Introduzione - Comune di Sorico

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Introduzione - Comune di Sorico
Introduzione
Fin dal primo giorno di insediamento in Comune ci siamo dedicati alla realizzazione di quanto annunciato nel programma amministrativo che, sommariamente, prevedeva opere per il presente e per il futuro. Un occhio di riguardo abbiamo
però voluto dedicarlo anche al passato e ciò al fine di ricostruire il nostro patrimonio storico e meglio conoscere quanto accaduto nel nostro paese. Dopo alcuni anni di studi e ricerche affidati alla competenza e alla professionalità di esperti quali i
professori Mario Longatti e Alberto Rovi, ha visto finalmente la luce l’atteso libro: «SORICO: storia di acque, terre, uomini».
Si tratta di un’opera che, senza pretendere di esaurire la storia del nostro Comune, spazia fra più argomenti, offrendo spunti curiosi e inediti in grado di suscitare interesse e stimolare in ognuno di noi il desiderio di approfondimento.
Sul territorio hanno agito in maniera pesante gli eventi alluvionali, a cui l’uomo ha dovuto far fronte con interventi di
bonifica, terrazzamenti e deviazioni di corsi d’acqua: ne deriva un profondo cambiamento della morfologia, con la necessità
di recuperare e fissare ogni testimonianza utile a far sì che non vadano perse le sembianze di un passato sempre più lontano. Essendo il nostro paese ubicato in un’area di confine, esposta a passaggi ed invasioni, è comprensibile che i suoi abitanti
guardassero con diffidenza chi veniva da fuori; questa caratteristica ha dunque una spiegazione che ben emerge approfondendo la storia del posto. Altro aspetto di riguardo è rappresentato dalle Chiese, dalle opere d’arte e dai resti di importanti
costruzioni, che grazie a questa pubblicazione abbiamo l’opportunità di conoscere e apprezzare nei dettagli. Il volume pubblicato non si limita a rievocare in modo cronologico i fatti storici, ma divaga piacevolmente anche fra tante piccole storie
di vita quotidiana, che hanno avuto come protagonisti i nostri avi. Storie che, per ognuno di noi, possono sicuramente rappresentare motivo di interesse e arricchimento culturale legato alle proprie radici.
L’esempio dei nostri avi, che nonostante le avversità e i disagi seppero rispettare e valorizzare questa meravigliosa terra,
cercando con sforzi non indifferenti, di modificarne le caratteristiche laddove la natura agiva in modo non favorevole, può
contribuire a risvegliare, soprattutto nelle nuove generazioni, lo spirito di appartenenza e l’amore per la terra natia. È quanto mi auguro come cittadino. L’auspicio, inoltre, è che questa valida pubblicazione sia il primo passo per ulteriori ricerche
destinate ad aggiungere nuovi tasselli al patrimonio di conoscenza del nostro passato, dal quale trarre spunto per affrontare con maggiore consapevolezza anche il futuro. In qualità di sindaco spero che anche tutti coloro che oggi sono lontani, ma
nativi di Sorico, o che frequentano il paese come villeggianti e turisti, possono trovare nel libro qualche motivo in più per
avere a cuore questo meraviglioso luogo.
Il Sindaco
Ivano Polledrotti
Si ringraziano:
La Regione Lombardia, la Provincia di Como, la Comunità Montana Alto Lario Occidentale,
i parroci don Roberto Vaccani e padre Mario Bulanti, Antonio Battaglia, Fabio Cani, Livia Fasola, Mario Mascetti, Sila Motella,
Magda Noseda, Daniele Paino, Giampaolo Paino, Lucia Pini, Guido Scaramellini, Cesare Sibilia, Alberto Traversi Montani
e in modo particolare Arnaldo Ciabarri.
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Presentazione
Affrontando la storia locale non più come il racconto o la ricostruzione delle vicende di un determinato territorio, ma
come una realtà collegata a tante altre realtà intorno e talvolta anche non vicinissime, mi sono trovato spesso a fare i conti
con Olonio, Sorico, le Tre Pievi sul Lario, essendo queste terre al confine e in stretta relazione con il contado di Chiavenna,
di cui mi sono particolarmente interessato. E non è un caso che, per trovare le prime testimonianze dell’arrivo del
Cristianesimo in zona, bisogna far riferimento al territorio a nord del Lario e all’imbocco di Valtellina e Valchiavenna, dove
prete Mario nel V secolo aveva dato vita a un primo nucleo di cristiani, ma anche al tempietto di San Fedelino, fulgido esempio di protoromanico che, pur geograficamente in Valchiavenna e da un secolo proprietà della parrocchia di Novate Mezzòla,
è in territorio comunale di Sorico.
Quanto alle difese fu di fondamentale importanza la torre di Olonio, a controllo dei transiti da e per la Valtellina, ma
soprattutto la Valchiavenna: una torre che continuò la sua funzione per quasi due secoli dopo che il territorio di Olonio era
stato abbandonato, tanto che fu una delle prime difese a essere smantellata in seguito al capitolato di Milano. Questo, nel
1639, sancì la fine della contesa delle due valli tra la Spagna e la Francia con Venezia e i Grigioni, ai quali ultimi esse furono riassegnate, con l’ordine di smantellare tutte le difese che erano servite durante il turbolento ventennio seguito al cosiddetto Sacro Macello.
Ma, senza addentrarmi nelle questioni di confine, ben illustrate nel presente libro, mi limiterò a un fenomeno che non si
è ancora del tutto spento: la transumanza, per cui dalla bassa Valtellina e dagli attuali comuni di Sorico e Gera affluivano
mandrie di bestiame verso gli alpeggi della val San Giacomo, che oggi è più conosciuta come valle Spluga. Lo stanno a dimostrare i tanti cognomi originari dell’alta valle, magari con qualche leggera variante che, tuttavia, non vale a nasconderne la
provenienza. Così, limitandomi a quelli più numerosi e al solo comune di Sorico, oggi troviamo gli Sciaini, i Paggi, i
Raviscioni, i Copes, i Borzi, gli Andreoli, tutti originari di Isola. Ma ho contato all’anagrafe comunale un’altra ventina di
parentele, sorte tra Quattro e Cinquecento in Valchiavenna, compresi i Cerfoglio, partiti anch’essi da Isola come Cerfoglia.
Credo di aver così sufficientemente dimostrato la non incongruità di una presentazione da me firmata, per la quale ringrazio gli amici Mario Longatti e Alberto Rovi che me l’hanno generosamente chiesta.
Ma qualcosa dovrò pur dire del lavoro che qui presento, storia di acque, terre, uomini, per cui accanto alle vicende storiche, alle istituzioni civili e religiose, si parla delle acque con quanto di buono portarono alla comunità e anche con i danni
che provocarono con le alluvioni e l’impaludamento dell’antica Olonio. Si parla di terre, con le varie attività economiche,
dall’allevamento e pastorizia all’agricoltura e al legname, dai mulini alla pesca. Nella sezione riguardante le famiglie un po’
tutti gli abitanti potranno riconoscersi e trovare le proprie origini. Infine nell’ultima parte sulle opere un ampio sguardo permette di conoscere il costruito: le fortificazioni, le chiese, le case, senza dimenticare le opere d’arte.
Particolarmente interessanti sono gli spaccati di vita e di costume come emergono dagli atti ottocenteschi del tribunale
di Como. La storia prende così vita a contatto con le vicende e i problemi di tutti i giorni, nel bene e nel male, come nella
realtà.
Guido Scaramellini
Chiavenna, ottobre 2005
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La Storia
(Mario Longatti)
1) Museo civico di Como: architrave marmoreo del tempietto votivo
dedicato a Giove dagli Aneuniates (sec. II-III d.C.).
LE VICENDE STORICHE E LE ISTITUZIONI CIVILI
la provincia di Sondrio fu definitivamente occupata dai Romani
secondo la loro prassi consueta, cioè il riutilizzo delle strutture
territoriali delle preesistenti popolazioni (in questo caso gli
Insubri Comensi gallicizzati), la colonizzazione più o meno consistente con l’impiego di elementi italici, specialmente veterani,
e in subordine l’assimilazione di una parte degli indigeni.
Nella fattispecie la comunità tribale che controllava la zona
strategica di bassa Valtellina, imbocco della Valchiavenna ed
ultimo bacino del Lario divenne il pagus degli Aneuniates (s’indicavano sempre col plurale gli appartenenti alla tribù) ed ebbe
come suo capoluogo il vicus di Aneunium, in un sito dove già
evidentemente anche prima s’incontravano i traffici per via lacustre, fluviale e terrestre4.
Sotto Augusto, con tutto il territorio del municipium di
Como, gli Aneuniates cessarono di far parte di una provincia (la
Gallia Cisalpina) per diventare parte integrante dell’Italia nella
regione “Liguria et Aemilia”.
Testimoniano la vitalità non solo del vicus ma anche di altre
parti del pagus vari ritrovamenti databili tutti all’età imperiale e
che qui si cercherà di enumerare.
A Gera nel 1907 fu scoperto un architrave in marmo di
Musso, reimpiegato in un cascinale, sul quale si leggeva un’iscrizione dedicatoria a Giove Ottimo Massimo degli Aneuniates
che gli dedicavano un sacello come “ex-voto”5.
Nel Piano di Olonio nel 1899 furon scoperti i resti di un piccolo edificio, forse un sepolcreto, nei quali stavano due monumenti in forma di are votive, e sul secondo, di proporzioni ragguardevoli, una lunga iscrizione in memoria dei membri di una
famiglia emergente che aveva dato anche due sestumviri e decurioni al Municipium di Como, quella dei Secundieni, risalente al
IPOTESI IN CAMPO ETIMOLOGICO
Da quando l’umanità civile ha preso a riflettere sul proprio
linguaggio e sulle cause di molte modalità espressive, è nato il
gusto per l’etimologia: le prime prove di questa sono per noi
soggetti da barzelletta o quasi, ma anche ipotesi esposte ufficialmente meno di cento anni or sono non lasciano del tutto soddisfatti.
Il prof. Olivieri proponeva di riconnettere Sorico o con il
nome personale Suricus, oppure col verbo (non del latino classico) “exauricare”, rinfrescarsi1.
Per Bugiallo ipotizzava una derivazione da “bogia”, specie di
recipiente, ma anche gorgo, sorgente, vasca, truogolo.
Pochi anni più tardi ecco quanto proponeva il prof. Orsini2:
“Questo nome in rapporto con suricum: il sorgo o forse il frumento saraceno. O vuole invece significare luogo sacro alla dea
Suri, una divinità ferale degli Etruschi...? O non sarebbe un
deverbale, derivato da surire, “essere in calore”, detto specialmente dei maiali? Per altro potremmo pensare ai nomi personali latini Surus, Suricus (attestati sul Garda) o al gentilizio Surius
di iscrizioni venete e al cognome Sura. Infine il toponimo
potrebbe riconnettersi con * ex auricus, deverbale da exauricare, “disperdersi dell’aria, rinfrescarsi”, corrispondente al dialettale sorà: perché il luogo, afoso e caldo, viene rinfrescato
dalla brezza del Lario.
L’analogia del nome con Sori ligure, con Soriano calabro e
Soriano nel Cimino ci farebbe anche pensare ai Liguri preistorici”.
Molto più recente è il dizionario di Pierino Boselli3, che propone per Albonico “quasi di certo” una derivazione dal gentilizio latino Albonius; per Bugiallo “forse dall’italiano bùgio, forato, vuoto internamente: oppure da un precedente Burgiallo,
derivato da burgus, borgo, con la g di burgus palatalizzata...”;
per Sorico non si discosta in sostanza dall’Orsini e dall’Olivieri.
IL PAGO ROMANO DEGLI ANEUNIATES
Nel primo secolo av. Cr. la zona posta all’estremità settentrionale del Lario e all’imbocco delle due valli che ora formano
1
_____________________________
1)
2)
3)
4)
5)
D. OLIVIERI, Dizionario toponomastico lombardo, Milano 1931, pp. 519.
G. R.ORSINI, Toponomastica lariana e valtellinese, in “R.A. C.”, 121-122, Como 1939, p. 162.
P. BOSELLI, Dizionario di toponomastica briantea, comasca e lecchese, Lecco 1993, pp. 15, 55, 297.
M. FATTARELLI, La sepolta Olonio e la sua pieve, Oggiono 1986, pp. 67 segg.
A. GIUSSANI, L’iscrizione votiva di Olonio, in R.A.C. 56, Como 1908, pp. 29 segg.
13
2) Calcografia milanese d’inizio Settecento raffigurante il beato Miro
in abito da pellegrino e la fonte taumaturgica nei pressi del santuario.
Ma la comunità diretta (o forse fondata) da prete Mario ebbe
un diretto proseguimento: sono state evidenziate tracce archeologiche evidenti della chiesa di santo Stefano, preesistente a
quella di età romanica nel luogo ove per otto - nove secoli rimase la sede plebana9.
Questa nella seconda metà del XIII secolo era ormai praticamente abbandonata, come provano, ad es., le Rationes decimarum degli anni 1293 - 1295, ma teoricamente rimaneva la sede
arcipretale10.
II secolo d.C. (Lucio Secundieno Primo e Lucio Secundieno
Secondo)6.
Da sempre visibile sullo stipite di sinistra del portale di san
Vincenzo di Gera è l’epitaffio più bello, l’erma di un fanciullo
della famiglia dei Duanzii, rimpianto dai genitori, in età imprecisabile tra il II e il III secolo.
Infine, forse il reperto più importante, il pavimento a mosaico scoperto sotto l’abside romanica del S. Vincenzo in Gera:
indubbiamente rappresenta solo un segmento di una struttura
architettonica significativa, dal momento che la larghezza del
locale era di m. 2,35, mentre la lunghezza assicurata era di
almeno il quintuplo di quanto nel pavimento musivo era ricostruibile (m. 2,80 x 5 = 14).
Faceva da ornamento ad un ambulacro o solario di una villa
della seconda metà del II secolo, di dimensioni adeguate a questa struttura7.
SANTI E BEATI
A) San Fedele martire
Sul margine estremo dell’attuale territorio suricense il soldato romano Fedele, in servizio a Milano e là convertitosi al
Cristianesimo, subì il martirio secondo la tradizione nell’anno
298, alla fine di ottobre.
Sarebbe stata scoperta la sua fede, contrastante col giuramento di assoluta devozione all’imperatore, e sarebbe quindi
stato costretto alla fuga verso i monti e le valli della Rezia. Come
lui sarebbero fuggiti da Milano altri soldati cristiani, Carpoforo
e altri quattro commilitoni, ma questi, raggiunti alle porte di
Como, sarebbero stati giustiziati il 7 di agosto.
Il condizionale è d’obbligo perché, se è fuor di dubbio la realtà
storica delle persone, lo è un po’ di meno tutto il corredo biografico che si è consolidato nell’Altomedioevo a loro riguardo.
Fedele cadde molto più a settentrione e soprattutto quasi tre
mesi dopo, quindi dopo essersi nascosto in qualche posto e in
qualche modo (non è detto se in quel di Olonio o in quel di
Samolaco)11: comunque la gente della zona conosceva la sua
identità e il luogo preciso della sua sepoltura, segnalata da un
manufatto murario ritrovato durante indagini effettuate nel
1986/87 sotto il pavimento del san Fedelino e già ben conosciuta al tempo di sant’Antonio Lerinense che soggiornò in questa
zona negli ultimi anni del quinto secolo.
Molto più tardi (964) il sepolcro del martire venne riscoperto ma in altro clima religioso: le preziose reliquie dovevano
essere trasferite a Como per decorare una delle principali chiese della città, che da allora ne assunse il titolo12.
LA PIEVE DI OLONIO
Le prime comunità cristiane si formarono nel territorio del
municipio romano di Novum Comum a partire dalla metà del
quinto secolo, cioè dall’episcopato del quarto vescovo e futuro
patrono Abbondio. Si può ragionevolmente attribuire a quel
tempo un primo reticolo di chiese fondate presso i centri dei
“pagi” e dedicate agli apostoli Pietro e Paolo o ai diaconi e martiri Stefano, Lorenzo o Vincenzo: nel centro degli Aneuniates il
tempio fu intitolato a santo Stefano, come a Lenno, Menaggio e
Dongo.
Abbiamo anche una precisa testimonianza relativa alla presenza del clero officiante: verso il 488 un prete Mario dirigeva
una comunità di chierici alla quale avrebbe voluto associare un
giovane proveniente dal Nord delle Alpi, Antonio, il futuro santo
di Lerins.
Questi però scelse la vita eremitica in un luogo isolato non
lontano dal sepolcro del santo martire Fedele (forse Brentaletto
o Teolo).
Vi rimase circa vent’anni, nei quali divenne progressivamente punto di riferimento per i cristiani della zona che aspiravano
ad una pratica più viva delle virtù evangeliche8.
_____________________________
6) A. GIUSSANI, Due cippi romani scoperti in Olonio, P.S.S.C., vol VI, fasc. XII, Como 1900.
7) M. MIRABELLA ROBERTI, Il mosaico romano, in: “Gera Lario”, Como 1988. NICCOLI, Breve censimento dei ritrovamenti archeologici, in R.A.C. 185, Como 2003, pp.
112-116.
8) ENNODIO, Vita di sant’Antonio lerinese, a cura di P. Buzzetti, Como 1904.
9) D. CAPORUSSO, La riscoperta dell’ antica Olonio. Risultati delle nuove indagini archeologiche, a Gera Lario (CO) località S. Agata, in “R.A.C.” n. 185, Como 2004,
pp. 7 segg.
10) R. PERELLI CIPPO, La diocesi di Como e la decima del 1295-98, in “Studi di storia medievale e di diplomatica”, Milano 1976, vol. I, pp. 144 segg.
11) P. BUZZETTI, Le memorie di san Fedele martire, Monza 1906. Bibliotheca Sanctorum, V, Roma 1964, col. 517.
12) P. GINI, Le origini del Cristianesimo in Como, in Diocesi di Como, a cura di A. CAPRIOLI, A. RIMOLDI, L. VACCARO, Brescia 1986, pp. 15-26.
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B) San Miro confessore
Il santo più amato dai suricensi rappresenta ancor oggi un
gran mistero.
Non perché se ne possa negare la reale esistenza, per forme
di bieco e anche becero razionalismo: ma sul quando e dove e
come sono aperti i problemi.
Sarebbe nato a Canzo da un Paredi e da una Drusiana nativa
di Prata negli anni 1330-40 ed avrebbe scelto la vita povera e
ascetica dei Frati Minori secondo l’accezione più rigorosa della
Regola. È sempre stato considerato legato al Francescanesimo,
ma non è stato chiarito con quale ruolo, probabilmente non
quello di Terziario, perché a quell’epoca non comportava l’essere pellegrino ed eremita.
Può essere che ci sia di mezzo la questione dell’Osservanza,
che nella seconda metà del Trecento era ancora assai problematica, dopo le fortissime polemiche di pochi anni prima culminate con scomuniche e consegne al braccio secolare13: il suo
primo convento fu fondato solo nel 1368 nelle Marche, ma può
darsi che il pellegrino Miro sia entrato in contatto con esso.
Certo è che l’11 settembre 1452, all’atto di ricognizione dei
suoi resti mortali conservati nella chiesa di san Michele erano
presenti il padre guardiano, il padre vicario e altri due religiosi
del convento dell’Osservanza di Como, e non certo per caso14.
Miro era morto all’età di circa 45 anni nella primavera del
1381 (secondo l’ipotesi più credibile) e subito si era diffusa
nella pieve la fama del suo potere taumaturgico, ma senza una
conferma ufficiale da parte ecclesiastica, anche se l’atto di ricognizione parla di un altare già edificato sopra il tumulo ad onore
del beato Miro, sul lato sinistro della cappella di Sant’Antonio.
Settant’anni più tardi i tempi erano maturi per la formalizzazione del culto, auspice il clero locale e i francescani osservanti: il vescovo suffraganeo di Como Gregorio da Corsanego il 10
settembre 1452 presiedette alla solenne ricognizione delle reliquie, che sono definite preziose e famose per i miracoli, e il
vescovo di Como Antonio Pusterla il 15 gennaio 1453 con lettera ufficiale annunciò a tutta la diocesi il ritrovamento del corpo
e una serie di prodigi ad esso ricondotti e permise la venerazione pubblica del beato Miro (allora questa dichiarazione non era
prerogativa della sede pontificia), concedendo indulgenze ai
suoi devoti15.
Da allora il culto si estese a quasi tutto il Comasco (significativa la solenne esposizione delle reliquie nel maggio del 1515, durata cinque giorni, durante la quale furono raccolte offerte per un
totale di 438 lire) e a varie zone del Milanese, anche in rapporto
con l’ottenimento della pioggia per l’intercessione del beato.
2
“Concorrono a questa chiesa in tempo di siccità et aridezza
della terra da molte parti et de lontano paese per intercedere
gracia d’acqua, per mezzo et oracioni de questo beato Miro, et
se dall’Ill. ma Comunità di Milano viene mandato in simili bisogni, anticamente questa devocione havutasi dalle parti de
Grisoni, assai gente si vede in simili bisogni concorere tante
genti et tante processioni, et del Monte de Brianza et Vallasina,
che è di molta meraviglia, et per gli buoni effetti che seguono di
impetrare la gracia.
Per tale causa vengono alcune elemosine de cera et dinari...
Oltre il tempo della siccità, il dì della sua festa, la quale si fa
il secondo venerdì di Maggio, sogliono alcune comunità venire
processionalmente ad offerirvi un cilostro”16.
Dall ’inizio del Seicento anche la città di Milano prese a invo-
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13) È discussa la sua appartenenza al T.O.F.: l’ affermano il Ferrari (1653), lo Stampa (1723) e il Sevesi (1935); la negano il Tatti (1675), il Papebroch e l’Halkin (1935).
Cfr. Bibliotheca Sanctorum, IX, Roma 1967, col. 501. Ma si noti anche Enciclopedia Cattolica, V, col. 1720, sotto la voce “Fraticelli”.
14) G. M. STAMPA, Atti del B. Miro, Milano 1723, parte II, pp. 110 - 117.
15) Larius, I, pp. 268 - 269 (edizione parziale).
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L’ETÀ LONGOBARDA E FEUDALE
care ufficialmente il taumaturgo di Sorico e ad inviare offerte e
doni alla sua chiesa (il primo importante fu il bel calice d’argento dorato datato 1624): l’uso durò sino alla metà del
Settecento.
Il culto del beato fu confermato nel 1637 dal vescovo
Carafino in occasione della solenne ricognizione delle ossa e
della loro traslazione sotto la mensa dell’altare maggiore.
Ci furono altre ricognizioni ad opera del vescovo Valfrè di
Bonzo (1907) e del vescovo Macchi (1934): in questa occasione le ossa furono ricomposte in un’urna di bronzo con cristalli,
donata dai concittadini di Canzo, e i resti furono ricoperti col
saio francescano18.
Da non passare sotto silenzio l’ipotesi “ rivoluzionaria “ di uno
studioso locale che, dopo attenta analisi delle fonti, rivendica
anche la nascita di Miro a Sorico: sarebbe stato un “de Canzi” e
non un “da Canzo”, cioè un oriundo di Canzo ma nativo di Sorico19.
Nel 568 dilagarono nel Veneto e nella pianura padana, da
pochi anni tornati in potere di Roma, i Longobardi, che in un
anno occuparono tutta la zona fino a Milano, e a Pavia entrarono solo dopo un assedio abbastanza lungo.
Como, il suo lago e tutte le valli a settentrione (ai confini con
Franchi e Alemanni) rimasero in potere dei romano-bizantini,
sotto la guida di un misterioso colonnello (magister militum) di
nome Francione.
Soltanto nel 588 questa frangia di resistenza potè essere
debellata, con qualche episodio cruento che forse un’antica tradizione ha amplificato22.
In realtà i Longobardi espropriarono un terzo dei beni agricoli, affidati poi in gestione a degli indigeni semiliberi (aldioni).
Ai Longobardi piaceva in modo particolare il bosco ceduo
misto di castagno e di quercia, ove era possibile allevare il maiale e praticare la caccia, e a questo tipo di bosco si riferisce il
toponimo Gaggio, di cui è diminutivo Gaggiolo.
La parte padronale in un possedimento, sia in età longobarda che carolingia, era denominata Sala: questo nel secolo XI era
ancora nome di luogo, ma dopo un secolo era già un cognome.
C’erano ancora famiglie che dichiaravano la propria ascendenza longobarda o quella romana: se ne trova la traccia in
parte negli atti notarili, almeno fino all’età comunale, più nei
nomi propri che nella dichiarazione di appartenenza alla tradizione legislativa (quasi tutti infatti dichiaravano di vivere secondo la legge romana).
Ricordi della età longobarda erano presenti nei titoli di due
delle tre chiese del borgo di Sorico, S. Michele sopra la contrada di Castegnolo e S. Salvatore di Calchera, risalenti con tutta
probabilità alla conversione al cattolicesimo del popolo germanico sotto la specie dei “tre capitoli”, oltre che in quella della
cappella del castello, dedicata a san Giorgio23.
Di tale difficile e controversa operazione furono artefici il
Patriarca di Aquileia Giovanni ed il Vescovo di Como Agrippino,
da lui consacrato.
Proprio in questa zona Agrippino nell’anno decimo della sua
ordinazione episcopale consacrò un oratorio in onore di santa
Giustina martire, come testimonia un cippo marmoreo già ben
noto e discusso dagli studiosi, conservato nell’abbazia di Piona
C) San Benigno Medici
Fondatore dell’eremo di Dascio fu secondo la radicata tradizione san Benigno Medici, nativo di Volterra, venuto in questa
parte della Lombardia nell’ottobre del 1404; egli apparteneva
alla congregazione degli Eremitani di San Gerolamo di Fiesole e
nel territorio comense ebbe alquanti seguaci (prima nelle Tre
Pievi, per alcuni decenni, poi in Bassa Valtellina).
Dal 1405 al 1423 Benigno usò soggiornare d’estate presso
Coira e d’inverno nel romitorio di Dascio.
Quando si trasferì a Monastero di Berbenno, sua ultima
dimora terrena (vi sarebbe morto nel 1472), affidò l’eremo e la
chiesa di san Biagio in Dascio a fra’ Ippolito Miglio di Domaso,
e di lui si ricordò anche nel suo testamento20 (1).
In effetti nella lettera vescovile del 1456 in cui si dà applicazione alla bolla di papa Callisto III dell’anno precedente21 e vengono elencate le chiese sottoposte alla giurisdizione dell’arcipretura di Sorico, vien detto che la chiesa di san Biagio è affidata a un frate: non se ne cita il nome, ma è probabile che fosse
proprio il fra’Ippolito sopra citato.
Non si è in grado di dire quanto sia durata la vita religiosa
collettiva, ma è lecito credere che non sia sopravvissuta molti
anni alla morte del taumaturgo, del suo discepolo fra’ Ippolito e
dell’altro (venerato pure come beato) fra’ Modestino, secondo
la tradizione sepolto nella vecchia chiesa di Dascio nel 1476.
_____________________________
16) A.C.V.C., Curia vescovile, Visite pastorali, cart. XII (N.B. Parte non pubblicata da S. Monti).
17) G. M. STAMPA, Atti del beato Miro, Milano 1723.
18) P.M. SEVESI, S. Miro Paredi da Canzo eremita del Terz’Ordine serafico, Milano 1935.
19) U. CARNITI, San Miro Canzi o da Canzo, in “Gera Lario”, Como 1987, pp. 95 segg.
20) G.F. MIGLIO, Introduzione al mito del Lario, in Larius, tomo I, Milano 1959, pp. LI, CXI- CXII.
21) G. M. STAMPA, Atti del beato Miro, Milano 1723, cit., parte II, pp. 53 segg.
22) G. P. BOGNETTI, Como nell’alto Medioevo, in P.S.C. 37, Como 1951, pp. 30 - 43.
23) G. P. BOGNETTI, L’età longobarda, vol. II, Milano 1966.
16
e risalente al 617, di pochi anni precedente alla più importante
epigrafe poetica conservata nella chiesa plebana di Ossuccio24.
A quest’epoca possono sicuramente risalire, almeno come
titoli, S. Eufemia della rocca di Musso, S. Eusebio di Peglio, S.
Salvatore di Vercana, e, all’imbocco della Valchiavenna, il doppio titolo dei santi Eufemia e Giorgio posto sull’erta rupe sopra
Campo Mezzola. Per altri titoli può rimanere il dubbio, sempre
però nell’ambito di alcuni secoli (dal VII al X), come per S.
Agata e S. Martino25.
Alla metà del secolo nono compare per la prima volta in un
atto privato il nome di Sorico, in contratto di acquisto riferito a
beni situati nei luoghi di allora non periferici lungo il braccio di
lago, ora canale del Mera.
Il testo va interpretato e scavato, altrimenti rischia di non
comunicare alcun messaggio chiaro.
Oderverga del fu Domoaldo di Suriana vende a Domenico del
fu Francione della riva del lago di Como, per venti denari d’argento, tutti i suoi beni mobili e immobili posti a Suriana, Agio e Sorico.
Atto rogato a Gravedona da Johannes nel febbraio 85126.
È evidente che i tre luoghi dovevano essere tra di loro in connessione: nessun altro toponimo si presta più dell’attuale Dascio
(Dagio, ad - Agium) ad essere collocato vicino a Sirana
(Surana) e a Sorico.
Ancor più, nel settembre 1014, i coniugi Giovanni detto Bono
del fu Crescenzio e la moglie Bona figlia di Domenico del luogo
di Suriana sito Agio vendono a Giovanni detto Bruningo del fu
Giovanni e a Giovanni del fu Gumberto del luogo di Cantone
presso l’isola Comacina, due vigne poste nello stesso luogo di
Suriana. Notaio Roddeverto27.
E poi, nel febbraio 1036, i coniugi Venerando e Angelberga
di Montagna di Soriana vendono ad Ainardo da Intercurte
dell’Isola Comacina quattro campi situati in Montagna di Sorico.
Atto in Soriano e trascritto da Radaldo, notaio del sacro
palazzo28.
nell’Ottocento a causa della rettifica del corso dell’Adda), cioè il
nucleo della pieve.
Il titolo di borgo coi relativi privilegi veniva accordato infatti
(con alcune significative eccezioni, quali Tremezzo, Rezzonico e
Domaso) ai capoluoghi.
Gli abitanti del borgo (cioè quelli nati, residenti e possidenti
in esso) godevano di alcune esenzioni fiscali e di altri benefici;
eleggevano ogni anno due o tre consoli, riconfermabili, che
gestivano l’amministrazione ordinaria del comune e godevano di
un modesto compenso.
A capo del borgo stava un podestà che aveva anche il titolo e
la funzione di pretore ed era nominato dal potere centrale,
prima dal Comune di Como e poi dai Signori di Milano: in una
aggiunta agli Statuti di Como del tempo di Giangaleazzo Visconti
(ante 1402) si legge che il podestà di Sorico poteva giudicare
cause civili sino ad un valore presuntivo di 20 soldi e che godeva uno stipendio di 5 soldi al giorno29.
Del 1417 (5 gennaio) è una richiesta formulata al duca
Filippo Maria Visconti dai podestà di Gravedona, Dongo e
Sorico: questi chiedono al duca di lasciar invariata la loro giurisdizione, i loro diritti di mero e misto imperio, e di non variare
il tributo di lire cinque terzole già solito. Il duca accoglie la
richiesta, anche in ossequio alla felice memoria del genitore,
Giangaleazzo, che in tal modo aveva disposto.
Tuttavia il nuovo duca aggiunge che come giudici delle cause
civili e criminali i podestà delle Tre Pievi abbiano un salario non
superiore ai 14 fiorini al mese e non abbiano vicari; al termine
però del mandato si stabilisce che le Tre Pievi abbiano un solo
podestà con tre vicari, come già si faceva nel passato30.
Risulta evidente però che nella seconda metà di quel secolo
si era tornati alle tre podestarie separate, rimaste tali fino all’inizio del Cinquecento.
Quando i Grigioni occuparono il territorio delle Tre Pievi, nel
1512, nominarono quattro commissari o pretori (Dongo,
Gravedona, Domaso e Sorico): nel 1520 (14 gennaio, atto G.
del Conte) figurava pretore di Sorico il magnifico signor Paolo
di Castelmuro, per conto delle eccelse Tre Leghe, di cui era luogotenente il signor Paolo Canzio di Sorico.
Poi (dopo il turbolento periodo del Meneghino, 1525 1532), si lasciò un pretore unico per le Tre Pievi in Gravedona,
assistito da luogotenenti o vicari in Dongo e Sorico.
PRETORI DI SORICO
Già nel Trecento, cioè molto prima di diventare capoluogo
plebano, Sorico era “commune burgi”; in realtà questo comune
comprendeva in sé anche il luogo di Olonio, forse ancora abitato, e gli altri villaggi del piano, S. Agata e Carogno (scomparso
_____________________________
24) A. RONCORONI, L’epitaffio di S. Agrippino nella chiesa di S. Eufemia ad Isola, in R. A. C. 162, Como 1980, pp. 99 segg.
25) M.A. CARUGO, Como sotto la dominazione longobarda, in “Diocesi di Como”, Brescia 1986.
26) Monumenta Historiae Patriae, vol XIII (Codex diplomaticus Longobardiae, a cura di Porro Lambertenghi), doc. 171, col. 292.
27) G. VITTANI - C. MANARESI, Gli atti privati milanesi e comaschi del sec. XI, Milano 1933, vol. I, p. 159.
28) C. MANARESI - C. SANTORO, Gli atti privati milanesi, cit., Milano 1966, vol. II, p. 246.
29) Statuti di Como del 1335. Volumen Magnum, a cura di G. Manganelli, tomo III, Como 1957, p. 195. GIANONCELLI, Como e il suo territorio, “Raccolta storica”, vol.
XV, Società Storica Comense, Como 1982, pp. 122, 129.
30) E. MOTTA, Lettere ducali dell’epoca viscontea, in “P.S.S.C.” VII, 1889, pp. 231- 233 segg.; M. FATTARELLI, La sepolta Olonio, cit., p. 415.
17
3) Chiesa di San Miro: chiave d’arco marmorea, inizio Quattrocento,
con lo stemma della famiglia “de Interiortulis”.
Il podestà o pretore o commissario di Gravedona fu di nomina feudale dal 1545 agli ultimi decenni del Settecento.
Si noti che la Pretura di Gravedona durò ancora per più di un
secolo, sino al 1922, e poi funzionò come sede distaccata della
Pretura di Menaggio sino a pochi decenni or sono.
Castegnolo o Casgnolo. Ancora nel 1755 vengono registrate
come proprietà comunale le rovine del Pretorio34.
Poi più nulla...
Il sito può essere identificabile col terreno in leggero declivio tra l’Asilo infantile e il nuovo cimitero, poco lontano dall’argine sinistro della valle.
A metà Settecento (1767, B. Magatti) un atto notarile attesta
l’esistenza a Gera di un’aula per l’archivio della Pieve di Sorico,
della quale e del quale non rimane traccia.
Manfredo conte di Cassino
prima del 1417
Giovanni Ghezono
ottobre 1450 - ottobre 1452
d. Antonio de Reate
podestà da 1452 a ’53
(podestà di Chiavenna nel ’55)
Giovanni de Castenedo
ottobre 1454
Giacomo de Luino
ottobre 1456
Tommaso de Calcerania
ottobre 1458
Giovanni de Brocijs
ottobre 1460 - gennaio 1464
Giuliano de Vicemalis
gennaio 1464 - dicembre 1465
Giovanni de Funes
ottobre 1466...31
d. Gaudenzio del Conte luogotenente di Sorico
1545
d. Paolo Cigala luogotenente di Sorico
1576
I BENI FEUDALI DEL VESCOVO E DELLA CATTEDRALE DI COMO
Il patrimonio degli enti ecclesiastici era normalmente costituito da beni immobili e da diritti feudali, come le decime e le
primizie: tutti questi erano dislocati nelle varie parti della diocesi e venivano concessi in genere a persone o famiglie locali che
garantivano il pagamento in denaro e in generi al tempo e nel
luogo stabiliti dal contratto.
Nel Liber mensurarum del Capitolo della Cattedrale di Como,
un codice compilato tra il 1296 e il 1299, troviamo indicazioni
sui beni della stessa Cattedrale in pieve di Sorico; purtroppo in
questa parte il testo è in cattivo stato e le lacune permettono solo
di identificare alcuni nomi di famiglie proprietarie confinanti
(de Sala, de Rippa, de Quesero) e del comune di Bugiallo pure
quale proprietario, e poi l’indicazione ripetuta del luogo di
Quesero, ove era situata una casa del signor Vescovo35.
Nei codici delle Investiture vescovili detti “delle fibbiette”
(copie della fine del Cinquecento degli atti originali) troviamo
documenti relativi alla pieve di Sorico che vanno dal 1330 al
1400.
Nel primo Tommaso Corvo fu ser Giovanni di Sorico, per
mezzo di un delegato, viene investito dell’onoranza che la sede
vescovile di Como ha sui monti di Sorico, nel luogo di Quessero,
per il fitto di soldi 12 di moneta nuova, da pagarsi a san
Martino36.
Nel 1335 si affida tutto il monte di Gazolo sopra Sorico per
un anno a Zanucho fu Ubertino di Gazolo, Zanolo di Galo,
Petrolo fu Lorenzolo di Corsono, Zanino fu Domenico di Gazolo
e i loro soci, per il fitto di 13 condi del vino prodotto, 5 quartine di castagne peste e 2 quartine di mistura, segale e miglio37.
LA “DOMUS JURIS” DEL COMUNE DI SORICO
Da numerosi atti notarili rogati nel Cinquecento si rileva l’esistenza di un edificio pubblico sito sul lato verso il lago del
borgo del Castegnolo o del Casgnolo e denominato “domus juris
communitatis Surici”, fornito di porticato sotto il quale si radunava l’assemblea o convocato degli uomini residenti nel borgo e
aventi diritto di voto (in alcuni casi più di ottanta)32.
Tale edificio esisteva ancora nella seconda metà del Seicento:
nel 1668 il vescovo Torriani annotava che sarebbe stato opportuno chiedere in comodato “la casa del magistrato” perché
“niuno la usa e va in ruina”; nel 1674 vi si radunava nel salone
superiore l’assemblea dei residenti33.
Nel Settecento se ne fa cenno nella redazione del catasto teresiano, come di edificio rovinato e anticamente Pretorio: la
superficie indicata era di tavole 18, cioè di circa 491 metri quadrati (troppo estesa per il solo edificio, ma bisogna considerare
che molto probabilmente su due lati dello stesso esisteva un’area di rispetto).
Sorgeva in riva al lago, in fronte alla strada che portava al
passo d’Adda, all’estremità nordorientale del borgo denominata
_____________________________
31) N. G. GUASTELLA, Ufficiali civili e militari nel territorio comense sotto Francesco I Sforza, in “P.S.S.C.” XXX, 1936, pp. 34 - 35. FATTARELLI, La sepolta Olonio, cit.,
p. 464.
32) ASCo, Notarile, cart. 508
33) ASDCo, Curia vescovile, Visite pastorali, cart. LV, fasc. 2.
34) ASCo, Fondo U.T.E., Mappe, teresiano, 118, cessato e aggiorn., 340.
35) Liber mensurarum del Capitolo della Cattedrale di Como (seconda parte), a cura di G.C. Peregalli e A. Ronchini, in “ Archivio Storico della Diocesi di Como “, vol. 8,
Como 199, pp. 205 - 210.
36) ASDCo, Mensa vescovile, Volumina parva, vol. 114 - 2, c. 119 (1330, 6 gennaio).
37) Ibidem, vol. 114 - 2, c. 135.
18
Nello stesso anno Anrigolo Malacria Barberio di Sorico viene
investito per 9 anni di una serie di beni: una cascina con un
pezzo di terra vignata e arborata nel luogo detto ad Mergolam
maiorem, in tutto 20 pertiche, limitata a Sud dal lago e a Nord
dalla strada comune; la metà pro indiviso di sei lotti prativi con
3 case in territorio di Bugiallo nei luoghi detti ad Plazam e ad
Frigarium, il tutto per il canone di lire 9 terzole annue38.
Sempre in quell’anno Donola fu Pietro de Arzo di Sorico
ottiene l’osteria della mensa vescovile di Como sita nel borgo di
Sorico per il fitto di lire 3 denari nuovi; nel 1354 l’osteria fu
concessa per 8 anni con lo stesso canone annuo, ad Abondiolo
Molinario, a nome di Corrado suo figlio e di donna Ansola
moglie di Corrado, tutti di Sorico. Si trattava di due case, traversate dalla strada maestra, site nel luogo di Calchera di Sorico, e
di un orto nel luogo di Sassello. Nel 1381 altra concessione,
sempre per 8 anni e con lo stesso canone, questa volta a Donato
fu Abondiolo Molinario e a Comina fu Corrado Molinario; in
questo atto si specifica che a Sud dell’osteria ed annessi c’è il
lago, mentre a Ovest sta la piazza del Comune e a N una vigna del
Vescovo chiamata Oliverio, tenuta da Giorgio Montano e
Gaudenzio Tencha39.
Il 9 gennaio 1338 Giovanni fu Ugerio de Amaza e Giovanni
suo fratello di Sorico sono investiti di tutti i proventi tanto in
monte quanto in piano spettanti alla mensa vescovile di Como,
come meglio compare nell’inventario dell’anno precedente, col
rilascio al loro fratello Petrolo per 1 anno: il tutto al canone di
lire 150 terzole, 44 capponi e 144 colli di legname, più 60 carri
di vino e un carro del miglior vino prodotto nel territorio, da
consegnare alla riva del lago di Sorico.
Inoltre, per la decima dei Monti di Sorico detta “decimetta”,
lo stesso Zanolo investito per 1 anno pagherà come canone lire
16 terzole e due oche40.
Nel 1350 di tutti i redditi e decime del borgo, territorio e
monti di Sorico viene investito Abondiolo Molinario per 5 anni
col canone l. 435 terzole e d’una torentina (trota fluviale) di 6
libbre; lo stesso viene investito della decima di Gera per il canone di lire 12.
Nel 1355 lo stesso Abondiolo Molinario viene investito delle
peschiere di Mezzola e delle bocche d’Adda per 2 anni col
canone di lire 50 terzole e di una torentina41.
Dieci anni dopo, il 25 giugno, delle stesse peschiere e diritto di pesca spettanti alla mensa vescovile vengono investiti
Josepholo de Ripa fu Gaudenzio e i suoi soci Anrigolo fu Piano
Pilizario e Masolo Calegario fu Belegro, per 1 anno, al canone di
16 fiorini di oro buono e di 25 libbre di trote fresche, la metà in
3
Quaresima e l’altra in un momento a piacere del Vescovo42.
Nel 1354 Lafranco fu Trusto de Sala di Sorico fu investito dei
beni di Corsono sul monte di Sorico, cioè di un lotto a vigna e
prato a Pozolo (a E terra vescovile tenuta da Roberto de Buzio,
a S Confortino di Bellagio, a W via comune, a N Martino Ferrari),
un lotto a vigna e prato in Roncale (a E Gaudenzio Marchi a S
terra vescovile e in parte Martino Ferrari a W terra vescovile
tenuta da Pietrino di Leno, a N via comune), un lotto a vigna e
campo a Besanzio (a E terra vescovile tenuta da Confortino di
_____________________________
38) Ibidem, vol. 114 - 2, c. 170 v.
39) Ibidem, vol. 114 - 2, cc. 176 v., 237, 344.
40) Ibidem, vol. 114 - 1, cc. 28 - 29.
41) Ibidem, vol. 114 - 2, cc. 5 v, 14 v.
42) Ibidem, vol. 114 - 2, c. 288.
19
Bellagio, a S via comune, a W terra vescovile tenuta da
Gaudenzio Marchi, a N via comune) per 8 anni, al canone annuo
di 4 condi a misura di Sorico del vino prodotto al tempo della
vendemmia.
Contemporaneamente veniva investito della metà pro indiviso del massarizio di Gusbano monte di Sorico, già tenuto dai
defunti Petrolo e Bono del fu Martinolo di Gusbano, Gerardo di
Lorenzo di Corsono di Sorico, per 8 anni, al canone di 4 lire di
denari nuovi e di 2 pernici buone43.
Nel 1356 Filippo fu Gerardo de la feria di Sorico viene investito di un terreno a vigna, prato e zerbo con molte piante di
moroni, un molino, un orto, una fucina e una casa coperta di
piode, formanti corpo unico ma con in mezzo il fiume, presso il
castello di Sorico nel luogo “ad plazam” (a E terra vescovile
tenuta in parte da Petrualo de Valle, in parte dagli eredi di ser
Bonabello de Legrano di Sorico, in parte da ser Giorgio de
Sangiuliano, in parte dal signor Pietruccio de Lambertenghi,
diviso da un sentiero, a S il signor Pietruccio, in parte Minetto
de Plaza, in parte eredi di Pellegrino Calegarii, a W Graziolo de
Rastello di Sorico e in parte Gramicho de Canova, a N il detto
Gramichio, diviso dalla strada), il tutto per 6 anni al canone
annuo di lire 5 di denari nuovi44.
Questo atto è importante perché permette di localizzare il
castello di Sorico nel suo sito geograficamente e storicamente
logico, e non a Dascio, ove non c’è mai stato né castello né
torre: bastava leggere attentamente il testo, come ha fatto il
Fattarelli45.
Dalle indicazioni confinarie risulta che il contesto era intensamente parcellizzato e quindi molto valorizzato, forse in quanto legato al castello.
Nel 1387, 23 ottobre, viene investito Lafranco de Interiortulis
fu Antonio fu ser Guidone del borgo di Sorico dei beni già tenuti
da lui e dai predecessori, per 9 anni, al canone di lire 4 terzole
e di 2 pernici, in particolare di un terreno a vigna e campo in territorio di Bugiallo dei monti di Sorico a Gusbano con 2 cascine
(a E terra vescovile tenuta in parte dagli eredi di Gerardo di
Corzono e in parte da Zanolo di Corzono, a S come sopra, a W
Cristoforo Malacria in parte e in parte eredi di ser Careto
Scanegata de Dagrio, a N strada pubblica), di un terreno boschivo in territorio di Bugiallo in luogo di Montagnola, cinto da ogni
parte da terre di Giovanni di Corzono; di un terreno boschivo al
Ronco di Gusbano (a E Gufredo e Giovanni di Sangiuliano, a S e
a W terra vescovile tenuta in parte dagli eredi di Gerardo di
Corzono e da Zanolo di Corzono, a N strada comune); di un ter-
reno campivo prativo e boschivo nel luogo della Torigia (a E
Lorenzo de Rumo de Dungo, a S Giovanni de Sangiuliano, a W il
suddetto Lorenzo, a N Zanolo di Corzono); di un terreno prativo
e boschivo al Venoldo (a E comunanza del luogo di Bugiallo, a S
eredi di ser Careto Scanegata e Cristoforo Malacria di Dongo,);
di un terreno a prato e bosco da ogni parte agrosurata alla
Montagnola (a E Giovanni di Sangiuliano di Como, a S strada
pubblica, a W Lorenzo di Corzono, a N strada pubblica)46.
Nel 1391 (25 gennaio) Henrigolo de Pilizariis fu Giovanni
del borgo di Sorico viene investito di una vigna nello stesso
borgo nel luogo alla Voga, di circa 12 tavole (a E, a S. a N detto
Henrigolo, a W la voga), per 9 anni, col canone di una brenta di
vino o di mosto e di 2 capponi47.
Nel 1397, 11 gennaio, si concede in affitto una grande proprietà con molte case diroccate e molti lotti di terreno, prati,
vigne, selve, campi, boschi, sassi e altro amcora, formanti un
corpo unito, in Bugiallo; confini: a E i Lanza di Sorico dove si
dice in Poleno, a S territorio del Comune di Sorico, a W territorio del Comune di Montemezzo, varcando il fiume, a N terra del
Comune di Bugiallo; in questa proprietà si dice che i Fontanella
di Como, Gianni de Lanza, Ugerio de Lanza di Sorico, Gaudenzio
di Gaziolo, Giovannolo detto Tachagnino de Sangiuliano di
Como, Bono di Gaziolo, Cencio di Gaziolo hanno una clasura
(enclave ?) detta de Frugia.
Gli affittuari, Taddeo Biocha, Abondio Biocha, Pietro de
Guallio, Martino Scharlino, pagano ogni anno per tutto, case e
terreni, carri... (in bianco)48.
Nello stesso stesso anno, tra vari altri beni vescovili, vengono
concessi in affitto uno in Calchera di Sorico detto Olmerio, composto da una casa a due piani con un “ caristico “ e un orto che
fanno corpo unico, confinanti a E coi beni vescovili tenuti da
Gaudenzio detto Caramania Montani, a S strada, a W beni vescovili tenuti dagli eredi di Giorgio Montani, a N beni vescovili; più
una casa in parte diroccata con un’altra casa insieme, sita presso la precedente, superata una strada, confinante a E coi beni
vescovili, mediante vicolo, a S il lago, a W la piazza, a N la strada; fittavolo Donato detto Agaza fu Abondiolo Molinari e le case
son diroccate per colpa del detto.
Più una vigna con una casa e due mansioni, nel luogo sopra
detto, con molte piante; confini a E con Giovannolo detto
Tachagnino di Sangiuliano di Como, a S idem ed in parte i
Fontanella di Como, a W i Fontanella di Como, a N ser Cristoforo
Malacria e in parte beni vescovili; affittuari risultano i Fontanella
di Como per un condio di vino, il detto Tachagnino per un con-
_____________________________
43) Ibidem, vol. 114 - 2, c. 236.
44) Ibidem, vol. 114 - 2, c. 255.
45) M. FATTARELLI, La sepolta Olonio..., cit., pp. 360-61.
46) ASDCo, c.s., vol. 114 - 2, c. 351 v.
47) Ibidem, vol 114 - 2, c. 355 r.
48) Ibidem, vol. 114 - 1, c. 271.
dio, e poi dal gruppo formato da Gaudenzio di Gaziolo, Giovanni
di Corsono, Donato di Gaziolo, Bono di Gaziolo, Gianni di
Piazza, Pietro de Carazio, Fomasio di Corsono, Pietro di
Corsono, Martino e Togno di Corsono: per il canone di 11 condi
vino, quart. 5 castagne peste, quart. 2 di mistura.
Più una vigna in Valate, confinante da ogni parte con ser
Antonio de Ligrigniano, affittata a Gianni di Piazza, Fomasio di
Corsono e Pietro Carazio, al canone di due condi vino.
Più in luogo di Gusbano un pezzo di terra campiva, prativa e
svignata con castagni e noci e altri alberi fruttiferi, con due mansioni e una cassina; confinante: a E Giovannolo di Sangiuliano e
in parte eredi di Galiolo de Riva, a S beni vescovili sul territorio
di Gaziolo, a W ser Cristoforo Malacria, a N Giovannolo di
Sangiuliano e in parte i Lucini. Fittavoli i predetti Giovanni di
Corsono, Gianni di Piazza, Pietro di Carazio, Fomasio di
Corsono, Pietro di Corsono, Martino e Togno di Corsono, col
fitto globale di lire 4 terzole e di due pernici. Più una terra vignata, campiva e prativa con castagni e una mansione dove si dice a
Grismano: confinanti, a E e a S beni vescovili, a W ser Cristoforo
Malacria, a N i Sangiuliano.
Più un campo alberato a Toragio, confinante: a E, S, W con
Lorenzo de Rumo, a N... (in bianco); affittuari quelli di Corsono
e Giannino di Piazza per lire 4 terzole, a nome di Antoniolo q.
Lafranco de Interiortolis49.
che 1 e mezza, a Sasello pertiche 4, e poi lotti minori a Piazza,
presso, sotto e sopra Villa, a Sbialio, a Carallo, a Nogario, al
Pozzo di Albonico, a Paludo, in Valle de Fregiario pertiche 4, a
Clesura de Riallo pertiche 13, a Cesura de Curgina pertiche 44,
a Vitisella pertiche 8, a Foppa pertiche 8, a Pratolungo pertiche
9, a Camperchina terra boschiva di pertiche 351 (a E il lago, a
W e a N il “ponte della Burbaliera”). Inoltre il diritto di decima
su tutto il territorio di Albonico, cioè dall’Acqua Marcia in su
verso Mezzola, e di là indietro sino alla terra del signor Vescovo
ovvero al Gazo Telliolo, e dalla fontana che sgorga fuori da
Paludo e confluisce nell’Acqua Marcia, e inoltre in su verso
monte sino alla comunanza di Bugiallo51.
Interessante è il riferimento alle tipologie edilizie: la domus
plodata, cioè la casa d’abitazion disposta su due piani (talvolta
su tre verso valle e su uno e mezzo verso monte), tutta in muratura, con tetto in lastre o piote; la mansio cooperta paleis, cioè
la stalla con fienile sovrastante, in dialetto “masun”, quasi tutta
in muratura ma col tetto di paglia (in un caso troviamo la dicitura casina, ma dovrebbe trattarsi di un sinonimo); il tablatum,
in dialetto “tebiàa”, struttura con base il pietra ma con pareti
prevalentemente in travi e tavole di legno; lo stabulum, in dialetto “stabiell”, piccola stalla adatta per suini o per ovi-caprini;
infine la curtis, in dialetto anche “era”, complemento importante dell’insediamento rurale.
In questo lungo elenco troviamo un totale di 18 case e 29
rustici o “masun”, dislocate perlopiù a piccoli gruppi (il più
numeroso, in luogo non nominato, è di 5 case e 5 rustici con
due corti); ma il priorato di Piona non era il proprietario esclusivo della squadra di Albonico e Tremoledo, come si deduce
dalle indicazioni confinarie52. Il numero delle case e dei rustici
potrebbe essere stato quindi nel complesso forse quasi il doppio.
Come canone annuo d’affitto (il contratto aveva durata di
nove anni rinnovabili) il Priorato esigeva lire 36 terzole a San
Martino, a gennaio 155 pali della lunghezza di braccia 4 e mezzo
e al primo di maggio due capretti.
I BENI DEL PRIORATO DI PIONA
Con atto del 6 settembre 1463 il priorato di Piona, nella persona del priore dom Pietro de Birago, che si definiva l’unico
superstite della comunità monastica, concedeva in enfiteusi un
complesso di 49 lotti di beni immobili, proprietà integrale del
priorato, più 44 lotti proprietà in parte del priorato ed in parte
di altri, beni indivisi, a certi Pietro Bonelli del fu Mafiolo,
Gregorio Bonelli fu Lazzaro,Giovanni Bonelli fu Lafranco,
Mafiolo Bonelli fu Togno, Giovanni del Forno fu Tomaso, Biagio
Bonelli fu Zane, Bernardo del Forno fu Martino, Lorenzo de
Scarpi fu Comolo, tutti abitanti in comune di Bugiallo, specificamente di tutte le terre descritte nell’atto, della decima, delle
case, dei rustici e delle cascine in muro e in legno, di tutti i beni
immobili esistenti in territorio di Albonico e di Tremoledo50.
Segue l’elenco: un serie di lotti è nel luogo “intus Vallenam”
per un totale di 6 pertiche e 2 tavole; a “prato del pozzo” si trovano 9 pertiche e 6 tavole, a Guasto 5 pertiche, al Forno perti-
IL COMUNE DI SORICO
Organo sovrano del Comune nell’età medievale e moderna era
l’assemblea dei capifamiglia (naturalmente maschi) che si radunava periodicamente in via ordinaria o anche straordinaria e nominava i consoli (nel Cinquecento in numero di tre, più tardi uno solo),
_____________________________
49) Ibidem, vo. 114 - 1, cc. 271 v. - 273 r.
50) A P Sorico, Faldone “documenti antichi”, fasc. 1, copia non autenticata, in. sec. XVIII.
51) Alla fine del Trecento il diritto di decima risultava appartenere alla Mensa vescovile di Como; (ASDCo, Curia, Volumina parva, 114 - 1, c. 274).
52) Tra i proprietari contermini, oltre al Vescovo di Como e al Comune di Bugiallo, figurano gli eredi di Bosio di Torsina, i Busini di Sorico, i Pelizari di Sorico, i della Porta
di Domaso, Giorgio de Solario di Sorico, eredi Tagliaferro di Sorico, Pietro Temporino, eredi di Giachio Stoppa di Nobiallo, i Vicedomini di Cosio, eredi di Anrigazio di
Zenevria, Andrea del Bosso, eredi di Bernardo Oldrado. Molte terre erano indicate come comuni, secondo la prassi medievale.
20
21
i sindaci e in certe occasioni sceglieva dei procuratori (di solito
notai o avvocati). Nel periodo più florido (dal Quattrocento ai primi
decenni del Seicento) quello di Sorico stipendiava anche un servitore pubblico, con incarichi vari, tra i quali quello di messo e cursore, per cui figura sovente negli atti ufficiali53.
Con la Riforma Teresiana del 1755 il convocato o assemblea
diventa dei “possessori o estimati” e gli si sovrappone una
Deputazione che nel caso di Sorico era composta da tre deputati dell’estimo eletti dal convocato e da un deputato del personale eletto dagli iscritti al ruolo personale (cioè dai capifamiglia);
a questi si aggiungevano un Sindaco e un Console entrambi residenti nel comune, con ruoli subalterni, un Esattore per la
riscossione delle imposte e un regio Cancelliere delegato dalla
Giunta camerale come segretario.
In pratica nasceva l’amministrazione comunale più o meno
in senso moderno54.
A Sorico nel 1786 i deputati dell’estimo erano i signori Pietro
Traversa Montani, il signor Benedetto Buzzi Cantone (sostituto
del sig. dottor Giulio Fontana) e il signor Carlo Maria Bianchi,
deputato del personale Agostino Raviscione, sindaco Carlo
Alfonso Sambuca, console Francesco Montani, regio cancelliere
Giambattista Pogliani55.
Con la Riforma napoleonica del 1805 Sorico fu compreso tra
i Comuni di terza classe, con un consiglio al massimo di 15
membri, dei quali al massimo 3 non possidenti ma tassati per la
loro attività lavorativa; inoltre una giunta composta da un
Sindaco e da due Anziani.
Tutti dovevano essere nominati dal Prefetto del Dipartimento
del Lario.
Sorico, con la sua ex-pieve, faceva parte del Cantone III di
Gravedona, a sua volta parte del Distretto III di Menaggio.
Nel 1807 si decise la ”concentrazione” dei Comuni più piccoli per varie ragioni politiche ed economiche: stranamente nel
Cantone di Gravedona, oltre al capoluogo (1168 ab.) e a Colico
(1205 ab.) rimase non concentrato Bugiallo (527 ab.), mentre
Gera (371), Montemezzo (291), Sorico (213) e Trezzone (255)
confluirono nell’unico comune di Gera, con 1130 abitanti56.
La “concentrazione” però ebbe durata effimera, perché
colla restaurazione austriaca (Notificazione 12 febbraio 1816)
tutto tornò come prima o quasi. Solo il Comune fu dotato di consiglio a seguito di dispaccio governativo del 19 marzo 1821.
All ’inizio del regno d’Italia (anno incerto tra 1861 e 1864)
la situazione economica del Comune era così formata57.
Entrata: Fitto dei stabili comunali (Galante Antonio, Tornelli
Pietro, Zanetti Domenico, Copes Bernardo), dalla Tesoreria pro-
vinciale per interessi di diverse cartelle, dal Comune di Gravedona,
interessi di cartella promiscua, dal Comune di Gera, interessi come
sopra, Tasse Certi e Commercio: totale attivo 457, 01.
Uscita: Interessi di Capitali passivi
301,24
1. Al segretario comunale
200,00
2. Al regolatore dell’orologio
15,00
3. Fitto per l’ufficio comunale
25,92
4. Al pedone comunale
8,00
5. Al cursore comunale
46,66
6. Contribuzione sui beni comunali
17,00
7. All’esattore comunale per la riscossione
dell’imposte dirette
480,00
8. Quota della pigione dell’ufficio politico in Gravedona
24,00
9. Al medico locale condotto
341,34
10. Pel servizio vaccino
8,00
11. Levatrice comunale
40,00
12. Manutenzione delle strade
316,30
13. Fitto del locale della scuola comunale
13,43
14. Stipendio del maestro elementare
172,84
15. Premi pei scolari
6,00
16. Supplemento di congrua
51,92
17. Salario dei sagrestani
88,72
18. Funzioni religiose a carico municipale
86,41
19. Salario del becchino
21,60
20. Pel porto degli Olii Santi
3,43
21. Imposta sulla rendita della casa parrocchiale
7,50
22. Equivalente d’imposta sulla rendita del comune 12,65
23. Alla Cassa provinciale per l’importo di 2 decimi 15,80
24. Spesa per la festa dello Statuto
80,00
Il bilancio registrava quindi un passivo di lire 1886,75.
La situazione economica di questo genere si protrasse per
molti decenni.
Il Comune nel 1865 fece costruire parecchie stanze sopra la
canonica vecchia, di cui gli spettava la manutenzione, e ne adibì
una a sede comunale, non senza proteste dell’arciprete, almeno
fino al 1910.
La sede si trasferì pochi anni dopo nel nuovo edificio scolastico e vi rimase sino alla costruzione dell’attuale struttura polifunzionale.
Quando nel 1928 si verificò l’inglobazione di Bugiallo, tutto
quanto era di pertinenza di quel Comune fu trasferito al nuovo
capoluogo, compreso l’archivio, ancor oggi conservato in faldoni distinti da quello di Sorico.
_____________________________
53) ASCo, Notarile, cart. 1243, 1244, 1245 vari atti.
54) M. MASCETTI, Da Filippo II a Napoleone I: tre episodi nella storia degli ordinamenti territoriali del Comasco, in “ P.S.C. “, LIV, Como 1990, pp. 177 segg.
55) ASCo, Prefettura, cart. 240.
56) M. MASCETTI, Da Filippo II a Napoleone I, cit., pp. 221 segg.
57) A.C. Sorico, faldone 87.
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LA STRADA REGINA IN TERRITORIO DI SORICO
Ad Albertino e ai già detti nipoti di Sorico lascia lire 12 delle
14 che gli devono.
A Cavalcaselle di Sorico ed al fratello lire tre.
Inoltre lascia la sua parte di terra di Arbosto60 in territorio di
Sorico a Riccadonna sua nipote.
Quindi seguono i risarcimenti alle comunità “pro male ablato”:
ad un Comune anonimo soldi 40, al Comune di Monte di Sorico
soldi 40, al Comune di Zerzuno (Cerceno) di Monte di Sorico soldi
20, alla vicinanza di Bugiallo di Monte di Sorico soldi 40.
In altra serie di disposizioni lega la sua decima di Aurogna
alla chiesa di san Vincenzo di Sorico.
Infine, come codicillo, dispone che siano restituite lire sei di
denari nuovi a Segnadino o Segadino di Sorico e ai suoi consanguinei, metà per ciascuno.
Nel Trecento il percorso era suddiviso in tratte, affidate per la
manutenzione alle varie comunità, nella fattispecie: dalla valle di
Crel sino al termine che sta tra la torre di Olonio e Sorico e si chiama ad Veniolam, a carico del comune di Sorico; dal predetto termine sino al Pozzo Meriggio, a carico del comune di Montemezzo;
dal Pozzo Meriggio sino al termine presso un albero alla Valenzana,
a carico del comune di Bugiallo; dal termine della Valenzana al
ponte di Agrono e il ponte stesso, a carico dei comuni della valle di
Livo e di Vercana; dal ponte di Agrono sino al ponte dell’Acqua
Marcida e il ponte stesso, a carico dei villaggi di Liro, della Traversa
e di Naro; dal predetto ponte dell’Acqua Marcida sino al termine
che è a metà della via della Ganda, a carico del comune di Peglio
monte di Gravedona; dal predetto termine sino al termine che è
sulla costa del Pozzo Madrone, a carico del comune di Colico; dal
predetto termine, che è a mezza costa sopra il campo che si suole
arare, presso la costa del Pozzo Madrone, sino al ponte di pietra in
volta che si dice a Telliolo, a carico del comune di Piuro; dal predetto ponte di pietra sino alla via grande che è presso l’arco di
Telliolo, a carico del comune di Lezzeno superiore58.
SEPARAZIONE TRA I COMUNI DI SORICO E GERA (1587)
Sino a tutto il Quattrocento Sorico e Gera formavano un solo
Commune burgi diviso in due quartieri; nel 1482 cominciarono le rivendicazioni campanilistiche di Gera, per la questione
del fonte battesimale e dell’autonomia giurisdizionale (cfr. atto
17 giugno, not. Angelino de Mantegazzi).61 In sostanza il caso
era scoppiato quando nel 1466 era stato inaugurato il fonte battesimale in S. Stefano e l’arciprete non si era più recato a S.
Vincenzo per presiedere la solenne benedizione del Sabato
Santo. Da allora i geresi vollero un proprio sacerdote rettore
con funzioni parrocchiali, anche se talvolta questi, con doppia
funzione, faceva anche parte del Capitolo plebano (cfr. 1502, 1
ott., not. Gasparino Riva)62.
Nel corso dei decenni la rivalità dovette risultare sempre più
sentita.
Finalmente nel 1575 Gera ottenne dal Senato di Milano di costituire un Comune a sè stante colla divisione dei beni e dell’estimo
anche nel piano, divisione fatta dal delegato Francesco Giov. Tradato
nel 1579 ma non accettata dai sorichesi perché troppo dannosa per
loro: quindi fu scelto per mutuo consenso come arbitro il cardinal
Tolomeo Gallio, anche come conte delle Tre Pievi, e questi pronunciò il 15 genn. 1587 (rogito del not. Sala Giovanni di Como) un lodo
col quale assegnava la parte del piano di Olonio alla destra del canale chiamato di Borgo Francone al comune di Sorico e quella a sinistra al comune di Gera (“Universitati de Surico assignavit omnia
bona jacentia a dicto stagnio Borgo-Francon citra versus flumen
IL TESTAMENTO DI GUERCIO DE SALA
Risale al 20 novembre 1176 ed è un documento significativo
perché fornisce la panoramica degl’interessi che un uomo di
rilievo (un miles, cioè un guerriero nobile) aveva tra Como e
Sorico, un personaggio che oltretutto aveva combinato anche
parecchie imprese nella zona e nei decenni precedenti al testamento, tali da suscitargli un certo pentimento nell’ultima malattia o nel presentimento della morte.
Il testo è stato conservato in un apografo comasco del secolo seguente chiamato “Codice dei Crociferi”59 e questo spiega
alcune imprecisioni e alcune lacune. Registriamo qui solo i dati
relativi a Sorico e al suo territorio.
Al nipote Girardino lascia la sua terra di Porzano che è in territorio di Sorico (cioè un podere a Folciano di Trezzone). E poi
comincia la serie delle restituzioni: evidentemente ricordava episodi vari poco edificanti...
A Giovanni Buono di Quessero soldi quaranta. Ad Axandro (o
Alessandro) del Pozzo del Monte di Sorico e al suo zio e al suo
familiare lire quattro di denari nuovi.
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58) Statuti di Como de 1335, op.cit., tomo III, p. 94, “Determinatio stratarum et pontium...”.
59) F. FOSSATI, Codice dei Crociferi di Como, in “P.S.S.C.”, Como 1873, pp. 169- 173.
60) Veramente Arbosto è in Comune di Vercana, quindi in territorio di Gravedona: ma qui forse il moribondo ha fatto confusione e i giudici, notai, e pronotari non hanno
dato importanza al particolare, forse da loro non ben conosciuto.
61) M. ZECCHINELLI, Ricerche, cit., pp. 28, 97, 120: il documento è segnalato come esistente nell’ Archivio parrocchiale di Gera, ma il fascicolo che doveva contenerlo risulta inspiegabilmente vuoto da più di vent’ anni.
62) ASCo, Notarile, cart. 106 (G.Riva).
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