AIM MAGAZINE

Transcript

AIM MAGAZINE
-AIM MAGAZINEMacrotrivial
Cento anni ed è ancora trasparente!
L’avventurosa storia del cellofan
Eleonora Polo
CNR-ISOF, c/o Dip. di Chimica, via L. Borsari 46, 44121 Ferrara, Italia. Fax: +39 0532240709;
Tel: +39 0532455159; E-mail: [email protected]
Quest’anno l’antenato di tutti i materiali trasparenti da imballaggio, il cellofan, ha compiuto
cento anni. Anche se in molte applicazioni in campo alimentare è stato soppiantato da nuovi
polimeri meno costosi, tuttavia il suo nome è rimasto così impresso nell’immaginario collettivo,
che si continua a chiamare cellofan ogni tipo di foglio trasparente utilizzato per confezionare
qualsiasi oggetto.
«Cellofan/ Mister Cellofan/ puoi chiamarmi sì /Mister Cellofan /guardando
attraversarmi /sorpassarmi /e non notarmi mai». (dal musical Chicago di
Fred Ebb e Bob Fosse).
In realtà, se vogliamo proprio essere pignoli, il vero centenario è già
passato e i giornali se lo sono lasciato sfuggire, perché il cellofan è stato inventato dal chimico svizzero
Jacques E. Brandenberger nel 1908, tuttavia è stato brevettato, insieme al macchinario e alla
procedura di produzione, soltanto nel 1912 (Patent No. 1.266.766) con il nome di cellophane (da
cellulose e diaphane= trasparente, in italiano cellofan). Il nome è piaciuto così tanto che nel 1940 un
sondaggio lo ha collocato al terzo posto, preceduto soltanto da mother e memory, nell’elenco dei
vocaboli più belli della lingua inglese.
Un banale incidente al ristorante
La nascita del cellofan è stata frutto di un banale incidente di cui fu testimone Jacques
Brandenberger: una sera del 1900 stava cenando in un ristorante elegante, quando vide il vicino di
tavolo rovesciare sulla bella tovaglia ricamata un bicchiere di vino. Osservando la cameriera che
cercava affannosamente di tamponarlo per limitare i danni, Brandenberger, che si occupava di
coloranti e prodotti per la rifinitura dei tessuti, pensò subito a quanto sarebbe stato utile un
rivestimento impermeabilizzante per le tovaglie, in modo che fosse sufficiente pulirle con un semplice
straccio bagnato. Esistevano già le tovaglie gommate, ma erano orrende ed erano utilizzate soltanto
- 21 -
-AIM MAGAZINEdalla gente povera che non poteva permettersi tovaglie di stoffa. Tornato in laboratorio,
Brandenberger provò a spruzzare teli di cotone con soluzioni di tutte le materie plastiche allora
disponibili, tra cui la viscosa, che sembrava possedere la consistenza giusta. Purtroppo in questo caso il
tessuto diventava troppo rigido e il film trasparente non aderiva bene, tanto che bastava grattarlo con
un’unghia per farlo saltare via. Brandenberger ebbe allora un’altra idea: perché non usare questo film
trasparente come pellicola protettiva? Perfezionare materiale e processo richiese dieci anni, perché
occorreva trovare un plastificante adatto e costruire una macchina in grado di produrre un film di
viscosa dello spessore adeguato.
La viscosa, una cellulosa rifatta
La viscosa viene spesso spacciata come fibra tessile naturale, ma si tratta di una mezza verità,
perché in natura non esistono tipi di cellulosa dalla struttura così ordinata. Una cinquantina d’anni
prima John Mercer aveva scoperto che, se si trattava il cotone con soda caustica a 10°C, si otteneva
un filato dalle qualità superiori. Il processo, ora noto come mercerizzazione, conferisce alla fibra una
lucentezza permanente simile a quella della seta, peso specifico più elevato, migliore affinità per i
coloranti, maggiore elasticità e resistenza alla trazione. Gli scienziati si sono interrogati a lungo se
l’effetto del trattamento con la soda sia di natura puramente chimica o fisica. La questione non è stata
ancora completamente risolta, anche se tutti sono concordi nell’affermare che, se la concentrazione di
NaOH è sufficientemente elevata, si forma un idrato di cellulosa dalla formula (C6H10O5)2∙H2O o
(C6H10O5)4∙2H2O, ossia una cellulosa, che, per assorbimento di acqua, ha subito significative modifiche
strutturali.
Figura 1. Fibre di cotone naturale (in alto) e mercerizzato (in basso)
Partendo da questi studi, due chimici industriali inglesi, Charles F. Cross e Edward J. Bevan,
scoprirono che la cellulosa trattata con soda reagisce con il solfuro di carbonio (CS 2) trasformandosi in
- 22 -
-AIM MAGAZINEuno sciroppo dorato solubile in acqua debolmente basica, lo xantato di cellulosa. Quando lo xantato
viene iniettato in un bagno di acido solforico e solfato di sodio, dopo una serie di lavaggi, si
trasforma in una nuova fibra, che fu chiamata viscosa (Fig.2).
Figura 2. La chimica della viscosa
Le foto al microscopio ottico di cotone e viscosa mostrano chiaramente la differenza di tessitura
(Fig. 3): i filamenti del primo sono arruffati e dai contorni irregolari, mentre quelli della seconda sono
lisci e ordinati. È questo nuovo riassetto delle fibre che conferisce alla viscosa la lucentezza e le altre
proprietà.
Figura 3. Fibre di cotone (sx) e di viscosa (dx)
Il nuovo filato era molto interessante dal punto di vista industriale perché, a differenza del cotone
- 23 -
-AIM MAGAZINEmercerizzato, veniva preparato utilizzando la stessa pasta di legno usata nell’industria della carta, e
non la più costosa cellulosa del cotone. Il passaggio alla produzione su larga scala richiese, tuttavia,
alcuni anni, perché fu necessario inventare un nuovo sistema per la filatura e sintetizzare nuovi
coloranti artificiali per la tintura.
Curiosità.
Produrre fibre simili alla seta era costato anni di ricerca e lavoro, ma nel 1926 le grandi case di
moda parigine decisero che tutte le stoffe lucide, seta compresa, non erano più “in”. Che fare?
Opacizzare la viscosa divenne una questione di vita o di morte: ci riuscì l’americana DuPont
aggiungendo alla fibra piccole quantità di biossido di titanio, un pigmento bianco usato nelle
vernici. La “nuova” fibra richiese un nome nuovo, che non ricordasse in alcun modo la seta. Fu
addirittura lanciato un concorso pubblico, vinto da un’azienda produttrice di fibre tessili, la
Kenneth Lord of Galey & Lord, che propose rayon, dalla parola francese che significa raggio,
luce. Il rayon opaco riscosse un successo clamoroso e fu subito adottato dalle maggiori case di
moda e lingerie.
Il cellofan è preparato con un procedimento molto simile a quello della viscosa: la pasta di legno,
o un altro materiale cellulosico, viene sciolta in un bagno alcalino di solfuro di carbonio, neutralizzata
con acido solforico ed estrusa attraverso una sottile fessura, formando una pellicola continua che
viene fatta passare attraverso un bagno coagulante di solfato sodico e acido solforico. È poi
candeggiata, lavata, impregnata di glicerina ed essiccata. La pellicola così ottenuta, dello spessore di
un decimo di millimetro, viene infine avvolta su bobine, pronta per essere utilizzata.
Questioni di trasparenza
Brandenberger, a capo di una nuova compagnia, La Cellophane SA, cominciò a pensare a possibili
campi d’impiego per il cellofan. La prima cosa che gli venne in mente furono le pellicole
cinematografiche, in modo da poter pensionare l’infiammabilissima celluloide, ma non se ne fece
niente, perché non c’era modo di perforare con precisione il cellofan, che, oltretutto, non sopportava
il calore emesso dalle apparecchiature di proiezione. Superato lo sconforto iniziale, Brandenberger
pensò a un’altra opportunità, un ripiego soltanto in apparenza: l’imballaggio estetico di beni di lusso
e di alimenti. Per tutta la sua vita professionale indirizzò sempre il suo lavoro verso due tipologie di
clienti: le persone facoltose, a cui destinare prodotti speciali di nicchia, e la grande massa, per risolvere
problemi di ordine pratico.
L’azienda aprì gli uffici a Parigi in un quartiere pieno di negozi eleganti, il Boulevard Haussmann. Il
cellofan era così prezioso che i proprietari dei negozi lo tenevano in cassaforte per evitare che i
- 24 -
-AIM MAGAZINEcommessi se lo portassero a casa di nascosto. Il primo cliente fu Coty, il profumiere allora più alla
moda in Francia, il quale aveva addirittura preteso l’esclusiva del cellofan. Brandenberger, che sapeva
gestire bene i suoi affari ed era anche un buon diplomatico, lo convinse ad accontentarsi di una
fornitura esclusiva di cellofan dalla superficie in rilievo a imitazione della seta.
Per il mercato americano Brandenberger si era invece orientato verso il confezionamento di dolci,
cioccolatini e paste, ma il suo percorso s’interruppe ben presto, perché la prima partita di fogli di
cellofan arrivò a New York ridotta a un ammasso colloso e poche settimane dopo scoppiò la prima
guerra mondiale, per cui tutti ebbero ben altro a cui pensare. Brandenberger non si diede per vinto e
pensò che il cellofan potesse essere il materiale ideale per le maschere antigas, perché non lasciava
passare i gas e non si appannava. In questo modo riuscì a rimanere a galla durante la guerra.
Alcuni anni dopo la fine del conflitto l’americana DuPont, che voleva ampliare la sua offerta
commerciale, acquistò i diritti di produzione della viscosa (1920) e del cellofan (1923) e costruì due
impianti per produrli uno a fianco all’altro. La viscosa era un materiale dal mercato sicuro e il cellofan
sembrava promettente. Ma, se il secondo fosse risultato poco redditizio, sarebbe stato comunque
facile riconvertire l’impianto alla produzione di viscosa. DuPont era interessata alla grande
distribuzione e cominciò a proporre il cellofan per la confezione di prodotti dolciari e di pasticceria.
Nella sua forma originale il film era trasparente, lucido, inodore, insapore, aderiva bene a sé stesso e
resisteva a grassi e oli. La pubblicità prometteva miracoli: «un materiale sottile come un fazzoletto di
carta, ma difficile da strappare, un prodotto impermeabile, non fragile, con un ampio campo di
applicazioni». Il miracolo, invece, sarebbe stato riuscire a rendere il cellofan impermeabile all’umidità
in modo da non far diventare le paste piccoli sassi nel giro di pochi giorni.
Figura 4. Uno dei duemila tentativi di William Hale Charc
- 25 -
-AIM MAGAZINELa produzione fu interrotta finché William Hale Charc, un giovane chimico della General Motors,
allora consociata di DuPont, riuscì, dopo un anno di lavoro e circa duemila tentativi falliti, a trovare
la formulazione giusta ideando un rivestimento protettivo a più componenti che non appesantiva
troppo il cellofan e non incideva molto sul suo prezzo (Fig. 4).
Questo successo commerciale fece scoppiare la mania del cellofan e si cominciò a impacchettare tutto,
compresa qualche bella modella nuda per foto audaci o balletti osé (Cellophane Show Girls) (Fig. 5).
Figura 5 Cellophane Show Girls (parte presentabile)
Grazie al cellofan comparvero nei negozi le prime confezioni multiple di molti beni, come le palle da
tennis, che da quel momento in poi non saranno più venduti singolarmente.
Il cellofan era attraente e comunicava un’immagine di pulizia e igiene: gli americani si scoprirono
improvvisamente ossessionati dalla contaminazione dei cibi al punto che diventò impensabile
distribuire gli alimenti a mani nude. In California furono aperti ovunque supermercati pieni di cibo già
impacchettato, e nel giro di pochi anni fecero la loro comparsa i cibi precotti congelati e furono aperti
i primi self-service. Dall’introduzione sul mercato della nuova versione a prova di umidità le vendite
erano triplicate nel giro di tre soli anni e nel 1938, il cellofan costituiva il 10% di tutte le vendite di
DuPont e il 25% dei suoi profitti.
Curiosità
Negli Stati Uniti, un venditore di cibo in scatola scoprì che se avvolgeva nel cellofan le lattine di
metallo − operazione del tutto inutile − le vendite raddoppiavano.
- 26 -
-AIM MAGAZINEUna faccenda scocciante
L’avventura del miracoloso materiale non si limitò al confezionamento: nel 1925, Richard Gurley
Drew, un ingegnere della 3M, inventò un nastro coprente adesivo per proteggere porzioni di
carrozzeria durante la verniciatura delle automobili. La prima versione era costituita da un nastro di
carta scura dai bordi rivestiti da un adesivo sensibile alla pressione. Cinque anni più tardi Drew sostituì
la carta con il cellofan e spedì un campione del nuovo nastro a un’azienda di Chicago che
confezionava prodotti da forno. Il nastro fu immediatamente immesso sul mercato, anche se fu
soppiantato quasi subito dal più efficiente sistema di saldatura a caldo.
Erano gli anni della grande depressione e gli americani trovarono al nuovo nastro infiniti usi per
piccole riparazioni, tanto che nel 1985 lo Scotch sarà votato come il prodotto in assoluto più utile in
casa. Nel 1932 un altro ingegnere della 3M, John A. Borden, inventò il dispenser da tavolo di ghisa
fornito di una lama per tagliare il nastro e sette anni dopo furono vendute le prime chioccioline,
mentre il famoso motivo tartan fu introdotto soltanto nel 1945. Infine, nel 1961 è stato inventato lo
Scotch Magic Transparent Tape®, un nastro quasi invisibile che non ingiallisce nel tempo, non si vede
nelle fotocopie e su cui si può anche scrivere.
Curiosità
La versione originale del nastro adesivo non era gommata su tutta la superficie, ma solo sui bordi
e non aderiva bene. Un giorno, mentre Drew stava compiendo una serie di prove per migliorarne
l’adesione, un carrozziere, che lo stava stava osservando spazientito, alla fine sbottò: “take this
tape back to your stingy Scotch bosses and tell them to put more adhesive on it” (riporta questo
nastro ai tuoi taccagni capi scozzesi e dì loro di cacciarci sopra un po’ più di adesivo). Il gioco di
parole sul nome scotch (scozzese, popolo ritenuto estremamente oculato nello spendere) lo colpì
al punto che, da quel momento in poi, il nome Scotch fu adottato per tutta la linea di nastri
adesivi della 3M.
- 27 -
-AIM MAGAZINEIl cellofan oggi
La produzione del cellofan si è gradualmente ridimensionata a partire dagli anni Sessanta, quando
sono comparsi nel mercato materiali meno costosi e dalle prestazioni simili, come il polipropilene (PP)
e il polivinilcloruro (PVC). Un punto a sfavore del cellophane, che non è assolutamente tossico ed è
biodegradabile al 100%, è che la sintesi è più costosa e richiede l’impiego del solfuro di carbonio,
come per la sorella viscosa. Il cellofan originale è ancora usato nella produzione di membrane
semipermeabili per la dialisi e per avvolgere i sigari, perché permette loro di respirare durante la
conservazione. È risultato un materiale trasparente migliore del vetro per trasmettere i raggi X ed è
stato impiegato, fino all’introduzione dei siliconi e del Teflon®, per ridurre la frizione fra gli arti
artificiali e la pelle, perché è una delle materie plastiche che risultano più gradevoli al tatto. Inoltre, a
differenza degli altri polimeri più recenti usati sotto forma di film, può subire modifiche fisiche e
chimiche anche dopo la filmatura, consentendo una gamma di variazioni praticamente infinita in
funzione delle esigenze commerciali.
- 28 -