’impavesata coincida il più possibile con il bordo dello scafo, al fine di evitare la presenza di spazi eccessivi tra di essi. Comunque non preoccupatevi troppo, visto che tale giunzione verrà nascosta dal listello di bordatura dell’impavesata con lo scafo. 7. Una volta verificato che i pezzi si incastrano alla perfezione, si può procedere con la fase di incollaggio degli stessi allo scafo. Il collante che ho utilizzato è la colla alifatica, cioè una sorta di vinavil che ha il vantaggio di cristallizzare quando asciuga e dunque è carteggiabile (non fa pallini se ci passate la carta abrasiva). 10. A questo punto dobbiamo rifilare lo scafo per rendere più omogenee e continue le linee dell’impavesata con quelle dello scafo. Tale operazione si può eseguire con una lama di taglia-balsa ben affilata e con carta abrasiva 100-120. Francesco Garofalo 22 In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 Schede Monografiche Giordano Gagianesi LA GOLETTA Questo tipo di barca fu “inventato” in Inghilterra, proliferò negli Stati Uniti per poi diffondersi anche nel Mediterraneo. La goletta fu una delle più belle imbarcazioni fra le tante che popolavano i nostri mari all’epoca della marina a vela; la popolarità tra gli armatori era grande alla fine dell’ottocento perché essa era manovriera, veloce e poco dispendiosa sia per l’attrezzatura che per il numero dell’equipaggio. Il pescaggio era limitato, circa 2,30 metri a pieno carico, questo permetteva l’accesso anche agli approdi minori. La suddivisione dei volumi sottocoperta era quella classica: l’alloggio dell’equipaggio a prua ed una cabina per il comandante o armature, ed eventualmente il secondo a poppa. Tutto il resto dello spazio era riservato al carico. La velatura è esclusivamente di taglio: due grandi rande, controrande, trinchetti, due fiocchi ed un controfiocco. Non sappiamo di preciso quando fu costruita la prima goletta italiana, ma presumiamo che ciò sia avvenuto nell’ultimo quarto del 1700. Come per il cutter, la spinta per la diffusione presso i nostri cantieri l’hanno data le operazioni della flotta inglese nel Mediterraneo, nel corso delle incessanti guerre combattute nella seconda metà del 700. Zona di diffusione Piani costruttivi Disegno della Goletta Modelli eseguito da Giordano Gagianesi Tutta la documentazione è stata tratta dalla rivista Yacht Digest di alcuni anni fa. Ed il modelli è stato realizzato seguendo l’articolo. Documenti italiani riportano il termine originale inglese schooner, ed i liguri coniarono il termine “scuna” con il quale furono denominate queste navi. In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 Giordano Gagianesi 23 Botta e risposta Posta o e-mail dei nostri lettori Simona Aglitti (Simo) Quinti • Egr. Sig. Mercato, potrebbe, per favore esplicitare meglio l’argomento sui “quinti”, che molti autori assimilano alle ordinate? I “quinti” si trovano soltanto nella parte prodiera, o lungo tutto lo scafo della nave? L’angolo di “Quartabuono” o “Quartabono” è presente soltanto sulle ordinate di prora, o anche su quelle di poppa”? Può indicare la fonte della sua argomentazione? Grazie Antonino • Sig. Antonino, grazie per aver posto un quesito, che, per la sua notevole importanza, coinvolge la sfera della progettazione navale del tardo medioevo e primo rinascimento: interessando anzitutto le Navi Lunghe o Galee, e successivamente le Navi Tonde, chiamate pur anche Navi di Linea (ricordo ancora che io mi occupo solamente di naviglio militare da combattimento). Ovviamente sono in grado di sviscerare in largo ed il lungo l’intero argomento, e ringrazio il vecchio Amico Antonio Barbagallo (in grado di farlo altrettanto bene e se possibile anche meglio di me), ma la cosa risulterebbe assai copiosa per un forum. Anche la documentazione, relativa alle fonti in mio possesso che mi hanno autorizzato a scrivere ciò che ho scritto, risulta moderatamente copiosa e al momento non mi pare il caso di citarla: in ogni caso si tratta di documentazione assolutamente di prim’ordine! Giacché conoscete il mio modo di presentare gli argomenti, visto che fortunatamente c’è sempre qualche Magellasese che interviene per rendere comprensibili le mie spiegazioni, suggerisco a questi volenterosi di cominciare col rispondere loro ai tanti quesiti da Lei posti. Più in là, eventualmente ce ne fosse necessità interverrei con ulteriori approfondimenti. Tuttavia, per il momento, senza entrare nel merito delle origini e del perché e dell’evoluzione tecnicostorica delle cose, mi limito a dare queste sintetiche ed ermetiche risposte: 1. I Quinti, sono quelle Costole o Forme Trasversali dello Scafo che, studiate empiricamente prima e scientificamente dopo, una volta messe in opera 24 sulla Chiglia etc., consentivano di applicare il Rivestimento Esterno (eventualmente non tutti i Corsi di Fasciame Esterno) e successivamente venivano preparati ed adattati internamente allo Scafo le varie Costole che, in questo caso venivano chiamate Costole o Forme di Riempimento. 1.a. In un certo momento dell’evoluzione delle Costruzioni Navali, i Protomaestri bizantini, brindisini, veneziani ..... furono in grado di prevedere scientificamente lo sviluppo geometrico di tutte le Costole (e non solamente i Quinti ovvero quattro no ed una sì, quattro no ed una sì) grazie all’introduzione dei “Metodi di Riduzione” e le relative “Scale delle Proporzioni” . 1.b. I Quinti rappresentarono il principale Elemento Strutturale che consentì la transizione, relativamente veloce, dalle Costruzioni a Guscio alle Costruzioni a Scheletro. 1.c. I Quinti generalmente vengono collocati lungo l’intera estensione longitudinale dello Scafo, ma era molto diffusa la prassi di assemblare tutte le Costole o Forme Trasversali prossime alle Ruote delle Navi Lunghe e Ruota Prodiera e Dritto di Poppa delle Navi Lunghe che, ad un certo momento, assumeranno il nome di Ordinate, Forme o Costole Deviate, perché applicate non perpendicolarmente alla Chiglia/Ruote, ma in maniera radiale incrementandone così il coefficiente di robustezza. 2. Il Quartabono è presente su tutte le Costole Forme o Sezioni Trasversali dello Scafo: compreso la Sezione Maestra! Certo, sulla Sezione Maestra, risulterà appena appena percettibile e, a rigore, positiva su metà spessore e negativa nell’altra metà dello spessore longitudinale delle Costole: gli angoli di Quartabono aumenteranno mano mano ci si allontana dalla Sezione Maestra avvicinandosi alle estremità Scafo, ed infine, in prossimità delle estremità, subiranno delle ulteriori modificazioni strettamente correlate agli specifici impieghi degli Scafi. Grazie per l’attenzione e buona domenica a tutti Giuseppe MERCATO (warship@alice. it) • Grazie, sig. Giuseppe, per avere accolto il mio invito a esplicare l’argomento su Quinti e angolo di In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 Botta e risposta Quartabuono, perché lo ritengo fondamentale nello sviluppo storico dell’architettura delle Navi, e particolarmente per noi, che cerchiamo di riprodurre, quanto più correttamente possibile le strutture dei modelli che costruiamo. Pur aspettando altre risposte a quelle che Lei, cordialmente, ha esposto, converrà, spero, sul fatto che non è poi così coltivato questo angolo di conoscenza. Anzi, nonostante Lei abbia scritto che molti autori usano erroneamente la parola quinti, con le mie scarse capacità di ricerca non sono riuscito a trovare nulla salvo che Quinto come “sinonimo” di Ordinata e Costola, anche fra Autori italiani e stranieri, ritenuti di grande esperienza modellistica. Ad onor del vero, è corretto menzionare un’altra voce fuori dal coro: Luciano Bragonzi, il quale, in un articolo, pubblicato su Magellano: “Il legno sul mare”, nella rubrica “Architettura Navale”, alla pag. 5-17 scrive testualmente: “... A volte viene usato il termine QUINTI per indicare le ordinate; ciò deriva dal fatto che nella costruzione di barche di piccola dimensione, usavano questo termine per le cinque ordinate che venivano impostate per prime sulla chiglia e sulle quali si montavano dei listelli provvisori che determinavano la forma della barca, e quindi di tutte le altre costole, dello scafo ed anche il QUARTABUONO. - Con questo termine si intende l’inclinazione che deve avere il lato dell’ordinata che aderisce al fasciame esterno dello scafo.” La prego di scusarmi se forse è un po’ pochino l’appiglio usato e magari non tanto appropriato. Grazie ancora per l’attenzione. Antonino Quartararo aquarrorata@ libero.it • Caro Antonino noto con immenso piacere che il tono del forum si innalza sempre di più, e questo ovviamente a giovamento di tutti. I quinti hanno preso il loro nome proprio perché erano i primi cinque che venivano impostati sulla chiglia e che davano grosso modo già all’inizio quella che sarebbe stata la forma dello scafo. Si divideva approssimativamente la lunghezza dello scafo in cinque parti e li venivano posizionati a vari quinti. Procedendo da prua verso poppa si aveva 1° quinto della gru (di capone); 2° delle mure; 3°di maestra; 4° delle scotte; 5° delle alette. Il secondo ed il quarto venivano pure chiamati “ di bilanciamento”. cordialmente antonio • Egr.Sig. G.Mercato Mi permetta di inserirmi nella sua gradevole e dotta spiegazione in quanto nella mia totale ignoranza in materia, non riesco a capire alcuni passaggi che andrò subito ad evidenziare: Punto 1: Parlando dei quinti è conoscenza comune che il loro utilizzo consentiva di applicare il rivestimento esterno, ma tra parentesi lei scrive testualmente “eventualmente non tutti i Corsi di Fasciame Esterno “, vorrei capire quale corso di fasciame poteva non appoggiare sui quinti. Punto 1a: Il Protomaestro, e qui mi sono documentato e lo spiego anche agli amici che non sanno chi sia, è colui che aveva il compito di tracciare il primo asse centrale della galea, oltre ad altre mansioni tipo quello di ricercare e segnare gli alberi da abbattere per la stagionatura e l’utilizzo in arsenale per le costruzioni navali. Quindi, mi corregga se sbaglio, il protomaestro corrispondeva al maestro d’ascia? Prima dell’evoluzione delle costruzioni navali mi sembra di capire che si era in grado di prevedere scientificamente solo lo sviluppo del quinto per cui le altre quattro costole andavano sulla scia del quinto da li “quattro no ed una si” e naturalmente la denominazione di quinto....ho capito bene!!!!! Punto 1b: Come costruzione a guscio intende quelle tecniche in cui si costruiva partendo dal fasciame ed inserendo le costole successivamente?? Se l’ho tediata con questa mia mi scuso anticipatamente. Vass • Carissimi Andrea Vassallo, Antonino Quartararo, Antonio Barbagallo e Tutti i Magellanesi (nessuno escluso), con vivo piacere rilevo che l’interesse per gli argomenti tecnico-scientifici comincia a diffondersi e manifestarsi in maniera pressante e variegata. Tuttavia, non è infrequente il caso in cui le domande poste, poggino su presupposti o supposizioni che per primi andrebbero verificati e solo successivamente, eventualmente con maggiore cognizione di In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 25 Botta e risposta causa porre i quesiti o quant’altro ritenuto di comune utilità. Un esempio chiarificatore di ciò che intendo dire, mi permetto estrarlo da quanto mi è stato indirizzato da Vass: Punto 1 Parlando dei quinti è conoscenza comune che il loro utilizzo consentiva di applicare il rivestimento esterno, ma tra parentesi lei scrive testualmente “eventualmente non tutti i Corsi di Fasciame Esterno “, vorrei capire quale corso di fasciame poteva non appoggiare sui quinti. Per chiarezza, riproduco esattamente la frase che ha fornito lo spunto a Vass di porre la sua domanda o personale interrogativo. 1. I Quinti, sono quelle Costole o Forme Trasversali dello Scafo che, studiate empiricamente prima e scientemente dopo, una volta messe in opera sulla Chiglia etc., consentivano di applicare il Rivestimento Esterno (eventualmente non tutti i Corsi di Fasciame Esterno) e successivamente venivano preparati ed adattati internamente allo Scafo le varie Costole che, in questo caso venivano chiamate Costole o Forme di Riempitento’. Prima di rispondere alla domanda: .....””quale corso di fasciame poteva non appoggiare sui quinti ?””, è doveroso analizzare la porzione di frase che fece sorgere la domanda di Vass. ...... I Quinti consentivano di applicare il Rivestimento Esterno (su ciò sicuramente Vass concorderà perfettamente); (eventualmente non tutti i Corsi di Fasciame Esterno) questa specificazione era e rimane l’inserimento di una parentesi con la quale si dà una informazione secondaria e/o addizionale rispetto quella principale od oggetto dell’argomentazione. Ecco dunque il significato di quanto ermeticamente contenuto tra parentesi. Attenzione quello che stò per scrivere, necessariamente sarà sintetizzato al massimo e si rifà a generalizzazioni che da sole richiederebbero (cosa peraltro fattibilissima e che potrei agevolmente fare in sedi, contesti e modalità ben definite) degli interventi mirati e di più ampio respiro! a) Una volta applicati i Quinti si procedeva ad effettuare la Fasciatura Esterna dello Scafo; b) dopo la Fasciatura Esterna dello Scafo, si procedeva ad applicare le Costole di Riempimento, cioè le quattro 26 Costole poste tra due Quinti consecutivi. Bene: la Fasciatura Esterna detta in a) non necessariamente doveva svolgersi e concludersi in un’unica sequenza temporale di applicazione di tutti i Corsi di Fasciame esterno. Ed infatti, per facilitare proprio l’applicazione dei Corsi di Fasciame Esterno si preferiva alternarli proprio per consentire di utilizzare appropriate legature e l’applicazione dei cunei contrapposti di serragio e vincolo che obbligavano il Corso di Fasciame (in fase di assemblaggio sullo Scafo) ad appoggiare perfettamente sulle facce esterne dei Quinti (Quartabono) e sul bordo laterale scoperto del Corso di Fasciame già presente. Naturalmente, alla fine, tutti i Corsi di Fasciame erano applicati e poggiando correttamente su tutti i Quinti e Costole di Riempimento (grazie ad un corretto metodo di esecuzione dei Quartabono) ne assicuravano la corretta solidità e preparazione per le successive operazioni di “calafatura”. Non mi sono mai sognato di pensare che qualche Corso di Fasciame potesse “volontariamente o di progetto” non appoggiare sui Quinti! Gradirei attenermi all’offerta fatta più sopra: ho notevolissime difficoltà a rispondere ai vari quesiti nei modi e nelle forme attuali, pertanto suggerirei l’istituzione di eventuali adeguati “Incontri Propedeutici” ed eventualmente “specialistici” grazie ai quali dare modo ai vari “docenti” di sviscerare ciò che sanno, con relazioni, piani, studi e le “FONTI” del loro sapere, e a conclusione di ogni argomento, dar corso alla discussione aperta ed eventualmente contradditoria, ma contestualmente con il logico percorso dell’apprendimento delle cose. A proposito del Proto o Protomaestro, mi accontento di integrare quanto da te detto, e cioè che nel tardo Medioevo, a seconda della “organizzazione e attività cantieristiche” quelle figure professionali equivalevano a quelle odierne di Direttore di Produzione uno, e Direttore di Fabbricazione l’altro. L’ingegnere Navale nascerà in Francia e in Gran Bretagna nella metà del XVIII secolo (come giustamente faceva notare Antonio Barbagallo, citando Duhamel du Monceau). Per quanto attiene la progettazione dei Quinti, non è prima dell’evoluzione delle costruzioni navali, ma ad un certo momento dell’evoluzione delle Costru- In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 Botta e risposta zioni Navali, si era in grado di “predeterminare empiricamente solamente le 5 principali Costole dello Scafo”, successivamente, furono capaci di “predeterminare geometricamente le 5 principali Costole”, ancora dopo furono in grado di “determinare scientificamente i Quinti dello Scafo” e finalmente tutte le Costole (sia Quinti che Costole di Riempimento). Per quanto concerne le Costruzioni a Guscio, sì sono quelle molto molto antiche che vivranno sino all’ IIX-IX secolo d. C. (che presentano dei criteri di costruzione altrettanto interessanti dal punto di vista tecnico-scientifico ) e che verranno appunto sostituite con le Costruzioni a Scheletro. Buona serata a tutti noi Magellanesi! Giuseppe MERCATO (warship@alice. it) p.s. Gli strafalcioni sono a mio carico e me ne assumo la paternità! però siate benevoli: grazie • Egr.Sig.Mercato Lei ha perfettamente ragione nel giudicarmi “sconsiderato” nel porle i miei quesiti, ma purtroppo non ho ne le fonti ne gli studi per poterli verificare ed è per questo che “approfitto” di persone della sua cultura per poterli approfondire. La ringrazio per la pazienza e l’attenzione che mi dedica nel colmare le mie lacune in questo campo. In quanto alla sua proposta di incontri “ Propedeutici” ne sarei ben felice di frequentarli se questi fossero in rete, ciò consentirebbe, oltre a me, la partecipazione di molti altri amici, interessati all’argomento, ma geograficamente locati a molti km di distanza da noi. Vass • Caro Antonino I quinti hanno preso il loro nome proprio perché erano i primi cinque che venivano impostati sulla chiglia e che davano grosso modo già all’inizio quella che sarebbe stata la forma dello scafo. Si divideva approssimativamente la lunghezza dello scafo in cinque parti e li venivano posizionati a vari quinti. Procedendo da prua verso poppa si aveva 1° quinto della gru (di capone); 2° delle mure; 3° di maestra; 4° delle scotte; 5° delle alette. Il secondo ed il quarto venivano pure chiamati “ di bilanciamento” . antonio • Ciao Antonio, ciao Ragazzi. Ho riflettuto parecchio sulla risposta del 12/05 u. s. e ho anche cercato un po’ di individuare la possibile posizione dei quinti che menzioni. Nella tua risposta dici: Procedendo da prua verso poppa si aveva: 1°, quinto della gru (di capone); 2°, delle mure; 3°, di maestra; 4°, delle scotte; 5°, delle alette. Il secondo ed il quarto venivano pure chiamati “di bilanciamento”. Credo di sapere che le gru di capone siano posizionate: a prua, generalmente fra le costole deviate; mentre le alette o corniere: a poppa, nella struttura dell’arcaccia, prima dello specchio di poppa. Le mure, come le scotte, essendo cavi e manovre a servizio di vele, sono diversificate e variamente posizionate sulla nave: mi viene così difficile individuare la posizione sulla chiglia dei relativi quinti 2° e 4° (di bilanciamento) . Il quinto di maestra mi fa sorgere un altro dubbio: è riferito all’albero di maestra o alla sezione maestra della nave? Considerando pure che dici anche che: I quinti hanno preso il loro nome proprio perché erano i primi cinque che venivano impostati sulla chiglia e che davano grosso modo già all’inizio quella che sarebbe stata la forma dello scafo, e siccome ritengo inverosimile un posizionamento dei quinti in funzione di una divisione matematica della lunghezza della nave, ma, più verosimilmente, in relazione al tipo di barca o nave da costruire, in merito ai quanto stiamo analizzando, è possibile vedere qualche stralcio di disegno o schizzo? Considerando l’importanza della ricerca storica, è possibile avere qualche ragguaglio? Grazie. Antonino • Caro Antonino la tua voglia di sapere è infinita e molto varia: sia nello spazio che nel tempo. Passi dai “ferri” delle gondole, ai pescherecci riadattati alle posizioni dei quinti ed al loro nome.Vedi di non andare in cortocircuito. Nella nostra prima telefonata, e spero che sia la prima di una lunga serie, abbiamo assodato che entrambi siamo dei tecnici. Per noi 1mm è una misura ben precisa, come lo è 1/10, 1/1000, 1 Amgstrom. Per noi un punto nello spazio ha significato se rife- In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 27 Botta e risposta rito ad un sistema, ed allora la sua posizione è ben definita sia con coordinate cartesiane oppure polari. Questa premessa l’ho data per non dare l’impressione di essere un “pressappochista” per quello che sto per dire. I quinti erano così chiamati perché il loro nome era derivato dal fatto che la chiglia era grossolanamente divisa in cinque parti per cui ogni parte misurava un quinto. Quanto da me riferito è stato preso dal Guglielmotti. che a sua volta si rifà allo Stratico ed al Parilli. Breve precisazione: quando si va nello studio così indietro nel tempo bisognerebbe calarsi nel periodo che si sta studiando, tenendo conto di tutti i fattori ambientali e temporali. Cosa intendo? Come unità di misura si aveva il palmo , il piede oppure il braccio. Il tempo veniva misurato col la clessidra o con la meridiana. La prima vasca di prova nacque intorno al XVIII secolo e i modelli erano da cavalli (a quale velocità?). Circa la posizione che veniva loro assegnata sulla chiglia sarebbe forse meglio chiedere quale era la prima ad essere posizionata. La risposta più logica è “ l’ordinata maestra”, non perché si riferisce all’albero ma perché è la più grande. La seconda domanda avrebbe dovuta essere: dove veniva posizionata. Tale domanda avrebbe dovuta essere posta da tempo, ma non lo è mai stata. La risposta sarebbe molto lunga perché ogni ingegnere d’allora o chi per lui aveva delle proprie teorie più o meno confermate dai fatti , ma in genere non si trovava quasi mai al centro geometrico della lunghezza della nave ( tra le perpendicolari, fuori tutto, della chiglia?). Il posizionamento degli altri quinti presuppongo avveniva in modo similare. Sono un pressappochista. Per tutta la vita ho saputo che la chiglia è composta da più pezzi uniti da incastri a palella, dove il pezzo proveniente da poppa si sovrappone al pezzo che va verso prua, questo su un piano verticale. Ebbene qualche tempo addietro in un libro, credo della serie The Anatomy of the Ship, era rappresentato un incastro a palella ma su un piano orizzontale. Un errore del disegnatore oppure corrispondeva alla realtà? Credo di non essere stato sufficientemente esaustivo e di averti fatto nascere altre domande ma posso arrivare solamente fin qui. 28 A risentirti e rileggere presto con affetto antonio • Caro Antonio, Amici tutti, la voglia della conoscenza e del sapere è connaturale con l’uomo ed è sempre infinita. Si esprime, tuttavia in molteplici sfaccettature. Teoriche e pratiche. Quello che sembra un divagare senza un apparente collegamento permette di avere una vista complessiva delle cose. La tal cosa consente, attraverso l’approfondimento, di completare la conoscenza. Conoscere la misura dei ferri della gondola, completa una ricerca iniziata alcuni anni fa, così come avverrà per il Cutty Sark, e il Trotamares fra qualche anno. Spero di non andare in Cortocircuito. La conoscenza della storia, anzi dell’archeologia, non è antitetica con la conoscenza del moderno, ne è anzi alla base, nonostante le apparenti diversità. Talvolta è la radice del presente. Il desiderio dell’uomo di rompere l’isolamento, che ha permesso di trasformare dei semplici tronchi galleggianti sull’acqua in mezzi di trasporto sempre più consoni alle necessità via via più esigenti dell’uomo, passando dalle profumate essenze delle frasche e del legno al metallo, alla resina e chissà poi a cosa, fra qualche anno; e attrezzi di lavoro: dalla pietra, all’ascia, ai mezzi moderni, elettromeccanici, informatici, tutti con lo scopo di progettare mezzi da trasporto naviganti sempre più sofisticati e per qualche verso più semplici, ma con problematiche maggiori. Infine non sono da dimenticare gli sforzi di progettazione che, partendo dalle varie esigenze d’uso dei medesimi, facendo fruttare l’intelligenza, superano la capacità di calcolo umana, rendendo possibile elevati risparmio di tempo, di energie, di risorse a beneficio della sicurezza in mare. Le risposte che ci stai dando, caro Antonio, documentabili a partire dal Guglielmotti, allora ufficiale responsabile marittimo del Vaticano che fa riferimento allo Stratico e al Parilli prima di lui, indica proprio il fervore scientifico che soggiace e il calarsi nella storia, ma sempre con la mente al presente permette di apprezzare il grande ingegno umano. Conoscere lo sviluppo della misura dello spazio, del trascorrere del tempo, l’esperienza dello studio della resistenza dell’acqua sul natante e la forma che In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 Botta e risposta doveva avere quest’ultimo per andare più veloce. Le domande cui fai riferimento le ho poste, perché, oltre che a volere conoscere il loro significato più recondito, desideravo conoscere anche le loro le loro posizioni rispetto alla chiglia, giacché tutto ha un senso. E poi c’è la questione della lingua italiana e quella marinaresca, antica per le tradizioni locali. Sto seguendo con molta attenzione le tue indicazioni relativamente al modo di costruire un modello in Ammiragliato. Non vorrei , però che si dimenticasse che il modellismo è anche divertimento, relax, esercizio per sgranchire le mani e lo spirito e arricchirlo di esperienza e conoscenza. Purtroppo il libro o i libri cui fai riferimento non ce l’ho, ma credo che darebbero abbondanti risposte in merito così come i tre articoli sull’Architettura navale di Bellabarba, pubblicati in Magellano e da me ahimè letti soltanto oggi. Per adesso, buona notte a tutti, e buona domenica Antonino • Stimati amici di Magellano, questa mattina, leggendo la risposta di Antonio alla mia prima domanda su cosa fossero e come venivano posizionati i Quinti, e collegandomi ad essa, vorrei dare un piccolo contributo a quanto scritto da Antonio il 24 maggio u. s. conscio che le notizie storiche delle quali potremmo venire in possesso aumenterebbero nella nostra passione modellistica, il desiderio di “esattezza costruttiva” e “autentica rappresentazione” nella realizzazione di modelli di imbarcazioni storiche o realmente esistite, eseguiti da alcuni di noi. Vi invito, pertanto a collaborare anche voi, facendo, quando ne è il caso, riferimento agli Articoli presenti su Magellano, e su qualunque argomento fruibile. Man mano che ho conosciuto nuove cose, mi sono reso consapevole che voi queste cose di cui parliamo le conoscete, e magari sono ovvie, ma non per la maggioranza di noi. E allora, perché non dare, magari come passatempo, con linguaggio semplice, anche un piccolo contributo personale? Anche una piccola parte di risposta. Già alcuni lo hanno fatto, ma ogni piccolo sassolino può costruire un buon edificio, se amalgamato nelle dosi e nelle modalità opportune. Ciò edificherebbe tutta la nostra “realtà”. Premetto che anch’io, che così mi esprimo, non ne avrei il titolo, in quanto sono un perito elettronico, che ha lavorato presso le Ferrovie dello Stato in qualità di capotecnico, occupandosi di tutte le problematiche tecniche del caso spesso non inerenti “strettamente” la specializzazione. Modellista per passione, ma senza preparazione †scientifica adeguata. Grazie • Caro Antonio, stamattina rileggevo le tue righe, e ricordavo di avere già letto qualcosa relativamente alla giunzione con taglio obliquo sul piano orizzontale. Non conoscendo il libro che hai citato di Harold A Underhill †del 1946. ... The Anatomy of the Ship, non ho elementi sufficienti per riflettere su questo argomento. Però sulle lunghe navi vichinghe, laddove, sulla chiglia e sul fasciame, sono presenti collegamenti fra i vari elementi, si può leggere, nel libro “Gli scavi di Oseberg” di Tholeif Sjövold (tradotto in italiano da Kolbjørn Blücher) per le edizioni di Universitetets Oldsaksamling - Oslo 1962, “(pag. 19)Ö La chiglia è formata da due pezzi che si congiungono a quattro metri dall’estremità posteriore. Le due estremità che si incastrano sono tagliate oblique in maniera che i due lati larghi si sovrappongano, e sono unite con chiodi di ferro ribaditi. Le ruote di prua e di poppa, ricavate da pezzi sceltissimi di quercia, sono unite direttamente alla chiglia col metodo dei lati sovrapposti....(pag. 20) ...le giunture delle tavole (del fasciame) sono eseguite nello stesso modo di quelle della chiglia, cioè con taglio obliquo e sovrapposizione” poi continua completando la descrizione del tipo di collegamento del fasciame “Nella costruzione navale moderna è di regola che queste sovrapposizioni siano fatte in modo che la parte esterna sia rivolta verso poppa per ridurre al minimo la resistenza dell’acqua quando la nave è in navigazione. Questa regola non è strettamente osservata per quanto riguarda la nave di Oseberg; in effetti in alcune delle giunture della parte posteriore della nave le sovrapposizioni sono rivolte nel senso inverso.” Si potrebbe pensare ad un errore, una trascuratezza nella costruzione della nave, ma l’autore continua: “L’insieme del lavoro svolto nella costruzione di questa nave è però In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 29 Botta e risposta di una qualità tale che è poco probabile che questo fatto sia dovuto a trascuratezza o incompetenza da parte del costruttore. » più probabile che sia stato fatto con un’intenzione determinata, benché ci sembri difficile spiegarlo ora.” La riflessione che fai relativamente alla prima domanda da porre, domanda su dove posizionare, rispetto alla chiglia, il primo quinto è molto interessante. Altrettanto interessante immaginare la sua dimensione. Logicamente si potrebbe pensare che si tratti della più grande, quella che determinerebbe, assieme alla chiglia, la “grandezza” della barca. Ma queste sono solo congetture. Dovrebbero parlare le notizie storiche! Quelle alle quali hai avuto la bontà di accennare. Quelle che cerchiamo sono notizie storiche che spieghino le consuetudini, e che analizzino i reperti. Parlino gli oggetti laddove non si conoscono le motivazioni delle scelte effettuate. Considerando (considerazioni personali) che sembra che ancora non si conoscessero le leggi della penetrazione di un oggetto nell’acqua, ma si osservassero i pesci, la loro forma, e si apprezzasse la loro velocità nell’acqua, è logico aspettarsi che la sezione maestra non necessariamente doveva trovarsi al centro della barca, bensì più spostata verso il lato anteriore, così come pure la posizione delle altre, lungo quella linea immaginaria che determinava la forma della barca, un po’ come in una centina alare... Ma, dove posizionarle? E che forma dare? Sicuramente dovevano essere molto significative per il tipo di imbarcazione che doveva nascere. Al momento mi fermo qui. Non vi intriga l’argomento? Antonino • Caro Antonino quando è stato il primo volo a motore della storia e da chi è stato fatto? Il 98% dei Magellanesi risponderà: i fratelli Wright senza alcuna ombra di dubbio!!!! Alla domanda quando, la percentuale si ridurrà drasticamente: non sono molti che ricordano il 17 Dicembre del 1903.La distanza coperta fu di circa 250 metri. Niente di più sbagliato!!! Eppure stiamo parlando di qualcosa avvenuta l’altro ieri. 30 Già da tempo era iniziata in Inghilterra la rivoluzione industriale, già da qualche tempo gli eventi importanti potevano essere immortalati fotograficamente se non addirittura filmati. Eppure su un evento così importante siamo male informati. Nei normali calcoli quando utilizziamo la “pi greca” consideriamo 3,14 mentre i più pignoli magari si spingono a 3,1415. In effetti dopo il cinque vi sono almeno un’altro migliaio di numeri( in effetti dovrebbero essere ancora di più). Perché una premessa di questo genere? Questi due esempi, ed il secondo potrebbe sembrare non calzare, li ho portati per dire: uno) più indietro si va nel tempo più i contorni sfumano. In Italia dove prima dell’unificazione esistevano vari stati e staterelli ognuno con la sua lingua e le sue strutture al momento dell’unificazione ha trasferito a questo stato unico tutto il suo bagaglio culturale. Ma quante cose vanno smarrite o danneggiate quando ci si trasferisce da una casa all’altra? due) il valore di pi greca con i suoi due soli decimali nella vita di ogni giorno è più che sufficiente. Cambia la storia o viene eliminata la fame nel mondo se il quinto di maestra o il quinto delle mura si trovano un pollice o un palmo più avanti o più indietro? E se invece di chiamarli quinti li chiamiamo sesti? Domenica abbiamo organizzato una gara di aeromodelli a livello regionale e nella classifica dopo il sesto abbiamo avuto un settimo e poi un ottimo. Scusa la battuta. E’ ammirevole la tua voglia di sapere. Magari c’è ne fossero di più come te! Circa le traduzioni non ti fidare troppo. Credo di averti raccontato della frase “manovre correnti” scritta in inglese e tradotta con “manovre di corsa”. Per la cronaca e per i curiosi : il primo volo fu effettuato da un francese Felix du Temple nel 1874 ma fu un tentativo. Il vero promo volo fu effettuato da Gustav Weisskopf, un austriaco naturalizzato americano, il 21 agosto 1901 con ben 2500 metri. Con affetto antonio In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 Simona Aglitti Notizie dal Web Recensioni dal Web Antonio Uboldi Robert Fulton L’Invenzione della prima nave a vapore va attribuita all’inventore statunitense Robert Fulton. La sua Clermont completata nel 1807 era lunga 45 m, larga 4,3 m e alta 19. Il motore era progettato da Watt; con una potenza di 18 CV muoveva due ruote a pale poste sui fianchi della nave e di diametro pari a 4,75 metri.. Il 17 agosto 1807 compì il viaggio inaugurale ricoprendo una distanza di 64 km alla velocità di 6,4 nodi in 8 ore. Nell’arco di trent’anni i battelli a vapore con le ruote poste a poppa (e non più sui fianchi come nella Clermont) fanno la loro comparsa in molti fiumi americani, e ancora sono attivi sul Mississippi. 1814 Varata la prima nave da guerra a vapore: dotata di doppio scafo e elica sommersa; non verrà mai usata e salterà in aria per errore nel 1829. Risorse internet www.robertfulton.org http://it.wikipedia.org/wiki/Robert_Fulton www.ulster.net/~hrmm/steamboats/fulton.html Video http://www.youtube.com/watch?v=jOfJp5b5jlQ&feature=related L’affondamento del sommergibile Iride: Le imprese eccezionali dei mezzi d’assalto italiani, durante l’ultimo conflitto, hanno acquisito nel tempo ampia popolarità, divenendo note anche a chi di storia patria ne mastica poco o non ne mastica affatto. Eppure, l’attività dei “siluri umani” iniziò con un totale fallimento. Risorse internet http://www.regiamarina.net/xa_mas/alexandria/alexandria_it.htm http://www.xmasgrupsom.com/Sommergibili/Iride.htm http://www.anaim.it/ga1_alessandria.htm In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 31 Notizie dal Web La nave invisibile Visby Un po’ come per tutte le scienze emergenti, lo studio dei cosiddetti ‘metamateriali’ è allo stesso tempo elettrizzante e complicatissimo: per essere estremamente sintetici, si tratta di materiali che hanno tra le altre una peculiarità, quella di avere un indice rifrattivo negativo. In altre parole? Rendono invisibili. Qualche tempo addietro si parlava solo di invisibilità ai radar, e ridotta possibilità di individuazione da parte di un occhio umano o elettronico. Di fatto le industrie di settore hanno sfruttato ogni genere di tecnologia e materiale per ridurre le tracce radar; le cromie dei mezzi e la pianificazione strategica militare hanno fatto il resto. Nell’ultima edizione della rivista PhysicsWorld, però, viene descritto un nuovo progetto del Britannia che punta alla realizzazione di una nave completamente invisibile (alla vista e al radar). Insomma, l’obiettivo è quello di trasformare in realtà uno dei capisaldi della letteratura spaziale fantascientifica. Risorse internet Visby, la prima nave invisibile. Ma perché non è dipinta di blu? http://www.paginedidifesa.it/2008/martinelli_081117.html http://www.marina.difesa.it/editoria/rivista/rivista/2006/ottobre/art03.asp http://futuroprossimo.blogosfere.it/2007/05/invisibilita-universita-di-liverpool.html Video http://www.youtube.com/watch?gl=IT&v=mbZUHpk2s8U Ritrovati nel vallone di Muggia i resti della corazzata «Wien» Sul fondo del vallone di Muggia, di fronte agli impianti della Ferriera, sono stati ritrovati i resti del relitto della corazzata austroungarica «Wien», affondata dal Mas di Luigi Rizzo il 10 dicembre del 1917. Da oltre cinquant’anni non veniva effettuata una ricognizione ufficiale sul sito dell’affondamento.10 dicembre 1917-Nel porto di Trieste si trovano le corazzate austriache Wien e Budapest. Luigi Rizzo compie con due MAS una ricognizione notturna nel porto. Il MAS 9, comandato da Rizzo, e il MAS 13 (capo timoniere Andrea Ferrarini) procedono a rimorchio delle torpediniere 9PN e 11PN. Alle 22.45 i MAS riescono a tagliare le reti e ad aprirsi un varco per avvicinarsi alle corazzate. Alle 2.32 vengono lanciati i quattro siluri disponibili. Due di questi colpiscono la Wien, che affonda in brevissimo tempo. I MAS rientrano incolumi alla base. Risorse internet http://www.pegli.com/luigi_rizzo.php http://mytrieste.blogspot.com/2009/02/mas-9-e-mas-13-di-luigi-rizzo-dopo.html ttp://www.angeloaquilino.it/storia/luigi_rizzo/wien.htm http://digilander.libero.it/casellidomenico/LUIGI%20RIZZO%20AFFONDA%20LA%20WIEN.htm Video http://www.youtube.com/watch?v=ZtI3Pi_Xrlk 32 In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 Rassegna di Modellismo In viaggio con Magellano n. VII - Luglio 2009 33