periodico quadrimestrale di ambiente, dialetto, storia e tradizioni

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periodico quadrimestrale di ambiente, dialetto, storia e tradizioni
ISSN 1720-5638
IL CALITRANO
periodico quadrimestrale di ambiente, dialetto, storia e tradizioni
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB - Firenze 1
ANNO XXVII - NUMERO 35
MAGGIO-AGOSTO 2007
(nuova serie)
VIA A. CANOVA, 78 - 50142 FIRENZE - TEL. 055/783936
www.ilcalitrano.it
IN QUESTO NUMERO
ANNO XXVII - N. 35 n.s.
Un progetto culturale
per Calitri
3
di Raffaele Salvante
L’Irpinia nel Settecento
5
del dottor Emilio Ricciardi
9
Andrea di Lioni. Ultimo
abate di S. Maria in Elce
di Gerardo Cioffari O.P.
11
Columbus Day
del Cronista
14
Calitri e Bisaccia
nella crisi del 1799
di Annibale Cogliano
19
L’insediamento basiliano
di Palomonte
Per un piacevole soggiorno a Calitri, a poche
centinaia di metri dal centro abitato, la Bed &
Breakfast “il Melograno” dispone di quattro
camere dotate di tutti i conforti, di una cucina attrezzata, un ampio porticato e parcheggio privato.Agli ospiti è riservato l’intero piano superiore, così da garantirne la privacy.
Via delle Nazioni Unite
83045 Calitri (Av)
tel. +39 0827 318442
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di Damiano Pipino
Periodico quadrimestrale
di ambiente - dialetto - storia e tradizioni
dell’Associazione Culturale “Caletra”
Fondato nel 1981
Personaggi
del Cronista
IN COPERTINA:
Calitri 2005,Vico Cicoira un piccolo antico angolo
della Calitri antica che si avviluppa nel tortuoso dedalo delle strette viuzze che portano verso il castello, una volta tanto famoso.
(foto Angelo DI MAIO)
IL CALITRANO
Sito Internet:
www.ilcalitrano.it
E-mail:
[email protected]
Direttore
Raffaella Salvante
Direttore Responsabile
A. Raffaele Salvante
Segreteria
Martina Salvante
21
DIALETTO
E CULTURA POPOLARE
23
LA NOSTRA BIBLIOTECA
24
VITA CALITRANA
28
Direzione, Redazione, Amministrazione
50142 Firenze - Via A. Canova, 78
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SOLIDARIETÀ COL GIORNALE 29
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MOVIMENTO DEMOGRAFICO 30
La collaborazione è aperta a tutti,
ma in nessun caso instaura un rapporto
di lavoro ed è sempre da intendersi
a titolo di volontariato.
I lavori pubblicati riflettono il pensiero
dei singoli autori, i quali se ne assumono
le responsabilità di fronte alla legge.
REQUIESCANT IN PACE
31
LA XXVI FIERA
INTERREGIONALE DI CALITRI
“Un impegno
per le zone interne del Mezzogiorno”
che si terrà dal 24 agosto al 2 settembre 2007
Il giornale viene diffuso gratuitamente.
Attività editoriale di natura non
commerciale nei sensi previsti dall’art. 4
del DPR 16.10.1972 n. 633
e successive modificazioni.
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con la Rassegna espositiva specializzata nei settori
dell’Artigianato, dell’Industria, dell’Agricoltura
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2800
Chiuso in stampa il 10 luglio 2007
IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
“È MEGLIO FARE E PENTIRSI, CHE NON FARE E PENTIRSI” (MACHIAVELLI)
UN PROGETTO CULTURALE
PER CALITRI
Per vincere, una volta per tutte, il disagio, la difficoltà, l’abbandono e il conseguente margine
di insicurezza ed incertezza che da sempre ha condizionato la nostra società giovanile.
n questi ultimi giorni di giugno sono stati pubblicati sul Mulino, Atlante del caIpitale
sociale in Italia i risultati di una
ricerca condotta da Roberto Cartocci dai
quali si evince, purtroppo, che “quel tesoro nascosto costituito da relazioni libere e disinteressate, da virtù civiche, da fiducia nelle istituzioni è in Campania pari
a zero e, in alcuni casi, a meno zero”: sono parole dure come le pietre che esprimono una situazione semplicemente desolante.
Noi vogliamo smentire queste analisi
e con l’esperienza ormai di ben 27 anni
di vita del giornale che, con l’aiuto di tutti, siamo riusciti a portare avanti per tanto
tempo, si è affinato l’ingegno per mete
ben più prestigiose ed importanti dagli
orizzonti più vasti, ma che per essere tali
devono risultare da una sinergia di forze e
di intenti.
Purtroppo, è anche vero che molto
spesso siamo stati abituati ad aspettare
la manna dal cielo e poche volte abbiamo avuto il coraggio, anzi l’ardire, di
rimboccarci le maniche e cominciare a
fare, ad operare per costruire non per puro egoismo personale, ma per il servizio
dell’intera comunità, in special modo i
giovani.
Già da giovanissimi abbiamo cercato
di conformarci al motto latino “Faber est
suae quisque fortunae” e cioé ciascuno si
foggia (prepara) la propria fortuna, perché – per fare qualche esempio concreto – nel 1957 per creare qualche attrattiva
concreta per i giovani nella sede dell’Azione Cattolica di Calitri ci impegnammo con due sodali a fare le cose con
le nostre mani, anziché aspettare con le
braccia conserte: andammo all’Ofanto nel
terreno di un nostro carissimo amico a tagliare un albero – la famiglia, come sempre, era all’oscuro di tutto – lo trasportammo in paese con un camion “r lu
maiestr’” che allora trasportava la sabbia
del fiume e lo portammo da un falegname
per avere un bel tavolo da ping-pong sul
quale ha potuto giocare una intera generazione di giovani.
Ora ad una svolta della nostra vita,
che grazie a Dio è due volte “nel mezzo
del cammin”, ci troviamo in casa un
grande e cospicuo tesoro costituito da
una biblioteca dotata di oltre 15 mila
(quindicimila) volumi, con alcune riviste come “Lares” con tutte le annate dal
1970, e nel ricordo dei tempi bui della
nostra giovinezza quando andavamo da
Patr’nett’ a comprare con 100 lire un libretto della BUR (Biblioteca Universale
Rizzoli) vorremmo mettere al servizio
A. Raffaele Salvante
PERSONAGGI
CALITRANI
Con prefazione della dott.ssa
Martina Salvante
2
Quaderni de “Il Calitrano”
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Il secondo volume dei
Quaderni de “Il Calitrano”
è disponibile al prezzo di
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3
della nostra comunità questo autentico
patrimonio culturale con la costituzione
di un “Centro Studi” – una vera officina culturale – tutto da costruire nelle
strutture ed anche nelle finalità che non
deve essere semplicemente di consultazione, come in Biblioteca, ma un vero
centro di formazione, con attività culturali variegate.
Si tratta, certamente, di una sfida impegnativa che necessita dell’aiuto e del
consiglio di tutti, in modo particolare di
collaboratori ed operatori in grado non
solo di gestire il buon funzionamento di
questa nuova istituzione, ma anche all’uopo di conferire altri contributi librari
capace di trasformare l’avvenimento in
un vero e proprio momento significativo
e qualificante, col quale, noi calitrani,
vogliamo recuperare un po’ di orgoglio,
in onore alle tante persone che – anche
oggi – operano e si impegnano con le
sole loro forze al servizio dell’intera comunità.
Intendiamo, perciò, sollecitare una
rinnovata sensibilità ed una più profonda
consapevolezza per mettere in pratica,
con la necessaria determinazione, per dare una concreta, coerente e realistica attuazione ad un vero, grande progetto culturale.
“La bibliofilia è una forma, non grave
di bulimia” diceva Bacone, e a coloro che
veramente amano i libri non possiamo che
consigliare di leggere o rileggere – meditando – il meraviglioso libro di Riccardo
De Bury (1281-1345) “Philobiblon” ovvero la passione per i libri, in particolare
quando dice “tra i quali trovammo l’oggetto e l’alimento del nostro amore” (ubi
amoris nostri obiectum reperimus et fomentum). “Amor di libri è senza dubbio
amor di sapienza”.
A Noi calitrani è demandato il tutto,
sapremo essere all’altezza del compito?
La risposta più semplice, genuina
sta nei fatti e non nelle chiacchiere, con
le quali non si è mai costruito nulla di
buono.
Raffaele Salvante
IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
Il sindaco di Calitri
dottor Giuseppe Di Milia è il nuovo
Presidente della Comunità Montana
“Alta Irpinia”
uguri dottor Di Milia!
A
Il giorno 1 giugno 2007 presso la
Comunità Montana “Alta Irpinia” con
sede a Calitri, è stato eletto a grande
maggioranza il nuovo Presidente dell’Ente, punto di riferimento per i comuni che ne fanno parte, il dottor Giuseppe Di Milia. Questa nuova e prestigiosa carica si aggiunge a quella di Assessore della Provincia di Avellino e di
primo cittadino del comune di Calitri.
Non ha bisogno di alcuna presentazione
perché è sulla scena politica da moltissimi anni, svolgendo il suo lavoro di
rappresentanza come una missione,
sempre attento e disponibile ai problemi della Comunità.
Per l’amicizia e la stima che mi legano al dottor Di Milia dal profondo
del cuore e con affetto gli auguro tanta
fortuna e di vederlo, nel tempo, arrivare
sempre più in alto.
Tutto questo non potevo che dirglielo da questa Rivista, il cui direttore
responsabile, in maniera encomiabile,
da quasi sei lustri è riuscito a far conoscere, sempre meglio, il nostro paese
ed i Calitrani nel mondo.
Una concittadina
Associazione Romana
dei Calitrani
Sig. Sindaco,
ELegregio
facendo seguito a quanto accennatoin via breve durante la mia recente
venuta a Calitri, mi pregio comunicarLe
che il Comitato Direttivo dell’Associazione Romana dei Calitrani, nella riunione del 25/05/2007, ha deliberato il programma per la celebrazione in Calitri
della “Giornata dell’emigrante” – che
quest’anno coincide anche con il 15° anniversario della costituzione dell’Associazione Romana – dandomi mandato di
trasmetterlo alla Sua cortese ed autorevole attenzione.
Programma
se di allestimento della rappresentazione
ed a tutti gli spettatori verrà offerto in
omaggio il Calendario Calitrano per l’anno 2008.
Mercoledì 5 settembre 2007
Ore 11,00
– assemblea Generale dell’Associazione Romana dei Calitrani;
– relazione del Presidente e del Comitato Direttivo;
– rinnovo delle cariche sociali.
Per questa assemblea si chiede la
possibilità di utilizzare l’ex casa dell’ECA che verrebbe occupata dalle ore
11,00 alle ore 13,00
Domenica 2 settembre 2007
Dalle ore 19,30 alle ore 23,00 circa
con la disponibilità e la collaborazione
del Parroco Don Maurizio Palmieri avrà
luogo, nella cripta della chiesa Madre,
la rappresentazione teatrale “DITEGLI
SEMPRE DI SÌ”, commedia in due atti
di Eduardo De Filippo che verrà presentata dalla Associazione Culturale e Teatrale di Roma “AGITATI PRIMA DELL’USO”.
Allo spettacolo potranno accedere liberamente tutti i cittadini versando un
modesto contributo volontario per le spe-
Ore 13,30
Pranzo sociale, aperto a chiunque voglia partecipare assumendone in proprio
il relativo costo, presso il Ristorante “Gagliano” di Grasso Antonio.
Ore 20,30
Sempre presso il Ristorante “Gagliano, serata danzante con piccolo buffet
aperta alla cittadinanza secondo la consuetudine ormai consolidata da ben quindici anni di celebrazione.
Dott. Antonio Cicoira
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I MIEI VESPRI
Guarderò nella mente
le gemme che toccano
lo stesso germoglio
dove nemmeno il vento
è cambiato sapore,
ti sfruscia la faccia.
Da destra a sinistra
senza ritorno.
Coricato scartavo
le pietre
che sempre saltavano
nei miei occhi,
la natura ballava
la pupilla ed il
pensiero si arrampicava
alla fantasia
rattoppando i miraggi
svaniti.
Poi colgo i miei dispetti
all’orizzonte dove sempre
c’e’una striscia del mio
crepuscolo;
che si annicchia nella
coda dei miei occhi.
Muove il fruscio
delle acque questa natura
immota tocca l’inno
armonico dei miei pensieri,
e rovescia stufato
le pieghe dell’ombra.
Pietro Pinto
LAUREE LANDI
I pronipoti di nonno “PICCHIO”
(Luigi Nicolais) “picchiano”
ancora, eccome, ma ora sul serio:
è poker di 110 e lode!
Dopo le sorelle Elvira e Maria
anche i germani
CHIARA e MICHELE LANDI
hanno conseguito entrambi la laurea
con 110 e lode
presso l’Università degli Studi
Federico II di Napoli.
Il 24-01-2007 CHIARA
in Ingegneria Gestionale ed il
02-04-2007 MICHELE in
Ingegneria delle Telecomunicazioni.
Ai due neo-laureati tante
congratulazioni ed affettuosi auguri
per un brillante avvenire.
Alla nonna materna Maria Gaetanina
Nicolais ved. Toglia, alla mamma
Lucia, al papà Rocco, agli zii e
parenti tutti felicitazioni vivissime.
A breve l’ultimogenito Francesco
sarà chiamato a “chiudere”
in… scala reale!
Ad maiora!
IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
EMILIO RICCIARDI
L’IRPINIA NEL SETTECENTO
ella Biblioteca Nazionale di Napoli
N
si conserva un manoscritto anonimo
intitolato Descrizione della Provincia di
Principato Ultra1. L’opera, composta di
circa duecento pagine scritte con una
grafia chiara, con rare correzioni e qualche glossa sui margini dei fogli, si può
datare, in base alle notizie riportate, con
una certa precisione: è posteriore al
1734, poiché nel testo si parla del re Carlo di Borbone, salito al trono in quell’anno, e anteriore al 1738, anno della morte
di Giulio Imperiale, principe di Sant’Angelo dei Lombardi, ricordato nel manoscritto come feudatario di quella città.
È probabile che l’intenzione dell’autore
fosse quella di presentare al nuovo sovrano una delle dodici province che
componevano il Regno.
A un primo esame il compilatore del
manoscritto si rivela una persona colta,
che maneggia con sicurezza le fonti storiche e conosce bene la sua provincia; le
notizie dettagliate che offre su Montefusco e sulla Regia Udienza che aveva sede
in quella città fanno supporre che fosse
uno dei “governadori dottori di legge” di
cui si parla nel testo, cioè uno di quei
funzionari ai quali veniva affidata l’amministrazione dei piccoli centri della provincia.
Egli divise l’opera in più parti: una
descrizione generale della provincia, una
relazione particolareggiata sui principali
centri del Sannio e dell’Irpinia, un elenco
delle rendite regie e dei benefici ecclesiastici presenti nel Principato Ultra e infine una dissertazione sul tribunale dell’Udienza e i suoi uffici. Di notevole interesse è la parte sui centri abitati, con
una breve trattazione storica per ciascun
paese, corredata da un apparato critico
che annovera tra le fonti utilizzate opere
di autori classici come Strabone, Livio
e Cicerone, ma anche gli scritti di Filippo Cluverio, di Marino Freccia, di Marco
Antonio Sorgente, fino ai più recenti
Summonte, Mazzella e Ciarlanti, insieme
con la storia dei Longobardi scritta da
Camillo Pellegrino2.
L’ignoto autore conosce anche il Regno di Napoli in prospettiva3 e a volte,
come nelle descrizioni di Nusco o di
Conza, ne copia una frase oppure lo usa
per ricavarne qualche fonte bibliografica;
tuttavia non cita mai nelle sue note il testo di Pacichelli.
La descrizione dei paesi della provincia è integrata con dati e notizie di
prima mano, che costituiscono uno dei
maggiori pregi dell’opera, e non mancano giudizi e osservazioni personali; inoltre bisogna considerare che alcuni piccoli centri presenti nel manoscritto, come
Frigento e Carbonara, non sono neppure
citati nell’opera di Pacichelli.
Nonostante l’agilità della trattazione,
in accordo con la dichiarata intenzione
dell’autore di voler scrivere “colla maggior brevità” possibile, il manoscritto offre una gran messe di dati (numero degli
abitanti, rendite di proprietà feudali ed
ecclesiastiche, prodotti del suolo, attività
manifatturiere), raccolti con “somma diligenza”, ma anche con grande fatica, dal
momento che molti feudatari “gelosi del
proprio avere” avevano “incivilmente
niegato” di fornire notizie sulle città da
loro possedute, mentre altri avevano fornito dati falsi, o dichiarando rendite più
basse del vero per timore di qualche imposizione fiscale, oppure, all’opposto,
“presi da vanagloria di mostrarsi ricchi, e
potenti”, aumentando in maniera poco
credibile il valore dei loro feudi.
Ugualmente difficile era stato delineare un quadro esatto dei benefici ecclesiastici, anche per il gran numero di
soggetti che a diverso titolo li detenevano
(vescovi, capitoli, chiese ricettizie, chiese
collegiali, abbazie e conventi); sebbene
l’autore proponga una stima complessiva
delle rendite ecclesiastiche pari a oltre
130.000 ducati annui, la cifra appare inferiore al vero, considerando che nelle
mani del clero era concentrata la maggior parte delle proprietà della provincia.
Dal manoscritto emerge il profilo
dell’Irpinia negli anni successivi al terremoto del 1732, una provincia povera e
arretrata, anche a causa dell’isolamento
geografico; il Principato Ultra, pur essendo, dopo il Contado di Molise, la circoscrizione più piccola del Regno, contava 165 piccoli centri abitati, sparsi su
un territorio in gran parte montuoso e
con scarse vie di comunicazione. Tutti i
centri della provincia, con l’eccezione di
Ariano che era una città regia, erano infeudati e la proprietà era molto frazio5
nata: ottantasette baroni e un gran numero di enti ecclesiastici si dividevano le
scarse rendite provenienti da quelle terre.
La principale occupazione delle popolazioni era l’agricoltura, un’attività faticosa e ingrata, vista la conformazione
del territorio, che forniva “non altro, che
qualche quantità di grano, di vino, di orzo, di nocciuole, pochissimi olivi, ed altre poche frutta”. La zona più fertile, e
per questo adatta a colture di maggiore
pregio, era la conca di Avellino, mentre
la parte orientale della provincia, meno
favorita dal clima e coltivata con tecniche primitive, presentava soprattutto seminativi, boschi e terreni incolti4.
Le rare attività imprenditoriali erano
legate all’agricoltura, ma quasi ovunque i
retaggi feudali paralizzavano l’economia,
imponendo dazi e privative su tutte le attività dei cittadini e scoraggiando l’iniziativa privata. Una felice eccezione era
rappresentata da Solofra, i cui abitanti,
non potendo contare sul territorio, scarso
e poco adatto alla coltivazione, si erano
“dati al traffico, ed all’esercizio delle arti mercantili”, dedicandosi non solo al
commercio della lana e alla concia delle
pelli, ma soprattutto alla lavorazione di
lamine d’oro e d’argento, “d’onde quasi
tutto il Regno se ne provede”.
Anche la città di Sant’Angelo dei
Lombardi godeva di relativo benessere
in virtù di un antico privilegio, contenuto
nei patti stipulati tra la città e il feudatario, che consentiva a “ciascun cittadino a
suo piacimento, e per utile, e commodo
proprio” di “costruire, e tenere molini,
valchiere, taverne, e forni”, condizione
che permetteva ai suoi abitanti di vivere
con una certa agiatezza.
La scarsità delle risorse determinava
negli abitanti della provincia una certa
austerità di costumi; le poche famiglie di
condizione benestante vivevano senza
lussi e senza ostentazioni “mediocremente ciascuno vestendo, e senza tener cavalli, e carrozze, od altre sì fatte grandezze”, che si rivelavano inutili vanità in luoghi tanto piccoli e lontani dalla capitale.
L’antica fierezza degli progenitori
sanniti aveva lasciato una traccia marcata nelle genti irpine, di carattere “aspro”
e facile alle vendette; si lamentavano in
quelle contrade numerosi omicidi, anche
IL CALITRANO
perché la vicina città di Benevento, appartenente allo Stato Pontificio, garantiva
un rifugio a tutti coloro che, macchiatisi
di delitti, si davano alla latitanza, ingrossando le file del brigantaggio.
Quasi un terzo delle circoscrizioni
ecclesiastiche in cui era divisa la Campania nel XVIII secolo ricadevano all’interno del Principato Ultra, giustificando il detto secondo il quale, quando a
un vescovo campano sfuggiva di mano il
pastorale, questo cadeva nella diocesi vicina; il vescovato di Trevico racchiudeva
in tutto sei centri abitati, quelli di Nusco
e Montemarano quattro ciascuno, la circoscrizione di Bisaccia abbracciava tre
paesi e due sole terre formavano le diocesi di Lacedonia e di Monteverde.
Tanti minuscoli vescovati concentrati in uno spazio limitato e tredici prelati5
per governare poco più di duecentomila
anime, quando nello stesso periodo l’intera Lombardia contava in tutto nove
diocesi per una popolazione dieci volte
maggiore, si spiegano con la morfologia
accidentata del territorio, che rendeva
difficili i collegamenti tra i paesini sparsi
tra le montagne, e con l’esistenza di antichi privilegi legati a centri decaduti; ad
esempio la città di Frigento, sebbene la
sua circoscrizione fosse stata da tempo
accorpata con quella di Avellino, manteneva il diritto di eleggere un proprio
vicario capitolare e il vescovo di Avellino
periodicamente celebrava anche nella
cattedrale frigentina6.
Spesso i prelati non dimoravano nella
città principale della diocesi: il vescovo di
Conza, secondo le stagioni, risiedeva in
Santomenna o in Sant’Andrea, quello di
Trevico a Flumeri o a Castelbaronia; tuttavia l’uso di risiedere stabilmente all’interno della propria circoscrizione, a differenza di quanto accadeva nei secoli precedenti, era ormai una prassi consolidata.
Gli ecclesiastici erano molto numerosi: il clero secolare annoverava in ogni
paese decine di sacerdoti e chierici, e in
alcune città come Ariano se ne contavano anche centocinquanta; tra le circa
duecento chiese esistenti nella provincia
si contavano trenta collegiate, settantaquattro parrocchie e novantadue arcipreture, segno della grande diffusione delle
chiese ricettizie.
Per quanto riguarda il clero regolare,
tra gli ordini monastici prevalevano gli
insediamenti verginiani; alla grande abbazia di Montevergine facevano capo sei
altre case, la più famosa delle quali era
quella di San Guglielmo al Goleto. Tra
gli ordini mendicanti erano molto diffusi
i Francescani, che tra Conventuali, Riformati e Cappuccini possedevano in tutto
trentasette conventi, contro le tredici case
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
dei Domenicani; il più famoso convento
francescano della provincia era quello di
San Francesco a Folloni, situato in un bosco nei pressi di Montella, mentre Bagnoli Irpino, ricca di edifici sacri, era sede di un importante convento domenicano e di una “sontuosa chiesa collegiale”7.
Nell’intero Principato Ultra c’erano,
a fronte delle ottantuno case maschili,
solo tredici monasteri femminili; la differenza si spiega col fatto che questi ultimi potevano trovarsi solo all’interno delle mura urbane, mentre conventi e monasteri maschili non di rado erano situati
in luoghi distanti dall’abitato.
I religiosi delle congregazioni fondate nell’età della Controriforma, che di
solito preferivano aprire case solo nei
centri di una certa importanza, erano poco diffusi nei paesini della provincia; tuttavia sacerdoti missionari visitavano periodicamente le terre più remote, per garantire a quelle popolazioni la necessaria
cura pastorale, e gli arcivescovi più avveduti incoraggiavano le missioni popolari, utilizzandole anche per moralizzare,
attraverso gli esercizi spirituali, il clero
della propria diocesi.
La Descrizione fu composta alcuni
anni prima della fondazione, nel 1741,
della congregazione del Santissimo Redentore per opera di Sant’Alfonso Maria
de Liguori; pertanto né i religiosi dell’istituto redentorista né il “bellissimo, e
grandioso edificio”8 di Materdomini, divenuto in breve tempo uno dei principali
punti di riferimento spirituali della provincia, sono citati nel manoscritto.
***
In conclusione si può affermare che
l’anonima relazione settecentesca è uno
dei primi tentativi di illustrare il Regno e
le sue province impostando il lavoro su
una solida base documentaria, attraverso
la raccolta e l’utilizzo di dati che in quei
tempi non era facile mettere insieme. Il
carattere di scientificità dell’opera è rimarcato dalla presenza, alla fine della
trattazione, di una tavola sinottica in cui
l’autore riportò per ogni centro della provincia le notizie “che meno dal vero sono sembrate allontanarsi”.
Va infine sottolineato che la Descrizione del Principato Ultra precede di oltre mezzo secolo le grandi opere storicogeografiche di fine Settecento, come i
dizionari di Sacco e di Giustiniani, le
carte geografiche di Rizzi Zannoni e soprattutto la Descrizione geografica e politica delle Sicilie di Giuseppe Maria Galanti, di cui l’ignoto estensore del manoscritto può essere considerato a buon diritto un antesignano9.
6
Qui di seguito si riporta per intero il
primo capitolo dell’opera, con la descrizione generale della provincia di Principato Ultra; nei prossimi numeri saranno
trascritte le descrizioni di alcuni centri
della provincia.
Si è cercato, compatibilmente con le
esigenze tipografiche, di rendere le pagine come appaiono sul manoscritto; l’apparato critico originario è stato riportato tra parentesi e in corsivo, senza
sciogliere le abbreviazioni usate dall’autore; nello stesso modo e con lo stesso carattere sono state riportate le glosse
a margine di alcune pagine.
Divisamento generale della provincia di Principato Ultra
Sin dai tempi, che i Longobardi il felicissimo nostro Regno di Napoli possederono,
questa, che di presente osserviamo di lui divisione in dodeci provinzie, trasse sua origine, e cominciamento imperciocché i Longobardi di vari castaldati, e contadi v’introdussero, dividendo spezialmente in castaldati,
come in tante provinzie l’ampio Ducato Beneventano, il quale allora non meno che nove
intere provinzie di quelle, che oggidì il nostro
Regno compongono, abbracciava (Camill.
Pellegr. in disert. de Ducat. Benev.). Quindi
succeduti a’ Longobardi i Normanni le medesime divisioni vi mantennero, ma colla
nuova nazione nuovi nomi esse riceverono, e
siccome presso i Longobardi dal nome del
magistrato, a cui era commesso il governo di
quelle regioni, ch’essi chiamavano castaldo, il
nome di castaldato acquistarono, così commettendo i Normanni ai loro uffiziali che giustizieri chiamavano, il governo delle provinzie, presero parimente queste il nome di giustizierati.
Da tal divisione adunque, che i Longobardi del Regno fecero in castaldati, e contadi, porta primieramente sua surgiva questa,
che ora tenemo di dodeci provinzie del nostro
Regno, ma il di loro totale odierno stabilimento all’imperador Federico II communemente i scrittori attribuiscono (Surgente de
Neap. Illustrat. cap. 24 n. 2, Mazzella nella
descrizione del Regno di Nap. in princ.),
quantunque taluni con maggior ragionevolezza scrivendo, non da Federico solo, ma da
Carlo I d’Angiò, da Alfonso I d’Aragona e da
Ferdinando il cattolico, cioè da tutti insieme
la riconoscono (Tasson. de antifat. vers. 2 observ. 1.2.4).
D’una di esse dodeci provinzie, cioè di
quella di Principato Ultra, dovendo noi colla
maggior brevità, che potemo, presentemente
scrivere, semo a dire, come ricevé ella la sua
denominazione di Principato sin dal tempo,
che il magnanimo glorioso longobardo Arechi II, il quale da duca, che prima era di Benevento, per sottrarsi dal giogo d’ogni qualunque soggezione, si volle principe di Benevento coronare, introducendo così per la prima volta in queste nostre provinzie un tale
IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
autorevol titolo di principe, superiore in prerogativa a ciascun altro, quantunque per antichità inferiore, e fece, che quello che prima
diceasi Ducato di Benevento, il nome di Principato dipoi ricevesse. E poiché allora il Ducato di Benevento, prima della division fatta
da Radelchi con Siconolfo, che fu da ottant’anni in circa dopo di Arechi, conteneva
anche Salerno, seguita tal divisione, due Principati sursero, ed il nome di Principato ad
amendue convenne, ed abbracciando tal provinzia di Principato immense spaziose regioni, abbisognò per la sua estensione grande
partirla in due; onde nacque per l’una il nome
di Principato Citra, cioè citra l’Appennino,
che oggidì chiamasi anche provinzia di Salerno, e per l’altra il nome di Principato Ultra,
cioè oltre l’Appennino, chiamandosi ora medesimamente provinzia di Montefusco, poiché in questa città, come nel di lei capo, la
Reggia Provinzial Audienza vi resiede.
Trovasi questa provinzia di Principato Ultra situata nel corpo del Sannio, ove furono
anticamente gl’Irpini, i quali, o all’intutto
(Strab. lib. 5), o una parte de’ Sanniti si erano
(Cluver. lib. 2 de antiqu. Italiae), ma Irpini
chiamati, perché secondo rapporta Strabone
(Strab. loc. cit.), menando a certo designato
luogo una colonia, incontrarono nel cammino, e seguirono come per loro scorta un lupo,
che Irpo dalla voce greca αρπος, o sia απραζ
dinotante la di lui rapacità, i Sanniti in propria favella appellavano. Onde per tal occasione, perduto il nome di Sanniti, furono con
tutto quel paese Irpini chiamati.
Ella si è sola questa provinzia dell’altre
del Regno, che posta tra’ monti nelle viscere
dell’Appennino sta di senza del mare. Confina colle provincia di terra di Lavoro, Contado
di Molise, di Capitanata, di Basilicata, e di
Principato Citra.
Da Terra di Lavoro si parte per mezzo
l’Appennino verso l’Occaso, e propriamente
si separa ne’ luoghi, e territori di sua giurisdizione posti fil filo da Ponente alla volta di
Settentrione, cioè di Monteforte, Rotondi, Arpaia, Airola, S. Agata de’ Goti, Vitulano, Torrecuso, Casalduni, S. Lupo, a’ quali all’incontro per confini corrispondono i presenti
luoghi di Terra di Lavoro in somigliante ordine posti, e verso la medesima parte, cioè Lauri, Mugnano, Arienzo, Durazzano, Frasso,
S. Maria della Strada e S. Lorenzo Maggiore.
Da Contado di Molise, col quale tra Ponente, e Settentrione in non lunga distesa vi si
accoppia, la separano i territori di Morcone
attinenti a quel Contado, e con quelli sono
confinanti Pontelandolfo, e Campolattari, luoghi di essa provinzia di Principato Ultra.
Da Capitanata i monti Appennini verso
Settentrione la confinano, e propriamente ai
termini dei territori delle terre della Molinara,
Montefalcone, Biccari, e Savignano; e verso
Oriente a quelli delle terre di Greci, Accadia,
e Rocchetta S. Antonio, tutti luoghi, di questa
nostra provinzia; a quali confinano per parte
di Capitanata i territori delle di lei terre di
Baselice, Colle, e Circello, S. Bartolomeo in
Cado, Rosito, Tertiueri di Monte Calvo, e
Montavuto; e questi dalla volta di Settentrione; e Panno, ed Ascoli da quella di Oriente.
Napoli, 1955.Albergo Vesuvio, in occasione del matrimonio dell’ambasciatore dott. Lorenzo
Tozzoli con l’olandese Ella Mejer da sinistra, Maria Tozzoli, l’avvocato Raffaele Addeo con la
moglie Ginevra Tozzoli, il dottor Enrico Tozzoli, la signora Orsola Miletti col marito l’avvocato,
cav. Francesco Tozzoli, all’età di 86 anni, Elena Tozzoli e il piccolo Stefano Addeo.
Da Basilicata lo stesso Appennino dalla
parte di Levante la disiunge nelle terre di Cedogna, e Monteverde, e dalla parte di Mezzogiorno nelle terre di Calitri, e S. Andrea, tutti,
e quattro luoghi che si appartengono a questa
nostra provinzia corrispondendo per termini,
e confini alla volta di Levante i territori di
Melfi, Monticchio, e Rapone, ed a quella di
Mezzodì, i territori di S. Fele, e Pescopagano,
che si sono terre attinenti alla giurisdizione di
Basilicata.
E finalmente i medesimi gioghi dell’Appennino verso Mezzogiorno questa provinzia da quella di Principato Citra dividono, facendo termine, tra l’una, e l’altra, per parte di
Principato Citra i territori delle di lui terre di
S. Menna, Castello Nuovo, Laviano, Calabritto, Acerno, S. Severino, e Montuoro, e
per parte di Principato Ultra quelli delle sue
terre di Capossele, Bagnuolo, Serino, Solofra,
e Forino.
Questa provinzia ancoraché dopo il Contado di Molise meno stesa, che ognaltra del
Regno si fosse, pure in quanto ai luoghi abitati, cioè alle di lei città, e terre, tiene quasi
che con tutte le altre, che più ampie sono,
uguaglianza; imperocché centosessantacinque luoghi abitati in lei si contengono, de’
quali dodeci sono città, ed i rimanenti terre, i
nomi delle quali città, e terre nella Tavola in
fine di questa scrittura in ordine alfabetico
posti si ravvisano.
Tutti i suoi luoghi però, toltane la città di
Ariano, che sola ritrovasi fuor d’ogni particolare signoria, da baroni feudatari oggidì si
posseggono, annoverandosi di presente nella
provinzia ottantasette baroni, a quali per tai loro feudi frutta unitamente la provinzia la somma di annui ducati (…) potendosi assai bene
nel corpo di questa nostra Descrizione osser-
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vare, e più brevemente nella Tavola posta nel
fine, quanto in ogni anno a ciascun barone
particularmente, ciascuno feudo fruttasse.
(Non si sono le rendite de baroni potuto in
conto veruno raccogliere, ancoracche con
somma diligenza si fosse di loro dappertutto
cercato: impercioche taluni sicome gelosi del
proprio avere hanno incivilmente niegato di
appalesarle; altri per timore di qualche imposizione, non tutto, ma buona parte di esse
rendite celavano, ed altri per l’opposto presi
da vanagloria di mostrarsi ricchi, e potenti,
le ingrandivano molto più di quello realmente
esse erano. Quindi per non portar qui cosa
men che vera, e certa, si è lasciato un tal calcolo, e solamente si sono apposte nella Tavola,
che sta nel fine, quelle rendite baronali, che
meno dal vero sono sembrate allontanarsi).
Né qui si è da tralasciare come piucche i
baroni, tengono nelle città, e terre della provinzia rendita grande i luoghi pii, e le persone
ecclesiastiche, poiché giunge in uno la di lor
annual rendita a ducati 130.059 in circa, come con chiarezza abbiamo separatamente in
un capitolo più di sotto annotato.
Ed oltre a ciò pagano ciascun anno in benefizio della Reggia Corte tutte insieme esse
città, e terre della provincia per pesi ordinari,
e contribuzioni straordinarie, che a lei si debbono la somma di ducati 30045.2.35/12. Sebbene per gli pesi intrinseci, che seco porta il
Real Erario in questa provinzia, non gli rimanessero altro, che ducati 20002.1.19, secondocche in disparte saremo per darne poco
appresso un distinto ragguaglio.
Annoveransi di presente in questa provincia di Principato Ultra 234.100 abitatori, i
quali poiché nella maggior parte in piccioli
paesi posseduti da baroni, e tra’ monti allogati, si vivono, non sono perciò assai colti, e
IL CALITRANO
si sono di naturale anzi aspro, che no, inchinati a prender subito vendetta di ogni qualunque male, che per poco loro si cagiona;
come, ognaltra dimostrazione tralasciando,
può facilmente scorgersi dai tanti omicidi,
che tuttodì nella provinzia accadono, regnando questa piucche altra scelleragine tra nostri
provinziali. Il che avviene maggiormente per
lo facile sicuro asilo, che nella città di Benevento, e di lei territorio, situato quasi nel
mezzo di questa provinzia, prestamente ritrovano, la qual cosa non poco si fatto malvaggio talento a cotali misfatti commettere affida, e incoragisce.
Eglino per lo contrario godono di una
mente così atta a ricevere ogni qualunque virtuosa impressione, che nelle scienze applicandosi, di facile addottrinati, e savi uomini
addivengono, come la sperienza di essere di
molti di questi naturali addivenuto ci ha mostrato; così come valorosi, e di spirito forte, e
pronto, rassembrano, mostrando, che per anche nel loro petto allignasse la radice di quel
grande ammirabil valore, che i Sanniti, d’onde essi derivano, una volta possederono.
Tutta questa gente non si governa con altre leggi, e secondo altri statuti non vive, che
con quelle, le quali nel diritto comune, e nelle costituzioni, capitoli, e prammatiche del
Regno di contengono, ed oggidì comunemente in questo nostro Regno si osservano.
Quantunque che in quasi che tutti i luoghi
della provinzia, che come è detto, baronali si
sono, talune particolari capitulazioni, e concordati tra l’Università, ed il barone, e tra i
medesimi cittadini, toccante il comune, e vicendevole loro interesse, vi fossero, e si osservassero, come a cagion di esempio circa la
portolania, bagliva, fida ed altre sì fatte cose.
Il terreno poi di questa provincia di Principato Ultra non si è sicome in talune altre
provincie grandemente ubertoso, e fertile imperciocché non altro, che qualche quantità di
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
grano, di vino, di orzo, di nocciuole, pochissimi olivi, ed altre poche frutta produce, e le
industrie che i diloro abitatori vi fanno non si
raggirano, che a tenere piccol numero di pecore, di animali vaccini, e giumentini, in guisa che per scarsezza delle rendite della terra,
e delle mentovate industrie egli avviene di
non essere questi provinziali, come gli altri
dell’altre provinzie, doviziosi, ed opulenti appena bastando loro per la maggior parte esse
vendite, ed industrie al proprio mediocre, anzicché scarso mantenimento. Quindi si è che
senza troppo lusso, ed ostentazione le famiglie anche migliori della provinzia, a riserba
di pochissime, si trattessoro, mediocremente
ciascuno vestendo, e senza tener cavalli, e
carrozze, od altre si fatte grandezze dimostrare oltracché né la natura de’ luoghi che
piccioli sono, baronali, e situati tra’ monti,
l’usare cotali ostentazioni, e magnificenze
permette.
In tutte le città, e terre di questa provinzia
non trovasi distinzion veruna di nobiltà, quantunque ne’ luoghi più principali molte famiglie vi si trovassero, che per l’antico loro civile nascimento, e perché con più decoro, che le
altre si mantengono, più raguardevoli, che le
altre vengono riputate perciò noi nel seguente
capitolo, i luoghi particolari della provinzia
descrivendo, abbiamo nella maggior parte di
essi tralasciato di annotare le famiglie, e le di
loro rendite le quali piccole si sono, e scarse,
ed appena sufficienti al di loro mantenimento,
secondocché di sopra dicemmo.
Sono in questa medesima provincia nove
vescovadi, ed un solo arcivescovado. Una sola badia mitrata, e dieciotto altra semplici.
Novantadue arcipreture. Settantaquattro parocchie. Cinque commende di cavalieri dell’ordine di S. Giovanni Gerosolimitano. Dodici capitoli. Trenta colleggii. Ottantuno munisteri di frati. Tredici munisteri di monache.
E due chiese di reggia fondazione.
NOTE
1 BNNa, ms. XV.C.38, Descrizione della Provincia di Principato Ultra, s. d. (ma 1736-38), riportato in Appendice, doc. 1.
2 Cfr. M. Freccia, De subfeudis baronum et
investituris feudorum liber I e II…, Neapoli 1554;
S. Mazzella, Descrizione del Regno di Napoli…,
Napoli 1585; M.A. Sorgente, De Neapoli illustrata, Napoli 1597; G.A. Summonte, Historia della città e regno di Napoli,… Napoli 1602-1643;
P. Clüver, Philippi Cluverii Italia antiqua …, Lugduni Batavorum 1624; C. Pellegrino, Historia
principum longobardorum, Neapoli 1643-44; G.V.
Ciarlanti, Memorie istoriche del Sannio … divise
in cinque libri [1644], II ed., Campobasso 1823.
3 Cfr. G.B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in
prospettiva [1703], 3 voll., r. a., Bologna 1997.
4 Cfr. F. Barra, Paesaggio agrario, strutture
produttive e proprietà fondiaria, in Storia illustrata
di Avellino e dell’Irpinia, a cura di G. Colucci Pescatori, E. Cuozzo e F. Barra, III, Avellino 1996,
pp. 177-192 e 193-208.
5 Ai dieci vescovi che governavano le circoscrizioni ecclesiastiche della provincia vanno aggiunti l’abate di Montevergine, che aveva dignità
vescovile, e gli arcivescovi di Benevento e di Salerno, le cui diocesi comprendevano anche molti centri
del Principato Ultra.
6 “Quantunque non siano piucche dieci i vescovi i vescovi della provincia, onde altrettanti dovrebbono essere i capitoli, pure questi aggiungono
al numero di dodici, poiché le chiese di Frigento, e
di Bisaccia godevano una volta del proprio lor particular vescovo, ma essendo state unite di poi, la
prima a quella di Avellino, e la seconda a quella di
S. Angelo de Lombardi, perciò è rimasto in esso
loro sicome chiese vescovili il capitolo.” (Descrizione, in Appendice, doc. 1).
7 F. Sacco, Dizionario geografico-istorico-fisico del regno di Napoli, I, Napoli 1795, p. 83.
8 L. Giustiniani, Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, III, Napoli 1797,
p. 118.
9 Sacco, Dizionario, 4 voll., Napoli 17951796; Giustiniani, Dizionario, 13 voll., Napoli
1797-1805; G.M. Galanti, Descrizione geografica
e politica delle Sicilie [1787], r.a., Bologna 1969.
37° PREMIO DI POESIA FORMICA NERA
CITTÀ DI PADOVA - 2007
patrocinato da Regione del Veneto - Provincia di Padova
La giuria composta da Lucia Gaddo, Mario Klein, Lidia Maggiolo e Giovanni
Viel dopo una scrupolosa selezione dei testi in regola con le norme del concorso
ha assegnato i premi come segue:
1° premio (euro 400, medaglia d’oro e pergamena) a
– Gian Gabriele Benedetti di Fornaci di Barga (Lu) per la poesia ‘E lo sguardo
a cercare’
Segnalati (medaglia d’oro e pergamena)
– Franco Fiorini di Veroli (Fr) per la poesia ‘Le mie radici’
– Giacomo Giannone di Torino per la poesia ‘Alla fermata del bus’
– Francesco Sassetto di Venezia per la poesia ‘Io sono rimasto a queste calli’
La giuria rileva inoltre la buona qualità di almeno una settantina di testi nelle più
svariate forme espressive.
La premiazione dei quattro autori ha avuto luogo a Padova nella Sala Polivalente di via D. Valeri 17 sabato 26 maggio 2007 con inizio alle ore 17.
Per l’occasione sarà presentata la 29a antologia dei Poeti padovani.
8
Calitri, febbraio 1971. MAC P 100 presso l’Istituto
Tecnico Commerciale; da sinistra Raffaele Salvante
(u bocc’/31.05.1952 † 03.07.1975), Franco Gallucci
(ard’casazz’) e Giuseppe Nigro (u’ br’hantiegghj).
IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
PERSONAGGI
Vincenzo PASTORE nato a Calitri il 03 dicembre 1878 da Angelo Raffaele (27.03.1847
† 03.08.1921) e da Margherita Melaccio (18.11.1853 † 28.12.1935), suo padre era “massaro” in località “Posta della Madonna” a Castiglione, a servizio della Famiglia Tozzoli e, siccome al giovane non
piaceva la vita di masseria decise di imparare un mestiere e si indirizzò dal migliore fabbro dell’epoca, a Calitri,Vincenzo Acocella (il nonno di Donatino e di Lino Acocella). Imparato il mestiere,
a venti anni compiti, pensò di aprire bottega da solo, ma secondo un’antica usanza locale, bisognava avere il permesso del “Mastro” il quale non acconsentì alla richiesta. Fu allora che decise di andare in America e a bordo della nave Archimede il 28 novembre 1899, arrivò a New York. Dopo pochi mesi di dura esperienza di tanti lavori occasionali e dopo aver conosciuto un Irlandese, anche lui
fabbro, che gli disse che nello Stato del Massachusetts c’erano tanti irlandesi che lavoravano nelle
“fabbriche”, decisero di andare anche loro. Nella città di Springfield (Boston Mass.) dopo un breve
periodo di lavoro in una fabbrica di biciclette, passò in una fabbrica di armi, dove lavorò per venti
lunghi anni e, negli ultimi tempi come capo-reparto al collaudo delle armi. Nel frattempo il
26.03.1906 aveva sposato “per procura” una ragazza di Calitri, Lucia Acocella che lo raggiunse in
America. Nel 1920 decise di rientrare in paese a Calitri e aprì un negozio di munizioni da caccia in
via Roma; rimasto vedovo il 19 marzo 1938 si risposò con Rosa Acocella (01.06.1909 † Napoli
06.08.1992) nata da Nicola (pittore e scultore alle Belle Arti di Napoli) e da Olimpia Perugatti e
questo matrimonio fu allietato dalla nascita di due figli Raffaele Angelo nel 1938 ed Elio nel 1941.
L’11 settembre 1921 aveva aderito alla fondazione della S.A.L.C.A (Società Anomina Laterizi Ceramiche Affini) con i fratelli don Claudio e don Francesco Tozzoli, fu Michele, e i fratelli Francescantonio
e Michele Cicoira fu Gaetano, divenendo il maggior azionista e direttore della Società. In seguito i
soci aumentarono e fino a che il lavoro non mancava, tutto procedeva bene; ma nel 1939 all’entrata in guerra dell’Italia il lavoro in fabbrica cominciò a diminuire, il signor Pastore fu messo in minoranza e il consiglio dei soci decise di vendere (regalare) la società alla signora Colonnello di Pescara. Così a quasi settant’anni il Pastore riprende il mestiere di armaiolo per poter portare avanti la famiglia e per quasi quindici anni a Calitri ha continuato a fare e riparare fucili da caccia per cacciatori
locali e dei paesi limitrofi. Morì il 18 aprile 1972, all’età di 93 anni, portando con se anche la conoscenza di un mestiere non più esistente in paese; le sue spoglie mortali riposano in quel di Napoli.
Claudio TOZZOLI nacque a Calitri il 15 settembre 1871 da Michele e da Elisabetta
dei baroni Melodia, di Altamura (BA).All’età di 8 anni lasciò il paese natio, insieme al fratello maggiore Francesco, per andare al Convitto Nazionale di Napoli, dove rimase fino
al conseguimento della licenza liceale. Successivamente fu ammesso alla Scuola Militare
di Modena e, una volta nominato sottotenente, fu destinato, quale ufficiale dei Bersaglieri – specialità da lui richiesta – al Reggimento di stanza a Belluno.
Ebbe poi vari trasferimenti ed allo scoppio della prima guerra mondiale prestava servizio, con il grado di Capitano, al 2° Reggimento Bersaglieri di stanza a Roma.Alla data
della disfatta di Caporetto era in Trentino con il grado di Tenente Colonnello Comandante di Battaglione e, su ordine del Comando di Divisione, fu lasciato con i suoi uomini
a difesa di un caposaldo, per il tempo necessario alla Divisione di sganciarsi dal nemico
senza subire perdite. Eseguì il suo compito e, come già previsto dal Comando, fu fatto
prigioniero ed inviato al campo di Mathausen.
Nominato Comandante Amministrativo del Campo, che era composto da circa 20.000
uomini, riuscì segretamente a fornirsi di carta intestata e di duplicati dei timbri, per
mezzo dei quali poté far uscire dal Campo parecchie pattuglie che guadagnarono la libertà raggiungendo l’Italia o la Svizzera. Dopo l’armistizio dovette rimanere ancora a
Mathausen essendo stato incaricato della smobilitazione e la vendita di tutti i beni del
Campo. Per il valore ed il coraggio meritò la medaglia di bronzo per la conquista di un
trinceramento nemico sul Monte Civaron il 1 luglio1916, la medaglia d’argento per la riconquista di posizioni strategiche sull’Altopiano Carsico e la loro strenua difesa sotto
bombardamenti e ostinati attacchi avversari il 6 giugno 1917, oltre alla Croce di Guerra ed altre Onorificenze cavalleresche.
Giunto finalmente a Roma e promosso Colonnello, comandò il 2° Reggimento Bersaglieri e successivamente fu trasferito in varie città tra cui Barletta e Bologna.Alla fine del
1920, per consentire alla famiglia una vita più tranquilla, diede le dimissioni e fu posto in
“posizione ausiliaria speciale”, una particolare situazione creata al momento per sfoltire l’esercito di ufficiali attivi. Dopo breve periodo, però, fu chiamato a comandare la
144ª Legione Irpina di Avellino in qualità di Console della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, incarico che mantenne per circa quattro anni. Durante tale periodo,
costituì anche la prima squadra di calcio della città di Avellino. Inoltre fu uno dei soci
fondatori, insieme al fratello Francesco, ai fratelli germani Francescantonio e Michele Cicoira e a Vincenzo Pastore della fabbrica di laterizi SALCA (Società Anonima Laterizi Ceramiche Affini) posta allo Scalo ferroviario di Calitri, costituitasi a Calitri presso il notaio
Giovambattista Polestra il giorno 11 settembre 1921.
Rientrò poi a Roma, ma nella primavera del 1929 fu chiamato dall’allora Prefetto di
Avellino S.E. Chiaramonti, a prestare la sua opera quale Podestà della Città. L’incarico
era puramente onorifico, cioè senza alcun compenso economico. Nel corso del suo
mandato si recò a Vipiteno (BZ) per la consegna delle Drappelle alla Brigata Avellino comandata da S.A.R. il Duca di Bergamo, provvide alla sistemazione della Piazza della Libertà ed all’inaugurazione del Monumento ai Caduti ed anche alla sistemazione dell’acquedotto cittadino coadiuvato dagli ingg. Del Franco e Stanchi. Dovette affrontare,
inoltre, le catastrofiche conseguenze del terremoto del 23 luglio 1930.
Nel 1931 rientrò a Roma dove, poco dopo, fu nominato Vice Presidente del costituendo Museo dei Bersaglieri. Contemporaneamente fu promosso Generale di Brigata
ed ebbe l’incarico di insegnare, in due licei romani, Cultura militare attraverso lo studio
delle principali battaglie dal Medio Evo alle guerre napoleoniche.
L’8 settembre lo sorprese a Calitri e, per fronteggiare la difficile situazione venutasi a
creare, fu nominato Commissario Straordinario con pieni poteri.
Nei primi mesi del 1945 rientrò a Roma dove visse gli ultimi anni della sua vita. Morì di
ictus cerebrale nella notte tra il 4 ed il 5 novembre 1956 e riposa nella tomba, da lui
stesso fatta costruire, al Cimitero romano del Verano.
Nel dicembre 1909 aveva sposato Francesca Cerroti con la quale aveva avuto 3 figli: Elisa (Livorno 1911 e morta di tifo nel 1916 a Calitri, dove è sepolta nella tomba di famiglia), Michele (Roma 1915-2006) e Delia (Roma 1917-2003).
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IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
Michele CERRETA nacque a Calitri 20 marzo 1896, da Donato e
Concetta Di Napoli, diplomato al Regio Istituto Tecnico per Geometri di
Benevento, partecipò alla Prima Guerra Mondiale con il grado di Ufficiale e
fu decorato con medaglia di bronzo al valore militare.
Ritornato a Calitri, svolse la libera professione di geometra.
Il 20 dicembre 1920 sposò, a Calitri, Maria Giovanna Della Badia (24 settembre
1893 † 1 dicembre 1986).
Ebbe sei figli: Giovanna, Lucia, Donato, Giuseppe, Concetta e Teresa. Il figlio Donato (1 gennaio 1927), geometra, artista e designer pittorico per ditte internazionali, vive a Teramo.
Negli anni ’30, tra le molteplici opere, curò per il Comune i lavori della sistemazione dell’allora Corso Vittorio Emanuele di Calitri, da Piazza della Repubblica al
Monumento ai Caduti, eseguendo la planimetria di tutti i fabbricati sull’intera lunghezza (circa 330 metri) e da ambo i lati della via, annotando altresì i nominativi
dei relativi proprietari (tale documento è custodito dal figlio Donato).
In quel periodo il Tribunale di S.Angelo dei Lombardi gli conferì la nomina di
giudice-conciliatore, funzione che svolse nella Pretura di Calitri.
Nel 1940 fu richiamato nell’Esercito con il grado di Capitano, destinato all’Ufficio della Censura Militare di Napoli.
Da Napoli partì per partecipare ad un corso di addestramento in prossimità di
Sala Consilina e, terminato il quale, ebbe l’incarico di partire per la Grecia.
Mentre era in procinto di muoversi per la Grecia, a Brindisi ricevette l’ordine
di dirigersi con la sua Compagnia nella zona compresa tra i centri di Lavello,Venosa e Spinazzola, dov’era stata segnalata la presenza di paracadutisti inglesi.Assolta la missione, rientrò a Napoli ed ivi rimase fino all’8 settembre 1943.
Dopo la Guerra egli visse a Calitri con la famiglia e continuò ad esercitare la
professione di geometra, fino alla morte, avvenuta prematuramente il 24 maggio 1959.
do tale da essere iscritto, dopo la sua morte, nell’Albo d’Onore della Corte dei Conti.
Da referendario passò a Consigliere, quindi a Presidente di Sezione sino a
raggiungere le funzioni di Segretario Generale della Corte dei Conti. A tali
promozioni seguivano spostamenti da Roma ad altre sedi; come Catanzaro,
Bari, Napoli e Trento come dirigente di sede; infine nuovamente in Roma, accompagnato sempre dalla moglie Carmen e dai quattro figli dai quali non si
separava mai. Di anno in anno gli furono conferiti speciali incarichi; fu membro del Collegio Sindacale della Società Speciale Riforma Fondiaria in Puglia,
Lucania e Molise, quale componente di controllo in detta Riforma. Fu preposto al coordinamento del Servizio Studi e Relazioni al Parlamento, delegato al controllo degli atti di Governo e delle Amministrazioni Statali, venne
anche preposto al controllo della Regione a statuto speciale del Trentino Alto Adige.
Oltre all’impegno nell’Amministrazione Pubblica, partecipò nel periodo dal
1940 al 1943 al conflitto bellico come Ufficiale dello Stato Maggiore in varie
campagne militari. La campagna di Russia fu per Lui la più triste, in questa
con il generale Messe fù testimone della disfatta di Stalingrado. Rientrato in
patria l’8 settembre 1943, dopo la firma dell’armistizio con gli Alleati, entrò
a far parte del gruppo militare clandestino “Fossi” nella lotta anti tedesca.
Tornata la pace gli furono riconosciuti i gradi di Maggiore dell’esercito e la
croce di guerra al valore, a questi meriti si aggiunsero, nel corso degli anni,
le onorificenze di Ufficiale, Grande Ufficiale e Commendatore della Repubblica.
Nel 1977, il 15 agosto, Nicola Vitamore morì in Calitri nella sua casa di campagna, detta il “Casino Vitamore” e quindi tumulato nella cappella di famiglia.
Per Calitri si è sempre adoperato sia per permettere adeguati finanziamenti di opere pubbliche, come strade, scuole, ecc., sia per risolvere problematiche di ogni singolo calitrano che a lui si rivolgeva.
Le ferie e i periodi di riposo, li trascorreva con gioia nel suo paese natale, i
paesaggi e la natura con i suoi colli e pianure erano per lui fonte di tranquillità e riflessione. Negli anni ’50 decise di crearsi una villa in campagna
dove villeggiare con la sua famiglia e così trasformò il vecchio casino di caccia detto “Casino Vitamore”, che si trova in fondo a Via Pittoli, in una villa
con una grande varietà di piante e fiori. Accanto alla villa si aggiunsero altre
abitazioni, quasi tutte attorniate dal verde, tutta questa zona venne poi dal
Comune denominata Parco “Vitamore”.
Il “Casino Vitamore” divenne luogo di incontro per tutti i familiari tra parenti e nipoti. Calitri era anche il luogo dove rivedere gli amici di infanzia e
con loro trascorrere molte ore in simpatica conversazione.Tra i tanti amici ricordiamo: l’Avv. Acocella, l’Ing. Della Badia, il veterinario Di Milia, l’arciprete Don Raffaele, il Dott. Vito Bozza, il Dott. Rocco Polestra, Franco
Zampaglione, il farmacista Ricciardi ed altri.
Nicola Vitamore nonostante le sue alte cariche è sempre stato un uomo
semplice e schivo di onorificenze, uomo di poche parole ma di tanto sentimento.
Nicola VITAMORE primogenito di quattro tra fratelli e sorelle, nell’antica dimora di famiglia in Calitri (AV) il 31 agosto 1907 nasce da Canio e dalla N.D. Filomena Tedesco, sorella di Francesco Tedesco ministro del Tesoro
del governo Giolitti.
Dopo aver frequentato le elementari a Calitri con la maestra Celestina Margotta, per la quale ebbe sempre affetto e rispetto, passò al convitto nazionale “Pietro Colletta” di Avellino, continuando, poi gli studi all’Università di
Firenze e Macerata dove nel 1930 si laureò con 110 e lode a soli 23 anni. Lo
studio, la ricerca, l’approfondimento in ogni materia è stata nella sua vita caratteristica sempre presente. Superato un primo concorso al ministero
degli Interni, prestò servizio come commissario di P.S. a Cuneo. Subito dopo superò un secondo concorso al ministero della Guerra, oggi della Difesa; nell’ambito del quale nel 1933 fù nominato vice segretario nell’amministrazione centrale della guerra.
Nel 1936 sposa a Candela (FG) la N.D. Carmen Ciampolillo con la quale
avrà cinque figli, nel 1938 superato un terzo concorso, entra quale referendario della magistratura straordinaria nella Corte dei Conti. In questa Amministrazione Nicola Vitamore lavorò con continua ed integra attività in mo-
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IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
GERARDO CIOFFARI
ANDREA DI LIONI
Ultimo abate di S. Maria in Elce
NUOVI DOCUMENTI
N
el suo magistrale lavoro su S. Maria
in Elce Vito Acocella delineava le
fortune di questo monastero benedettino
in territorio di Calitri. Dopo aver descritto i fasti dell’epoca normanna, sveva ed
angioina, lo storico di Calitri e di Conza
collegava il periodo della decadenza con
l’invadenza dei Gesualdo che, a suo avviso, mal tolleravano il governo dei “clerici” in mezzo ai loro feudi, avanzavano
continue pretese e rivendicazioni sui beni
badiali, per ingorda cupidigia di dominio. Tuttavia, a ben considerare, l’Acocella, pur insistendo sull’avidità e le usurpazioni dei Gesualdo per tutto il Trecento
e la prima metà del Quattrocento, adduceva a comprova un solo documento:
quello relativo al tentativo di Nicola Gesualdo di interferire nel possesso e nell’esercizio di un mulino dell’abbazia. Il re
Carlo II d’Angiò, in data 7 luglio 1308,
stabiliva il diritto dell’abate e degli abitanti del casale di poter usufruire liberamente del mulino, anche se per accedervi
era necessario fare un tratto della via posta lungo il corso del fiume Ofanto e la
terra di Tufarella .
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1. S. Maria in Elce tra i feudi di Calitri
e di Conza
Troppo poco. Le controversie sui mulini nel medioevo sono all’ordine del
giorno. Mulini e trappeti in una società
agricola erano una delle principali fonti di
introiti per i feudatari o le istituzioni che
li gestivano. Tuttavia le liti legali sui mulini o sui confini non possono essere addotte come termometro dei rapporti fra
diversi enti. Esse facevano parte dei ritmi
di vita del tempo anche tra feudatari che
erano in rapporti di amicizia.
L’Acocella appartiene a quella schiera di storici che hanno onorato gli ultimi
anni dell’Ottocento e i primi del Novecento. Storici appassionati che partivano
spesso da un singolo documento per creare una teoria. Ma, la storia è come la
scienza: solo dopo vari e ripetuti esperimenti che vanno nella stessa direzione è
possibile generalizzare e trarre delle conclusioni di un certo valore. O i documen-
ti ci sono, e allora devi esibirli. O non ci
sono, e allora devi procedere con ipotesi
e molti “forse”.
Anche oggi molti storici procedono
“a tesi”. Ma questo metodo, se da un lato
permette di cogliere interessanti chiavi di
lettura, dall’altro fa uso di tutta una serie
di “forzature” illecite. Ricordo un libro
di Giordano Bruno Guerri che si intitolava L’antistoria degli Italiani (o qualcosa
di simile). Effettivamente il carattere degli Italiani (individualistico, provincialistico) in alcuni casi diventava illuminante
per comprendere una vicenda storica, in
altri invece sembrava che lo storico ce lo
volesse inserire forzosamente.
Il pregiudizio dell’Acocella nel caso
specifico è l’“antifeudalesimo”. Ora, che
la fine del feudalesimo provocata dalla
Rivoluzione Francese possa essere considerata un fattore socialmente positivo è
più che accettabile. Che però tutto ciò
che hanno fatto i signori feudali fosse negativo non è accettabile. In particolare, i
rapporti tra feudatari e le chiese locali
non sono sempre negativi. E comunque,
la maggior parte dei conventi sono il risultato di donazioni di principi, conti e
baroni.
Non è impossibile, come sosteneva
l’Acocella, che i rapporti fra i monaci di
S. Maria in Elce e la casata dei Gesualdo
fossero tesi. Il problema è che, per il periodo in questione, non abbiamo elementi sufficienti per sostenere questa o la tesi contraria. A me sembra che il rapporto
dei Gesualdo con S. Maria in Elce fosse
né più né meno che quello di tutte le analoghe istituzioni, con un feudatario che
cercava di trarre vantaggio da questi monasteri (fosse solo per tenere a bada i
suoi vassalli) e con i monaci che si sentivano meno minacciati nei loro averi e
nella loro tranquillità grazie alla loro protezione.
Un monastero come quello di Santa
Maria in Elce aveva assolutamente bisogno di protezione. Situato a notevole distanza sia da Calitri che da Conza era
troppo esposto alle malefatte di vagabondi, criminali e fuorilegge di varia natura.
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E non c’erano solo i monaci. C’erano anche gli abitanti del casale. Era pertanto
naturale che sia i monaci che gli abitanti
“pagassero” la loro tranquillità e la loro
difesa per certi aspetti al signore di Calitri
per altri al conte di Conza.
2. Le cause della crisi nel Quattrocento
Benché storico di vaglia l’Acocella si
lascia qui prendere la mano da un certo
idealismo spiritualistico. Per lui la fioritura della vita monastica era legata alla
preghiera e alla vita comunitaria vissute
indipendentemente dalla politica, vale a
dire dai legami col feudatario. Ma questa
è una visione romantica che non trova riscontro nella storia. Nei duemila anni trascorsi la Chiesa ha sempre cercato il potere temporale cui appoggiarsi, sia al tempo delle persecuzioni (con i governatori
locali più tolleranti) che al tempo di Costantino, sia al tempo degli ostrogoti che
dei Franchi, sia dei Normanni che degli
Angioini. Solo dopo la fine degli Stati
pontifici la Chiesa sembra essersi liberata
dalla cappa del potere temporale. Eppure,
persino oggi un certo legame con i poteri
forti sembra ancora sussistere.
Un monastero benedettino (o di altro
Ordine) libero da condizionamenti politici
è pertanto impensabile. Il monaco o il frate possono essere interiormente liberi
(eventualmente pagandone le conseguenze), ma l’istituzione di natura sua deve fare i conti con qualsiasi altra istituzione. Se
il monaco o il frate possono instaurare un
rapporto di intima comunione con Dio, l’istituzione monastica è comunque in balia
del mondo. Se arriva uno tsunami, spazza
via anche il monastero, sia che i monaci
vivano una vita evangelica sia che si comportino in modo alquanto mondano.
Ora, lo tsunami del medioevo fu la peste del 1348, che ebbe effetti di gran lunga
più devastanti del recente tsunami in estremo Oriente. In tutta l’Europa i monasteri
subirono una morìa catastrofica anche a
causa della propria natura di “vita comune”. Io che mi sono occupato di questa
tragedia nell’Ordine domenicano mi sono
imbattuto in un gran numero di frati che
IL CALITRANO
per aiutare e curare gli altri furono contagiati e morirono come tutti gli altri.
Contemporaneamente, nel Mezzogiorno d’Italia infuriavano le guerre ungheresi per vendicare l’uccisione del
principe Andrea, attribuita alla regina
Giovanna I. Già a quel punto la vita monastica in tutta l’Europa entrò in crisi.
Ma non era finita. Nel 1378 scoppiava
il grande scisma, durante il quale i sostenitori di un papa si azzuffavano con
estrema violenza con i sostenitori dell’altro papa. Oggi ci si è accordati su chi
fosse il papa legittimo (Urbano VI) e chi
l’antipapa (Clemente VII), ma a quel
tempo le cose non erano chiare e persino
i Santi erano divisi (Caterina da Siena
per Urbano, Vincenzo Ferreri per Clemente). Le conseguenze per gli ordini
monastici furono sconvolgenti. Tutti si
spaccarono, Domenicani, Francescani, e
così via. Anche i Benedettini accusarono
il colpo. Già in crisi per il solerte attivismo dei Domenicani e dei Francescani,
ora, senza protezioni, rischiavano di finire allo sbando.
Alla peste, alle guerre ungheresi, allo
scisma, seguirono poi le guerre fra Durazzeschi e Provenzali, che portarono il
regno di Napoli ad una frantumazione
politica (baronaggio) e alla desolazione
dei monasteri. I Gesualdo, contro cui si
scaglia Acocella, non c’entrano con questa desolazione che, avendo un carattere
europeo (le guerre anglo-francesi erano
una ulteriore causa di crisi), non poteva
risparmiare il sud Italia.
I papi cercarono di ricorrere ai ripari
con l’introduzione della commenda. Ma
anche questa, come ogni istituzione umana, può fare acqua. Lo scopo era di mettere al governo di questi monasteri uomini degni, autorevoli e non troppo legati alla feudalità. Spesso però si trasformò
in un ulteriore strumento per accontentare gli amici e gli amici degli amici (dei
papi). Le diverse conseguenze di questa
istituzione ecclesiastica sono ben messe
in evidenza nella Storia della Chiesa di
Fliche e Martin, ove si parla della profonda crisi di Cava, Montevergine e del
Monte Gargano . Una crisi che l’introduzione della commenda, invece di risolvere, accentuò visibilmente proprio negli
stessi anni anni Quaranta del XV secolo.
In una tale universale “désolation des
monastères” mi sembra ingiusto puntare
il dito contro i Gesualdo per la decadenza
di Santa Maria in Elce. Ma a queste ragioni di ordine generale è opportuno addurre anche delle argomentazioni di ordine specifico.
I documenti che sto per presentare
mostrano una Santa Maria in Elce ridotta
prima a tre e poi addirittura a due fuochi,
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N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
vale a dire a poco più di una masseria
fortificata con meno di una ventina di
abitanti. Una simile desolazione non può
essere stata originata da feudatari sia pure
avidi e invadenti. Deve avere cause più
profonde.
I documenti suddetti sono al riguardo
illuminanti e indirettamente, almeno per
il periodo in questione, discolpano i Gesualdo da ogni addebito per la crisi di
Santa Maria in Elce. Infatti, essi sono introdotti con queste parole:
Sancta Maria in Ilice. Tempore domine Regine Iohanne … duc. III, et habet
focularia … III. Dicta terra propter guerras varias exhabitata estitit et ideo non
conginitur ad solutionem collectarum.
Propter guerras. Ecco la vera causa
della crisi. Con un tragico crescendo, le
guerre ungheresi di metà XIV secolo con
la concomitante micidiale peste, le guerre
di fine secolo fra Provenzali e Durazzeschi col concomitante drammatico scisma
ecclesiale, furono eventi che segnarono
profondamente il Mezzogiorno d’Italia.
Paesi interi furono spazzati via, come Canne e Salpi in Puglia o anche Castiglione
presso Calitri. Non è dunque a meravigliarsi che un monastero come Santa Maria in Elce entrasse ugualmente in crisi.
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3. La decadenza socio-economica nei
documenti dell’epoca
Nel procedere nella storia del monastero l’Acocella, partendo da un brano
della Cronista Conzana, pone il 1447 come la data della svolta, della fine cioè del
complesso come entità benedettina.
I documenti in questione sono di pochi anni prima. Sono quindi il termometro della situazione. Rivelano in modo
inequivocabile lo stato della crisi sulla
base della tassazione.
Riportiamoli dunque nella trascrizione di Luigi Panico, al quale abbiamo fatto
riferimento anche nei precedenti articoli:
Ratio foculariorum Sancte Marie in
Ylce. Iohannes de Cremona commissario
et substitutus egregi viri Iacobi de Villa
Spinosa regii commissarii etc. Tenore presentis finalis quietancie fatemur recepisse
et habuisse de lo Abate de Sancta Maria
in Ylce per duy fochi ducati dui per ultimo
tercio pro solucione presentis mensis augusti VI indictionis. Unde ad futuram memoriam certitudinem et cautelam dicti
Abatis fieri fecimus presentem apodixam
nostro nicio niczatam. Datum Gisualdi,
primo die mensis septembris VII indictionis. Duc. II.
Die penultimo mensis marcii VII indictionis, confexo yo notaro Marcho de
Troyano de Ebuli regio commissario erario et perceptor de li residui de li fochuleri de lo anno passato de la sexta indic12
tione et della VII indictione de la paga di
Natale nelle provincie de Principato Ultra et Citra ac Basilicata nomine et pro
parte de lo magnifico Guillelmo Puyades
de Thesauraria, aio receputo da Angelillo de Sancta Maria in Ylce per mano de
lo Abate per lo terczo de la paga de Natale de lo presente anno tarenos tres et
grana septem. Ad cautela de lo dicto Angelillo de aio facta questa presente apodixa de mia propria mano et sigillata del
mio sigillo. Duc. .., tr III, gr. VII.
Die XV mensis augusti VII indictionis, Ebuli. Eo notario Marco de Troyano
de Ebuli regio commissario erario et perceptore de la tercza parte de un ducato
per focularo nelle provincie de Principato
Citra et Ultra ac Basilicata nomine et pro
parte de lo nobile homo Monte de la Casa
regio commissario alle provincie predicte,
aio receputo da Antonio Maglyo sindico
de Calitri per li fochi di Santa Maria in
Ylce tarenos tres et grana VII. Et ad cautelam de la universitate de Santa Maria in
Ylce inde aio facta questa presente apodixa de mia propria mano et sigillata del
mio sigillo. Duc …, tr. III, gr. VII.
Adì II del mese de aprile 1444. Nuy
Gezo de la Casa de Fiorencza demorante
in Neapoli aio receputo per mano et parte
de Monte della Casa commissario a raccoglyere lo primo terczo de fochi de Pasqua de Resurreczione da lo abate de la
ecclesia de Sancta Maria in Ylce per le
mani de Antonio Maglyo de Calitro .. tarì
tre et grana septe et affede del dicto pagamento et a cautela de la dicta ecclesia et
luogo a Iohanne Luccacce factor del dicto
Ghezo o facta e scripta la presente polisa
de mia propria mano et nizata del nizo del
dicto Ghezo. Duc. .., tr. III, gr. VII.
Yo Iacobo Sarroccho de Gragnyano
regio commissario Basilicate et Principato Ultra da lo abate de Sancta Maria
in Ylce per dui fochi ducatos duy zo per
la Pasqua de abrile et de augusto VIII
indictionis. A sua cautela o facta questa
presente polixa de mia propria mano niczata del mio proprio niczo. Ex Montefuscolo, XXVI aprile, VIII indictionis. Duc.
II. La polisa sia donata a Sancta Maria.
Abate de Sancta Maria in Ylce aio receputo per lo presente portaturo ducato
uno cioè tarì cinque. Duc. I.
Aio receputo tarì tre grana VII per
Sancta Maria in Ylce per mano de Cola
de Calitri. Duc. .., tr. III, gr. VII.
Lo dicto abate fa fede de sacramento
che non abe lo sale de Renzo de Africto
et promeselo dare.
4. Andrea di Lioni, ultimo “abate” di
S. Maria in Elce
Secondo la Cronista Conzana nel
1447, quindi solo due anni dopo l’ulti-
IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
mo documento citato (VII ind. = 1444;
VIII ind. = 1445), avvenne un fatto che
avrebbe cambiato l’amministrazione dell’ex monastero nei secoli successivi. Anche se i documenti in questione non fanno il nome dell’abate è evidente che si
tratta dello stesso menzionato nella Cronista, in quanto risulta in contrasto da parecchi anni.
La Badia di S. Maria in Elce appare
essere stata della religione benedettina, e
se ne vede nell’Archivio conzano una notificazione nel Registro antico dei Benefici, ove un tale abate Andrea di Lione,
della città di Conza, benedettino abate
di detta bazia, asserisce in una nuova
fondazione di un suo beneficio sotto il titolo di S. Maria della Scala di avere persa l’antica fondazione di quello in tempo
che fu scacciato da detta bazia da Francesco Gesualdo e quest’assertiva la fa
nell’anno 1447 (Cronista Conzana, t. II,
lib. III, disc. 4).
Dalla vicinanza strettissima delle date
è evidente che questo Andrea di Lioni,
abitante in Conza, è lo stesso abate che
nei documenti paga le tasse. Egli non appare a capo di una comunità, ma come
persona indipendente che ha S. Maria in
Elce come un “beneficio”.
Secondo l’Acocella la causa di questa
situazione traeva origine da un privilegio
concesso il 20 marzo 1416 dalla regina
Giovanna II ad Antonello Gesualdo. In
base a questo privilegio l’Ordine benedettino perdeva il possesso del monastero
che andava a finire sotto la signoria feudale del Gesualdo di Calitri (non è certo,
Maria Di Maio (curat’l’) nata il 27.02.1922 e
Angelo De Nicola (cordalenda/05.02.1916
† 22.06.1975) nel giorno del loro matrimonio.
ma è molto probabile che questo Antonello del 1416 sia lo stesso Antonello che
nei documenti del 1443 è detto “utile signore di Calitri”). A questo punto l’Ordine benedettino si ritirava in buon ordine
lasciandovi un solo religioso col titolo di
Abate.
Forse l’interpretazione del Castellano prima e dell’Acocella poi è troppo
fantasiosa, trascurando tra l’altro l’evoluzione nel significato del termine “abate”. Come si è detto, è più probabile che
il monastero fosse abbandonato dai monaci a causa delle guerre e altri problemi
di carattere sociale. Non è facile immaginare un Ordine religioso che si ritira per
protesta contro il nuovo signore feudale,
come pure è difficile immaginare un abate benedettino da solo. È vero che anche
in passato c’erano molti abati da soli. Ma
in questo caso “abate” non significava
“capo di una comunità di monaci”, bensì
titolare o responsabile di una chiesa. Ad
esempio, una ventina di canonici della
Basilica di S. Nicola in quel tempo avevano il titolo di “abate”, anche se ovviamente non avevano nulla a che fare con i
monaci. Erano “abati” perché avevano la
responsabilità di una chiesa, avevano cioè
una cappellanìa, dai cui redditi traevano
sostentamento.
Senza pretendere dunque di presentare delle certezze, avanzerei l’ipotesi che
il monastero di S. Maria in Elce fosse disabitato già al tempo del grande scisma
(1378-1419) e che i successivi “abati”
non fossero altro che dei preti che avevano ottenuto il “beneficio” di S. Maria in
Elce. Come lo stesso Andrea di Lioni,
che nel 1447 perdette questo beneficio
per ottenerne un altro, quello di S. Maria
della Scala.
Del resto anche i documenti su riportati presentano un quadro tutt’altro che
chiaro. Non si comprende bene, ad esempio, quali siano le competenze del feudatario di Calitri e del feudatario di Conza.
S. Maria in Elce, ridotta a una ventina di
abitanti è detta ancora “universitas” (forse
perché almeno teoricamente un ripopolamento non era da escludere), e per di più
fa la sua comparsa anche un sindaco di
Calitri. Il che significa che, quale che sia
stato il cambiamento giuridico amministrativo del monastero, Calitri restava pur
sempre il principale punto di riferimento
dell’antico casale.
NOTE
1 Cfr. La Badia ed il Casale di S. Maria in Elce
nel territorio di Calitri, in appendice alla Storia di
Calitri, Grafiche F.lli Pannisco, Calitri 1984, pp.
289-323, in particolare p. 304.
2 Histoire de l’Eglise, vol. 14: «L’Eglise au
temps du Grand Schisme et de la crise conciliaire
(1378-1449)», par E. Delaruelle, E.R. Labande et P.
Oubliac, Tournai 1964, pp. 1037-1041.
3 Anche se l’ho ripetuto nei precedenti articoli,
ribadisco che questi documenti fanno parte di una
magistrale tesi di laurea difesa da Luigi Panico (relatore Mario del Treppo, anno accademico 1973-74) all’università di Napoli e di cui sono fortunosamente
venuto in possesso alla morte del mio confratello
P. Ermanno Giardino. Non sono riuscito a contattare
l’autore, ma sono convinto che non me ne vorrà se
mi è sembrato doveroso non far perdere documenti
così preziosi per la storia dei paesi dell’Irpinia.
Brescia 10.05.2005, battesimo di Sarah Cestone; da sinistra: Mario Cestone con la nipotina
Sabrina Sciatti, Gaetanina Tornillo, Pasquale Cestone con in braccio la figlia Sarah e Viola Pezzotto, madre di Sarah.
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IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
COLUMBUS DAY 2007
sala in un ristorante italiano, ed ha svolto altri impegni lavorativi fino a che non è stata chiamata a lavorare al Columbus Day.
Come sempre ci saranno molti ospiti importanti, fra gli
altri, il ministro di Grazia e Giustizia On.le Clemente Mastella accompagnato dalla moglie signora Alessandra Lonardo Presidente del Consiglio Regionale Campano, il sindaco di Calitri dottor Giuseppe Di Milia che dal 1 giugno è
anche il nuovo presidente della Comunità Montana “Alta
Irpinia”, ci sarà il sindaco di Lacedonia che offrirà al dottr
Tallerini la cittadinanza onoraria perchè il padre era originario della cittadina irpina.
Grazie agli sforzi di molti volontari ed alla generosità degli sponsor, queste celebrazioni presentano il meglio della
cultura e del patrimonio culturale italiano, in una ricca e
variegata cornice di eventi culturali con ospiti di eccezione.
uest’anno le celebrazioni in onore di Cristoforo Colombo si terranno a New York dal 4 al 14 ottobre 2007, con
Q
la Parata in grande stile per la giornata dell’8 ottobre, la
più grande tra le celebrazioni in onore dell’eredità culturale
italiana in tutto il mondo.
Il dottor Louis Tallarini è il presidente della Columbus
Citizens Foundation, coadiuvato dalla dott.ssa Giuliana
Ridolfi Cardillo direttrice dipartimentale di Cultura Italiana
e con la collaborazione della nostra concittadina dott.ssa
Marianna Toglia che da alcuni mesi è stata chiamata come
assistente della signora Ridolfi (Assistant to The Italian Affaires Chairman).
La dottoressa Marianna Toglia si trova negli USA da
circa 4 anni, cioè appena laureata in economia e marketingh
decise di andare a New York dove ha lavorato presso uno
studio Legale a Park Evenue, la sera ha fatto la direttrice di
Louis Tallarini, presidente della “Columbus
Citizens Foundation”.
Dottor Giuseppe Di Milia, sindaco di Calitri.
Chiesa della Badia di Cava dei Tirreni, 4 marzo 2007, si festeggiano i 50 anni di matrimonio di Maria Francesca Maffucci (landella) nata a Calitri l’01.11.1931 da Vito e da
Lucia Di Maio (m’senza) e Michele Fastiggi (p’stuol’) nato il 15.02.1927 da Giuseppe e
da Maria Michela Di Maio (mangiaterra); seconda fila della foto: Michele Parisi,
fidanzato di Simona Fastiggi, la signora Patrizia Santoro e il marito Giuseppe Fastiggi,
figlio dei festeggiati, Michela Fastiggi, figlia dei festeggiati; prima fila: Simona Fastiggi,
figlia di Patrizia e Giuseppe e perciò nipote dei festeggiati – i festeggiati – Michele
figlio sempre di Patrizia e Giuseppe e perciò nipote dei festeggiati.Ai festeggiati gli auguri sinceri e sentiti dei figli, dei nipoti, dei parenti, degli amici e della Redazione.
Dottoressa Marianna Toglia, collaboratrice del
dipartimento di cultura italiana.
Chiesa della Badia di Cava dei Tirreni, 4 marzo 2007, i due festeggiati per il
loro 50° anno di matrimonio, insieme a don Placido (all’anagrafe Canio Di
Maio/c’kk’llin’, nato il 29.01.1917 e che perciò ha compiuto i 90 anni di vita.
A don Placido un augurio per altri cento anni, ad majora semper!
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IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
Calitri, uort’ r’ Cioglia, 25 aprile 2007, da sinistra seconda fila: Martina Sicuranza (a russa),Vito Metallo (ndrand’la), Canio Metallo “il Fornaio”,
Girolamo Caruso (gg’lorm’/imprenditore), Raffaele Salvante,Vincenzo Bozza, Giovanni Sicuranza (a russa), Giovanni Coppola (cupp’licchj), Canio
Maffucci (spaccac’pogghjì’); prima fila: Salvatore Ramundo (El Pelon),Vito Metallo, figlio di Canio e di Maria Di Cecca da poco rientrato in paese dopo una lunga degenza al Gaslini di Genova, Maria Di Cecca, Maria Iraci consorte di Antonio Zazzarino,Antonio Zazzarino, Lucia Cialeo,
Franca Maria Germano, consorte di Giovanni Sicuranza,Valentino D’Ascoli (Valente),Angela Schettino, Lucia Santina Di Milia e Rosa Gallucci.
Calitri 23 novembre 1929, matrimonio di
Angelo Maria Girardi (sand’f ’les’/26.08.1906
† 26.01.1993) nato da Giuseppe e da Grazia Vincenza Martiniello e Giacinta Rapolla
(maccar’nal’/05.07.1905 † 03.08.1987) nata
da Vincenzo e da Maria Vincenza.
Calitri 27 agosto 2006, Fiera Interregionale presso lo stand del giornale “Il Calitrano” da sinistra Raffaele Salvante direttore del nostro giornale,Vincenzo Armiento, il professor Galante
Colucci di Atripalda e Salvatore Ramundo.
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IL CALITRANO
USA Hibbing, Minnesota 1906 circa il sacerdote Giovanni Zarrilli nato a Calitri il
26.12.1876 da Antonio e da Maria Antonia
Codella, arrivato negli USA nel settembre
1905 con la nave inglese Cretic; il giovane
prete missionario da Calitri fu chiamato da
mons. James McGolrick, primo vescovo di
Duluth, per seguire i numerosi emigrati calitrani che lavoravano in miniera nella cittadina di Hibbing.
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
Calitri 1950/51, in occasione della venuta dall’America di Canio Rainone, ripreso qui in
mezzo ai parenti della famiglia Rainone (sanducc’) prima fila da sinistra:Vincenza Fatone,
Michelina Fatone, figlie di Vito e di Maria Rainone, Rosa Scoca, e il padre Vincenzo (sargend’/accoccolato), Antonio Scoca, figlio di Vincenzo, Gerardina Sanò e Lucia Rainone;
seconda fila:Vito Fatone e la moglie Maria Rainone, Concetta Rainone, moglie di Vincenzo
Scoca,Alessandra Rainone (Sandrina),Assunta Fatone con in braccio il figlioletto Alessandro
Rainone; terza fila: Canio Rainone l’Americano, Lucia Cestone con in braccio Filomena
Russo figlia di Peppinella Rainone e Michelantonio Russo, e Michelantonio Rainone.
Lago Laceno 1 maggio 1968, festa dei lavoratori: da sinistra: Orazio Armiento (caram’zzett’), Michele Zarrilli (sciascialicchj), Michele Metallo (baccalà) con la coppola si vede appena, Delli Liuni Pasquale (lu giacchett’) col cappello,
Vitantonio Metallo (baccalà) in primo piano con la giacca sbottonata, Lucia Aristico (t’mbesta),Vitantonio Scoca
(u’ sargend’) col cappello e con le mani sul braccio del ragazzo, Donato Scoca (u’ sargend’) il ragazzo con la maglia bianca,Angelomaria Russo (cangianella) con la coppola dietro il ragazzo, Esterina Borea (panga/socialista),
Angela Ramundo (l’cces’), la bambina con la fiasca non identificata,Vito Tuozzolo (u’ patiss’) col cappello, Michele
Scoca (pisciap’rtiegghj),Vincenzo Gautieri (m’naciegghj),Vito Zabatta (march’) seduto con la coppola, Donato Petito (pr’hatorij) col cappello,Vito Cianci (V’tucc’ r’ Cianc’) col cappello e con la mano davanti al viso, non identificato.
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Calitri, 23 gennaio 2006, Giuseppe Fastiggi
(tobb’t’) e Michela Della Badia con i figli Lucia e Canio hanno festeggiato il cinquantesimo anniversario di matrimonio. I più sentiti e sinceri auguri dai parenti, amici e dalla
Redazione.
IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
Calitri anno scolastico 1979-80, da sinistra in piedi: Concetta Di Salvo,
Angela Maffucci, Patrizia Barletti, Claudia Galgano,Anna Gargano, Maria Teresa Di Milia, Felicetta Zarrilli; prima fila: Franco Sena, Peppino
Zabatta, Gianni Rauso, Antonio Zabatta, Michele Di Cairano, Benito
Cianci ed Agostino Di Salvo.
Agnano Napoli 8 marzo 2007, presso il ristorante “Villa Astronia”
sono stati festeggiati i 90 anni del nostro compaesano Giuseppe Metallo, da sinistra: Gennaro Musto da Napoli, Mauro Maffucci da Roma, Giuseppe Metallo il festeggiato da Napoli, Nina Turkyna da Napoli,Vincenzo Metallo e Teresa Staltari da Roma.Auguri vivissimi da
parenti, amici e dalla Redazione.
Poggibonsi 27 febbraio 2007, 84° compleanno della signora Maria Di
Maio (mangiaterra) con i fiori in mano, con i figli Vincenza, Michele e
Antonietta De Nicola.Auguri dagli amici, parenti e dalla Redazione.
Poggibonsi 21 gennaio 2007, i coniugi Antonietta De Nicola (cordalenda) e Antonio Galgano (cappiegghj) festeggiano il compleanno
della signora.Auguri dalla Redazione.
Calitri anno scolastico 1950-51, sulla terrazza del Municipio dove era la scuola
Media e le prime classi dell’Istituto Tecnico Commerciale, i tre in fondo da sinistra: Mario Mansi, prof. di disegno, Girolamo Corona prof. di lingue, Nicola Musto prof. di educazione fisica; prima fila: Mario Cerreta prof. di lettere, Dora De
Martino prof. ssa di musica, Iermano Biagio prof. di lettere, Michele Della Badia
prof. di matematica e Preside, Paolo Spirito prof. di lettere, Anna Capolupo
prof.ssa di lettere e Benedetta Conforti prof.ssa di economia domestica.
Calitri 20 agosto 1973, matrimonio di Vincenza Cianci (napulitana) e Michele De
Nicola (cordalenda), da sinistra: Michele Zarrilli (paulucc’),Vincenza De Nicola, sorella dello sposo – gli sposi – Maria Teresa De Nicola,Anna Galgano (r’nategghia),
si vede appena, i ragazzi Lucia e Michele Galgano figli di Antonio Galgano (cappiegghj) e di Antonietta De Nicola e, seduta, la signora Lucia Abate in Iannella.
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IL CALITRANO
Calitri 18 gennaio 1969, gli sposi novelli
Vincenza De Nicola (cordalenda) e Michele
Zarrilli (paulucc’).
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
Calitri 1964, la signora Lucia Rainone vedova Acocella figlia di Michele e di Assunta
Fatone, all’età di 17 anni.
Poggibonsi 22 aprile 2006, Michele Zarrilli
(paulucc’) e il nipote Alessio.
Flavia Borea (Linda r’ la carr’zzera)
e il marito Ascanio Manzoli.
Il 4 agosto 2007 festeggiano
il 50esimo anniversario di matrimonio.
Auguri dai parenti, dagli amici
e dalla Redazione.
Dagli U.S.A. Brooklyn, NY circa 1923,Angela
Lucrezia nata a Calitri il 13 gennaio 1897 da
Michele e da Lucia M. Cicoira, col marito Gabriele Di Maio nato a Calitri il 5 ottobre
1895 da Michelangelo e da Angela Acocella,
deceduto a Lynbrook, NY nel 1966, con i
due figli Michele ed Angelina nati a Brooklyn.
Calitri, 29 dicembre 2006, nella chiesa madre, parrocchia di San Canio i coniugi Vittorio Zarrilli e M. Michelina Fierravanti, celebrano il loro 50° anniversario di matrimonio, benedetto dal
parroco don Maurizio, circondati dai figli, nipoti, parenti, amici e parrocchiani. Prima fila: Sabrina
figlia di Angelo e Ursula Krieger, Michelle,Adriano e Christian figli di Mary e manfred Emming
e i festeggiati; seconda fila: Ursula, semicoperta, Angelo con cravatta, Manfred con baffetti e
Mary. Dietro, sulla sinistra, riconoscibili Giuseppina, Caterina, Enza Ciccullo con cappello e occhiali. In lontananza sulla destra: Benito, Michelina, Lucia Zabatta,Vincenzina Acocella, Donato
Zarrilli, Rosa Cerreta (foto Aldo Fierravanti).Auguri dai figli, amici, parenti e dalla Redazione.
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IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
ANNIBALE COGLIANO
Calitri e Bisaccia nella crisi del 1799
Fra fedeltà ai Borboni e adesione alla Repubblica: l’impotenza riformatrice
alle radici di risposte politiche antitetiche
l secolare conflitto agricoltura-pastoriIrispetto
zia nel Mezzogiorno muta radicalmente
alle sue tradizionali forme e contenuti nella seconda metà del Settecento.
Non è più solo il contrasto fra Caino e
Abele, l’agricoltore e il pastore, a scandire il ritmo di vita della comunità e delle
istituzioni statali, locali e centrali. Non
siamo di fronte alla consueta fame di terra da strappare al pascolo per coltivarvi
grano, o viceversa, ma siamo di fronte, da
un lato, alla precipitazione esplosiva delle antiche contraddizioni rispetto alle esigenze nuove mutate della società civile,
e, dall’altro, all’impotenza delle istituzioni statali dell’ancien régime a soddisfarle
o anche a regolarle o mediarle. La lotta è
lotta politica tout court per il potere locale e centrale: in gioco è l’affermazione e
legittimazione delle nuove conquiste ed
interessi. Se però è politica nel senso pieno del termine, né il riformismo borbonico, né il 1799 con la sua effimera Repubblica e guerra civile cui dà luogo, e meno
ancora la lunga, cieca fase repressiva che
si apre con il ristabilimento del trono (primo sconfitto il cardinale Ruffo) riusciranno a dare ad essa voce, saldando in
programma e blocco sociale le spinte
nuove di una società civile per costruire
un nuovo assetto statale. L’Ottocento, a
partire dal Decennio francese, non sarà
un’alba, ma una lunga notte, gravida dei
nodi irrisolti e delle strozzature del tramonto di un assetto socio-economico, nato con gli aragonesi e continuato con il
viceregno spagnolo.
Il rilevante incremento demografico,
che in alcune aree porta al raddoppio o
addirittura alla triplicazione della popolazione fra inizi e fine Settecento1, l’affermazione economica, sociale e politica di
un ceto di galantuomini, cresciuti come
amministratori, agenti, erari, massari, governatori, procuratori e legali, all’ombra
del feudo o della Chiesa, rafforzati dall’esercizio del potere nelle Università che
non amministrano più sotto l’esclusivo
controllo del barone, sono gli elementi
più rilevanti della rottura degli equilibri
politici dagli inizi dell’età moderna.
Nei galantuomini, come nelle masse
rurali da loro dominate, si ha l’irruzione
di valori, bisogni e la ricerca di istituti
nuovi, quali la richiesta del possesso certo (diritto di proprietà o enfiteusi) dei beni fondiari che amministrano o sui quali
lavorano.
La Chiesa e i baroni sono assediati2
nei loro diritti reali (difese, fondi rustici,
urbani, terraggi, censi), proibitivi (monopoli di trappeti, molini, forni, panatica,
ecc.) e giurisdizionali (proventi, bagliva,
piazza, zecca e misure, amministrazione
della giustizia), non più compatibili con
le esigenze cresciute della popolazione
rurale e delle stesse figure professionali
che hanno garantito la crescita della loro
rendita.
La messa a coltura di tanti demani
feudali a cavallo della seconda metà degli anni ‘50, se da un lato porta all’incremento della rendita feudale e soddisfa
esigenze materiali alimentari basilari della popolazione, da un altro, incrina o devasta in significativa parte del territorio
la stessa possibilità di sopravvivenza delle comunità, a causa degli sconvolgimenti generali e incontrollabili che ne
derivano al territorio nel suo complesso e
al rapporto pascolo-agricoltura (la crisi
agraria del 1764 ne è un sintomo e una
causa allo stesso tempo).
Quale ulteriore e più importante ancora conseguenza, il mutamento del paesaggio agrario innova profondamente i
meccanismi di accumulazione fondiaria
del secolo precedente: si ha non più solo
la costituzione di difese baronali abusive,
privatizazzioni di fatto del territorio, o
passaggi di proprietà dalle Università indebitate alla camera baronale, che offrono solo lo spazio a sterili jacquerie; ma si
hanno risorse addizionali nuove che ristrutturano i rapporti sociali, favorendo la
crescita di nuovi ceti, ai quali non bastano più le sole briciole del bottino feudale, e portando a nuovi equilibri politici e
culturali fra la capitale e le campagne,
dove rispettivamente si consuma e si produce la rendita. Mutano gli stessi baroni,
sempre più figure di rentier che lasciano
alle spalle quella di innovatori rampanti
o di borghesi di recente blasonati, e sono
rimpiazzati dai loro amministratori nel
governo del territorio.
I vescovi, i capitoli cattedrale, i potenti monasteri, i capitoli delle chiese lo19
cali, con le loro risorse fondiarie a coltura o a pascolo, le loro masserie armentizie sono scossi alle fondamenta. I loro
privilegi secolari, la loro rendita, che in
alcune comunità giunge ad eguagliare se
non superare quella dei feudatari e delle
Università, sono parimenti assediati dal
nuovo clero emergente dalle nuove famiglie dei galantuomini e garantito dai
patrimoni sacri indispensabili, previsti
dal Concordato del 1741. Il clero pletorico, popolare e non, si riduce, ma aumenta d’intensità la sua conflittualità interna, perché riproduce allargato lo scontro non componibile fra le fazioni dei
vecchi e nuovi ceti in ascesa.
Le popolazioni rurali non sono meno
scosse nei loro difficili equilibri secolari.
Muta la composizione quantitativa e qualitativa delle famiglie: i massari di animali o di terra non vivono più con beni
fondiari e armentizi comuni, e in famiglie multiple o allargate, ma si evolvono
verso famiglie nucleari più ristrette, nelle quali l’abbandono del maggiorascato e
del fedecommesso, mutuato fra Sei e
Settecento dai modelli di difesa dei patrimoni feudali e nobiliari, porta a differenziazioni della proprietà, dei beni in
uso, delle professioni, verso un’articolazione sociale non più compatibile con la
semplificazione, rozzezza e introiezione
della subordinazione del passato. È quello che si è comunemente chiamato il passaggio da forme di vita comunitarie all’individualismo diffuso.
Mutano gli insediamenti abitativi delle comunità, con l’ampliamento e abbellimento urbanistico, e la proliferazione
di nuovi casali urbani, sub-urbani e rurali. Case palazziate, nuove piazze, strade,
collegamenti viari, ecc., costituiscono il
nuovo reticolo spaziale delle forme di
vita comunitaria. I bilanci comunali mutano nelle loro voci e nel loro ammontare
complessivo; non vi è stato discusso della fine della prima metà del secolo che
possa essere più compatibile con le esigenze nuove di una popolazione cresciuta, più colta e raffinata nei bisogni.
Lo stesso incremento di spesa per liti
giudiziarie nei tribunali provinciali e della
capitale con baroni o con Università confinanti, lungi dall’essere una voce paras-
IL CALITRANO
sitaria di spesa, diventa uno strumento di
difesa ed offesa allo stesso tempo contro i
vecchi poteri per la realizzazione di nuovi
e più avanzati equilibri economici e sociali. Variante individuale – e che merita
essere studiata come variabile a sé della
crescita dei galantuomini – è la corsa alla
giurisdizione del tribunale del foro doganale di Foggia, che si riempie di iscritti di
locati fittizi, che, servendosi del privilegio
antico concesso da Alfonso I d’Aragona
ai locati reali, mutano l’istituto di garanzia
della vita e degli averi dei pastori e delle
entrate del Fisco in potente strumento moderno, corporativo e selvaggio di accumulazione economica e politica di potere.
La vita e i conflitti delle comunità, nella
seconda metà del Settecento, sono intrisi
di figure sociali che si sottraggono al giudizio delle locali corti baronali e delle
udienze regie. Il foro doganale di Foggia
si moltiplica con gli ufficiali doganali delle varie comunità, che esercitano le funzioni giudiziarie per suo conto nei territori in cui i nuovi galantuomini guerreggiano la crescita del loro dominio.
Di fronte a tali mutamenti si erge uno
stato che ha solo la forza di mediare o di
rinviare la modernizzazione e lo scontro
risolutivo fra le classi all’infinito. La politica riformatrice dei Borboni subisce più
volte battute di arresto, sino ad essere impedita dal mutarsi in monarchia amministrativa sul modello francese. Ferdinando
IV ancor più di Carlo III, anche per i mutati equilibri e sollecitazioni internazionali, nonostante i grandi mutamenti istituzionali (basti pensare al ruolo dei nuovi
ministeri di economia, di giustizia, al ruolo unificatore e centralizzatore delle
udienze provinciali, alle riforme catastali,
ai cambiamenti dell’apparato difensivo e
delle alleanze politiche), resta al di sotto
dell’evoluzione necessaria, alla quale altri
paesi si sono portati.
È questo il quadro in cui lo scontro
pastorizia-agricoltura s’inserisce. Solo
uno dei tanti ai quali la Corte non riesce a
dare sbocco. La mappa del paesaggio
agrario, delle manifatture e del commercio di tutto il regno, tentata dalla Corte
nel 17833 avrebbe dovuto essere una tappa conoscitiva chiave per l’accelerazione della modernizzazione. La prammatica
Palmieri (Regia Camera della Sommaria,
23 febbraio 1792), ad essa collegata, che
avrebbe dovuto essere il suo prosieguo
applicativo, elemento di modernizzazione, canalizzazione delle tensioni, regolazione produttiva, fattore di nuovo equilibrio, si trasforma in ulteriore fonte di cieca conflittualità, già in atto, nella lotta
trasversale fra le classi e i ceti, finendo
con il diventare effetto e causa al tempo
stesso dell’avvitamento del regime su se
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
stesso, che di lì a poco collasserà di fronte all’invasione di qualche migliaio di soldati francesi.
“Agri Universitatum, qui demania vulgo dicuntur, civibus ad censum dari permittentur. Forma censionis praeferibitur”,
recita il suo inizio contraddittorio per una
politica statale che voglia trasformare e
dirigere, vanificando la sua premessa: “la
scarsa utilità proveniente da’ Terreni demaniali di varia specie, de’quali abbonda
il Regno, dovea eccitare le provvide cure
del Clementissimo Sovrano a rivolgervi
lo sguardo per fare fiorire ovunque la meglio intesa agricoltura, sorgente primordiale delle ricchezze, in quanto fosse compatibile con lo stato delle popolazioni e
coerentemente alle leggi in osservanza e
dritto di proprietà”. Si permette4 la quotizzazione e la censuazione, ma non la si
attua; si riconosce un’esigenza sociale ed
economica, ma solo come interesse legittimo, non come diritto, e se ne affida la
realizzazione alle deboli forze delle Università5, come se non si sapesse che sono
dilaniate al loro interno, infinitamente più
deboli della Corte di fronte ai baroni.
Gli editti nelle città e Università del
regno ingenerano aspettative cieche:
Per li demani di proprietà delle
Università, siccome ne’ Baronali, saranno preferiti i cittadini de’ rispettivi
luoghi, a’ quali sono annessi; salvo
rimanendo il diritto di colonia, dove
sia in osservanza, ed abbia dato de’
legittimi possessori a’ medesimi terreni (capo III). Ne’ i demani di proprietà delle Università, siccome
ne’fondi propri di essa, qualora si volessero censuare, si preferiranno i
bracciali ne’terreni più vicini alle popolazioni; dandone loro nella misura
che possono coltivarli colla propria
opera, ed in quelli più lontani a’ cittadini coltivatori più facoltosi, da
esercitarne una più estesa coltura, secondo sarà più conveniente alla popolazione, esclusa ogni preferenza
agli attuali affittatori.
Si fanno intravedere ripartizioni giuste per la popolazione ed equilibrate per
il pascolo e l’agricoltura:
Qualora sia maggiore il numero
de’ bracciali o cittadini coltivatori al
terreno da ripartirsi, fatta la scelta de’
meno provveduti di terreni, quei che
rimangono saranno assoggettati alla
sorte” (capo V); “de’ medesimi demani universali, o terreni propri delle
Università, quei che siano addetti al
pascolo, saranno ripartiti tra i possessori degli armenti, e per la picciola
industria de’ cittadini non possidenti,
qualora sia richiesto, si lascerà per
loro uso solamente, pagandone discreta fida, che ridonda in comune
beneficio.
20
Si offre il destro alle mille opposizioni interessate in nome della conservazione delle risorse boschive e della salvaguardia ambientale6.
NOTE
1 Cfr. P. Villani, “Documenti e orientamenti
per la storia demografica del regno di Napoli nel
Settecento”, in Annuario dell’Istituto Storico Italiano per l’età moderna e contemporanea, Roma
1968, in particolare il cap. III.
2 Cfr. G. Cirillo, Il barone assediato, Terra e
riforme in Principato Citra fra Seicento e Ottocento, Avagliano editore, Cava dei Tirreni, 1997.
3 Prammatiche “De administratione universitatum” in Nuova collezione delle prammatiche del
regno di Napoli, Napoli 1803, Stamperia Simoniana, tomo I
Prammatica XXIII, “Nuova istruzione per le
Università del Regno”, anno 1783 – Oggetto: “Cognizione topografica di tutti i terreni componenti il
suolo del suo dominio”. Incaricati di fornire i dati
necessari (non attraverso la misurazione del terreno, ma attraverso fedi ed informazioni, senza alcun
dispendio per le Università) sono i Governatori regi e baronali, gli amministratori delle Università,
sei deputati, due dei quali ecclesiastici, due massari di campo, due benestanti civili. La prammatica
prevede altresì la distribuzione di mappe stampate
in bianco alle Università, tenute ad indicare le contrade che compongono il territorio, l’estensione, la
qualità del terreno, il possesso, le colture, le piantagioni. Nelle mappe dovrebbero essere descritti: il
clima, le acque, l’uso delle fonti, i fiumi, l’energia
idraulica ottenuta, le piantagioni che più abbondano
sul territorio e le migliorie possibili; la qualità delle derrate e il loro quantitativo prodotto, le olive,
gelsi, mandorle, le noci, il vino prodotto, il numero
degli animali domiti e indomiti, se i demani universali o baronali siano messi in parte a coltura; se
parte del territorio sia censuato, e se sia soggetto alla Dogana di Foggia.
In realtà poche saranno le mappe consegnate,
che avrebbero dovuto essere redatte entro quattro
mesi da tutte le Università del regno.
4 “Col presente Editto adunque in forma d’istruzione si permette di censire i terreni demaniali
di qualunque specie, giusta il prescritto in esso, a
tenore della norma data in seguito di questo, e l’emolumento che ciascuna Università ne ritrarrà, sarà
principalmente impiegato in disgravio della classe
più bisognosa con approvazione di S. M.”
5 “I Governatori di ciascuna Università coll’assistenza del Governatore locale nomineranno
sei deputati, eligendi in pubblico parlamento, secondo le leggi, da convocarsi e celebrarsi, due ecclesiastici, due Gentiluomini benestanti, e due comodi agricoltori, che sceglieranno due abili ed onesti periti per l’esame dei terreni, ed un terzo qualora vi sia disparità tra li due nominati.”
6 “Qualora i terreni da censirsi fossero boschi
fruttiferi, sarà permesso il farlo con pattuire di conservare o allevare almeno trenta in quaranta piante
per ogni tomolata di terra, oltre delle picciole in arbusto, dopo che sia preceduta la numerazione delle
piante esistenti”(capoVII); “si potranno censire le
selve cedue colla legge regolare de’tagli, secondo
la costante regola di esse, e la censuazione del loro
stato” (capoVIII). Si potranno censire i luoghi di
macchie e fratte colla condizione di allevarvi degli
alberi, che siano più analoghi al terreno, e piantarveli con tale condizione che si dovranno concedere” (capo IX). Se i terreni siano scoscesi, o soggetti allo slamamento, si dovrà pattuire di potersi soltanto piantare e non coltivarli, che rimosso ogni
dubbio dello scioglimento delle terre, specialmente
quelle che sieno superiori a’ corsi de fiumi o torrenti, donde provengono le rovine che portano gli
ammassi delle terre arenose e cretose, che seco
precipitano” (capo X).
continua nel prossimo numero
IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
L’INSEDIAMENTO BASILIANO
DI PALOMONTE
l luogo dove sorse l’insediamento basiIlone
liano di Palomonte (SA) è detto “Valdi Sperlonga o Spelonca” che, si
vuole, ritenga il nome dal complesso cavernicolo a due piani ed annesso riparo
sottoroccia esistenti lungo la sponda destra del torrente Capojazzo, affluente del
Tanagro, che scorre perenne in fondo al
vallone stesso.
La configurazione dei luoghi evidenzia gli sconvolgimenti paleogeografici,
climatici ed ecologici avvenuti a seguito
dell’ultima deglaciazione, alla quale appartengono i numerosi siti in grotta e ripari, alcuni dei quali, rioccupati ripetutamente nel corso dei millenni. Il suo
insieme (ambiente, adattamento strutturale, trofico – funzionale ed i fattori culturali) dà l’idea della vera e propria
“nicchia ecologica dell’uomo”, strettamente legata al rapporto uomo-ambiente, caratterizzato dalla cultura. L’uomo,
nel corso della sua storia evolutiva, è
stato in grado di sopravvivere facendo
fronte alle diverse condizioni ambientali (anche sfavorevoli) con adeguate tecnologie, create dalla cultura che, da sempre, ne ha influenzato la vita della specie
umana1.
La frequentazione del luogo da parte
dell’uomo, sin dal Neolitico antico, è
provata dalle mensole in negativo e dalle
tracce di focolari presenti nelle numerose
grotte dalla volta impregnata da un grosso spessore di nerofumo. La prova più
evidente è data da due buche cultuali,
diametro m.1,20 con al lato la vasca sacrificale, scoperte nel livello pavimentale
della grotta a tre celle al piano campagna
facente parte del menzionato complesso
cavernicolo.
L’uso delle buche cultuali, persistito
durante l’Eneolitico e l’Età del Bronzo,
rientra nella concezione delle popolazioni agricole che celebravano riti legati a
pratiche intese a rendere feconda la terra
e per questo avevano luogo in seno alla
terra stessa, in grotte. Queste buche cultuali del vallone di Sperlonga presentano
strette analogie con quelle trovate in altre
grotte del territorio nazionale, dalla Liguria al Salento2.
La sacralità del luogo continuò ad
esercitare un fascino misterioso che perpetuò nel nascente Cristianesimo, le antiche credenze religiose, come stanno a
dimostrare i graffiti con temi cristologici
Palomonte (SA) - Chiesa della Madonna di Spelonca con, al lato, i ruderi del convento basiliano.
trovati incisi sulla parete calcarea che va
dall’ingresso della grotta a tre celle al
grande riparo sottoroccia. Graffiti che
hanno molta affinità con quelli trovati a
Nazareth, a Malta, sui mattoni della Santa Casa di Loreto, ad Albano di Lucania
e presso la tomba di S. Pietro “muro g”,
in Vaticano.
Vengono detti paleocristiani o giudeocristiani in quanto, si ritiene, siano
stati eseguiti dai Cristiani antichi con
l’intento di osservare le pratiche della
Legge mosaica che, evidentemente, avevano appreso dagli Ebrei sparsi nel nostro meridione nei primi secoli del Cristianesimo3. Tra la fine del VII e l’inizio
dell’VIII secolo torme di coloni e gruppi
di monaci e di laici dell’impero bizantino
giunsero intorno ad Otranto ed a Rossano, da lì si spinsero per le pendici dell’Appennino venendo su per la Basilicata, la Calabria e il Salernitano, specie nel
Cilento.
La gran parte di questi immigrati
venne a causa delle persecuzioni iconoclaste, specialmente i monaci Basiliani4,
renitenti alla teologia imperiale, per cui
l’imperatore Leone III l’Isaurico aveva
sciolto le loro comunità, aboliti i conventi, sconsacrate le chiese e vietato di
vestire il saio. Da allora in poi sorsero
molte laure cenobitiche scavate nel tufo,
nella quali i monaci Basiliani trovarono
il modo di conservare i loro riti e la vita
anacoretica. L’eremo, la laura, la cella
era il nucleo prima del cenobio o mona21
stero e questo ben presto diventava un
casale5. Questi elementi sono presenti
nel Vallone di Sperlonga, quali le cinque laure scavate nella roccia calcarea
lungo il torrente, esposte a mezzogiorno,
ossia rivolte all’Oriente percorso dai primi trasalimenti della grande Luce. In cima alla collinetta, a circa cento metri
dalle laure, fu edificata la chiesa iniziale
ed al lato sinistro di questa il convento,
del quale si notano ancora i resti del muro perimetrale e di quattro celle all’interno.
Dietro al convento fu realizzata una
cisterna per la raccolta di acqua piovana.
Lungo il costone sono visibili le tracce di
una stradina acciottolata che portava nel
vallone dove fu realizzato un ponticello
in pietra per passare all’altro lato del torrente Capojazzo. Qui si notano resti di
antiche abitazioni e di un mulino ad acqua dall’aspetto imponente che, sembra
sia stato in uso fino ai primi decenni del
secolo scorso. All’interno della chiesa,
che prende luce da due finestre circolari,
si nota nell’abside dietro l’altare un affresco raffigurante la Madonna con bambino, da sempre venerata dalla gente del
posto col nome di Santa Maria di Spelonca. Sulla parete di destra altro affresco
sembra raffiguri Santa Caterina di Alessandria, mentre sulla parete di sinistra
sono raffigurati tre nobili personaggi caratterizzati dall’astratta accentuazione
espressiva dei volti, tipica dell’arte bizantina conventuale.
IL CALITRANO
Non v’è dubbio che anche in questa
chiesa si celebrasse il rito costantinopolitano (spesso chiamato in Occidente rito
greco), introdotto nel 968 per volere dell’imperatore d’Oriente Niceforo Foca, se
ancora nel 1043 il monastero era retto
dall’Abate Davide di genere graecorum6.
Questi religiosi Basiliani diffusero il culto della Madonna; l’iconografia la rappresentava con il bambino Gesù sulle ginocchia e incoronata di gioielli, secondo
l’ideologia imperiale bizantina che si appropriò dell’immagine di Maria nella sua
qualità di “Theotokos”, che vuol dire
“Madre di Dio, Colei che partorisce
Dio”7 ed anche “Theotokos Hodegetria”,
“Signora che conduce alla Vittoria, Colei
che indica la via”8.
Si direbbe che la Vergine fosse maggiormente appellata Santa Maria Scala
(di Giacobbe)9, figura di Maria “scala di
mediazione” presso il Figlio, se sotto
questo nome era venerata a Palomonte
ed ancora oggi a Contursi (Santa Maria
della Scalella). Inoltre, nell’antica cattedrale di Conza vi era un altare a lei intitolato, legato a benefici di cui si era persa
la memoria, che nell’anno 1682 fu fatto
rimuovere dall’Arcivescovo mons. Gaetano Caracciolo (Cronista Conzana,
1691); con lo stesso nome è rappresentata la Sua immagine nella cappella del Coro o Tedesca del Santuario di Loreto10.
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
Con lo stesso nome, usualmente
detta Madonna della Scala, venne venerata negli insediamenti dei Basiliani,
molto identici a quello di cui ci occupiamo, quali quello della contrada
Rifoggio a nord-est di Albano di Lucania (PZ), riportato nella bolla di Nicolò
II del 1060, distrutto dai saraceni annidati nel vicino borgo fortificato di Pietrapertosa, retto fin verso il 983 dal monaco Joanas11; quello dell’insediamento rupestre nel fondovalle della gravina
di Massafra (TA) 12 e quello lungo il
vallo del Canal Reale, in contrada Salinelle, a sud di Oria (BR)13.
Damiano Pipino
NOTE
1 AA.VV., Paleoantropologia e Preistoria, ed.
Jaca Book, Cremona, 1993, pp. 20, 96, 215.
2 Radmilli Antonio Mario, Popoli e Civiltà
dell’Italia Antica, ed. Biblioteca di Storia Patria,
Roma, 1974, volume I, pp. 307, 308, 319, 392; Pipino Damiano, Contursi Eneolitica, ed. Tip. Valsele, Materdomini (AV), pp. 25-29.
3 Santarelli P. Giuseppe, I Graffiti della Santa Casa di Loreto, ed. Congregazione Universale
della Santa casa, 1998; Iorio Ruggero, Malta, incontro sulla via di Roma, in Archeologia Viva, ed.
Giunti, Firenze, 2000, n. 82, p. 48; Pipino Damiano, Graffiti paleocristiani ad Albano di Lucania, Sicignano degli Alburni e Palomonte, ed. Castrignano,
Anzi (PZ), 2000.
Calitri 21 gennaio 1963, matrimonio di Lucia Pasqualicchio nata il 14.08.1945 da Giuseppe e da Antonia
Caruso e Cosimo Bovio, nato il 27.10.1938 da Lorenzo e da Rosa Cella, da sinistra:Vincenzo Pasqualicchio, fratello della sposa, Rosa Cella, madre dello sposo, Lucia Bovio sorella dello sposo – gli sposi – Antonia Caruso e Giuseppe Pasqualicchio, genitori della sposa.
22
4 N.d.a. Erano monaci osservanti la regola claustrale dettata da San Basilio Magno di Cesarea di
Cappadocia (329-379), basata sul lavoro, lo studio
della Bibbia e la preghiera.
5 Racioppi Giacomo, Storia dei Popoli della
Lucania e della Basilicata, ed. eloescher & C. Roma, 1889, volume II, pp. 93-95.
6 Racioppi Giacomo, op. cit., volume II, pp.96,
128; PIPINO Damiano, Spigolando nella Valle del
Sele, ed. Valsele Tip., Napoli, 1981, p. 62 e seg.
7 Pruneti Giulia, Maria e l’eredità delle dee
madri, in Archeologia Viva, op. cit., 2005, n. 112,
p. 19.
8 Grant Michael, Gli imperatori Romani storia e segreti, ed. Newton & Compton, Roma,
2000, p. 389.
9 La “scala coeli” (scala del cielo) nella visione avuta in sogno da Giacobbe quando da Canaan
si portava in Mesopotamia, in Siria. In sogno vide
una scala appoggiata alla terra, la cui sommità toccava il cielo; gli Angeli salivano e discendevano
per essa. Il Signore appoggiato alla scala gli diceva:”Io sono il Signore Dio di Abramo la terra in
cui dormi la dò a te e alla tua stirpe. E la tua stirpe
sarà come la polvere della terra; e in te e nel seme
tuo saran benedette tutte le tribù della terra” (Genesi 28, 11-14).
10 Santarelli P. Giuseppe, Pellegrini a Loreto, ed. Congregazione Universale della Santa Casa
di Loreto, 2004, pp.84-87.
11 Scelzi Mario, Albano di Lucania-storia e
cultura popolare, ed. Volonnino, Lavello (PZ),
1986, pp. 39-41.
12 Castronovi archeologa Cosima, Medioevo
in Puglia scoperte nella gravina, in Archeologia
Viva, op. cit., 2005, n. 110, p. 3.
13 Rampino Riccardo e Benvenuto Antonio, Chiesa della Madonna della Scala - Chiese e
laure basiliane, in Oria-il Rione S. Basilio, ed. Italgrafica, Oria (BR), 1986, pp. 45-49.
Balconevisi, 29 aprile 2007, dopo tanti anni
di fidanzamento, Emanuele Marmeggi e Isabella Bruno di S. Miniato, si sono uniti in
matrimonio. Infiniti auguri di felicità dai nipoti Federico e Lorenzo, dai familiari, parenti, amici tutti e dalla Redazione.
IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
DIALETTO E CULTURA POPOLARE
VINCENZO METALLO
NG’ERAN’ NA VOTA
I FR’GGIAR’
C’ERANO UNA VOLTA
I FABBRI FERRAI
a matina quann’ s’aprìa la forgia s’avienna romp’ li car’vun’ s’
a matina quando si apriva la forgia si dovevano rompere i carboluavan’ cu l’attizzatur’, r’ sf’rrusc’n’ r’ lu juorn prima “scorie r’ L ni e togliere con l’attizzatoio i residuati di ferri del giorno prima
Lcar’vun’”
e s’app’cciava r’ fuoch’, s’ m’ttia n’ picca r’ paglia, roj “scorie e carboni”, si accendeva il fuoco, si metteva un po’ di paglia
taccul’ r ‘ leun’, li car’vun ngimma e chian’ chian’ s’agg’rava la
ventola fin’ a chi r’ fuoch’ n’ nn’era app’cciat’ e s’accumm’nzava
a fat’hà..
Tanta vot’ s’cc’ria ca amment’ chi s’ fat’hava cu r’ fuoch’ v’nia quacche cristian’ cu lu ciucc’ chi avia pers’ nu fierr’, lu star’
avìa lassà quegghj’ chi facìa e avìa scì a f’rrà.
La r’meca a matina li cr’stian’ v’nienn’ a f’rrà, la f’rratura
era na fatiha delicata, lu mastr’ avìa canosc’ lu per’ e la camm’nata r’ l’animal’, si era necessarij cu lu fierr’ avìa correggere la
camm’nata.L’ogna r’ l’animal’ eia fatta: la part’ r’ for’ p’ tutta la
circonferenza eia profonda circa nu centimetr’ e miezz’ r’ ogna
dura chiamata “muraglia”, la part’ r’ sotta chi apposcia nterra
ndov’ s’ mett’ lu fierr’ chiamata “soletta”, la part’ r’ intr’ eia totta part’ viva.
U r’scibb’l’ luava i fierr’ vecchj’, lu mastr’ tagliava cu la t’naglia l’ognia cr’sciuta, cu la roina l’apparava; quann’ s’ausava la
roina lu huv’t’ avìa ess’ attaccat’ a lu fianch’, s’avìa sta ttient ca si
rìa tropp’ fort’ cu la roina p’tìa taglià lu aramiegghj’ a quigghj’
chi t’nìa lu per’, quann’ l’ogna era s’stemata s’ p’gliava lu fierr’ ra
cimma a la pert’ca; li chiuov’ eran’ fatt’ ca quann’ s’ m’navan’
avienna assì ra lu lat’ r’ l’ogna, p’ totta sicurezza “s’app’stavan’”
s’ chj’cava n’ picca la ponta chi facilitava la curvatura, lu fierr’
avìa ess’ a m’sura r’ l’ogna e avìa assì n’ picca sul’ ra lu lat’ r’
for’, si lu fierr’ era cchiù gruoss’ r’ l’ogna, quann’ era mal’ tiemp’
e ng’eran’ r’ zangh’ l’animal’ nf’ssava e quann’ t’rava lu per’ lu
fierr’ r’manìa nda r’ zangh’; ng’era nu tip’ r’ f’rratura a l’abruzzes’ ndov’ lu fierr’ era par’ a la circonferenza r’ l’ogna e n’ nn’erav’ chjcat’ nnanz’.
Si quacche bota cap’tava “per errore” s’ m’nava nu chiuov’
cu l’app’statura viers’ intr’, lu chiuov’ anziché r’assì for’ scia
viers intr’ e p’ngìa la carna viva, s’avìa luà n’ata vota lu fierr’ cu
la roinetta, s’avìa scavà l’ogna fin’ a ndov’ lu chiuov’ avìa punt’,
s’avìa disinfettà la ferita e s’ t’rnava a mett’ lu fierr’; si la ferita
n’ nn’era difinfettata s’ f’rmava la materia “pus’” che sfuquava
tra l’ogna e li pil’ r’v’ntava r’ culor’ viola.; li chiuov’ quann’
eran’ assut’ ra l’ogna s’ chjcavan’ e s’ tagliavan’ n’ picca distant’ ra l’ogna.
Quann’ l’animal’ t’nìa la f’rmicula “caria r’ l’ogna”, s’ scavava cu la roinetta fin a la carie, s’ m’ttìa n’ picca r’ polva ra spar’
e s’ ria fuoch’ p’ vr’scìà la carie, tutt’ lu p’rtus’ fatt’ cu la roinetta
s’anghìa r’ p’triuol’ p’sat’ (verderame) v’len’ potent’ ca si la f’rmicula n’ nn’era vr’sciata cu r’ fuoch’ m’rìa cu lu p’triuol’ ropp’
s’ m’ttìa la stoppa e ngimma s’ m’ttìa la catrama chi imperneabilizzava la ferita e s’ m’ttìa lu fierr’, quas’ semp’ l’animal’ uarìa.
L’animal’ cu l’ogna cr’pata “la serchia” na malatia chi n’
guarìa maj, ndo la stagion’ assutta l’animal’ stìa bb’nariegghj’,
quann’ arr’vava la v’rnata cu r’ muogghj s’aggravava, s’ m’ttìa la
nzogna nda la cr’patura, ma r’ ggummr’ s’ f’ccava semp’.
e un po’ di legna secca con sopra i carboni e piano piano si aggirava la ventola fino a che il fuoco non era acceso e si cominciava a lavorare.
Tante volte succedeva che mentre che si lavorava col fuoco arrivava qualche persona con l’asino che aveva perduto un ferro, il fabbro
doveva lasciare quello che faceva e e andava a ferrare.
La domenica mattina le persone venivano a ferrare, la ferratura è
un lavoro delicato, il fabbro doveva conoscere il piede e la caminata
dell’animale, se era necessario, col ferro doveva correggere la camminata, L’unghia dell’animale è fatta: la parte esterna per tutta la
circonferenza e profondo circa un centimetro e mezzo dell’unghia dura chiamata “muraglia”, la parte di sotto che appoggia a terra si chiama “soletta” la parte interna è tutta parte viva.
L’apprendista toglieva i ferri vecchi, il fabbro tagliava, con la
tenaglie per le unghie, l’unghia cresciuta, con la roina la pareggiava;
quando si usava la roina il gomito doveva stare attaccato al fianco, si
doveva stare sttenti perché se si davano colpi troppo forti con la roina
c’era il pericolo di colpire colui che aiutava a tenere il piede dell’animale; quando l’unghia era sistemata si prendeva il ferro dalla
pertica; i chiodi erano fatti che quando si mettevano dovevano uscire
dal lato dell’unghia, per tutta sicurezza “s’app’stavan’” si puiegava un
poco la punta che facilitava la curvatura, il ferro doveva essere a misura dell’unghia, doveva uscire un poco solo dal lato esterno, se il ferro era più grande dell’unghia quando era mal tempo e c’era il fango
l’animale nfossava e quando tirava il piede il ferro restava nel fango.
C’era un tipo di ferratura a “l’abruzzese” il ferro era pari alla circonferanza dell’unghia e non erano piegati davanti.
Se qualche volta capitava “per errore” si metteva un chiodo con
l’appostatura venso l’interno, il chiodo anziché uscire fuori andava
verso l’interno e pungeva la carne viva, allora si doveva togliere un’altra volta il ferro con la roinetta, si doveva scavare l’unghia fino a dove
il chiodo aveva punto, si doveva difinfettare la ferita e si tornava a mettere il ferro; se la ferita non veniva disinfettata si formava del “pus”
che maturava fra l’unghia e i peli diventando di colore viola. I chiodi
quando erano usciti dall’unghia si piegavano e si tagliavano un poco
distante dall’unghia e col martello a paletta si piegavano sull’unghia.
Quando l’animale aveva la formicola “carie dell’unghia” si scavava con la roinetta fino alla carie, si metteva un poco di polvere da
sparo e si dava fuoco per bruciare la carie, tutto il buco fatto con la
roinetta si riempiva di petriolo in polvere (verderame) veleno potente, che se la formicola non era bruciata col fuoco moriva col petriolo. Dopo si metteva la stoppa e sopra si metteva del catrame
che impermeabilizzava la ferita e si metteva il ferro, quasi sempre
l’animale guariva.
L’animale con l’unghia crepata “la serchia” una malattia che
non guariva mai, nella stagione asciutta l’animale stava benino, quando arrivava l’inverno con l’umido si aggravava, si metteva la sugna
nella crepatura ma l’umido entrava sempre.
23
da n. 32 continua - 5
IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
no, oppure strette da una sincera e profonda amicizia e che si ritrovano coinvolti in un pauroso incubo collettivo.
Ci sono ben otto vittime per due assassini, ma l’intrigato
sviluppo si dipanerà soltanto ritornando al primo omicidio, passando attraverso una vera e propria metanoia che trasforma tutti
i personaggi..
Lo stile è scorrevole e di una semplicità che ti aiuta a capire,
la dizione chiara, concreta e precisa, insomma ti guida ad una lettura incessante, propria come nei romanzi gialli.
L A N OS TRA
BIBLIOTECA
They Came by Ship – The Stories of the Calitrani Immigrants in America di Mario Toglia.
Il “circondario” di Baiano agli inizi dell’Ottocento. Condizioni di vita, economia e popolazione nei documenti della
“Statistica Murattiana” di Pasquale Colucci – Comunità
Montana Vallo di Lauro e Baianese – Quadrelle 2007.
C
on la fattiva collaborazione di Josephine Galgano Gore, Richard L. Morris, Mary Margotta Basile, Fred Rabasca e Angela Cicoira Moloney il nostro concittadino Mario Toglia ha dato alle stampe, in lingua inglese, un ponderoso volume di ben
501 pagine, che racconta le storie dei Calitrani emigrati in America. Le ultime 96 pagine riportano tutti i calitrani con nome e cognome, l’età, la nave con la quale sono partiti, la data di arrivo e
la destinazione.
È stato un lavoro enorme per poter mettere insieme tutte
queste notizie e sappiano che Mario Toglia ha dovuto girare per
molte città degli USA per chiedere notizie di amici, parenti, conoscenti che gli hanno permesso di portare in porto questo importantissimo lavoro.
amico professore Pasquale Colucci (Sirignano 1953), che è
L’
socio dell’istituto per la Storia del Risorgimento Italiano e
cultore di storia patria, che ha dato alle stampe numerosi studi
sulla storia e sul folklore della Bassa Irpinia e che collabora a diverse riviste scientifiche, si è cimentato ultimamente con la presente pubblicazione che si onora, come sempre, di una brillante
presentazione di Francesco Barra, docente di Storia moderna e
contemporanea nell’Università di Salerno.
Tra le province del regno, un ruolo privilegiato occupò, nell’ambito della Statistica murattiana, la Terra di Lavoro, nella
quale i lavori andarono molto oltre la fase preliminare di raccolta dei dati, concretizzandosi in una densa serie di relazioni locali e in quella riassuntiva – assai pregevole – di Francesco Perrini.
Utilizzando sagacemente questa ricca e preziosa documentazione, Pasquale Colucci analizza in questo volume le condizioni
socio-economiche e le strutture demografiche dei comuni del
Baianese, all’epoca facenti parte della Terra di Lavoro. Il contributo alla conoscenza del territorio che arrecano i dati, le notizie e
le analisi della Statistica murattiana appare, a distanza di due
secoli, imprescindibile e di primissimo ordine. E tale considerazione vale sia per lo storico che per l’amministratore, a cominciare, ad esempio, dall’ancora oggi attualissimo problema del
dissesto idrogeologico.
Ed è per questo che l’agile ma denso volume di Pasquale Colucci si pone non solo come un interessante saggio storico, ma
anche come utile ed efficace strumento di lettura del territorio.
Irpinia Antica di Emilio Ricciardi - Aracne Editrice – Cittaducale (RI) 2007
on una esauriente e dotta presentazione della professoressa
C
Maria Raffaela Pessolano, il nostro amico Emilio Ricciardi ha
consegnato alla stampa un altra perla delle sue ricerche e dei suoi
studi, perché ormai – come scrive la studiosa – solo l’opera degli
studiosi locali, da sempre preziosi per la conservazione della
memoria di luoghi, storie e tradizioni, ha impedito la scomparsa
di molte testimonianze del passato, condannate alla distruzione
dallo spopolamento dei paesi, da restauri affrettati e da una malintesa esigenza di “modernizzazione”. Oggetto particolare di
questo libro sono venti centri dell’Irpinia letti attraverso le descrizioni dei secoli passati, mettendo a raffronto testimonianze
scritte e antiche, e a volte rare raffigurazioni che illustrano di volta in volta le peculiarità del territorio, l’aspetto degli abitanti e le
loro attività, corredate da testimonianze archeologiche ed architettoniche che ci fanno conoscere più approfonditamente la realtà
effettiva del Principato Ultra.
Un libro che l’autore, dottore di ricerca in Storia e dell’architettura e della città, ci fa comprendere e gustare con la sua parola fluida e vivace.
(dalla Presentazione di Francesco Barra)
L’Arte Sacra in Alta Irpinia di don Pasquale Di Fronzo – Diciassettesimo volume – Edizioni Grappone – Torrette (AV)
2007 – Fuori Commercio.
n sedici schede approfondite e debitamente illustrate don Pasquale, come sempre, ci conduce per mano a visitare San MerIcurio
martire, la statua dell’Immacolata, il quadro di San Genna-
La maledizione e il cerchio che si chiude di Irma Loredana
Galgano – Edizioni Duemme grafica - Roma 2007 - Romanzo
ro, il monumento di S.Luisa de Marillac e la statua di S. Vincenzo
dei Paoli a Mirabella Eclano, la Madonna di Costantinopoli e la
Visione di San Tommaso a Gesualdo, la statua di Sant’Emidio e la
concattedrale a Conza della Campania, la chiesa dei SS. Pietro e
Paolo a Morra De Sanctis, la Madonna del Rosario a Torella dei
Lombardi, il culto di San Benigno a Taurasi, le anime purganti a
Villamaina, l’organo dell’ex cattedrale a Frigento e infine la statua
di san Francesco a Castervetere sul Calore.
Con il presente diciassetesimo volume, don Pasquale ci dimostra, ancora una volta di avere molta familiarità con questa zona dell’Irpinia, e degno di nota è il crescente numero di notizie
che ci riferisce su queste opere, dimostrando di essere non sol-
a nostra giovane concittadina, che ha già al suo attivo delle riLAvellino
me giovanili e la partecipazione come finalista ai premi Città di
1996 e Puglia Viva 1996, si è cimentata con il suo primo
romanzo giallo che in dieci capitoli di intensa suspence ci racconta una storia intricata ed intrigante con uno stile suasivo,
convincente e seduttivo.
Come prima esperienza è certamente positiva, i personaggi
sono tipi normali come ciascuno di noi, e si ritrovano ad essere
pesantemente coinvolti in una vicenda che ha dell’assurdo, ma
coinvolge e travolge la vita di tante persone che non si conosco24
IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
Dardano-Melara con la sua faggeta e quello fluviale Sele-Tanagro-Calore in agro di Buccino. Quindi, un ecosistema in cui si integrano storia e natura, per lo più ancora oggi incontaminata, che
gli itinerari ci aiutano a comprendere nel suo insieme da Palomonte a Buccino, a San Gregorio Magno, a Ricigliano, a Romagnano al Monte, ad Auletta, a Salvitelle e a Caggiano, in un unico
organico itinerario di 7 giorni, o in “itinerari locali”, di cui la diretta esperienza di Andrea Perciato ci indica le difficoltà, i dislivelli, lo sviluppo chilometrico ed i tempi di percorrenze, non
senza utili annotazioni supplementari sulle caratteristiche colturali
e paesaggistiche dei luoghi.
Antonio Capano
tanto un antiquario ed un intenditore, ma anche un patriota, un
vero irpino, che viene mosso dall’amore per le glorie dei nostri
paesi, della nostra amata terra, insomma lo possiamo definire benissimo “il periegeta Irpino”. Grazie ancora don Pasquale e ad
maiora semper!
Oltre le ‘Nares’. Viaggio nelle terre del Negro… dal Palo al
Diano, di Andrea Perciato, Edizioni Arci Postiglione, Salerno
2005, pp. 128 con illustrazioni
Autore, dopo gli itinerari escursionistici editi sulle terre del
L’
Cilento e degli Alburni, si avvale del solito metodo consolidato da anni di esperienza, per illustrarci l’affascinante territorio,
Il libellus di Chicago - Un ricettario veneto di arte, artigianato e farmaceutica (secolo XV), di Adriano Caffaro e Giuseppe Falanga, Edizioni Arci Postiglione, Penta di Fisciano
2005, pp. 176
attraversato dal fiume Tanagro, un tempo detto il Negro per le colorazioni delle sue acque, il quale interessa un’ampia area tra il
Vallo di Diano, cosiddetto dalla volgata popolare medievale della romana Tegianum, e l’agro di Palo, cioè di Palomonte, presso
la quale, e precisamente in territorio di Contursi, il fiume diventa affluente del Sele. L’articolato aspetto del territorio, attraversato dalla via Capua-Reggio (Calabria), nella quale confluiva,
però, presso Castelluccio Inferiore (Basilicata), la via Herculea,
conserva ancora molte documentazioni antiche, alcune delle
quali sono riportate dall’Autore nelle schede sui principali paesi,
che precedono i sedici itinerari, per i quali ricorre ripetutamente
il discrimine storico del 1980, anno del terremoto (23 novembre),
che ha cambiato, con le sue distruzioni il volto secolare di questi
località.
A radici preindoeuropee può ad es. farsi risalire, nel nome di
Palomonte, il primo termine (o radicale) Pal, che equivale ad altura, mentre errata è l’interpretazione, che l’autore non fa propria,
di identificare la località con l’antica Numistrone, che sorgeva,
invece, nella contrada S. Basilio di Muro Lucano. Se Salvitelle
può avere la sua origine da Selvitelle, cioè “terra di piccole selve”, e se Pertosa si riconduce al pertuso, cioè alla grotta, sede di
frequentazioni fin dal Paleolitico e di un antichissimo culto, poi
destinato a S. Michele, dall’antica lucana e poi romana Volcei deriva l’odierna Buccino, di cui si illustrano le principali peculiarità; nel cui agro doveva esistere Auletta e il villaggio, che in
epoca alto medievale avrà il nome di S. Maria, prima che quello
di S. Gregorio Magno, mentre ad i Ricilii ed ai Romani (donde
Romanianus) dovevano appartenere i territori, ove si sono successivamente formati gli abitati di Ricigliano, di cui l´autore ricorda, per l’età romana, la villa in loc. Incoronata ed il “Ponte del
Diavolo”, o di Annibale, e Romagnano; così come dai grandi
proprietari romani, i Caii, proviene Cai-anus, poi Caggiano.
Notevoli i resti medievali, a partire da Castelluccio Cosentino, che si fa derivare nell’aggettivo, come Cosentini nel Cilento,
dagli abitanti emigrati da Cosenza, oltre che dal piccolo borgo
fortificato, documentato fin dal 1097, sorto a presidio degli importanti itinerari di collegamento da un lato con la Campania e la
Calabria, come indicato anche dalla presenza di antiche taverne,
e dall’altro con la Basilicata e la Puglia.
Il culto di S. Nicola, di S. Michele (“S. Miele” in una grotta
di Palomonte) e di altri santi di matrice greco-bizantina confermano la ripresa di territori in crisi, grazie all’intervento dei monaci italo-greci, che vi giunsero nel VII-VIII secolo. Le numerose chiese, di cui si ricorda nell’intitolazione ad es. il protettore da
pestilenze (S. Sebastiano in Pertosa) o degli animali (S. Vito a Ricigliano), rappresentano, insieme ai conventi (ad es. quelli dei
Conventuali e degli Agostiniani di Buccino) il riferimento della
fede e dell’assistenza religiosa e sociale.
Castelli, torri, palazzi gentilizi, mulini, masserie caratterizzano gli aspetti medievali e di età moderna di un territorio, di cui
oggi si apprezzano anche i parchi naturalistici, come il Parco
n nuovo e importante contributo per la storia delle tecniche artistiche tra medioevo ed età moderna è il libro di Adriano
U
Caffaro e di Giuseppe Falanga sul libellus di Chicago, significativo ricettario veneto di arte, artigianato e farmaceutica del XV secolo. Gli autori offrono, con testo latino a fronte e riproduzione integrale del manoscritto originale, la prima traduzione italiana di un
antico manuale in uso nelle botteghe degli speziali per il trattamento della pergamena, per la scrittura in oro e per la preparazione dei colori, delle colle e degli inchiostri, nonché per la confezione di alcuni cosmetici e ritrovati medicamentosi.
Il testo appartiene alla collana “L’officina dell’Arte”, edita
dall’ARCI Postiglione, volta a raccogliere tutta una serie di contributi scientifici sulla storia delle tecniche artistiche. Quest’ultimo libro è il terzo della collana, dopo quelli sul Papiro di Leida e
sul trattato De Clarea, il primo curato da Caffaro e Falanga, il secondo dal solo Caffaro.
La collana “L’officina dell’Arte”, ideata a diretta dal prof.
Adriano Caffaro, storico dell’arte ed esimio studioso di tecniche artistiche, si propone nel panorama della trattatistica sulle arti, e in
genere nel campo della letteratura artistica, come un rigoroso percorso per ricostruire la fitta trama di rimandi che lega il momento
tecnico-esecutivo dell’opera d’arte ai contenuti propriamente culturali che essa veicola, dunque dalla “materialità” dell’opera, in
quanto oggetto fisico, al percorso ideativo e ai contenuti culturali e
sociali che l’artista vuole trasmettere attraverso di essa. Possiamo
dire, infatti, che la collana va a colmare un vuoto editoriale nel
campo del generale studio delle arti in quanto per la prima volta
emergono organicamente dalle nebbie del tempo e della memoria
saperi e tecnologie che sottendono la stessa nascita delle opere
d’arte nella loro consistenza fisica, materiale, e culturale. I testi già
pubblicati, e quelli che si aggiungeranno, sono l’evidente segno di
una nuova e marcata sensibilità verso la complessa fenomenologia
delle arti, viste nella loro totalità, attraverso il recupero di saperi e
di manualità che gli artisti da sempre hanno utilizzato per la realizzazione del proprio pensiero visivo.
L’introduzione al libellus di Chicago si propone come un
vero e proprio saggio sull’organizzazione sociale delle botteghe
artistiche e degli speziali, visti come i luoghi naturalmente deputati alla sperimentazione di tecniche di lavorazione e di produzione di materiali necessari anche alla realizzazione delle opere d’arte, i cui saperi non appaiono mai univoci e settoriali, ma
sono il risultato di una fitta gamma di conoscenze trasversali
che spaziano dall’alchimia alla medicina, alla tecnologia. Il quadro che emerge dalla lettura attenta del testo è variegato, complesso, stimolante, e induce alla riflessione attenta e puntuale sul
modo con cui non solo venivano prodotte le opere d’arte, ma an25
IL CALITRANO
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ca, di testimoniare le fasi di un lavoro impegnativo e altamente
specialistico nel fare bene e nel produrre prodotti di qualità utili,
sicuramente remunerativi, anche dal punto di vista economico. A
sostegno di quanto testé detto, Caffaro e Falanga, poi, mettono in
relazione il libellus con altre opere affini per contenuto, soprattutto utili per la corretta ricostruzione delle tecniche e dei “segreti” degli artisti i cui materiali e ritrovati dovevano essere particolarmente utili, buoni e ricercati, «per la preparazione dei colori e, di fatto, sperimentati personalmente da coloro che li avrebbero custoditi con gelosia» (p. 115).
Da ciò emerge anche l’idea della pittura come arte affine alle
altre arti liberali, come risultato di tecniche specifiche e di istanze estetiche e culturali precise, con continui rimandi al mondo
dell’alchimia, della farmacopea, della medicina e della tecnologia. I ricettari sono in parte anche gli “eredi” di una tradizione
trattatistica che affonda le proprie radici nelle grandi “enciclopedie medioevali”.
Una parte importante del libellus è dedicata alle ricette per
colori, colle, inchiostri ed altri esperimenti pratici. Grande attenzione è dedicata, ad esempio, all’uso dei colori, che accomuna
«artisti ed artigiani, pittori e miniatori: il testo ci fornisce indicazioni tecniche preliminari alla realizzazione di manufatti artistici.
[…] I colori cui si fa riferimento nel ricettario sono l’azzurro, di
cui si riporta una gamma apprezzabile di varietà tonali oltre che
di formule di composizione, seguito dal verderame, il vermiglione, l’indaco, il minio, il rosso scuro ed il nero» (p. 123).
Anche questo libro, come quelli che lo hanno preceduto, è una
preziosa e ricca miniera di informazioni, utili per gli studiosi di
storia dell’arte, per i restauratori e, in generale, per tutti coloro che
s’interessano all’arte poiché contribuisce ad arricchire un bagaglio
di conoscenze indispensabili per il corretto studio dei beni culturali, sia in quanto opere fisicamente e materialmente esistenti,
frutto di precise scelte tecniche artigianali, che come prodotti
della cultura estetica e visiva in generale.
Gerardo Pecci
che sul ruolo che esse avevano nella società dell’epoca, per
esempio attraverso i vincoli contrattuali che i committenti stipulavano con gli artisti o i materiali che dovevano essere usati di
volta in volta, a seconda della tipologia dell’opera, del gusto e
dell’iconografia. Così “materiale”, “manodopera”, iconografia e
vincoli contrattuali davano un valore economico e culturale all’opera commissionata. I trattati, le prescrizioni, e in generale l’analisi dei documenti d’archivio, i contratti pervenutici nel tempo,
sono fonti indispensabili per poter meglio comprendere il mondo
degli artisti e la loro epoca. Il libellus di Chicago è, sotto questo
aspetto, un ricettario che ci fornisce indicazioni utili per capire
meglio il mondo delle botteghe d’arte del secolo XV e i metodi
di produzione dei manufatti d’arte. Ad esempio, un importante
committente spesso pretendeva dall’artista un’opera d’arte di altissima qualità, fatta con i migliori colori disponibili in quel momento: si rivolgeva, naturalmente, ai Maestri più in voga. E un’esauriente disamina dell’ambiente sociale in cui venivano prodotte le opere, con numerosi e puntuali esempi di riferimento, ci
fa entrare a contatto con il mondo delle corporazioni artigianali e
di mestiere che, con i loro vincoli e regolamenti, custodivano i
saperi e le consuetudini tecniche dell’epoca presa in considerazione cioè il XV secolo.
Infatti, come «il disegno attesta […] l’ideazione dell’opera,
dando ragione dei tratti compositivi originari di un dipinto o di
un’applicazione decorativa, così il ricettario informa sull’esecuzione dell’opera, di cui riporta mezzi, materiali e metodi di lavorazione» (p. 12). E proprio il ricettario è il veicolo di unione, il
documento scritto, di prescrizione e documentazione, che contiene le conoscenze tecniche indispensabili per la realizzazione
delle opere d’arte. Il libellus di Chicago è stato redatto in area veneta e quindi ci informa sulle tecniche usate nell’area geografica
e culturale presa in considerazione in quel particolare momento
storico. Si tratta di una raccolta di 90 ricette. Il codice fu acquistato dalla Newberry Library da H.P. Kraus nel 1945.
La parte centrale del libro di Caffaro e Falanga riporta il testo
latino del libellus e la sua traduzione italiana, con numerose note esplicative a piè di pagina ricche di riferimenti ad altre opere e
ricettari e ai materiali di volta in volta impiegati dagli artefici dell’epoca, utili a una comparazione filologica in grado di ricostruire un tessuto connettivo che lega le esperienze descritte a
quelle coeve e pregresse in campo alchemico, fisico, tecnologico
e operativo rintracciabili in altre opere e ricettari dello stesso tipo.
Emerge un ricco e variegato quadro storico d’insieme, utile per la
corretta comprensione di una civiltà sempre alla ricerca di nuove
esperienze e di materiali che hanno segnato il “progresso” delle
tecniche artistiche in un arco di tempo ampio, dal mondo tardo
antico e medioevale a quello umanistico e rinascimentale. Non a
caso i riferimenti a opere e ricettari di epoche lontane segnano
l’impalcatura su cui si regge il testo del libellus, ricco di conoscenze pregresse e di sapienza antica. Il successivo capitolo sul libellus e la tradizione ricettaria mette in luce l’eterogeneità dei
contenuti dell’opera, in cui i ritrovati naturali e le cose sperimentate vogliono proporsi come «una sorta di manuale utile all’occorrenza nelle più svariate circostanze. Tale doveva essere
nell’intenzione dell’autore, o degli autori, come si deduce dai
consigli che questi spesso rivolgono in prima persona a chi, artista o speziale, vuole sperimentare nella tecnica artistica, artigianale e farmaceutica» (p. 111).
Importante in tale contesto è il ruolo dello speziale, che doveva garantire l’onestà della ricerca unita alla competenza con la
quale preparava le sostanze di volta in volta usate, sia nel campo
medico che in altri affini. La volontà di lasciare per iscritto le
proprie esperienze di ricerca su materiali e metodi testimonia
l’importanza di trasmettere conoscenze, competenze e fini del
proprio lavoro di ricerca. In fondo vi è la volontà, storica ed eti-
Antologia del Premio Nazionale di Poesia “Cluvium 2006” VI
edizione – di Michele Sessa e Vincenzo D’Alessio – Edizioni
Pro Loco Calvanico (SA) – Fisciano 2007
l Premio Nazionale di Poesia “Cluvium”, proposto biennalmente nella terra che ha dato i natali all’eminente filosofo e teoIlogo
Gianfrancesco Conforti (1743-1799), la cittadina di Calvanico (SA, nasce dalla collaborazione tra l’Associazione Pro loco
e il Gruppo Culturale “F. Guarini”.
La presenza di questo premio nel tessuto nazionale di “poetilandia” si differenzia perchè è nato nella terra meridionale: la
terra sottomessa ai politici, alla camorra, alla mafia, alle malversazioni, alle violenze, agli omicidi, all’instabilità economica e sociale, alla precarietà dell’esistenza.
Nasce nel Sud massacrato dei terremoti, dalle guerre invisibili
che affollano quotidianamente i marciapiedi. Nasce nella terra
della continua emigrazione, dell’allontanamento dei giovani appena laureati, nella terra dove la speranza viene uccisa da secoli.
La voce dei poeti è come l’acqua sorgiva che la cittadina di
Calvanico conserva gelosamente nel sottosuolo: tuona, s’incaverna, spacca, si libera e genera una sorgente viva di vita e di luce
trasparente. Questa forza noi la definiamo libertà e sulla libertà di
esistere si fonda tutta la scenografia del teatro umano descritto
nelle poesie che compongono questo testo.
Vincenzo D’Alessio
P. S. a questa sesta edizione ha partecipato anche un amico
calitrano, il dottore Ettore Cicoira.
26
IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
ra di castità dovesse cessare. E molti lo hanno pensato, ma non
Infante che ha affrontato l’attualità di questo strumento di tortura e violenza, che ancora oggi è utilizzato soprattutto nei giochi
erotici.
A questo punto è importante evidenziare le motivazioni legate all’utilizzo della cintura di castità.
Il primo motivo è quello della “limitazione della sessualità”
in tutte le sue forme (rapporti sessuali più o meno completi); in
secondo luogo è importante la “tutela della propria sessualità”
(verginità fino al matrimonio, sicurezza e difesa contro lo stupro,
metodo contraccettivo, protezione contro le molestie e l’incesto).
Il terzo motivo è legato alle “rassicurazioni proprie ed altrui”,
ovvero la liberazione dai sensi di colpa, la dimostrazione al
partner della propria fedeltà, l’atto di riacquistare la fiducia dopo aver commesso tradimento. Infine, l’ultima motivazione è
quella della “libera scelta”: sessualità libera, come piacere sessuale; accessorio trasgressivo per eccitare chi lo indossa o chi lo
osserva; performance sessuale in tutte le sue forme più o meno
perverse.
Pertanto, dalle forme più coercitive e dalla violenza psicologica si ricorre oggi a scelte più libere che però sono sempre
connesse a pratiche, di cui si può discutere all’infinito se sono
perversioni, violenze o sfoghi e piaceri sessuali.
Infante volutamente non si dilunga su questi aspetti, preferendo digredire sulla violenza e la tortura connesse alle cinture
di castità, preferendo parlare di strumenti che negano una sessualità libera, come le forme più aberranti di una barbarie, chiamata “infibulazione”, che rappresenta per l’autore la forma più
estrema di mutilazioni sessuali in nome dell’affermazione della
castità e della purezza.
Pasquale Martucci
Antichi e nuovi ricordi della cintura di castità, di Antonio
Infante, Edizioni Arci Postiglione, Salerno 2005, pp. 112 con
illustrazioni
castità e la negazione della sessualità sono state nella storia
elementi di coesione di una comunità, i modi utilizzati
Lperaglitenere
unita la famiglia, per via dei precetti religiosi che hanno imposto all’uomo di rimanere casto e tendere ad una vita
ascetica. Ma quando per limitare le pratiche sessuali si fa uso di
strumenti che connotano violenza e tortura, allora le cose cambiano e si modifica lo stesso concetto di castità.
Il saggio di Antonio Infante si occupa di un attrezzo, la cintura di castità, che in passato ha visto la sottomissione della
donna per costringerla alla fedeltà. Questo strumento serviva per
difendere la castità delle proprie mogli, sorelle, figlie e amanti
durante le lunghe assenze dell’uomo.
Infante parte da un racconto del 1990, da un uomo fedifrago
che è costretto dalla moglie ad indossare una cintura che racchiude il suo organo sessuale e gli impedisce di provocare gravidanze extraconiugali. Poi documenta il significato della cintura di castità nella storia, dai primi strumenti greci e romani, alle
pratiche di castità presso gli arabi, per giungere al medioevo, alle famiglie più o meno nobili che cercavano di mantenere integre
le donne, perché le tentazioni erano tante e la gelosia ancora
più diffusa. La conclusione del volume è rivolta alla pratica dell’infibulazione, l’inaccettabile crudeltà del duemila.
Il libro, scritto da Antonio Infante in modo scorrevole, data la
lunga pratica di giornalista e scrittore, è corredato di foto che
evidenziano i modelli di cintura, da quelli più rudimentali a quelli più ricercati e pregiati, e si avvale di alcune note introduttive di
Eduardo Giuliano che rilevano l’importanza di queste tematiche
che non sono state finora affrontate in maniera diffusa e documentata nel nostro territorio. Indubbiamente Infante ha compiuto
una operazione intelligente, trattando il problema con le cautele
del caso e definendo da subito queste pratiche aberranti, proprio
per non ingenerare nel lettore nessuna nostalgia per strumenti
definiti “brutali arnesi” e “disumani orpelli”. Dalle testimonianze
dei popoli antichi e dai documenti tratti dalla letteratura, dagli
esempi di questi attrezzi riportati nel libro con dovizia di particolari, l’autore compie un percorso suggestivo e lineare, legando
epoche e fatti e fornendo importanti esempi di cinture di castità.
Si sofferma poi su alcune canzoni dialettali cilentane che
sottolineano l’uso della cintura di castità nel nostro territorio.
Sono canti di supplica affinché l’uomo cessi quella tortura, abbandoni la sua gelosia e ristabilisca la dignità della donna: “torna marito mio, torna patrone. No nge la fazzo chiù a sopportare…”; “chiesto ch’a fatto a me nun è amore ma condanna,
chiesto ch’a fatto a me nun è amore ma tortura”.
L’autore si pone fin dalle prime pagine del suo volume contro questa pratica, mettendosi dalla parte della donna, nel medioevo considerata una sorta di fantasma di Afrodite, che nasce
nuda dalla spuma del mare ed è il grande nemico della moralità
biblica, sia di stampo ebraico, cristiano o islamico. Quasi tutti
erano infatti convinti che l’amore carnale era la causa prima di
ogni disordine civile e politico: allora era indispensabile allontanare la donna e vigilare il suo corpo attraverso uno strumento
che ne limitasse la sua affermazione.
La castità simbolicamente è paragonata al giglio: il bianco
che rende gli uomini simili agli Angeli. È sinonimo di onestà,
conservazione, integrità, virtù dell’anima e del corpo. I piaceri
sono legittimi solo con il matrimonio ed anche nell’ambito dello stesso occorre che “l’intenzione sia onesta”. Non astenersi dai
piaceri carnali, ma sapersi moderare.
Con la fine del periodo più oscurantista, con l’affermazione
della ragione e dell’illuminismo, si ritenne che l’uso della cintu-
Le lettere di Francesco De Sanctis e Pasquale Stanislao
Mancini a Benedetto Cairoli di Carmine Ziccardi con Presentazione di Michele Miscia – Delta 3 Edizioni – Grottaminarda 2007.
a quello attento, scrupoloso e meticoloso ricercatore che è
D
Carmine Ziccardi, non potevamo che attenderci un’altro
prezioso volume su un carteggio – ancora inedito – fra le due
grandi figure storiche meridionali di Francesco De Sanctis e
Pasquale Stanislao Mancini, all’indirizzo di Benedetto Cairoli,
Capo del Governo nel quale i due politici irpini furono ministri.
All’amico Ziccardi, già per anni funzionario dell’Archivio di
Stato di Pavia, non poteva certamente sfuggire, nel suo continuo
ed instancabile peregrinare per Archivi alla ricerca di documenti sempre nuovi e non indagati, la serie di lettere di questi due
politici, illustri conterranei, al responsabile del Governo.
Infatti presso l’Archivio Storico Cairoli di Pavia nel Fondo
Storico Risorgimentale dell’archivio della famiglia di Benedetto Cairoli più volte responsabile del Governo, Ziccardi ha reperito una ricca documentazione, in parte completamente inedita,
che ci fa conoscere meglio, qualora ce ne fosse ancora bisogno,
questi politici, pionieri dell’Italia unita i cui ideali sono stati
l’impegno politico costante, la passione e la presenza istituzionale in alcuni decenni della travagliata storia del nostro paese,
per la costruzione di una società, più giusta, più attenta agli interessi degli ultimi, più libera dai tanti perigliosi condizionamenti.
Tre grandi personalità legate fra loro dall’interesse per l’Italia, dai comuni sentimenti risorgimentali e da un’amicizia personale che va ben oltre i rapporti di carattere politico, come si
evince chiaramente da questa corrispondenza che segnala, ancora una volta, il ruolo importante dei due nostri conterranei.
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siamo noi”, promosso dal Ministero della Pubblica Istruzione. I
bambini e i ragazzi si sono esibiti nel laboratorio teatrale, successivamente hanno gareggiato con quelli di Bisaccia e Aquilonia e nel
progetto alimentare hanno valorizzato il frumento.
Vita Calitrana
I
La scrittrice Loredana Galgano, il pomeriggio di Domenica 20
maggio 2007, nei locali dell’ex ECA ha trattato il tema: La primavera, nel quadro del Tè letterario proposto dalle “Donne per il sociale”.
l Comitato dei solenni festeggiamenti in onore dell’Immacolata Concezione e di San Vito martire ha messo in vendita un CD e
una videocassetta, della processione al Calvario ripresa il mattino
del Venerdì Santo 2007 a Calitri.
al 29 giugno 1° luglio 2007 ha avuto luogo a Calitri, negli
spazi dell’hotel Ambasciatore, il motoslow organizzato dal locale
club Moto Guzzi e dal Slow Food “alta Irpinia” – I partecipanti hanno avuto modo di ammirare i percorsi turistici del territorio irpino,
del Vulture e gustare i prodotti tipici della gastronomia locale.
l Ministero dei Beni e le Attività Culturali ha promosso la
settimana della cultura, dal 19 al 20 maggio 2007, dal titolo “C’è
l’arte per te” presso il borgo castello di Calitri. Le visite guidate riguardano la valorizzazione dell’architettura, del borgo, del museo
archeologico e del paesaggio.
D
I
Il prof. Francesco Barra, dell’Università di Salerno, il pomerig-
I
n un incidente avvenuto nel pomeriggio del 27 maggio 2007,
sull’autostrada A16 all’altezza di Mirabella Eclano è deceduto Sergio Toglia, mentre era alla guida della sua auto, tornando da Calitri
a Napoli. La madre di Sergio, Francesca De Rosa in Toglia, ha riportato ferite così gravi che l’hanno ridotta in coma ed è deceduta il
23 giugno. La moglie di Sergio, Maria Teresa Pecorini in Toglia, è
stata miracolata. Sconvolti per quanto è accaduto a questa famiglia di calitrani, manifestiamo il nostro profondo dolore alla signora Maria Teresa e ai figli Francesca e Michele.
gio del 27 giugno 2007, ha presentato a Montella (AV) il volume dal
titolo: IN NOME TUO – una miscellanea di testimonianze e scritti in
onore di Mons. Ferdinando Palatucci – Arcivescovo emerito (1915 †
2005) Dragonetti Edizioni Montella 2007 – curato da Mario Palatucci e Gennaro Passaro.
L’
Istituto Comprensivo Statale di Calitri ha organizzato dal 26
maggio all’8 giugno la settimana culturale dal titolo “La scuola
I NOVELLI SACERDOTI
L
a Chiesa di Dio che è in Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia è grata al Signore per il dono delle vocazioni sacerdotali. Sabato 28
aprile 2007, nella Cattedrale di Sant’Angelo dei Lombardi, l’Arcivescovo
Mons. Francesco Alfano ha ordinato presbitero il diacono don GIUSEPPE
CESTONE, della comunità parrocchiale di “San Canio vescovo e martire”
di Calitri (AV). Hanno partecipato al sacro rito tutti i presbiteri dell’Arcidiocesi, i Diaconi, le Suore di Gesù Redentore, la famiglia dell’ordinando,
papà Salvatore, mamma Michelina Lucrezia, i fratelli, le nonne, gli zii, gli
amici, e poi ancora il Sindaco di Calitri e la Giunta.
Nell’omelia l’Arcivescovo ha presentato la figura di Gesù Buon Pastore,
esortando ad imparare a riconoscerci tra le pecore che ascoltano il Pastore.
Poi ha sviluppato il tema del ministero del presbiterato al servizio della
Chiesa, nella comunità dei fedeli. Infine ha esortato il popolo di Dio, convenuto per l’ordinazione, a gioire e nello stesso tempo a pregare per le vocazioni religiose e sacerdotali in Alta Irpinia.
Domenica, 29 aprile, a Calitri, il novello sacerdote, ha presieduto nella
chiesa parrocchiale, la Santa Messa vespertina, concelebrando con il cancelliere arcivescovile, Mons. Tarcisio Luigi Gambalonga, il parroco, sac.
Maurizio Palmieri, e il nonagenàrio, Mons. Michele Di Milia. Al termine
della celebrazione ha ringraziato il Signore “per la chiamata al sacerdozio”, la famiglia che 1’ha generato, non solo alla vita ma anche alla fede, la
comunità parrocchiale di Calitri che con tanto amore lo ha sempre sostenuto, negli undici anni di studio, presso il Seminario di Salemo, poi al Pontificio Seminario Interregionale di Posillipo -Napoli e attualmente lo sostiene
per la specializzazione in Pastorale giovanile, presso Pontificia Università
Salesiana di Roma. Ha concluso ricordando in modo particolare i Parroci,
don Raffaele Gentile, Mons. Mario Malanga e don Siro Colombo di venerata
memoria, e il carissimo don Maurizio che lo hanno guidato nel corso degli
anni fino all’altare.
Altra festa di giubilo per la comunità di San Francesco a Folloni - Montella,
il 14 aprile 2007 a Napoli, l’Arcivescovo mons. Francesco Alfano ha ordi-
nato presbitero il frate conventuale, architetto, Antonio G. Vetrano. Questi ha
celebrato la prima Eucaristia nella monumentale chiesa del Santuario francescano di Montella, Domenica 15 aprile, alla presenza di tantissimi fedeli,
oltre ai genitori, i parenti e gli amici.
I
l Diacono don ENZO CIANCI è stato ordinato sacerdote, nella Cattedrale Primaziale di Salerno, dall’Arcivescovo S. E. Gerardo Pierro, insieme ad
altri cinque presbiteri, il pomeriggio del 30 giugno 2007. Ha celebrato la prima S. Messa nella Parrocchia di San Bartolomeo Apostolo e S. Matteo
Evangelista in EBOLI, alle ore 18 di domenica 1° luglio. Il giovane sacerdote durante la concelebrazione è stato presentato alla comunità dall’anziano Parroco, don Ferdinando Sparano, il quale ha ringraziato la comunità di
Calitri per il dono ricevuto e i genitori che l’hanno generato, fatto studiare e
avviato al sacerdozio. Prima della benedizione finale don Enzo ha ringraziato
i convenuti, la famiglia, i vari parroci di Calitri, di Campagna (SA), in modo
particolare don Marcello Scanzione, don Ferdinando, la comunità di Eboli e
tutte le persone che negli anni l’hanno accolto e sostenuto. A Calitri don Enzo ha celebrato la prima Eucaristia nella Chiesa Madre di San Canio, alle ore
18.00 di sabato 7 luglio. Nella sala delle comunità parrocchiali di San Canio
e di San Bartolomeo, don Enzo ha festeggiato insieme agli amici e al popolo di Dio, convenuto per l’occasione, con un ricco buffet e il taglio della torta. Infine ha distribuito il ricordino con il seguente motto: “Imparate da me,
che sono mite ed umile di cuore “. (Mt 11,29) – Il neo sacerdote è nato a Calitri nel 1972, da Gaetano e Lucia Natale, secondo di tre figli, dopo avere
conseguito con il massimo dei voti la Maturità di Arte Applicata “sez. Disegnatori di architettura e arredamento” presso l’Istituto d’Arte “S. Scoca” di
Calitri, ha frequentato la Facoltà di Architettura a Milano, dopo “la chiamata” abbandona gli studi artistici per entrare nel Seminario “Giovanni
Paolo II” di Salerno, pronto per l’ordinazione presbiterale, al servizio della
Chiesa di Dio che è in Salerno-Campagna-Acerno.
Vito Alfredo Cerreta
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IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
SOLIDARIETÀ COL GIORNALE
Zabatta Antonio (Nova Milanese), Zampaglione Angela (Roma), Buldo Antonia (Varallo Pombia), Grieco Aldo (Grosseto), Capossela Giuseppe
(Genova Pontex), Lucrezia Raffaele (Cesano Maderno), Mazziotti Antonietta (Santa Marinella), Lotito Vincenzo e Nesta Rosetta Maria (Foggia),
Famiglia Zazzarino (Caramagna), Maffucci Angelomichele (Lissone)
Euro 22:Tozzoli Giandomenico (Roma)
Euro 25: Melaccio Amalia (Padova),Abate Michele (Roma), Galgano Vincenzo e Rosaria (Melfi), Farese Raffaele (Conza della Campania), Cubelli
Tonino (Bologna), Pastore Elio (Taranto), Gautieri Vito (Acqui Terme),
Nivone Antonio (S. Angelo dei Lombardi), Galgano Angelo Maria (Salerno), Vallario Giuseppe Nicola (s. Miniato Basso), Frasca vincenzo
(Roma), Castagna maria Teresa (Roma), Scoca Pasquale (Lavena Ponte
Tresa), Pasolini Italo (Napoli)
Euro 26: Salvia Giuseppe e Acocella Marilena (Reggio Emilia)
Euro 30: Margota & Nicolais (S.Donato M.se), Galgano Antonio (Poggibonsi), Codella Vito (Cremona),Acocella Francesca (Napoli), Nappi Gaetana (Bergamo), Salvatore Lucia (Montaione), Di Milia michele (Gallarate)
Euro 40: Di Maio Giuseppe (Caserta), Galgano Giovanni (Milano)
Euro 50: Messina Giuseppe (Roma), Di Milia Giuseppe (Milano), Messina Giuseppe (Roma), Armiento Michele (Torino), Maiello Savino
(Aprilia), Cerreta Donato (Teramo),Tuozzolo Donato (Roma), Galgano
Anna (Milano), Marra Raffaele (Caserta), Zampaglione Canio (Roma)
Euro 100: Zarrilli Canio (Parma)
DA CALITRI
Euro 10: Cirminiello Angelomaria, Lucrezia Enza
Euro 15: Nivone Giuseppe, Calabrese Maria Lucia, Maffucci Angelomaria (via Circonvallazione 9), Cioffari Lucia, Metallo Canio e Di Milia Rosa
Euro 20: Zarrilli Vittorio e Michelina, Simone Pasquale, Di Cecca
Russo Giuseppina
Euro 25: Miranda Pasquale Antonio
Euro 30: Nigro Giuseppe
Euro 50: Basile Vincenzo
DA VARIE LOCALITÀ ITALIANE
Euro 5: Iannella Rosa (Avellino), Cesta Lucia (Cornale)
Euro 9: Metallo Vincenzo (S. Giovanni V.no)
Euro 10: Russo Luciana (Lentate S.S.), Colucci Pasquale (Sirignano),
Ricciardi Fernando (Conegliano), Manzoli Ascanio e Flavia (Genova),
Lantella Salvatore (Torino), Senerchia Giuseppe (Firenze), Zabatta Francesco (Roma), Cianci Giacinta (Treggiaia), Zarrilli Luigi (Poggibonsi),
Cianci Michele (Mariano Comense), Cianci Francesca (Roma), Di Cairano Antonio (Guidonia), Pasqualicchio Luigi (Figino Serenza), Nicolais
Maria Giuseppa (Cairano), Martiniello Orazio (Caselle Torinese), Restaino Giovanni (Poggio Berni),Acocella Ada (Castelfranci)
Euro 15: Margotta Franchino (Olgiate Comasco), Simone Vincenza
(Maddaloni), Donatiello Giovanni (Usmate Velate), Studio Commericlae Di Cairano Mario (Colleverde), Zabatta Vincenzo (Lentate S.S.)
Euro 20: Cerreta Guerino Antonio (Cesinali), Ferrara Teodora (Pescopagano), Metallo Alessandro (Caronno Pertusella), Zabatta Antonio (Savio
di Cervia), Nannariello Rosellina (Genova), Maffucci Vincenzo (Brignano),
DALL’ESTERO
OLANDA: Euro 26 Tozzoli Zylstra Ella
SVIZZERA: Euro 310 Associazione Lavoratori Calitrani Emigrati in
Svizzera, Euro 5 Jannece Sonia e Terry
CANADA: Euro 40 Sacino Giuseppe
LETTERA AD UN VIGILE DELLA SPERANZA
Caro zio Peppino, è così che amavi farti chiamare ed è così che io ti invoco sempre nei miei pensieri.
Era doveroso per me ricordarti in questo modo perchè ora che non puoi più ascoltare le mie parole,
spero ti arrivi lo spirito che le ha mosse.
E tu di certo non mancavi di parole da regalare a chiunque, parole a volte dirette, altre volte dure, ma
sempre sagge e avvolte di dolcezza, riso e ottimismo. Un ottimismo speranzoso che ti ha sorretto nella tua faticosa vita, fatta di appassionato e duro lavoro, fino alla tua sventurata morte. Proprio di questa, tuttavia, ti sei servito per donare incondizionatamente e gratuitamente speranza, coraggio e rispetto
dei buoni sentimenti e dei saggi valori della vita, ma talora anche silenziosa indifferenza verso chi li derideva. Ricordo la nostra ultima telefonata quando tu, sebbene giacente in ospedale nel calvario delle
tue sofferenze, mi hai ripetuto, con voce tuonante, che la tua amata vigna aveva bisogno di braccia forti, così come il mio adorato lavoro, lontano da casa e da te, aveva bisogno di grinta, la stessa che usavi tu in campagna, al solo tocco della zappa. Già consapevole della tua imminente morte, un’ultima
volta hai voluto anteporre i bisogni del tuo prossimo ai tuoi, pronto a lottare contro il volto oscuro della malattia non con lo scudo della commiserazione, ma con il delicato fiore dell’altruismo e amore caparbio per la vita. Ancora il tono e il suono vigoroso di queste tue raccomandazioni mi accompagnano oggi, caro zio, risuonando nella voragine del dolore in cui la tua perdita ci ha condotti.
La tua umiltà e la tua saggezza, sempre volte a mascherare le smorfie del dolore della tua malattia, sono state e saranno da esempio per la tua famiglia: per tua moglie, per i tuoi figli, per il tuo piccolo nipotino Daniele, nei cui occhietti vispi hai infuso sin dalla sua nascita il tuo attaccamento alla vita, e in
particolare per me, zio Peppino, nella speranza di serbare per sempre nelle corde del mio cuore, preziose, le gocce di saggezza che il tuo animo stillava, affinché anche ora che ci guardi e ci sorridi dall’alto, ti giunga, in cambio, come vento caldo, questa ventata di amore eterno per te.
Ciao zio, ti voglio bene e... Forza Napoli!
Valeria Capossela
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IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
MOVIMENTO DEMOGRAFICO
Rubrica a cura di Anna Rosania
I dati, relativi al periodo dal 23 marzo 2007 al 14 giugno 2007,
sono stati rilevati presso l’Ufficio Anagrafe del Comune di Calitri.
NATI
Bavosa Naomi di Antonio e di Buscemi Maria Agnese
Russo Maria Ludovica di Giuseppe e di De Nicola Rosetta
Cestone Marco di Canio e di Frino Maria Pompea
Gautieri Marialisia di Vito e di Fiordellisi Giuseppina
Beltrami Franco di Romolo e di Grieco Lucia
Porrari Beatrice di Giuseppe e Di Maio Amalia
Tamoudi Salma di Asmail e di Oufaska Latifa
Margotta Ivan Salvo di Giuseppe e di Lembo Fabiola
23.03.2007
27.03.2007
06.04.2007
06.04.2007
21.04.2007
24.05.2007
08.06.2007
08.06.2007
MATRIMONI
Di Cecca Luigi e Fiordellisi Enza
Acocella Attilio e Di Cecca Emanuela
Zarrilli Michele e Cirminiello Patrizia
Maffucci Angelomaria Gerardo e Di Cosmo Gessica
Cornacchia Franco Gerardo e Di Tolve Rosa
Pascium Michele e Merola Lucia
Lucrezia Michelangelo e Cianci Nicolina
Mare Sebastiano e Borea Silvana
Pecora Angelo e Nappo Lucia
31.03.2007
21.04.2007
26.04.2007
28.04.2007
30.04.2007
05.05.2007
12.05.2007
19.05.2007
19.05.2007
MORTI
Acocella Giovanni
Munari Angela
Lucrezia Franco
Strollo Gaetano
Fatone Canio
Cestone Vincenzo
Galgano Salvatore
Gallucci Angela
Leone Antonio
Senerchia Giuseppe
Zabatta Vincenzo
Ricciardi Antonio
Covino Raffaela
Cestone Vincenzo
Cioffari Ada Rosina
Gallucci Massimo
Cardarelli Gesilda Maria
De Nicola Eva
Pagliarulo Angela
Fierravanti Giuseppe
D’Elia Pasquale
Gautieri Grazia
Tancredi Lucia
Casale Nicola
Cianci Giuseppe
Di Carlo Concetta
Vallario Luisa
02.10.1913 - † 16.10.2006
16.10.1932 - † 27.12.2006
26.09.1960 - † 04.01.2007
11.11.1930 - † 05.01.2007
11.03.1920 - † 03.03.2007
30.04.1916 - † 07.03.2007
02.01.1919 - † 18.03.2007
06.09.1919 - † 18.03.2007
03.03.1922 - † 26.03.2007
22.03.1921 - † 31.03.2007
01.12.1925 - † 12.04.2007
19.08.1930 - † 13.04.2007
11.11.1908 - † 19.04.2007
24.09.1929 - † 26.04.2007
23.02.1925 - † 27.04.2007
01.01.1963 - † 29.04.2007
18.09.1916 - † 01.05.2007
16.09.1914 - † 08.05.2007
23.05.1943 - † 15.05.2007
11.12.1924 - † 26.05.2007
28.08.1937 - † 27.05.2007
23.10.1917 - † 29.05.2007
03.04.1935 - † 29.05.2007
25.03.1913 - † 31.05.2007
31.03.1916 - † 07.06.2007
24.08.1908 - † 11.06.2007
12.01.1915 - † 14.06.2007
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Fatone Rosa Lucia
25/10/1907 † 24/01/2007
ancora adesso, a circa 3 mesi dalla sua scomparsa
mi è difficile pensare a lei come a qualcuno
che non c’è più, chi ha avuto modo di conoscerla
comprenderà il mio stato d’animo.
Di lei ricordo tante cose, ma ciò che non dimenticherò mai
sono alcuni episodi tipo la gente mi domandava
“a chi’ appartien’?” e io “so’ figlia a Michele Russo”
ma nessuno capiva a quale dei tanti Russo
io “appartenevo”, allora rispondevo
“SO N’POT A ROSA LUCIA R’ FATON…!”
e qui tutti hanno sempre risposto allo stesso modo
“n’ r’ ptiv ric prima’”
Mia nonna è sempre andata fiera di questo!
Ha sempre vissuto nella sua amata CALITRI
fino all’età di 94 anni,dove tutti la conoscevano.
Poi abbiamo a malincuore dovuto portarla qui
a Mariano Comense con noi.
Non passava giorno, in cui non parlava della sua Calitri,
r’u v’cnanz, r’a Maronna e Sant Canij’…
Le sue mani hanno saputo essere forti e capaci,
quando c’era da lavorare la terra e dare governo
agli animali, e abili e delicate nel lavoro all’uncinetto.
Tant’è vero che io il corredo “U’ prim’ Liett’ e la naca”
c’è l’ho tutto ricamato a mano da lei.
Avrei voluto portarla a rivedere Calitri un’ultima volta …
il 24 gennaio 2007 è ritornata a casa.
Ciao Nonna
F.to a’ n’pot r’ Rosa Lucia
Calitri 1945,
Ernesto e Maria Gautieri
insieme a Vincenzo Fastiggi (halecchia).
Nessuno muore sulla terra
finché vive nel cuore di chi resta.
I nipoti e i parenti tutti.
IL CALITRANO
N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007
R E Q U I E S C A N T
P A C E
Annamaria Grazia
Mazziotti
21.06.1956 † 04.07.2005
Orazio Cubelli
Calitri 19.09.1925
† Napoli 09.04.2007
Italo Rabasca
31.03.1912 † 25.07.2006
Ci hai lasciato il tuo
sorriso, in casa
tesoro della mamma,
sei tutta la mia vita.
Abbiamo contemplato,
o Dio, le meraviglie
del Tuo amore.
(Salmo 117)
Lucia Zarrilli
01.11.1926
† 16.05.1996
I N
Gaetano Nigro
15.03.1919
† 17.11.1996
I giusti vivono per sempre,
la loro ricompensa
è presso il Signore
Angela Senerchia
01.11.1936 † 15.05.2006
Dopo 10 anni dalla vostra scomparsa
Vi ricordiamo con immutato affetto.
I vostri cari.
Beati i miti, perché
erediteranno la terra.
La memoria del giusto
sarà benedetta
Berardino Melaccio
19.06.1914
† 03.09.1965
Regina Massari
21.01.1926
† 13.03.2007
I figli sono dono del Signore,
mercede e il frutto del vostro amore.
(Salmo 127)
Angelo De Nicola
05.02.1916 † 22.06.1975
Le figlie Amalia e Lella
Il tuo ricordo
è la nostra vita
Maria Antonia Di Napoli
27.10.1916 † 04.06.2001
Francesca Fastiggi
19.10.1936 † 06.12.2005
Il marito Francesco,
i figli Michele,
Canio e Angelo
e le nuore Maria e Anna
la ricordano con l’amore
di sempre.
I necrologi di norma vengono
pubblicati nel mese in cui ricorre
il decesso, ad esclusione di quelli
avvenuti nell’anno in corso,
e in quello precedente
Giuseppe Di Cecca
14.03.1914 † 17.06.2001
Vincenzo Zazzarino
Calitri Caramagna (CN)
14.02.1915 † 08.06.2006
L’eterno, il vostro Dio,
sarà sempre con Voi.
La figlia Maria.
La mia difesa sta in Dio,
che salva i cuori puri.
(Salmo 7)
Pasquale Galgano
(mangiaterra)
06.05.1902 † 20.01.2001
Michele Caruso
16.12.1905 † 29.11.1968
I figli Maria, Francesca,
Michelina e Donato
lo ricordano
con l’amore di sempre.
Maria Grazia Di Napoli
15.03.1913
† 22.09.1984
Il Signore conosce quelli
che sperano in lui.
(Nahum I - 7)
Pasquale Zabatta (C’cchett’)
30.05.1912
† 06.09.1999
Mi cercherete e mi troverete, perché
mi avete cercato con tutto il vostro cuore
(Geremia XXIX - 13)
È un servizio “Gratis”.
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In caso di mancato recapito rinviare all’Ufficio Postale di Firenze CMP
per la restituzione al mittente previo pagamento resi
Calitri 14 agosto 2006, festa dei quarantenni, ultima fila da sinistra: Enza Zarrilli (mafiosa), Franca Di Cairano (stella), Angela Di Cecca (sciard’nera), Lucia Margotta (hraziuccia r li P’ppun’) con
occhiali scuri, Enza Gautieri (tart’legghia) si vede appena, Lucia Pasqualicchio (menghj), Zoia Chirai (moglie di Canio Scatozza); penultima fila: R.Agnese Strollo (parmaregghia), Pasqualina Metallo (baccalà), Enza Maffucci (spaccac’pogghj), Maria Stanco (fiorin’), Immacolata Di Roma (chiechieppa), Flavia Aristico (t’mbesta), Anna Patrissi (mangiaterra), Pina Del Cogliano (gliaglià), Annamaria D’Alò (p’zzaregghia), Margherita cappiello (rap’nes’),Vita Gallucci, Luciana Galgano (patr’nett’); terzultima fila: Enrico Ricigliano, Canio Maffucci (zacanij), Benedetto Cestone (r’nzin’),
Canio Cestone (u’ musc’), Giuseppe Donatiello (mangialard’); quartultima fila: Antonio Russo (nzeppa), Giuseppe Di Milia (paparul’), Michele Lombardi (M’n’cucc’), Luigi Zarrilli (zl), Michelangelo
Cestone (pank’losc’),Vito Martiniello (lancier’), Giuseppe Codella (pupatella),Vitantonio Codella (Curella); seconda fila: Canio De Rosa (babbeo), Canio Viglioglia, Francesco Margotta (capp’tiegghj), Canio Di Napoli (napp’licchj),Vito Maffucci (strunz’),Vitantonio Leone (scisc’l’), Pietro Maffucci (casier’),Vincenzo Galgano (ndist’); prima fila: Franco Di Guglielmo (m’ron’), Leonardo Margotta (spaccapret’), Pino Galgano (rapida),Vito Cestone (C’stun’), Giovanni Panniello (Carm’nucc’),Vito Zarrilli (chiancon’), Giovanni Ramundo (l’cces’), Antonio Nicolais (ngrassacan’).