La torre di vetro

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La torre di vetro
La torre di vetro
Reinaldo Arenas
Da quando era arrivato a Miami, dopo aver vissuto una vera odissea per lasciare il suo paese
d’origine, il celebre scrittore cubano Alfredo Fuentes non aveva più scritto una sola riga.
In un modo o in un altro, da quella data- cinque anni già erano passati- lui era stato sollecitato senza
tregua per fare una conferenza, assistere a qualche avvenimento culturale, partecipare ad un cocktail
o ad una cena d’intellettuali, dove figurava sempre come l’ospite d’onore, è per questo non lo
lasciavano mangiare e ancora meno riflettere al romanzo o racconto che da lunghi anni preparava
lentamente nella sua testa, e i cui personaggi- Berta, Nicolas, Delfin, Daniel e Olga- attiravano
constantemente la sua attenzione affinchè lui si occupasse delle loro rispettive tragedie.
L’integrità morale di Berta, l’intransigenza davanti la mediocrità di Nicolas, l’intelligenza acuta di
Delfin, lo spirito solitario di Daniel e la dolce e silenziosa saggezza d’Olga, non solo esigevano da
lui un’attenzione che non aveva il tempo di accordargli ma inoltre, questa era l’impressione
d’Alfredo, lo rimproveravano di passare il suo tempo riunendosi con quella gente.
La cosa più triste della storia, è che Alfredo detestava quelle riunioni, ma era incapace di respingere
un amabile invito (e quale invito non lo è!), cedeva sempre.
Una volta sul posto si mostrava così brillante in società che era riuscito a forgiarsi la reputazione
(soprattutto tra gli scrittori in erba) d’uomo frivolo, perfino esibizionista.
D’altra parte, nella condizione in cui si trovava, fuggire queste riunioni sarebbe stato interpretato
da tutti (compresi quelli che lo rimproveravano d’essere troppo comunicativo) come una prova
evidente di cattiva educazione, d’egoismo e anche di un complesso di superiorità.
Insomma, Alfredo era caduto in una situazione pericolosa. Se avesse continuato a fare onore agli
inviti continui, non avrebbe più scritto, e nel caso contrario, il suo stesso prestigio di scrittore
n’avrebbe sofferto al punto (lui lo sapeva bene) di svanire.
Ma bisogna riconoscere che Alfredo avrebbe preferito trovarsi nel suo piccolo appartamento, per
niente solo, cioè in compagnia d’Olga, di Delfin, di Berta, di Nicolas e di Daniel, piuttosto che
passare tutto il suo tempo nel cuore di quella moltiudine compiacente.
In questi ultimi tempi, il richiamo dei suoi personagi diventava così urgente, e il suo desiderio di
rispondergli così insistente, che si era promesso di trovare qualche ora per sospendere tutte le sue
attività sociali, per consacrarsi interamente al suo romanzo, racconto o novella, perché lui non
sapeva nemmeno dove questo l’avrebbe portato.
Si, da domani, riprenderà le sue misteriose attività solitarie. Da domani, perché per stasera gli è
praticamente impossibile mancare al grande ricevimento offerto in suo onore dalla Signora Gladys
Pérez Campo, la migliore ospite della letteratura cubana in esilio, che H. Puntilla stesso aveva
battezzato, in bene o in male, ‘la Haydée Santamaria de l’exil’.
Si trattava, dunque, di un’attività di natura culturale, ma anche pratica. Gladys aveva promesso allo
scrittore di fondare la sera stessa una casa editrice al fine di pubblicare i manoscritti che lui aveva
portato fuori da Cuba, rischiando grosso. Questo, in oltre, rappresenterebbe un aiuto economico per
Alfredo (il quale, tra parentesi, moriva di fame) e contribuirebbe anche alla promozione d’altri
autori importanti, ma sconosciuti- questo non era certo il caso d’Alfredo che aveva già cinque libri
in attivo.
-La casa editrice sarà un successo, gli aveva assicurato Gladys al telefono. Le personalità più illustri
di Miami ti sosterranno. Saranno tutti presenti stasera al ricevimento. Ti aspetto alle nove. Vieni in
orario.
Cinque minuti prima delle nove, Alfredo attraversava il vasto parco ben mantenuto da Perez Campo
e si presentava sul cancello della villa. L’aroma dei fiori preparati per il bouffet e una confortevole
musica veniva dall’alto della residenza. Al suono di questa musica, Alfredo passò la mano sulla
facciata della casa e la quiete della notte, come il muro fitto e il parco, gli comunicavano una
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sensazione di ricurezza, quasi pace, che da lunghi anni (troppo lunghi) non provava…Alfredo
avrebbe preferito restare fuori, solo con i suoi personaggi, ad ascoltare la musica da lontano. Ma,
avendo sempre in testa il solido progetto d’edizione, che, può essere, gli permetterà un giorno di
comprare una proprietà come quella e che, d’altra parte, rappresentava la salute futura d’Olga,
Daniel, Delfin, Berta e Nicolas, suonò alla porta della residenza.
Prima che una delle domestiche assunte per la durata del ricevimento gli aprisse la porta, l’enorme
cagna san bernardo, che appateneva ai Perez Campo, si gettò su Alfredo e lo leccò. La familiarità
della grande cagna (si chimava Narcisa) risvegliò l’amore degli altri animali, sei chihuahuas il cui
abbaiare era tanto rumoroso come se donassero a loro modo il benvenuto ad Alfredo.
Fortunatamente, Gladys venne a liberare il suo invitato d’onore.
Vestita elegantemente, anche se in maniera poco adatta al clima (una veste lunga fino alla caviglia,
una stola, guanti e un gran cappello), la Perez Campo prese Alfredo per il braccio e lo introdusse tra
la cerchia degli invitati scelti con cura, gli stessi che si interessavano al progetto d’edizione.
Solenne e giocosa, Gladys presentò Alfredo al presidente di una delle banche più importanti della
città (nell’immaginazione Alfredo vide Berta fare una smorfia di disgusto), al vice direttore del
Florida Herald, il quotidiano più influente di Miami (un giornale spaventoso e anti-cubano, percepì
da lontano la voce di Nicolas), la prima segretaria della signora governatrice, una poetessa coronata
(un bel paio d’arpie, Alfredo sentì allora chiramente la voce sarcastica di Delfin). Le presentezioni
continuarono con un insigne reverendo, celebre professore di teologia e capo della sedicente
Riunificazione delle famiglie cubane. Che ci fai tra queste canaglie? Gridava Daniel disperato, da
lontano, così forte che mentre stringeva la mano ad un’eminente cantante d’opera, Alfredo vacillò,
questo gli fece immergere il naso nell’opulento petto della cantante. Comme se non fosse successo
niente Gladys continuò le presentazioni: un notevole pianista, due chitarristi, molti professori ed
infine (là, Gladys adottò una postura reale) la contessa di Villalta, nata nella provincia di Pinar del
Rio, una donna anziana sensa più terre né castelli, ma ancora attaccata al suo brillante titolo
nobiliare.
Precisamente, mentre faceva una discreta reverenza alla contessa Alfredo sentì che i personaggi
della sua opera in erba ricominciavano a reclemarlo d’urgenza, fu per questo che, mentre baciava la
mano alla contessa, cercò di prendere la penna e un pezzo di carta che aveva sempre con se, nella
speranza di prendere qualche appunto. Gesto che fu mal interpretato dalla contessa.
-Io vi ringrazio infinitamente di volermi dare il vostro indirizzo, gli disse la donna, ma
comprenderete che non è il momento adatto, vi prometto di inviarvi il mio biglietto da visita.
Senza permettere una replica, si girò verso la poetessa coronata che osservò la scena e disse ad
Alfredo, apparentemente con l’intenzione di venirgli in aiuto.
-Dal momento che ha scritto il suo indirizzo, può darlo a me. Ci tengo molto ad inviarle il mio
ultimo libro.
Al posto di prendere gli appunti che i suoi personaggi gli avevano chiesto (già Olga gemeva e Berta
lanciava delle grida) Alfredo dovette scrivere il suo indirizzo su quel foglio.
Dei piatti circolavano, strabordanti di formaggi vari, canapè, pasticcini, bevande. Questi piatti, a
causa dei nuovi saluti e domande, Alfredo li vedeva arrivare e ripartire senza poterli nemmeno
toccare.
A minuti, Gladys annunciò, che la serata, per i più intimi, continuava nella torre di vetro.
Tutti i convitati emisero un Ah! di soddisfazione (compresa la contessa); subito, dietro la guida
dell’elegante padrona di casa, si misero in marcia.
La torre di vetro si alzava, circolare e trasparente, di fianco alla casa, come una gigantesca
ciminiera. Mentre salivano faticosamente le tortuose scale a chiocciola (solo la contessa si faceva
traspostare su una sedia speciale destinata alla circostanza), Alfredo sentì di nuovo i richiami
urgenti dei suoi personaggi. Dal fondo della sua prigionia nella lontana città di Holguin, Delfin
chiedeva che non la dimenticasse; da New York, Daniel grugniva, in modo offeso e minaccioso; da
un piccolo villaggio francese Olga, la dolce Olga, quella dai fogli di carta vergini, gli lanciava degli
sguardi di rimprovero e di malinconia, mentre Nicolas e Berta, sul posto, a Miami, reclamavano con
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furore la partecipazione immediata al racconto non ancora cominciato. Con un gesto incomprensivo
Alfredo cercò di fermarli provvisoriamente, ma alzando la mano, scombinò la pettinatura
complicata del pianista che stava davanti a lui e che guardò ancora più offeso di Berta.
Erano arrivati tutti nella torre di vetro e Alfredo aspettava impaziente l’arrivo della conversazione
seria. Cioè che si cominciasse a discutere del progetto dell’edizione e dei primi autori da pubblicare.
Ma i musicisti, sotto il segno dell’elegante Gladys (che senza che nessuno se ne fosse accorto aveva
combiato vestito e si presentava in una tenuta ancora più suntuosa) avevano cominciato a suonare. Il
presidente della banca ballava con la sposa del vice direttore del Florida Herald che, dal lato suo,
ballava con la segretaria della governatrice. Un universitario volteggiava professionalmente nelle
braccia vigorose della cantante; solo lo superava la poetessa coronata che, in un assolo degno
d’applauso, ondeggiava, a colpi di tallone, con dei movimenti frenetici delle anche e delle spalle,
vicino Alfredo, al quale non restò altra alternativa che di entrare nelle danze.
Il pezzo terminò, alla fine, e Alfredo credette che si arrivasse finalmente al tema centrale di questa
riunione.
Ma, dopo un nuovo gesto di Gladys, l’orchestra ricominciò con un pezzo spagnolo. Il reverendo
stesso, a dire la verità nelle braccia della vecchia contessa, accennò qualche passo con grande
moderazione. Mentre le danze seguivano (già la cantante faceva mostra dei suoi vocalizzi), Alfredo
credette di sentire chiaramente la voce dei suoi personaggi adesso tutti insieme. Senza smettere di
ballare si avvicinò ai vetri della torre e vide nel parco Olga che si agitava disperatamente tra i
gerani, chiedendo, a gesti, di essere liberata; più lontano, su uno dei fichi perfettamnete potati,
Daniel piangeva. Nello stesso momento-la cantante moltiplicò i suoi vocalizzi-Alfredo che non
poteva perdonarsi la sua indolenza e, prendendo al volo un fazzoletto dalla tavola, con temerità
(senza smettere di ballare)comiciò a prendere qualche appunto.
-Ecco un modo ballare! l’interruppe il vice direttore del Florida Herald. Per caso scrive anche i
passi che fa?
Alfredo non seppe che rispondere. Inoltre, lo sguardo cattivo e vivo del pianista lo disarmò.
Asciugando il sudore della fronte con il fazzoletto, abbassò gli occhi, impacciato, provando a
riprendersi, ,ma alzando la testa, scoprì Nicolas, Berta e Delfin, attaccati ai vetri della torre. Si, da
diversi punti, erano venuti attraverso l’aria e adesso erano la fuori, a bussare alle finestre, a
chiamare Alfredo perchè li facesse entrare ( li facesse vivere) nelle pagine del suo romanzo,
racconto o novella che non aveva ancora cominciato a scrivere.
Eccitati, i sei chihuahua si misero ad abbaiare ed Alfredo ceredette che avessero scoperto i suoi
personaggi. Ma per fortuna, si trattava semplicmente di una delle trovate (‘deliziose attenzioni’
secondo la contessa) di Gladys, per distrarre i suoi invitati. Fu, d’altra parte, una vera riuscita; in
effetti, al ritmo dei suoi passi e della batteria dell’orchestra, i chihuahua, attorno a Narcisa,
imitavano su due zampe tutti i passi di una danza indiavolata, di cui Narcisa era precisamente la
figura centrale. Per un istante, Alfredo credette di vedere che la gigantesca cagna san bernardo
mandava verso di lui uno sguardo di tristezza. Finalmente gli applausi scoppiarono e l’orchestra
attaccò un danzon.
Berta, Nicolas e Delfin bussavano ai vetri più violentemente, mentre Alfredo, sempre più nervoso,
volteggiava fra le braccia della poetessa coronata. Mme Clara del Prado ( non abbiamo ancora detto
il suo nome?) che, nello stesso tempo, confessava allo scrittore fino a che punto fosse difficile
pubblicare una raccolta di versi.
-Lo capisco bene, approvò distrattamente Alfredo, guardando i suoi personaggi che si dibattevano
dietro i vetri come dei grandi insetti attirati dalla luce di una lampata ermeticamnete chiusa.
-Lei non può capire, obbiettò la voce della poetessa.
-Perché no?
Adesso dal fondo del parco, Daniel e Olga sembravano essersi messi d’accordo per singhiozzare
all’unisono.
-Perché lei è un romanziere e i romanzi si vendono sempre meglio della poesia, soprattutto quando
si tratta di un romanziere celebre, come nel suo caso…
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-Non mi faccia ridere.
Già i singhiozzi di Daniel e Olga erano diventati delle grida disperate, finendo in dei veri appelli al
soccorso.
-Salvaci! Salvaci!…
- Andiamo, vecchio mio, gli intimò la poetessa coronata, niente falsa modestia, dica dunque, fra
me e voi, a quanto ammontano annualmente le sue ricchezze?
Come se le grida provenienti dal parco non bastassero a far saltare chiunque fuori dai ganghei,
Nicolas e Berta incominciarono adesso a rompere i vetri della torre, sotto l’approvazione entusiasta
di Delfin.
-Ricchezze?Non mi faccia ridere.Non sa che non esistono i diritti d’autore a Cuba e che tutti i miei
libri sono stati pubblicati all’estero mentre io mi trovavo nel mio paese?
-Salvaci o abbattiamo la porta.
Era, senza dubbio, la voce furiosa di Berta.
-La giù sono dei ladri, lo capisco. Ma gli altri paesi non hanno applicato le leggi cubane.
A colpi di pugni e di piedate, Berta e Nicolas, bussavano ai vetri mentre le grida si alzavano dal
parco.
-Gli altri paesi si riparano dietro tutte le leggi che gli permettono di rubare impunemente, concluse
Alfredo ad alta voce, sul punto di atterrare la poetessa per soccorrere in una maniera o nell’altra i
suoi personaggi i quali, contrariamente alla norma, sembravano asfissiarsi all’esterno.
-Ma allora come pensa di fondare la grande casa editrice? chiese con uno sguardo malizioso la
poetessa coronata; poi aggiunse con l’aria da complice:-Andiamo vecchio mio, io non ho
l’intenzione di chiederle dei soldi. Io voglio solamente pubblicare il mio piccolo libbretto…
In un modo che Alfredo non potè spiegarsi, Berta era riuscita ad introdurre la mano tra i vetri poi,
con sorpresa del suo cratore, spinse una spagnoletta e aprì una delle finestre della torre.
-Mi ascolti, signora, concluse seccamente Alfredo, io non ho un soldo. Quanto alla casa editrice, io
sono qui per vedere come voi la volete mettere su, voi altri, così da pubblicare i miei libri.
-Noi tutti eravamo informati che era lei il commendatario.
Nello stesso istante, Delfin scivolò dalla torre e restò pericolosamente aggrappata con le dita sul
bordo della finestra aperta.
-Attenzione! Gridò Alfredo, guardando verso la finestra per provare ad impedire la caduta del suo
personaggio.
-Io credevo che noi altri poeti eravamo i soli ad essere folli, disse la poetessa guardando fisso
Alfredo, ma vedo che i romazieri lo sono due volte di più.
-E anche tre! Replicò Alfredo precipitandosi alla finestra per liberare Delfin. Nello stesso momento,
Berta Gonzales e Nicolas Landrove s’introdussero nel salone.
Alfredo ebbe vergogna che Nicolas, Berta e Delfin Prats (alla quale aveva salvato la vita) lo
sorprendessero circondato da quei personaggi, invece di stare a lavorare con loro, fu per questo che,
senza aspettare che si tenesse la famosa riunione e provando sempre di più il bisogno di portare i
suoi personaggi con lui, decise di congedarsi dalla padrona di casa e dagli altri invitati. Seguito da
Narcisa che gli annusava la zampa, si diresse verso di loro.
Ma una tenzione strana regnava nella torre. Improvvisamente, più nessuno prestava attenzione ad
Alfredo. Peggio, si sarebbe detto che era diventato invisibile. Con una voce tintinnante, la poetessa
coronata stava comunicando qualcosa a Gladys e ai suoi amici, che presero l’aspetto di persone
stupite e contrariate. Alfredo non aveva bisogno d’essere uno scrittore per indovinare che si parlava
di lui, non precisamente in termini elogiativi.
Sentì Gladys Perez Campo dire a voce bassa con un tono indignato: che se ne vada!
Ma comprendendo, sorpreso, che quelle parole erano indirizzate a lui, si sentì così deconcentrato
che non ebbe la forza di recepirle. D’altronde non le avevano direttamente indirizzate ad Alfredo, le
avevano semplicemente pronunciate perché le captasse, perché le buone maniere e l’eleganza di
Gladys gli impedivano di creare uno scandalo; ancora peggio, di mettere fuori la porta uno degli
invitati.
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Per questo motivo, sempre tentando di liberare i suoi personaggi, che, d’altra parte, non
s’interessavano più a lui, Alfredo fece finta di niente e tentò di infilarsi nella conversazione. Ma la
contessa lo fulminò con uno sguardo con tanto disprezzo che lo scrittore, ancora più confuso, si
ritirò in un angolo e accese una sigaretta. Ma d’altronde, non era il caso di fare prova di cattive
maniere e ritirarsi senza essersi congedato dagli invitati e dalla padrona di casa?
Per il colmo della sfortuna, in quel momento, Delfin Prats aprì la porta che comunicava con le scale
a chiocciola, aprendo il passaggio a Daniel Fernandez e Olga Neshein. Tenendosi per la mano e
senza neanche gettare lo sguardo su Alfredo, si unirono a Nicolas Landrove e Berta Gonzales del
Valle che, avendo già bevuto qualche bicchiere, erano brilli.
Ancora una volta, Alfredo sentì la coda di Narcisa carezzargli le gambe.
Adesso, i cinque personaggi della novella ( almeno, infine, sapeva che quella gente non era buona
che per una novella) percorrevano il salone con diletto, ficcando il naso ovunque, tanto curiosi
quanto calcolatori.Alfredo fece uno sforzo mentale straordinario per farli ritirare. Quello che c’è di
sicuro, è che non gli obbedirono. Al contrario, si unirono al gruppo d’invitati selezionati, la crème
des crème, e si presentarono gli uni con gli altri a colpi di riverenze e salamelecchi raffinati.
Nel suo angolo, protetto dietro il fumo della sua sigaretta e un’immensa pianta, Alfredo studiò
accuratamente i suoi cinque personaggi, e scoprì che nessuno era vestito come lui aveva previsto.
Olga, che si diceva così timida e dolce, era oltraggiosamente truccata e si pavoneggiava in una
minigonna elasticizzata, usando una mimica esagerata, quasi delle smorfie, ridendo rumorosamente
per la storiella che gli aveva raccontato il capo della Riunificazione delle famiglie.
Quanto a Berta e Nicolas, ‘le persone integre e intransigenti’, dopo la creazione di Alfredo, erano
tutto zucchero, al colmo dell’adulazione, davanti la segretaria della governatrice; per un momento,
Alfredo credette di capire che stavano chidendogli un prestito per aprire una pizzeria in centro.
Dal canto suo, Daniel ( ‘l’introverso solitario’) si era già presentato come Daniel Fernandez Trujillo
e raccontava delle storie così licenziose alla poetessa coronata, che la vecchia contessa cambiò
discretamente posto.
Ma la disinvoltura culminò presso la brillante Delfin Prats Pupo. Mentre beveva una birra dalla
bottiglia (la quinta? la settima?), parodiava il suo creatore, cioè Alfredo Fuentes, in un modo non
solo grottesco ma di un’implacabile oscenità. Con una maestria diabolica, Delfin Prats Pupo
imitava, esagerandoli, tutti i tic, i gesti e le manie dello scrittore, compreso il suo modo di parlare,
di camminare, perfino di respirare. Alfredo apprese allora che lui era un po’ balbuziente, che
camminava con il bacino in avanti a che aveva gli occhi a fior di testa. Mentre osservava le
derisioni che il suo personaggio preferito faceva sulle sue spalle, sopportò anche che la cagna san
bernardo, appassiontamente, lo leccasse.
-Il peggio è che con la sua aria di scrittore geniale e i suoi gesti ridicoli, non ha per niente talento e
fa degli errori d’ortografia. Anche il mio cognome, è arrivato perfino a scriverlo senza t, concluse
Delfin Prats Pupo, perentoria.
Di nuovo, tutti scoppiarono a ridere, con quel curioso tintinnio di coppe che si scontrano.
Alfredo, ancora più nervoso, accese un’altra sigaretta, ma la buttò per terra accorgendosi che Delfin
Prats Pupo, mimando i suoi gesti, accese una sigaretta.
Uno dei camerieri di servizio lo rimproverò:
- Signore, raccolga il suo mozzicone. A meno che non voglia bruciare il tappeto.
Alfredo si abbassò per raccogliere il suo mozzicone e, in questa posizione, potè constatare che tutti
gli invitati, producevano dei curiosi tintinnii, bisbigliando fra di loro, e lo guardavano con
disprezzo. Allora pestando violentemente le zampe del san bernardo, che lanciò un urlo pietoso, si
avvicinò agli invitati per scoprire cosa gli succedeva. Come fece la sua apparizione nel gruppo, la
segretaria della governatrice annunciò, senza guardarlo, la sua partenza immediata.
Come mossi da una molla, tutti decisero che era ora di andarsene. Partì, la contessa, portata su una
grande sedia, mentre la gran parte degli invitati le baciavano la mano, divenuta trasparente ( è così
che la vedeva Alfredo). Partì, la celebre cantante, al braccio (veramente trasparente) del presidente
della banca. Partì, il reverendo che chiaccherava con animazione con il pianista il cui volto era
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sempre più brillante e liscio. Partì, la poetessa coronata, con Daniel Fernandez Tujillo e, quando
questo la prese per la vite, Alfredo vide che la mano del giovane piombava, senza sforzo in un
corpo traslucido (ma presto, anche la mano di Daniel Fernandez Tujillo divenne invisibile fino a che
le due figure si confusero). Partivano, tutti i musicisti neri, condotti da Delfin Prats Pupo, che
saltellava fra di loro con allegria, producendo il suono delle campanelle conosciute e imitando i
gesti dello scrittore, che non poteva far nulla per impedirlo. Partiva, Olga Neshein de Leviant, con
le mani intrecciate a quelle di un professore di matematica. Alla fine dello scompiglio, Berta
Gonzales del Valle riempiva la sua borsa di formaggi francesi e Nicolas Landrove Felipe faceva
man bassa sulla confetteria, ignorando entrambi i segni d’Alfredo e le proteste di Perez Campo che,
lasciando il luogo, accompagnata dai suoi chihuahua, minacciava di chiamare la polizia.
Ma la sua voce si trasformava sempre più in un suono di campane inintellegibile.
In qualche minuto, la padrona di casa, gli invitati e anche il personale sparirono con i personaggi
della novella e Alfredo si ritrovò solo nell’immensa villa. Sconcertato, stava partendo quando un
fracasso di gru e di camion risuonò nei paraggi.
Bruscamente, le fondamenta della casa si misero a tremare, il tetto sparì; i tappeti si arrotolarono
automaticamente; i vetri, separati dalla loro intelaiatura, volarono nell’aria; le porte uscirono dai
loro cardini, i quadri lasciarono i muri e i muri, che si scollarono ad una velocità inaudita, furono
trasportati, così come tutto il resto, in un veicolo gigantesco.
Mentre tutto era smontato e imballato, Alfredo potè constatare (e già portavano via il parco di
plastica con i suoi alberi, i muri e i profumi meccanici) che questa villa non era che un enorme
prefabricato in cartone e che si poteva istallare e smontare rapidamente e che si fittava a gioranta,
perfino all’ora-come segnalato dalla pubblicità attaccata sul gigantesco camion dove tutto era stato
caricato.
Immediatamente, sul posto dove si era alzata una residenza imponente, non c’era che un terra pieno
polveroso al centro del quale Alfredo, ancora perplesso, non trovava (perché non esisteva) la stada
che lo riportava in città. A caso, si mise a camminare in questo deserto pensando alla sua novella
incompiuta. A questo punto, un abbaiare euforico lo distrasse dalla sua meditazione.
Alfredo si mise a correre, disperato, ma la cagna san bernardo, che era evidentamente più atletica
dello scrittore, lo raggiunse presto, e facendolo cadere, gli leccò la faccia. Una sensazione di gioia
inattesa invase Alfredo costatando che quella lingua era reale. Si riprese, si alzò e, seguito dalla
fedele Narcisa, che già carezzava, lasciò quel luogo.
Miami beach, aprile 1986
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