periodico quadrimestrale di ambiente, dialetto, storia e tradizioni
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ISSN 1720-5638 IL CALITRANO periodico quadrimestrale di ambiente, dialetto, storia e tradizioni Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB - Firenze 1 ANNO XXVII - NUMERO 35 MAGGIO-AGOSTO 2007 (nuova serie) VIA A. CANOVA, 78 - 50142 FIRENZE - TEL. 055/783936 www.ilcalitrano.it IN QUESTO NUMERO ANNO XXVII - N. 35 n.s. Un progetto culturale per Calitri 3 di Raffaele Salvante L’Irpinia nel Settecento 5 del dottor Emilio Ricciardi 9 Andrea di Lioni. Ultimo abate di S. Maria in Elce di Gerardo Cioffari O.P. 11 Columbus Day del Cronista 14 Calitri e Bisaccia nella crisi del 1799 di Annibale Cogliano 19 L’insediamento basiliano di Palomonte Per un piacevole soggiorno a Calitri, a poche centinaia di metri dal centro abitato, la Bed & Breakfast “il Melograno” dispone di quattro camere dotate di tutti i conforti, di una cucina attrezzata, un ampio porticato e parcheggio privato.Agli ospiti è riservato l’intero piano superiore, così da garantirne la privacy. Via delle Nazioni Unite 83045 Calitri (Av) tel. +39 0827 318442 cell. +39 339 7465477 www.countryhouseilmelograno.it di Damiano Pipino Periodico quadrimestrale di ambiente - dialetto - storia e tradizioni dell’Associazione Culturale “Caletra” Fondato nel 1981 Personaggi del Cronista IN COPERTINA: Calitri 2005,Vico Cicoira un piccolo antico angolo della Calitri antica che si avviluppa nel tortuoso dedalo delle strette viuzze che portano verso il castello, una volta tanto famoso. (foto Angelo DI MAIO) IL CALITRANO Sito Internet: www.ilcalitrano.it E-mail: [email protected] Direttore Raffaella Salvante Direttore Responsabile A. Raffaele Salvante Segreteria Martina Salvante 21 DIALETTO E CULTURA POPOLARE 23 LA NOSTRA BIBLIOTECA 24 VITA CALITRANA 28 Direzione, Redazione, Amministrazione 50142 Firenze - Via A. Canova, 78 Tel. 055/78.39.36 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale 70% DCB Firenze 1 SOLIDARIETÀ COL GIORNALE 29 C. C. P. n. 11384500 MOVIMENTO DEMOGRAFICO 30 La collaborazione è aperta a tutti, ma in nessun caso instaura un rapporto di lavoro ed è sempre da intendersi a titolo di volontariato. I lavori pubblicati riflettono il pensiero dei singoli autori, i quali se ne assumono le responsabilità di fronte alla legge. REQUIESCANT IN PACE 31 LA XXVI FIERA INTERREGIONALE DI CALITRI “Un impegno per le zone interne del Mezzogiorno” che si terrà dal 24 agosto al 2 settembre 2007 Il giornale viene diffuso gratuitamente. Attività editoriale di natura non commerciale nei sensi previsti dall’art. 4 del DPR 16.10.1972 n. 633 e successive modificazioni. Le spese di stampa e postali sono coperte dalla solidarietà dei lettori. Stampa: Polistampa - Firenze Autorizzazione n. 2912 del 13/2/1981 del Tribunale di Firenze È AL VOSTRO SERVIZIO con la Rassegna espositiva specializzata nei settori dell’Artigianato, dell’Industria, dell’Agricoltura del Turismo e dei Servizi. Un appuntamento da non perdere Il Foro competente per ogni controversia è quello di Firenze. Accrediti su c/c postale n. 11384500 intestato a “IL CALITRANO” - Firenze oppure c/c bancario 61943/00 intestato a Salvante A. Raffaele c/o Sede Centrale della Cassa di Risparmio di Firenze Spa - Via Bufalini, 6 - 50122 Firenze - ABI 6160 - CAB 2800 Chiuso in stampa il 10 luglio 2007 IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 “È MEGLIO FARE E PENTIRSI, CHE NON FARE E PENTIRSI” (MACHIAVELLI) UN PROGETTO CULTURALE PER CALITRI Per vincere, una volta per tutte, il disagio, la difficoltà, l’abbandono e il conseguente margine di insicurezza ed incertezza che da sempre ha condizionato la nostra società giovanile. n questi ultimi giorni di giugno sono stati pubblicati sul Mulino, Atlante del caIpitale sociale in Italia i risultati di una ricerca condotta da Roberto Cartocci dai quali si evince, purtroppo, che “quel tesoro nascosto costituito da relazioni libere e disinteressate, da virtù civiche, da fiducia nelle istituzioni è in Campania pari a zero e, in alcuni casi, a meno zero”: sono parole dure come le pietre che esprimono una situazione semplicemente desolante. Noi vogliamo smentire queste analisi e con l’esperienza ormai di ben 27 anni di vita del giornale che, con l’aiuto di tutti, siamo riusciti a portare avanti per tanto tempo, si è affinato l’ingegno per mete ben più prestigiose ed importanti dagli orizzonti più vasti, ma che per essere tali devono risultare da una sinergia di forze e di intenti. Purtroppo, è anche vero che molto spesso siamo stati abituati ad aspettare la manna dal cielo e poche volte abbiamo avuto il coraggio, anzi l’ardire, di rimboccarci le maniche e cominciare a fare, ad operare per costruire non per puro egoismo personale, ma per il servizio dell’intera comunità, in special modo i giovani. Già da giovanissimi abbiamo cercato di conformarci al motto latino “Faber est suae quisque fortunae” e cioé ciascuno si foggia (prepara) la propria fortuna, perché – per fare qualche esempio concreto – nel 1957 per creare qualche attrattiva concreta per i giovani nella sede dell’Azione Cattolica di Calitri ci impegnammo con due sodali a fare le cose con le nostre mani, anziché aspettare con le braccia conserte: andammo all’Ofanto nel terreno di un nostro carissimo amico a tagliare un albero – la famiglia, come sempre, era all’oscuro di tutto – lo trasportammo in paese con un camion “r lu maiestr’” che allora trasportava la sabbia del fiume e lo portammo da un falegname per avere un bel tavolo da ping-pong sul quale ha potuto giocare una intera generazione di giovani. Ora ad una svolta della nostra vita, che grazie a Dio è due volte “nel mezzo del cammin”, ci troviamo in casa un grande e cospicuo tesoro costituito da una biblioteca dotata di oltre 15 mila (quindicimila) volumi, con alcune riviste come “Lares” con tutte le annate dal 1970, e nel ricordo dei tempi bui della nostra giovinezza quando andavamo da Patr’nett’ a comprare con 100 lire un libretto della BUR (Biblioteca Universale Rizzoli) vorremmo mettere al servizio A. Raffaele Salvante PERSONAGGI CALITRANI Con prefazione della dott.ssa Martina Salvante 2 Quaderni de “Il Calitrano” EDIZIONI POLISTAMPA Il secondo volume dei Quaderni de “Il Calitrano” è disponibile al prezzo di € 15,00 più spese di spedizione Per ordinazioni: Polistampa Via Livorno, 8/32 50142 Firenze Tel. 055 737871 (15 linee) [email protected] www.polistampa.com 3 della nostra comunità questo autentico patrimonio culturale con la costituzione di un “Centro Studi” – una vera officina culturale – tutto da costruire nelle strutture ed anche nelle finalità che non deve essere semplicemente di consultazione, come in Biblioteca, ma un vero centro di formazione, con attività culturali variegate. Si tratta, certamente, di una sfida impegnativa che necessita dell’aiuto e del consiglio di tutti, in modo particolare di collaboratori ed operatori in grado non solo di gestire il buon funzionamento di questa nuova istituzione, ma anche all’uopo di conferire altri contributi librari capace di trasformare l’avvenimento in un vero e proprio momento significativo e qualificante, col quale, noi calitrani, vogliamo recuperare un po’ di orgoglio, in onore alle tante persone che – anche oggi – operano e si impegnano con le sole loro forze al servizio dell’intera comunità. Intendiamo, perciò, sollecitare una rinnovata sensibilità ed una più profonda consapevolezza per mettere in pratica, con la necessaria determinazione, per dare una concreta, coerente e realistica attuazione ad un vero, grande progetto culturale. “La bibliofilia è una forma, non grave di bulimia” diceva Bacone, e a coloro che veramente amano i libri non possiamo che consigliare di leggere o rileggere – meditando – il meraviglioso libro di Riccardo De Bury (1281-1345) “Philobiblon” ovvero la passione per i libri, in particolare quando dice “tra i quali trovammo l’oggetto e l’alimento del nostro amore” (ubi amoris nostri obiectum reperimus et fomentum). “Amor di libri è senza dubbio amor di sapienza”. A Noi calitrani è demandato il tutto, sapremo essere all’altezza del compito? La risposta più semplice, genuina sta nei fatti e non nelle chiacchiere, con le quali non si è mai costruito nulla di buono. Raffaele Salvante IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 Il sindaco di Calitri dottor Giuseppe Di Milia è il nuovo Presidente della Comunità Montana “Alta Irpinia” uguri dottor Di Milia! A Il giorno 1 giugno 2007 presso la Comunità Montana “Alta Irpinia” con sede a Calitri, è stato eletto a grande maggioranza il nuovo Presidente dell’Ente, punto di riferimento per i comuni che ne fanno parte, il dottor Giuseppe Di Milia. Questa nuova e prestigiosa carica si aggiunge a quella di Assessore della Provincia di Avellino e di primo cittadino del comune di Calitri. Non ha bisogno di alcuna presentazione perché è sulla scena politica da moltissimi anni, svolgendo il suo lavoro di rappresentanza come una missione, sempre attento e disponibile ai problemi della Comunità. Per l’amicizia e la stima che mi legano al dottor Di Milia dal profondo del cuore e con affetto gli auguro tanta fortuna e di vederlo, nel tempo, arrivare sempre più in alto. Tutto questo non potevo che dirglielo da questa Rivista, il cui direttore responsabile, in maniera encomiabile, da quasi sei lustri è riuscito a far conoscere, sempre meglio, il nostro paese ed i Calitrani nel mondo. Una concittadina Associazione Romana dei Calitrani Sig. Sindaco, ELegregio facendo seguito a quanto accennatoin via breve durante la mia recente venuta a Calitri, mi pregio comunicarLe che il Comitato Direttivo dell’Associazione Romana dei Calitrani, nella riunione del 25/05/2007, ha deliberato il programma per la celebrazione in Calitri della “Giornata dell’emigrante” – che quest’anno coincide anche con il 15° anniversario della costituzione dell’Associazione Romana – dandomi mandato di trasmetterlo alla Sua cortese ed autorevole attenzione. Programma se di allestimento della rappresentazione ed a tutti gli spettatori verrà offerto in omaggio il Calendario Calitrano per l’anno 2008. Mercoledì 5 settembre 2007 Ore 11,00 – assemblea Generale dell’Associazione Romana dei Calitrani; – relazione del Presidente e del Comitato Direttivo; – rinnovo delle cariche sociali. Per questa assemblea si chiede la possibilità di utilizzare l’ex casa dell’ECA che verrebbe occupata dalle ore 11,00 alle ore 13,00 Domenica 2 settembre 2007 Dalle ore 19,30 alle ore 23,00 circa con la disponibilità e la collaborazione del Parroco Don Maurizio Palmieri avrà luogo, nella cripta della chiesa Madre, la rappresentazione teatrale “DITEGLI SEMPRE DI SÌ”, commedia in due atti di Eduardo De Filippo che verrà presentata dalla Associazione Culturale e Teatrale di Roma “AGITATI PRIMA DELL’USO”. Allo spettacolo potranno accedere liberamente tutti i cittadini versando un modesto contributo volontario per le spe- Ore 13,30 Pranzo sociale, aperto a chiunque voglia partecipare assumendone in proprio il relativo costo, presso il Ristorante “Gagliano” di Grasso Antonio. Ore 20,30 Sempre presso il Ristorante “Gagliano, serata danzante con piccolo buffet aperta alla cittadinanza secondo la consuetudine ormai consolidata da ben quindici anni di celebrazione. Dott. Antonio Cicoira 4 I MIEI VESPRI Guarderò nella mente le gemme che toccano lo stesso germoglio dove nemmeno il vento è cambiato sapore, ti sfruscia la faccia. Da destra a sinistra senza ritorno. Coricato scartavo le pietre che sempre saltavano nei miei occhi, la natura ballava la pupilla ed il pensiero si arrampicava alla fantasia rattoppando i miraggi svaniti. Poi colgo i miei dispetti all’orizzonte dove sempre c’e’una striscia del mio crepuscolo; che si annicchia nella coda dei miei occhi. Muove il fruscio delle acque questa natura immota tocca l’inno armonico dei miei pensieri, e rovescia stufato le pieghe dell’ombra. Pietro Pinto LAUREE LANDI I pronipoti di nonno “PICCHIO” (Luigi Nicolais) “picchiano” ancora, eccome, ma ora sul serio: è poker di 110 e lode! Dopo le sorelle Elvira e Maria anche i germani CHIARA e MICHELE LANDI hanno conseguito entrambi la laurea con 110 e lode presso l’Università degli Studi Federico II di Napoli. Il 24-01-2007 CHIARA in Ingegneria Gestionale ed il 02-04-2007 MICHELE in Ingegneria delle Telecomunicazioni. Ai due neo-laureati tante congratulazioni ed affettuosi auguri per un brillante avvenire. Alla nonna materna Maria Gaetanina Nicolais ved. Toglia, alla mamma Lucia, al papà Rocco, agli zii e parenti tutti felicitazioni vivissime. A breve l’ultimogenito Francesco sarà chiamato a “chiudere” in… scala reale! Ad maiora! IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 EMILIO RICCIARDI L’IRPINIA NEL SETTECENTO ella Biblioteca Nazionale di Napoli N si conserva un manoscritto anonimo intitolato Descrizione della Provincia di Principato Ultra1. L’opera, composta di circa duecento pagine scritte con una grafia chiara, con rare correzioni e qualche glossa sui margini dei fogli, si può datare, in base alle notizie riportate, con una certa precisione: è posteriore al 1734, poiché nel testo si parla del re Carlo di Borbone, salito al trono in quell’anno, e anteriore al 1738, anno della morte di Giulio Imperiale, principe di Sant’Angelo dei Lombardi, ricordato nel manoscritto come feudatario di quella città. È probabile che l’intenzione dell’autore fosse quella di presentare al nuovo sovrano una delle dodici province che componevano il Regno. A un primo esame il compilatore del manoscritto si rivela una persona colta, che maneggia con sicurezza le fonti storiche e conosce bene la sua provincia; le notizie dettagliate che offre su Montefusco e sulla Regia Udienza che aveva sede in quella città fanno supporre che fosse uno dei “governadori dottori di legge” di cui si parla nel testo, cioè uno di quei funzionari ai quali veniva affidata l’amministrazione dei piccoli centri della provincia. Egli divise l’opera in più parti: una descrizione generale della provincia, una relazione particolareggiata sui principali centri del Sannio e dell’Irpinia, un elenco delle rendite regie e dei benefici ecclesiastici presenti nel Principato Ultra e infine una dissertazione sul tribunale dell’Udienza e i suoi uffici. Di notevole interesse è la parte sui centri abitati, con una breve trattazione storica per ciascun paese, corredata da un apparato critico che annovera tra le fonti utilizzate opere di autori classici come Strabone, Livio e Cicerone, ma anche gli scritti di Filippo Cluverio, di Marino Freccia, di Marco Antonio Sorgente, fino ai più recenti Summonte, Mazzella e Ciarlanti, insieme con la storia dei Longobardi scritta da Camillo Pellegrino2. L’ignoto autore conosce anche il Regno di Napoli in prospettiva3 e a volte, come nelle descrizioni di Nusco o di Conza, ne copia una frase oppure lo usa per ricavarne qualche fonte bibliografica; tuttavia non cita mai nelle sue note il testo di Pacichelli. La descrizione dei paesi della provincia è integrata con dati e notizie di prima mano, che costituiscono uno dei maggiori pregi dell’opera, e non mancano giudizi e osservazioni personali; inoltre bisogna considerare che alcuni piccoli centri presenti nel manoscritto, come Frigento e Carbonara, non sono neppure citati nell’opera di Pacichelli. Nonostante l’agilità della trattazione, in accordo con la dichiarata intenzione dell’autore di voler scrivere “colla maggior brevità” possibile, il manoscritto offre una gran messe di dati (numero degli abitanti, rendite di proprietà feudali ed ecclesiastiche, prodotti del suolo, attività manifatturiere), raccolti con “somma diligenza”, ma anche con grande fatica, dal momento che molti feudatari “gelosi del proprio avere” avevano “incivilmente niegato” di fornire notizie sulle città da loro possedute, mentre altri avevano fornito dati falsi, o dichiarando rendite più basse del vero per timore di qualche imposizione fiscale, oppure, all’opposto, “presi da vanagloria di mostrarsi ricchi, e potenti”, aumentando in maniera poco credibile il valore dei loro feudi. Ugualmente difficile era stato delineare un quadro esatto dei benefici ecclesiastici, anche per il gran numero di soggetti che a diverso titolo li detenevano (vescovi, capitoli, chiese ricettizie, chiese collegiali, abbazie e conventi); sebbene l’autore proponga una stima complessiva delle rendite ecclesiastiche pari a oltre 130.000 ducati annui, la cifra appare inferiore al vero, considerando che nelle mani del clero era concentrata la maggior parte delle proprietà della provincia. Dal manoscritto emerge il profilo dell’Irpinia negli anni successivi al terremoto del 1732, una provincia povera e arretrata, anche a causa dell’isolamento geografico; il Principato Ultra, pur essendo, dopo il Contado di Molise, la circoscrizione più piccola del Regno, contava 165 piccoli centri abitati, sparsi su un territorio in gran parte montuoso e con scarse vie di comunicazione. Tutti i centri della provincia, con l’eccezione di Ariano che era una città regia, erano infeudati e la proprietà era molto frazio5 nata: ottantasette baroni e un gran numero di enti ecclesiastici si dividevano le scarse rendite provenienti da quelle terre. La principale occupazione delle popolazioni era l’agricoltura, un’attività faticosa e ingrata, vista la conformazione del territorio, che forniva “non altro, che qualche quantità di grano, di vino, di orzo, di nocciuole, pochissimi olivi, ed altre poche frutta”. La zona più fertile, e per questo adatta a colture di maggiore pregio, era la conca di Avellino, mentre la parte orientale della provincia, meno favorita dal clima e coltivata con tecniche primitive, presentava soprattutto seminativi, boschi e terreni incolti4. Le rare attività imprenditoriali erano legate all’agricoltura, ma quasi ovunque i retaggi feudali paralizzavano l’economia, imponendo dazi e privative su tutte le attività dei cittadini e scoraggiando l’iniziativa privata. Una felice eccezione era rappresentata da Solofra, i cui abitanti, non potendo contare sul territorio, scarso e poco adatto alla coltivazione, si erano “dati al traffico, ed all’esercizio delle arti mercantili”, dedicandosi non solo al commercio della lana e alla concia delle pelli, ma soprattutto alla lavorazione di lamine d’oro e d’argento, “d’onde quasi tutto il Regno se ne provede”. Anche la città di Sant’Angelo dei Lombardi godeva di relativo benessere in virtù di un antico privilegio, contenuto nei patti stipulati tra la città e il feudatario, che consentiva a “ciascun cittadino a suo piacimento, e per utile, e commodo proprio” di “costruire, e tenere molini, valchiere, taverne, e forni”, condizione che permetteva ai suoi abitanti di vivere con una certa agiatezza. La scarsità delle risorse determinava negli abitanti della provincia una certa austerità di costumi; le poche famiglie di condizione benestante vivevano senza lussi e senza ostentazioni “mediocremente ciascuno vestendo, e senza tener cavalli, e carrozze, od altre sì fatte grandezze”, che si rivelavano inutili vanità in luoghi tanto piccoli e lontani dalla capitale. L’antica fierezza degli progenitori sanniti aveva lasciato una traccia marcata nelle genti irpine, di carattere “aspro” e facile alle vendette; si lamentavano in quelle contrade numerosi omicidi, anche IL CALITRANO perché la vicina città di Benevento, appartenente allo Stato Pontificio, garantiva un rifugio a tutti coloro che, macchiatisi di delitti, si davano alla latitanza, ingrossando le file del brigantaggio. Quasi un terzo delle circoscrizioni ecclesiastiche in cui era divisa la Campania nel XVIII secolo ricadevano all’interno del Principato Ultra, giustificando il detto secondo il quale, quando a un vescovo campano sfuggiva di mano il pastorale, questo cadeva nella diocesi vicina; il vescovato di Trevico racchiudeva in tutto sei centri abitati, quelli di Nusco e Montemarano quattro ciascuno, la circoscrizione di Bisaccia abbracciava tre paesi e due sole terre formavano le diocesi di Lacedonia e di Monteverde. Tanti minuscoli vescovati concentrati in uno spazio limitato e tredici prelati5 per governare poco più di duecentomila anime, quando nello stesso periodo l’intera Lombardia contava in tutto nove diocesi per una popolazione dieci volte maggiore, si spiegano con la morfologia accidentata del territorio, che rendeva difficili i collegamenti tra i paesini sparsi tra le montagne, e con l’esistenza di antichi privilegi legati a centri decaduti; ad esempio la città di Frigento, sebbene la sua circoscrizione fosse stata da tempo accorpata con quella di Avellino, manteneva il diritto di eleggere un proprio vicario capitolare e il vescovo di Avellino periodicamente celebrava anche nella cattedrale frigentina6. Spesso i prelati non dimoravano nella città principale della diocesi: il vescovo di Conza, secondo le stagioni, risiedeva in Santomenna o in Sant’Andrea, quello di Trevico a Flumeri o a Castelbaronia; tuttavia l’uso di risiedere stabilmente all’interno della propria circoscrizione, a differenza di quanto accadeva nei secoli precedenti, era ormai una prassi consolidata. Gli ecclesiastici erano molto numerosi: il clero secolare annoverava in ogni paese decine di sacerdoti e chierici, e in alcune città come Ariano se ne contavano anche centocinquanta; tra le circa duecento chiese esistenti nella provincia si contavano trenta collegiate, settantaquattro parrocchie e novantadue arcipreture, segno della grande diffusione delle chiese ricettizie. Per quanto riguarda il clero regolare, tra gli ordini monastici prevalevano gli insediamenti verginiani; alla grande abbazia di Montevergine facevano capo sei altre case, la più famosa delle quali era quella di San Guglielmo al Goleto. Tra gli ordini mendicanti erano molto diffusi i Francescani, che tra Conventuali, Riformati e Cappuccini possedevano in tutto trentasette conventi, contro le tredici case N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 dei Domenicani; il più famoso convento francescano della provincia era quello di San Francesco a Folloni, situato in un bosco nei pressi di Montella, mentre Bagnoli Irpino, ricca di edifici sacri, era sede di un importante convento domenicano e di una “sontuosa chiesa collegiale”7. Nell’intero Principato Ultra c’erano, a fronte delle ottantuno case maschili, solo tredici monasteri femminili; la differenza si spiega col fatto che questi ultimi potevano trovarsi solo all’interno delle mura urbane, mentre conventi e monasteri maschili non di rado erano situati in luoghi distanti dall’abitato. I religiosi delle congregazioni fondate nell’età della Controriforma, che di solito preferivano aprire case solo nei centri di una certa importanza, erano poco diffusi nei paesini della provincia; tuttavia sacerdoti missionari visitavano periodicamente le terre più remote, per garantire a quelle popolazioni la necessaria cura pastorale, e gli arcivescovi più avveduti incoraggiavano le missioni popolari, utilizzandole anche per moralizzare, attraverso gli esercizi spirituali, il clero della propria diocesi. La Descrizione fu composta alcuni anni prima della fondazione, nel 1741, della congregazione del Santissimo Redentore per opera di Sant’Alfonso Maria de Liguori; pertanto né i religiosi dell’istituto redentorista né il “bellissimo, e grandioso edificio”8 di Materdomini, divenuto in breve tempo uno dei principali punti di riferimento spirituali della provincia, sono citati nel manoscritto. *** In conclusione si può affermare che l’anonima relazione settecentesca è uno dei primi tentativi di illustrare il Regno e le sue province impostando il lavoro su una solida base documentaria, attraverso la raccolta e l’utilizzo di dati che in quei tempi non era facile mettere insieme. Il carattere di scientificità dell’opera è rimarcato dalla presenza, alla fine della trattazione, di una tavola sinottica in cui l’autore riportò per ogni centro della provincia le notizie “che meno dal vero sono sembrate allontanarsi”. Va infine sottolineato che la Descrizione del Principato Ultra precede di oltre mezzo secolo le grandi opere storicogeografiche di fine Settecento, come i dizionari di Sacco e di Giustiniani, le carte geografiche di Rizzi Zannoni e soprattutto la Descrizione geografica e politica delle Sicilie di Giuseppe Maria Galanti, di cui l’ignoto estensore del manoscritto può essere considerato a buon diritto un antesignano9. 6 Qui di seguito si riporta per intero il primo capitolo dell’opera, con la descrizione generale della provincia di Principato Ultra; nei prossimi numeri saranno trascritte le descrizioni di alcuni centri della provincia. Si è cercato, compatibilmente con le esigenze tipografiche, di rendere le pagine come appaiono sul manoscritto; l’apparato critico originario è stato riportato tra parentesi e in corsivo, senza sciogliere le abbreviazioni usate dall’autore; nello stesso modo e con lo stesso carattere sono state riportate le glosse a margine di alcune pagine. Divisamento generale della provincia di Principato Ultra Sin dai tempi, che i Longobardi il felicissimo nostro Regno di Napoli possederono, questa, che di presente osserviamo di lui divisione in dodeci provinzie, trasse sua origine, e cominciamento imperciocché i Longobardi di vari castaldati, e contadi v’introdussero, dividendo spezialmente in castaldati, come in tante provinzie l’ampio Ducato Beneventano, il quale allora non meno che nove intere provinzie di quelle, che oggidì il nostro Regno compongono, abbracciava (Camill. Pellegr. in disert. de Ducat. Benev.). Quindi succeduti a’ Longobardi i Normanni le medesime divisioni vi mantennero, ma colla nuova nazione nuovi nomi esse riceverono, e siccome presso i Longobardi dal nome del magistrato, a cui era commesso il governo di quelle regioni, ch’essi chiamavano castaldo, il nome di castaldato acquistarono, così commettendo i Normanni ai loro uffiziali che giustizieri chiamavano, il governo delle provinzie, presero parimente queste il nome di giustizierati. Da tal divisione adunque, che i Longobardi del Regno fecero in castaldati, e contadi, porta primieramente sua surgiva questa, che ora tenemo di dodeci provinzie del nostro Regno, ma il di loro totale odierno stabilimento all’imperador Federico II communemente i scrittori attribuiscono (Surgente de Neap. Illustrat. cap. 24 n. 2, Mazzella nella descrizione del Regno di Nap. in princ.), quantunque taluni con maggior ragionevolezza scrivendo, non da Federico solo, ma da Carlo I d’Angiò, da Alfonso I d’Aragona e da Ferdinando il cattolico, cioè da tutti insieme la riconoscono (Tasson. de antifat. vers. 2 observ. 1.2.4). D’una di esse dodeci provinzie, cioè di quella di Principato Ultra, dovendo noi colla maggior brevità, che potemo, presentemente scrivere, semo a dire, come ricevé ella la sua denominazione di Principato sin dal tempo, che il magnanimo glorioso longobardo Arechi II, il quale da duca, che prima era di Benevento, per sottrarsi dal giogo d’ogni qualunque soggezione, si volle principe di Benevento coronare, introducendo così per la prima volta in queste nostre provinzie un tale IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 autorevol titolo di principe, superiore in prerogativa a ciascun altro, quantunque per antichità inferiore, e fece, che quello che prima diceasi Ducato di Benevento, il nome di Principato dipoi ricevesse. E poiché allora il Ducato di Benevento, prima della division fatta da Radelchi con Siconolfo, che fu da ottant’anni in circa dopo di Arechi, conteneva anche Salerno, seguita tal divisione, due Principati sursero, ed il nome di Principato ad amendue convenne, ed abbracciando tal provinzia di Principato immense spaziose regioni, abbisognò per la sua estensione grande partirla in due; onde nacque per l’una il nome di Principato Citra, cioè citra l’Appennino, che oggidì chiamasi anche provinzia di Salerno, e per l’altra il nome di Principato Ultra, cioè oltre l’Appennino, chiamandosi ora medesimamente provinzia di Montefusco, poiché in questa città, come nel di lei capo, la Reggia Provinzial Audienza vi resiede. Trovasi questa provinzia di Principato Ultra situata nel corpo del Sannio, ove furono anticamente gl’Irpini, i quali, o all’intutto (Strab. lib. 5), o una parte de’ Sanniti si erano (Cluver. lib. 2 de antiqu. Italiae), ma Irpini chiamati, perché secondo rapporta Strabone (Strab. loc. cit.), menando a certo designato luogo una colonia, incontrarono nel cammino, e seguirono come per loro scorta un lupo, che Irpo dalla voce greca αρπος, o sia απραζ dinotante la di lui rapacità, i Sanniti in propria favella appellavano. Onde per tal occasione, perduto il nome di Sanniti, furono con tutto quel paese Irpini chiamati. Ella si è sola questa provinzia dell’altre del Regno, che posta tra’ monti nelle viscere dell’Appennino sta di senza del mare. Confina colle provincia di terra di Lavoro, Contado di Molise, di Capitanata, di Basilicata, e di Principato Citra. Da Terra di Lavoro si parte per mezzo l’Appennino verso l’Occaso, e propriamente si separa ne’ luoghi, e territori di sua giurisdizione posti fil filo da Ponente alla volta di Settentrione, cioè di Monteforte, Rotondi, Arpaia, Airola, S. Agata de’ Goti, Vitulano, Torrecuso, Casalduni, S. Lupo, a’ quali all’incontro per confini corrispondono i presenti luoghi di Terra di Lavoro in somigliante ordine posti, e verso la medesima parte, cioè Lauri, Mugnano, Arienzo, Durazzano, Frasso, S. Maria della Strada e S. Lorenzo Maggiore. Da Contado di Molise, col quale tra Ponente, e Settentrione in non lunga distesa vi si accoppia, la separano i territori di Morcone attinenti a quel Contado, e con quelli sono confinanti Pontelandolfo, e Campolattari, luoghi di essa provinzia di Principato Ultra. Da Capitanata i monti Appennini verso Settentrione la confinano, e propriamente ai termini dei territori delle terre della Molinara, Montefalcone, Biccari, e Savignano; e verso Oriente a quelli delle terre di Greci, Accadia, e Rocchetta S. Antonio, tutti luoghi, di questa nostra provinzia; a quali confinano per parte di Capitanata i territori delle di lei terre di Baselice, Colle, e Circello, S. Bartolomeo in Cado, Rosito, Tertiueri di Monte Calvo, e Montavuto; e questi dalla volta di Settentrione; e Panno, ed Ascoli da quella di Oriente. Napoli, 1955.Albergo Vesuvio, in occasione del matrimonio dell’ambasciatore dott. Lorenzo Tozzoli con l’olandese Ella Mejer da sinistra, Maria Tozzoli, l’avvocato Raffaele Addeo con la moglie Ginevra Tozzoli, il dottor Enrico Tozzoli, la signora Orsola Miletti col marito l’avvocato, cav. Francesco Tozzoli, all’età di 86 anni, Elena Tozzoli e il piccolo Stefano Addeo. Da Basilicata lo stesso Appennino dalla parte di Levante la disiunge nelle terre di Cedogna, e Monteverde, e dalla parte di Mezzogiorno nelle terre di Calitri, e S. Andrea, tutti, e quattro luoghi che si appartengono a questa nostra provinzia corrispondendo per termini, e confini alla volta di Levante i territori di Melfi, Monticchio, e Rapone, ed a quella di Mezzodì, i territori di S. Fele, e Pescopagano, che si sono terre attinenti alla giurisdizione di Basilicata. E finalmente i medesimi gioghi dell’Appennino verso Mezzogiorno questa provinzia da quella di Principato Citra dividono, facendo termine, tra l’una, e l’altra, per parte di Principato Citra i territori delle di lui terre di S. Menna, Castello Nuovo, Laviano, Calabritto, Acerno, S. Severino, e Montuoro, e per parte di Principato Ultra quelli delle sue terre di Capossele, Bagnuolo, Serino, Solofra, e Forino. Questa provinzia ancoraché dopo il Contado di Molise meno stesa, che ognaltra del Regno si fosse, pure in quanto ai luoghi abitati, cioè alle di lei città, e terre, tiene quasi che con tutte le altre, che più ampie sono, uguaglianza; imperocché centosessantacinque luoghi abitati in lei si contengono, de’ quali dodeci sono città, ed i rimanenti terre, i nomi delle quali città, e terre nella Tavola in fine di questa scrittura in ordine alfabetico posti si ravvisano. Tutti i suoi luoghi però, toltane la città di Ariano, che sola ritrovasi fuor d’ogni particolare signoria, da baroni feudatari oggidì si posseggono, annoverandosi di presente nella provinzia ottantasette baroni, a quali per tai loro feudi frutta unitamente la provinzia la somma di annui ducati (…) potendosi assai bene nel corpo di questa nostra Descrizione osser- 7 vare, e più brevemente nella Tavola posta nel fine, quanto in ogni anno a ciascun barone particularmente, ciascuno feudo fruttasse. (Non si sono le rendite de baroni potuto in conto veruno raccogliere, ancoracche con somma diligenza si fosse di loro dappertutto cercato: impercioche taluni sicome gelosi del proprio avere hanno incivilmente niegato di appalesarle; altri per timore di qualche imposizione, non tutto, ma buona parte di esse rendite celavano, ed altri per l’opposto presi da vanagloria di mostrarsi ricchi, e potenti, le ingrandivano molto più di quello realmente esse erano. Quindi per non portar qui cosa men che vera, e certa, si è lasciato un tal calcolo, e solamente si sono apposte nella Tavola, che sta nel fine, quelle rendite baronali, che meno dal vero sono sembrate allontanarsi). Né qui si è da tralasciare come piucche i baroni, tengono nelle città, e terre della provinzia rendita grande i luoghi pii, e le persone ecclesiastiche, poiché giunge in uno la di lor annual rendita a ducati 130.059 in circa, come con chiarezza abbiamo separatamente in un capitolo più di sotto annotato. Ed oltre a ciò pagano ciascun anno in benefizio della Reggia Corte tutte insieme esse città, e terre della provincia per pesi ordinari, e contribuzioni straordinarie, che a lei si debbono la somma di ducati 30045.2.35/12. Sebbene per gli pesi intrinseci, che seco porta il Real Erario in questa provinzia, non gli rimanessero altro, che ducati 20002.1.19, secondocche in disparte saremo per darne poco appresso un distinto ragguaglio. Annoveransi di presente in questa provincia di Principato Ultra 234.100 abitatori, i quali poiché nella maggior parte in piccioli paesi posseduti da baroni, e tra’ monti allogati, si vivono, non sono perciò assai colti, e IL CALITRANO si sono di naturale anzi aspro, che no, inchinati a prender subito vendetta di ogni qualunque male, che per poco loro si cagiona; come, ognaltra dimostrazione tralasciando, può facilmente scorgersi dai tanti omicidi, che tuttodì nella provinzia accadono, regnando questa piucche altra scelleragine tra nostri provinziali. Il che avviene maggiormente per lo facile sicuro asilo, che nella città di Benevento, e di lei territorio, situato quasi nel mezzo di questa provinzia, prestamente ritrovano, la qual cosa non poco si fatto malvaggio talento a cotali misfatti commettere affida, e incoragisce. Eglino per lo contrario godono di una mente così atta a ricevere ogni qualunque virtuosa impressione, che nelle scienze applicandosi, di facile addottrinati, e savi uomini addivengono, come la sperienza di essere di molti di questi naturali addivenuto ci ha mostrato; così come valorosi, e di spirito forte, e pronto, rassembrano, mostrando, che per anche nel loro petto allignasse la radice di quel grande ammirabil valore, che i Sanniti, d’onde essi derivano, una volta possederono. Tutta questa gente non si governa con altre leggi, e secondo altri statuti non vive, che con quelle, le quali nel diritto comune, e nelle costituzioni, capitoli, e prammatiche del Regno di contengono, ed oggidì comunemente in questo nostro Regno si osservano. Quantunque che in quasi che tutti i luoghi della provinzia, che come è detto, baronali si sono, talune particolari capitulazioni, e concordati tra l’Università, ed il barone, e tra i medesimi cittadini, toccante il comune, e vicendevole loro interesse, vi fossero, e si osservassero, come a cagion di esempio circa la portolania, bagliva, fida ed altre sì fatte cose. Il terreno poi di questa provincia di Principato Ultra non si è sicome in talune altre provincie grandemente ubertoso, e fertile imperciocché non altro, che qualche quantità di N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 grano, di vino, di orzo, di nocciuole, pochissimi olivi, ed altre poche frutta produce, e le industrie che i diloro abitatori vi fanno non si raggirano, che a tenere piccol numero di pecore, di animali vaccini, e giumentini, in guisa che per scarsezza delle rendite della terra, e delle mentovate industrie egli avviene di non essere questi provinziali, come gli altri dell’altre provinzie, doviziosi, ed opulenti appena bastando loro per la maggior parte esse vendite, ed industrie al proprio mediocre, anzicché scarso mantenimento. Quindi si è che senza troppo lusso, ed ostentazione le famiglie anche migliori della provinzia, a riserba di pochissime, si trattessoro, mediocremente ciascuno vestendo, e senza tener cavalli, e carrozze, od altre si fatte grandezze dimostrare oltracché né la natura de’ luoghi che piccioli sono, baronali, e situati tra’ monti, l’usare cotali ostentazioni, e magnificenze permette. In tutte le città, e terre di questa provinzia non trovasi distinzion veruna di nobiltà, quantunque ne’ luoghi più principali molte famiglie vi si trovassero, che per l’antico loro civile nascimento, e perché con più decoro, che le altre si mantengono, più raguardevoli, che le altre vengono riputate perciò noi nel seguente capitolo, i luoghi particolari della provinzia descrivendo, abbiamo nella maggior parte di essi tralasciato di annotare le famiglie, e le di loro rendite le quali piccole si sono, e scarse, ed appena sufficienti al di loro mantenimento, secondocché di sopra dicemmo. Sono in questa medesima provincia nove vescovadi, ed un solo arcivescovado. Una sola badia mitrata, e dieciotto altra semplici. Novantadue arcipreture. Settantaquattro parocchie. Cinque commende di cavalieri dell’ordine di S. Giovanni Gerosolimitano. Dodici capitoli. Trenta colleggii. Ottantuno munisteri di frati. Tredici munisteri di monache. E due chiese di reggia fondazione. NOTE 1 BNNa, ms. XV.C.38, Descrizione della Provincia di Principato Ultra, s. d. (ma 1736-38), riportato in Appendice, doc. 1. 2 Cfr. M. Freccia, De subfeudis baronum et investituris feudorum liber I e II…, Neapoli 1554; S. Mazzella, Descrizione del Regno di Napoli…, Napoli 1585; M.A. Sorgente, De Neapoli illustrata, Napoli 1597; G.A. Summonte, Historia della città e regno di Napoli,… Napoli 1602-1643; P. Clüver, Philippi Cluverii Italia antiqua …, Lugduni Batavorum 1624; C. Pellegrino, Historia principum longobardorum, Neapoli 1643-44; G.V. Ciarlanti, Memorie istoriche del Sannio … divise in cinque libri [1644], II ed., Campobasso 1823. 3 Cfr. G.B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva [1703], 3 voll., r. a., Bologna 1997. 4 Cfr. F. Barra, Paesaggio agrario, strutture produttive e proprietà fondiaria, in Storia illustrata di Avellino e dell’Irpinia, a cura di G. Colucci Pescatori, E. Cuozzo e F. Barra, III, Avellino 1996, pp. 177-192 e 193-208. 5 Ai dieci vescovi che governavano le circoscrizioni ecclesiastiche della provincia vanno aggiunti l’abate di Montevergine, che aveva dignità vescovile, e gli arcivescovi di Benevento e di Salerno, le cui diocesi comprendevano anche molti centri del Principato Ultra. 6 “Quantunque non siano piucche dieci i vescovi i vescovi della provincia, onde altrettanti dovrebbono essere i capitoli, pure questi aggiungono al numero di dodici, poiché le chiese di Frigento, e di Bisaccia godevano una volta del proprio lor particular vescovo, ma essendo state unite di poi, la prima a quella di Avellino, e la seconda a quella di S. Angelo de Lombardi, perciò è rimasto in esso loro sicome chiese vescovili il capitolo.” (Descrizione, in Appendice, doc. 1). 7 F. Sacco, Dizionario geografico-istorico-fisico del regno di Napoli, I, Napoli 1795, p. 83. 8 L. Giustiniani, Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, III, Napoli 1797, p. 118. 9 Sacco, Dizionario, 4 voll., Napoli 17951796; Giustiniani, Dizionario, 13 voll., Napoli 1797-1805; G.M. Galanti, Descrizione geografica e politica delle Sicilie [1787], r.a., Bologna 1969. 37° PREMIO DI POESIA FORMICA NERA CITTÀ DI PADOVA - 2007 patrocinato da Regione del Veneto - Provincia di Padova La giuria composta da Lucia Gaddo, Mario Klein, Lidia Maggiolo e Giovanni Viel dopo una scrupolosa selezione dei testi in regola con le norme del concorso ha assegnato i premi come segue: 1° premio (euro 400, medaglia d’oro e pergamena) a – Gian Gabriele Benedetti di Fornaci di Barga (Lu) per la poesia ‘E lo sguardo a cercare’ Segnalati (medaglia d’oro e pergamena) – Franco Fiorini di Veroli (Fr) per la poesia ‘Le mie radici’ – Giacomo Giannone di Torino per la poesia ‘Alla fermata del bus’ – Francesco Sassetto di Venezia per la poesia ‘Io sono rimasto a queste calli’ La giuria rileva inoltre la buona qualità di almeno una settantina di testi nelle più svariate forme espressive. La premiazione dei quattro autori ha avuto luogo a Padova nella Sala Polivalente di via D. Valeri 17 sabato 26 maggio 2007 con inizio alle ore 17. Per l’occasione sarà presentata la 29a antologia dei Poeti padovani. 8 Calitri, febbraio 1971. MAC P 100 presso l’Istituto Tecnico Commerciale; da sinistra Raffaele Salvante (u bocc’/31.05.1952 † 03.07.1975), Franco Gallucci (ard’casazz’) e Giuseppe Nigro (u’ br’hantiegghj). IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 PERSONAGGI Vincenzo PASTORE nato a Calitri il 03 dicembre 1878 da Angelo Raffaele (27.03.1847 † 03.08.1921) e da Margherita Melaccio (18.11.1853 † 28.12.1935), suo padre era “massaro” in località “Posta della Madonna” a Castiglione, a servizio della Famiglia Tozzoli e, siccome al giovane non piaceva la vita di masseria decise di imparare un mestiere e si indirizzò dal migliore fabbro dell’epoca, a Calitri,Vincenzo Acocella (il nonno di Donatino e di Lino Acocella). Imparato il mestiere, a venti anni compiti, pensò di aprire bottega da solo, ma secondo un’antica usanza locale, bisognava avere il permesso del “Mastro” il quale non acconsentì alla richiesta. Fu allora che decise di andare in America e a bordo della nave Archimede il 28 novembre 1899, arrivò a New York. Dopo pochi mesi di dura esperienza di tanti lavori occasionali e dopo aver conosciuto un Irlandese, anche lui fabbro, che gli disse che nello Stato del Massachusetts c’erano tanti irlandesi che lavoravano nelle “fabbriche”, decisero di andare anche loro. Nella città di Springfield (Boston Mass.) dopo un breve periodo di lavoro in una fabbrica di biciclette, passò in una fabbrica di armi, dove lavorò per venti lunghi anni e, negli ultimi tempi come capo-reparto al collaudo delle armi. Nel frattempo il 26.03.1906 aveva sposato “per procura” una ragazza di Calitri, Lucia Acocella che lo raggiunse in America. Nel 1920 decise di rientrare in paese a Calitri e aprì un negozio di munizioni da caccia in via Roma; rimasto vedovo il 19 marzo 1938 si risposò con Rosa Acocella (01.06.1909 † Napoli 06.08.1992) nata da Nicola (pittore e scultore alle Belle Arti di Napoli) e da Olimpia Perugatti e questo matrimonio fu allietato dalla nascita di due figli Raffaele Angelo nel 1938 ed Elio nel 1941. L’11 settembre 1921 aveva aderito alla fondazione della S.A.L.C.A (Società Anomina Laterizi Ceramiche Affini) con i fratelli don Claudio e don Francesco Tozzoli, fu Michele, e i fratelli Francescantonio e Michele Cicoira fu Gaetano, divenendo il maggior azionista e direttore della Società. In seguito i soci aumentarono e fino a che il lavoro non mancava, tutto procedeva bene; ma nel 1939 all’entrata in guerra dell’Italia il lavoro in fabbrica cominciò a diminuire, il signor Pastore fu messo in minoranza e il consiglio dei soci decise di vendere (regalare) la società alla signora Colonnello di Pescara. Così a quasi settant’anni il Pastore riprende il mestiere di armaiolo per poter portare avanti la famiglia e per quasi quindici anni a Calitri ha continuato a fare e riparare fucili da caccia per cacciatori locali e dei paesi limitrofi. Morì il 18 aprile 1972, all’età di 93 anni, portando con se anche la conoscenza di un mestiere non più esistente in paese; le sue spoglie mortali riposano in quel di Napoli. Claudio TOZZOLI nacque a Calitri il 15 settembre 1871 da Michele e da Elisabetta dei baroni Melodia, di Altamura (BA).All’età di 8 anni lasciò il paese natio, insieme al fratello maggiore Francesco, per andare al Convitto Nazionale di Napoli, dove rimase fino al conseguimento della licenza liceale. Successivamente fu ammesso alla Scuola Militare di Modena e, una volta nominato sottotenente, fu destinato, quale ufficiale dei Bersaglieri – specialità da lui richiesta – al Reggimento di stanza a Belluno. Ebbe poi vari trasferimenti ed allo scoppio della prima guerra mondiale prestava servizio, con il grado di Capitano, al 2° Reggimento Bersaglieri di stanza a Roma.Alla data della disfatta di Caporetto era in Trentino con il grado di Tenente Colonnello Comandante di Battaglione e, su ordine del Comando di Divisione, fu lasciato con i suoi uomini a difesa di un caposaldo, per il tempo necessario alla Divisione di sganciarsi dal nemico senza subire perdite. Eseguì il suo compito e, come già previsto dal Comando, fu fatto prigioniero ed inviato al campo di Mathausen. Nominato Comandante Amministrativo del Campo, che era composto da circa 20.000 uomini, riuscì segretamente a fornirsi di carta intestata e di duplicati dei timbri, per mezzo dei quali poté far uscire dal Campo parecchie pattuglie che guadagnarono la libertà raggiungendo l’Italia o la Svizzera. Dopo l’armistizio dovette rimanere ancora a Mathausen essendo stato incaricato della smobilitazione e la vendita di tutti i beni del Campo. Per il valore ed il coraggio meritò la medaglia di bronzo per la conquista di un trinceramento nemico sul Monte Civaron il 1 luglio1916, la medaglia d’argento per la riconquista di posizioni strategiche sull’Altopiano Carsico e la loro strenua difesa sotto bombardamenti e ostinati attacchi avversari il 6 giugno 1917, oltre alla Croce di Guerra ed altre Onorificenze cavalleresche. Giunto finalmente a Roma e promosso Colonnello, comandò il 2° Reggimento Bersaglieri e successivamente fu trasferito in varie città tra cui Barletta e Bologna.Alla fine del 1920, per consentire alla famiglia una vita più tranquilla, diede le dimissioni e fu posto in “posizione ausiliaria speciale”, una particolare situazione creata al momento per sfoltire l’esercito di ufficiali attivi. Dopo breve periodo, però, fu chiamato a comandare la 144ª Legione Irpina di Avellino in qualità di Console della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, incarico che mantenne per circa quattro anni. Durante tale periodo, costituì anche la prima squadra di calcio della città di Avellino. Inoltre fu uno dei soci fondatori, insieme al fratello Francesco, ai fratelli germani Francescantonio e Michele Cicoira e a Vincenzo Pastore della fabbrica di laterizi SALCA (Società Anonima Laterizi Ceramiche Affini) posta allo Scalo ferroviario di Calitri, costituitasi a Calitri presso il notaio Giovambattista Polestra il giorno 11 settembre 1921. Rientrò poi a Roma, ma nella primavera del 1929 fu chiamato dall’allora Prefetto di Avellino S.E. Chiaramonti, a prestare la sua opera quale Podestà della Città. L’incarico era puramente onorifico, cioè senza alcun compenso economico. Nel corso del suo mandato si recò a Vipiteno (BZ) per la consegna delle Drappelle alla Brigata Avellino comandata da S.A.R. il Duca di Bergamo, provvide alla sistemazione della Piazza della Libertà ed all’inaugurazione del Monumento ai Caduti ed anche alla sistemazione dell’acquedotto cittadino coadiuvato dagli ingg. Del Franco e Stanchi. Dovette affrontare, inoltre, le catastrofiche conseguenze del terremoto del 23 luglio 1930. Nel 1931 rientrò a Roma dove, poco dopo, fu nominato Vice Presidente del costituendo Museo dei Bersaglieri. Contemporaneamente fu promosso Generale di Brigata ed ebbe l’incarico di insegnare, in due licei romani, Cultura militare attraverso lo studio delle principali battaglie dal Medio Evo alle guerre napoleoniche. L’8 settembre lo sorprese a Calitri e, per fronteggiare la difficile situazione venutasi a creare, fu nominato Commissario Straordinario con pieni poteri. Nei primi mesi del 1945 rientrò a Roma dove visse gli ultimi anni della sua vita. Morì di ictus cerebrale nella notte tra il 4 ed il 5 novembre 1956 e riposa nella tomba, da lui stesso fatta costruire, al Cimitero romano del Verano. Nel dicembre 1909 aveva sposato Francesca Cerroti con la quale aveva avuto 3 figli: Elisa (Livorno 1911 e morta di tifo nel 1916 a Calitri, dove è sepolta nella tomba di famiglia), Michele (Roma 1915-2006) e Delia (Roma 1917-2003). 9 IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 Michele CERRETA nacque a Calitri 20 marzo 1896, da Donato e Concetta Di Napoli, diplomato al Regio Istituto Tecnico per Geometri di Benevento, partecipò alla Prima Guerra Mondiale con il grado di Ufficiale e fu decorato con medaglia di bronzo al valore militare. Ritornato a Calitri, svolse la libera professione di geometra. Il 20 dicembre 1920 sposò, a Calitri, Maria Giovanna Della Badia (24 settembre 1893 † 1 dicembre 1986). Ebbe sei figli: Giovanna, Lucia, Donato, Giuseppe, Concetta e Teresa. Il figlio Donato (1 gennaio 1927), geometra, artista e designer pittorico per ditte internazionali, vive a Teramo. Negli anni ’30, tra le molteplici opere, curò per il Comune i lavori della sistemazione dell’allora Corso Vittorio Emanuele di Calitri, da Piazza della Repubblica al Monumento ai Caduti, eseguendo la planimetria di tutti i fabbricati sull’intera lunghezza (circa 330 metri) e da ambo i lati della via, annotando altresì i nominativi dei relativi proprietari (tale documento è custodito dal figlio Donato). In quel periodo il Tribunale di S.Angelo dei Lombardi gli conferì la nomina di giudice-conciliatore, funzione che svolse nella Pretura di Calitri. Nel 1940 fu richiamato nell’Esercito con il grado di Capitano, destinato all’Ufficio della Censura Militare di Napoli. Da Napoli partì per partecipare ad un corso di addestramento in prossimità di Sala Consilina e, terminato il quale, ebbe l’incarico di partire per la Grecia. Mentre era in procinto di muoversi per la Grecia, a Brindisi ricevette l’ordine di dirigersi con la sua Compagnia nella zona compresa tra i centri di Lavello,Venosa e Spinazzola, dov’era stata segnalata la presenza di paracadutisti inglesi.Assolta la missione, rientrò a Napoli ed ivi rimase fino all’8 settembre 1943. Dopo la Guerra egli visse a Calitri con la famiglia e continuò ad esercitare la professione di geometra, fino alla morte, avvenuta prematuramente il 24 maggio 1959. do tale da essere iscritto, dopo la sua morte, nell’Albo d’Onore della Corte dei Conti. Da referendario passò a Consigliere, quindi a Presidente di Sezione sino a raggiungere le funzioni di Segretario Generale della Corte dei Conti. A tali promozioni seguivano spostamenti da Roma ad altre sedi; come Catanzaro, Bari, Napoli e Trento come dirigente di sede; infine nuovamente in Roma, accompagnato sempre dalla moglie Carmen e dai quattro figli dai quali non si separava mai. Di anno in anno gli furono conferiti speciali incarichi; fu membro del Collegio Sindacale della Società Speciale Riforma Fondiaria in Puglia, Lucania e Molise, quale componente di controllo in detta Riforma. Fu preposto al coordinamento del Servizio Studi e Relazioni al Parlamento, delegato al controllo degli atti di Governo e delle Amministrazioni Statali, venne anche preposto al controllo della Regione a statuto speciale del Trentino Alto Adige. Oltre all’impegno nell’Amministrazione Pubblica, partecipò nel periodo dal 1940 al 1943 al conflitto bellico come Ufficiale dello Stato Maggiore in varie campagne militari. La campagna di Russia fu per Lui la più triste, in questa con il generale Messe fù testimone della disfatta di Stalingrado. Rientrato in patria l’8 settembre 1943, dopo la firma dell’armistizio con gli Alleati, entrò a far parte del gruppo militare clandestino “Fossi” nella lotta anti tedesca. Tornata la pace gli furono riconosciuti i gradi di Maggiore dell’esercito e la croce di guerra al valore, a questi meriti si aggiunsero, nel corso degli anni, le onorificenze di Ufficiale, Grande Ufficiale e Commendatore della Repubblica. Nel 1977, il 15 agosto, Nicola Vitamore morì in Calitri nella sua casa di campagna, detta il “Casino Vitamore” e quindi tumulato nella cappella di famiglia. Per Calitri si è sempre adoperato sia per permettere adeguati finanziamenti di opere pubbliche, come strade, scuole, ecc., sia per risolvere problematiche di ogni singolo calitrano che a lui si rivolgeva. Le ferie e i periodi di riposo, li trascorreva con gioia nel suo paese natale, i paesaggi e la natura con i suoi colli e pianure erano per lui fonte di tranquillità e riflessione. Negli anni ’50 decise di crearsi una villa in campagna dove villeggiare con la sua famiglia e così trasformò il vecchio casino di caccia detto “Casino Vitamore”, che si trova in fondo a Via Pittoli, in una villa con una grande varietà di piante e fiori. Accanto alla villa si aggiunsero altre abitazioni, quasi tutte attorniate dal verde, tutta questa zona venne poi dal Comune denominata Parco “Vitamore”. Il “Casino Vitamore” divenne luogo di incontro per tutti i familiari tra parenti e nipoti. Calitri era anche il luogo dove rivedere gli amici di infanzia e con loro trascorrere molte ore in simpatica conversazione.Tra i tanti amici ricordiamo: l’Avv. Acocella, l’Ing. Della Badia, il veterinario Di Milia, l’arciprete Don Raffaele, il Dott. Vito Bozza, il Dott. Rocco Polestra, Franco Zampaglione, il farmacista Ricciardi ed altri. Nicola Vitamore nonostante le sue alte cariche è sempre stato un uomo semplice e schivo di onorificenze, uomo di poche parole ma di tanto sentimento. Nicola VITAMORE primogenito di quattro tra fratelli e sorelle, nell’antica dimora di famiglia in Calitri (AV) il 31 agosto 1907 nasce da Canio e dalla N.D. Filomena Tedesco, sorella di Francesco Tedesco ministro del Tesoro del governo Giolitti. Dopo aver frequentato le elementari a Calitri con la maestra Celestina Margotta, per la quale ebbe sempre affetto e rispetto, passò al convitto nazionale “Pietro Colletta” di Avellino, continuando, poi gli studi all’Università di Firenze e Macerata dove nel 1930 si laureò con 110 e lode a soli 23 anni. Lo studio, la ricerca, l’approfondimento in ogni materia è stata nella sua vita caratteristica sempre presente. Superato un primo concorso al ministero degli Interni, prestò servizio come commissario di P.S. a Cuneo. Subito dopo superò un secondo concorso al ministero della Guerra, oggi della Difesa; nell’ambito del quale nel 1933 fù nominato vice segretario nell’amministrazione centrale della guerra. Nel 1936 sposa a Candela (FG) la N.D. Carmen Ciampolillo con la quale avrà cinque figli, nel 1938 superato un terzo concorso, entra quale referendario della magistratura straordinaria nella Corte dei Conti. In questa Amministrazione Nicola Vitamore lavorò con continua ed integra attività in mo- 10 IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 GERARDO CIOFFARI ANDREA DI LIONI Ultimo abate di S. Maria in Elce NUOVI DOCUMENTI N el suo magistrale lavoro su S. Maria in Elce Vito Acocella delineava le fortune di questo monastero benedettino in territorio di Calitri. Dopo aver descritto i fasti dell’epoca normanna, sveva ed angioina, lo storico di Calitri e di Conza collegava il periodo della decadenza con l’invadenza dei Gesualdo che, a suo avviso, mal tolleravano il governo dei “clerici” in mezzo ai loro feudi, avanzavano continue pretese e rivendicazioni sui beni badiali, per ingorda cupidigia di dominio. Tuttavia, a ben considerare, l’Acocella, pur insistendo sull’avidità e le usurpazioni dei Gesualdo per tutto il Trecento e la prima metà del Quattrocento, adduceva a comprova un solo documento: quello relativo al tentativo di Nicola Gesualdo di interferire nel possesso e nell’esercizio di un mulino dell’abbazia. Il re Carlo II d’Angiò, in data 7 luglio 1308, stabiliva il diritto dell’abate e degli abitanti del casale di poter usufruire liberamente del mulino, anche se per accedervi era necessario fare un tratto della via posta lungo il corso del fiume Ofanto e la terra di Tufarella . 1 1. S. Maria in Elce tra i feudi di Calitri e di Conza Troppo poco. Le controversie sui mulini nel medioevo sono all’ordine del giorno. Mulini e trappeti in una società agricola erano una delle principali fonti di introiti per i feudatari o le istituzioni che li gestivano. Tuttavia le liti legali sui mulini o sui confini non possono essere addotte come termometro dei rapporti fra diversi enti. Esse facevano parte dei ritmi di vita del tempo anche tra feudatari che erano in rapporti di amicizia. L’Acocella appartiene a quella schiera di storici che hanno onorato gli ultimi anni dell’Ottocento e i primi del Novecento. Storici appassionati che partivano spesso da un singolo documento per creare una teoria. Ma, la storia è come la scienza: solo dopo vari e ripetuti esperimenti che vanno nella stessa direzione è possibile generalizzare e trarre delle conclusioni di un certo valore. O i documen- ti ci sono, e allora devi esibirli. O non ci sono, e allora devi procedere con ipotesi e molti “forse”. Anche oggi molti storici procedono “a tesi”. Ma questo metodo, se da un lato permette di cogliere interessanti chiavi di lettura, dall’altro fa uso di tutta una serie di “forzature” illecite. Ricordo un libro di Giordano Bruno Guerri che si intitolava L’antistoria degli Italiani (o qualcosa di simile). Effettivamente il carattere degli Italiani (individualistico, provincialistico) in alcuni casi diventava illuminante per comprendere una vicenda storica, in altri invece sembrava che lo storico ce lo volesse inserire forzosamente. Il pregiudizio dell’Acocella nel caso specifico è l’“antifeudalesimo”. Ora, che la fine del feudalesimo provocata dalla Rivoluzione Francese possa essere considerata un fattore socialmente positivo è più che accettabile. Che però tutto ciò che hanno fatto i signori feudali fosse negativo non è accettabile. In particolare, i rapporti tra feudatari e le chiese locali non sono sempre negativi. E comunque, la maggior parte dei conventi sono il risultato di donazioni di principi, conti e baroni. Non è impossibile, come sosteneva l’Acocella, che i rapporti fra i monaci di S. Maria in Elce e la casata dei Gesualdo fossero tesi. Il problema è che, per il periodo in questione, non abbiamo elementi sufficienti per sostenere questa o la tesi contraria. A me sembra che il rapporto dei Gesualdo con S. Maria in Elce fosse né più né meno che quello di tutte le analoghe istituzioni, con un feudatario che cercava di trarre vantaggio da questi monasteri (fosse solo per tenere a bada i suoi vassalli) e con i monaci che si sentivano meno minacciati nei loro averi e nella loro tranquillità grazie alla loro protezione. Un monastero come quello di Santa Maria in Elce aveva assolutamente bisogno di protezione. Situato a notevole distanza sia da Calitri che da Conza era troppo esposto alle malefatte di vagabondi, criminali e fuorilegge di varia natura. 11 E non c’erano solo i monaci. C’erano anche gli abitanti del casale. Era pertanto naturale che sia i monaci che gli abitanti “pagassero” la loro tranquillità e la loro difesa per certi aspetti al signore di Calitri per altri al conte di Conza. 2. Le cause della crisi nel Quattrocento Benché storico di vaglia l’Acocella si lascia qui prendere la mano da un certo idealismo spiritualistico. Per lui la fioritura della vita monastica era legata alla preghiera e alla vita comunitaria vissute indipendentemente dalla politica, vale a dire dai legami col feudatario. Ma questa è una visione romantica che non trova riscontro nella storia. Nei duemila anni trascorsi la Chiesa ha sempre cercato il potere temporale cui appoggiarsi, sia al tempo delle persecuzioni (con i governatori locali più tolleranti) che al tempo di Costantino, sia al tempo degli ostrogoti che dei Franchi, sia dei Normanni che degli Angioini. Solo dopo la fine degli Stati pontifici la Chiesa sembra essersi liberata dalla cappa del potere temporale. Eppure, persino oggi un certo legame con i poteri forti sembra ancora sussistere. Un monastero benedettino (o di altro Ordine) libero da condizionamenti politici è pertanto impensabile. Il monaco o il frate possono essere interiormente liberi (eventualmente pagandone le conseguenze), ma l’istituzione di natura sua deve fare i conti con qualsiasi altra istituzione. Se il monaco o il frate possono instaurare un rapporto di intima comunione con Dio, l’istituzione monastica è comunque in balia del mondo. Se arriva uno tsunami, spazza via anche il monastero, sia che i monaci vivano una vita evangelica sia che si comportino in modo alquanto mondano. Ora, lo tsunami del medioevo fu la peste del 1348, che ebbe effetti di gran lunga più devastanti del recente tsunami in estremo Oriente. In tutta l’Europa i monasteri subirono una morìa catastrofica anche a causa della propria natura di “vita comune”. Io che mi sono occupato di questa tragedia nell’Ordine domenicano mi sono imbattuto in un gran numero di frati che IL CALITRANO per aiutare e curare gli altri furono contagiati e morirono come tutti gli altri. Contemporaneamente, nel Mezzogiorno d’Italia infuriavano le guerre ungheresi per vendicare l’uccisione del principe Andrea, attribuita alla regina Giovanna I. Già a quel punto la vita monastica in tutta l’Europa entrò in crisi. Ma non era finita. Nel 1378 scoppiava il grande scisma, durante il quale i sostenitori di un papa si azzuffavano con estrema violenza con i sostenitori dell’altro papa. Oggi ci si è accordati su chi fosse il papa legittimo (Urbano VI) e chi l’antipapa (Clemente VII), ma a quel tempo le cose non erano chiare e persino i Santi erano divisi (Caterina da Siena per Urbano, Vincenzo Ferreri per Clemente). Le conseguenze per gli ordini monastici furono sconvolgenti. Tutti si spaccarono, Domenicani, Francescani, e così via. Anche i Benedettini accusarono il colpo. Già in crisi per il solerte attivismo dei Domenicani e dei Francescani, ora, senza protezioni, rischiavano di finire allo sbando. Alla peste, alle guerre ungheresi, allo scisma, seguirono poi le guerre fra Durazzeschi e Provenzali, che portarono il regno di Napoli ad una frantumazione politica (baronaggio) e alla desolazione dei monasteri. I Gesualdo, contro cui si scaglia Acocella, non c’entrano con questa desolazione che, avendo un carattere europeo (le guerre anglo-francesi erano una ulteriore causa di crisi), non poteva risparmiare il sud Italia. I papi cercarono di ricorrere ai ripari con l’introduzione della commenda. Ma anche questa, come ogni istituzione umana, può fare acqua. Lo scopo era di mettere al governo di questi monasteri uomini degni, autorevoli e non troppo legati alla feudalità. Spesso però si trasformò in un ulteriore strumento per accontentare gli amici e gli amici degli amici (dei papi). Le diverse conseguenze di questa istituzione ecclesiastica sono ben messe in evidenza nella Storia della Chiesa di Fliche e Martin, ove si parla della profonda crisi di Cava, Montevergine e del Monte Gargano . Una crisi che l’introduzione della commenda, invece di risolvere, accentuò visibilmente proprio negli stessi anni anni Quaranta del XV secolo. In una tale universale “désolation des monastères” mi sembra ingiusto puntare il dito contro i Gesualdo per la decadenza di Santa Maria in Elce. Ma a queste ragioni di ordine generale è opportuno addurre anche delle argomentazioni di ordine specifico. I documenti che sto per presentare mostrano una Santa Maria in Elce ridotta prima a tre e poi addirittura a due fuochi, 2 N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 vale a dire a poco più di una masseria fortificata con meno di una ventina di abitanti. Una simile desolazione non può essere stata originata da feudatari sia pure avidi e invadenti. Deve avere cause più profonde. I documenti suddetti sono al riguardo illuminanti e indirettamente, almeno per il periodo in questione, discolpano i Gesualdo da ogni addebito per la crisi di Santa Maria in Elce. Infatti, essi sono introdotti con queste parole: Sancta Maria in Ilice. Tempore domine Regine Iohanne … duc. III, et habet focularia … III. Dicta terra propter guerras varias exhabitata estitit et ideo non conginitur ad solutionem collectarum. Propter guerras. Ecco la vera causa della crisi. Con un tragico crescendo, le guerre ungheresi di metà XIV secolo con la concomitante micidiale peste, le guerre di fine secolo fra Provenzali e Durazzeschi col concomitante drammatico scisma ecclesiale, furono eventi che segnarono profondamente il Mezzogiorno d’Italia. Paesi interi furono spazzati via, come Canne e Salpi in Puglia o anche Castiglione presso Calitri. Non è dunque a meravigliarsi che un monastero come Santa Maria in Elce entrasse ugualmente in crisi. 3 3. La decadenza socio-economica nei documenti dell’epoca Nel procedere nella storia del monastero l’Acocella, partendo da un brano della Cronista Conzana, pone il 1447 come la data della svolta, della fine cioè del complesso come entità benedettina. I documenti in questione sono di pochi anni prima. Sono quindi il termometro della situazione. Rivelano in modo inequivocabile lo stato della crisi sulla base della tassazione. Riportiamoli dunque nella trascrizione di Luigi Panico, al quale abbiamo fatto riferimento anche nei precedenti articoli: Ratio foculariorum Sancte Marie in Ylce. Iohannes de Cremona commissario et substitutus egregi viri Iacobi de Villa Spinosa regii commissarii etc. Tenore presentis finalis quietancie fatemur recepisse et habuisse de lo Abate de Sancta Maria in Ylce per duy fochi ducati dui per ultimo tercio pro solucione presentis mensis augusti VI indictionis. Unde ad futuram memoriam certitudinem et cautelam dicti Abatis fieri fecimus presentem apodixam nostro nicio niczatam. Datum Gisualdi, primo die mensis septembris VII indictionis. Duc. II. Die penultimo mensis marcii VII indictionis, confexo yo notaro Marcho de Troyano de Ebuli regio commissario erario et perceptor de li residui de li fochuleri de lo anno passato de la sexta indic12 tione et della VII indictione de la paga di Natale nelle provincie de Principato Ultra et Citra ac Basilicata nomine et pro parte de lo magnifico Guillelmo Puyades de Thesauraria, aio receputo da Angelillo de Sancta Maria in Ylce per mano de lo Abate per lo terczo de la paga de Natale de lo presente anno tarenos tres et grana septem. Ad cautela de lo dicto Angelillo de aio facta questa presente apodixa de mia propria mano et sigillata del mio sigillo. Duc. .., tr III, gr. VII. Die XV mensis augusti VII indictionis, Ebuli. Eo notario Marco de Troyano de Ebuli regio commissario erario et perceptore de la tercza parte de un ducato per focularo nelle provincie de Principato Citra et Ultra ac Basilicata nomine et pro parte de lo nobile homo Monte de la Casa regio commissario alle provincie predicte, aio receputo da Antonio Maglyo sindico de Calitri per li fochi di Santa Maria in Ylce tarenos tres et grana VII. Et ad cautelam de la universitate de Santa Maria in Ylce inde aio facta questa presente apodixa de mia propria mano et sigillata del mio sigillo. Duc …, tr. III, gr. VII. Adì II del mese de aprile 1444. Nuy Gezo de la Casa de Fiorencza demorante in Neapoli aio receputo per mano et parte de Monte della Casa commissario a raccoglyere lo primo terczo de fochi de Pasqua de Resurreczione da lo abate de la ecclesia de Sancta Maria in Ylce per le mani de Antonio Maglyo de Calitro .. tarì tre et grana septe et affede del dicto pagamento et a cautela de la dicta ecclesia et luogo a Iohanne Luccacce factor del dicto Ghezo o facta e scripta la presente polisa de mia propria mano et nizata del nizo del dicto Ghezo. Duc. .., tr. III, gr. VII. Yo Iacobo Sarroccho de Gragnyano regio commissario Basilicate et Principato Ultra da lo abate de Sancta Maria in Ylce per dui fochi ducatos duy zo per la Pasqua de abrile et de augusto VIII indictionis. A sua cautela o facta questa presente polixa de mia propria mano niczata del mio proprio niczo. Ex Montefuscolo, XXVI aprile, VIII indictionis. Duc. II. La polisa sia donata a Sancta Maria. Abate de Sancta Maria in Ylce aio receputo per lo presente portaturo ducato uno cioè tarì cinque. Duc. I. Aio receputo tarì tre grana VII per Sancta Maria in Ylce per mano de Cola de Calitri. Duc. .., tr. III, gr. VII. Lo dicto abate fa fede de sacramento che non abe lo sale de Renzo de Africto et promeselo dare. 4. Andrea di Lioni, ultimo “abate” di S. Maria in Elce Secondo la Cronista Conzana nel 1447, quindi solo due anni dopo l’ulti- IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 mo documento citato (VII ind. = 1444; VIII ind. = 1445), avvenne un fatto che avrebbe cambiato l’amministrazione dell’ex monastero nei secoli successivi. Anche se i documenti in questione non fanno il nome dell’abate è evidente che si tratta dello stesso menzionato nella Cronista, in quanto risulta in contrasto da parecchi anni. La Badia di S. Maria in Elce appare essere stata della religione benedettina, e se ne vede nell’Archivio conzano una notificazione nel Registro antico dei Benefici, ove un tale abate Andrea di Lione, della città di Conza, benedettino abate di detta bazia, asserisce in una nuova fondazione di un suo beneficio sotto il titolo di S. Maria della Scala di avere persa l’antica fondazione di quello in tempo che fu scacciato da detta bazia da Francesco Gesualdo e quest’assertiva la fa nell’anno 1447 (Cronista Conzana, t. II, lib. III, disc. 4). Dalla vicinanza strettissima delle date è evidente che questo Andrea di Lioni, abitante in Conza, è lo stesso abate che nei documenti paga le tasse. Egli non appare a capo di una comunità, ma come persona indipendente che ha S. Maria in Elce come un “beneficio”. Secondo l’Acocella la causa di questa situazione traeva origine da un privilegio concesso il 20 marzo 1416 dalla regina Giovanna II ad Antonello Gesualdo. In base a questo privilegio l’Ordine benedettino perdeva il possesso del monastero che andava a finire sotto la signoria feudale del Gesualdo di Calitri (non è certo, Maria Di Maio (curat’l’) nata il 27.02.1922 e Angelo De Nicola (cordalenda/05.02.1916 † 22.06.1975) nel giorno del loro matrimonio. ma è molto probabile che questo Antonello del 1416 sia lo stesso Antonello che nei documenti del 1443 è detto “utile signore di Calitri”). A questo punto l’Ordine benedettino si ritirava in buon ordine lasciandovi un solo religioso col titolo di Abate. Forse l’interpretazione del Castellano prima e dell’Acocella poi è troppo fantasiosa, trascurando tra l’altro l’evoluzione nel significato del termine “abate”. Come si è detto, è più probabile che il monastero fosse abbandonato dai monaci a causa delle guerre e altri problemi di carattere sociale. Non è facile immaginare un Ordine religioso che si ritira per protesta contro il nuovo signore feudale, come pure è difficile immaginare un abate benedettino da solo. È vero che anche in passato c’erano molti abati da soli. Ma in questo caso “abate” non significava “capo di una comunità di monaci”, bensì titolare o responsabile di una chiesa. Ad esempio, una ventina di canonici della Basilica di S. Nicola in quel tempo avevano il titolo di “abate”, anche se ovviamente non avevano nulla a che fare con i monaci. Erano “abati” perché avevano la responsabilità di una chiesa, avevano cioè una cappellanìa, dai cui redditi traevano sostentamento. Senza pretendere dunque di presentare delle certezze, avanzerei l’ipotesi che il monastero di S. Maria in Elce fosse disabitato già al tempo del grande scisma (1378-1419) e che i successivi “abati” non fossero altro che dei preti che avevano ottenuto il “beneficio” di S. Maria in Elce. Come lo stesso Andrea di Lioni, che nel 1447 perdette questo beneficio per ottenerne un altro, quello di S. Maria della Scala. Del resto anche i documenti su riportati presentano un quadro tutt’altro che chiaro. Non si comprende bene, ad esempio, quali siano le competenze del feudatario di Calitri e del feudatario di Conza. S. Maria in Elce, ridotta a una ventina di abitanti è detta ancora “universitas” (forse perché almeno teoricamente un ripopolamento non era da escludere), e per di più fa la sua comparsa anche un sindaco di Calitri. Il che significa che, quale che sia stato il cambiamento giuridico amministrativo del monastero, Calitri restava pur sempre il principale punto di riferimento dell’antico casale. NOTE 1 Cfr. La Badia ed il Casale di S. Maria in Elce nel territorio di Calitri, in appendice alla Storia di Calitri, Grafiche F.lli Pannisco, Calitri 1984, pp. 289-323, in particolare p. 304. 2 Histoire de l’Eglise, vol. 14: «L’Eglise au temps du Grand Schisme et de la crise conciliaire (1378-1449)», par E. Delaruelle, E.R. Labande et P. Oubliac, Tournai 1964, pp. 1037-1041. 3 Anche se l’ho ripetuto nei precedenti articoli, ribadisco che questi documenti fanno parte di una magistrale tesi di laurea difesa da Luigi Panico (relatore Mario del Treppo, anno accademico 1973-74) all’università di Napoli e di cui sono fortunosamente venuto in possesso alla morte del mio confratello P. Ermanno Giardino. Non sono riuscito a contattare l’autore, ma sono convinto che non me ne vorrà se mi è sembrato doveroso non far perdere documenti così preziosi per la storia dei paesi dell’Irpinia. Brescia 10.05.2005, battesimo di Sarah Cestone; da sinistra: Mario Cestone con la nipotina Sabrina Sciatti, Gaetanina Tornillo, Pasquale Cestone con in braccio la figlia Sarah e Viola Pezzotto, madre di Sarah. 13 IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 COLUMBUS DAY 2007 sala in un ristorante italiano, ed ha svolto altri impegni lavorativi fino a che non è stata chiamata a lavorare al Columbus Day. Come sempre ci saranno molti ospiti importanti, fra gli altri, il ministro di Grazia e Giustizia On.le Clemente Mastella accompagnato dalla moglie signora Alessandra Lonardo Presidente del Consiglio Regionale Campano, il sindaco di Calitri dottor Giuseppe Di Milia che dal 1 giugno è anche il nuovo presidente della Comunità Montana “Alta Irpinia”, ci sarà il sindaco di Lacedonia che offrirà al dottr Tallerini la cittadinanza onoraria perchè il padre era originario della cittadina irpina. Grazie agli sforzi di molti volontari ed alla generosità degli sponsor, queste celebrazioni presentano il meglio della cultura e del patrimonio culturale italiano, in una ricca e variegata cornice di eventi culturali con ospiti di eccezione. uest’anno le celebrazioni in onore di Cristoforo Colombo si terranno a New York dal 4 al 14 ottobre 2007, con Q la Parata in grande stile per la giornata dell’8 ottobre, la più grande tra le celebrazioni in onore dell’eredità culturale italiana in tutto il mondo. Il dottor Louis Tallarini è il presidente della Columbus Citizens Foundation, coadiuvato dalla dott.ssa Giuliana Ridolfi Cardillo direttrice dipartimentale di Cultura Italiana e con la collaborazione della nostra concittadina dott.ssa Marianna Toglia che da alcuni mesi è stata chiamata come assistente della signora Ridolfi (Assistant to The Italian Affaires Chairman). La dottoressa Marianna Toglia si trova negli USA da circa 4 anni, cioè appena laureata in economia e marketingh decise di andare a New York dove ha lavorato presso uno studio Legale a Park Evenue, la sera ha fatto la direttrice di Louis Tallarini, presidente della “Columbus Citizens Foundation”. Dottor Giuseppe Di Milia, sindaco di Calitri. Chiesa della Badia di Cava dei Tirreni, 4 marzo 2007, si festeggiano i 50 anni di matrimonio di Maria Francesca Maffucci (landella) nata a Calitri l’01.11.1931 da Vito e da Lucia Di Maio (m’senza) e Michele Fastiggi (p’stuol’) nato il 15.02.1927 da Giuseppe e da Maria Michela Di Maio (mangiaterra); seconda fila della foto: Michele Parisi, fidanzato di Simona Fastiggi, la signora Patrizia Santoro e il marito Giuseppe Fastiggi, figlio dei festeggiati, Michela Fastiggi, figlia dei festeggiati; prima fila: Simona Fastiggi, figlia di Patrizia e Giuseppe e perciò nipote dei festeggiati – i festeggiati – Michele figlio sempre di Patrizia e Giuseppe e perciò nipote dei festeggiati.Ai festeggiati gli auguri sinceri e sentiti dei figli, dei nipoti, dei parenti, degli amici e della Redazione. Dottoressa Marianna Toglia, collaboratrice del dipartimento di cultura italiana. Chiesa della Badia di Cava dei Tirreni, 4 marzo 2007, i due festeggiati per il loro 50° anno di matrimonio, insieme a don Placido (all’anagrafe Canio Di Maio/c’kk’llin’, nato il 29.01.1917 e che perciò ha compiuto i 90 anni di vita. A don Placido un augurio per altri cento anni, ad majora semper! 14 IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 Calitri, uort’ r’ Cioglia, 25 aprile 2007, da sinistra seconda fila: Martina Sicuranza (a russa),Vito Metallo (ndrand’la), Canio Metallo “il Fornaio”, Girolamo Caruso (gg’lorm’/imprenditore), Raffaele Salvante,Vincenzo Bozza, Giovanni Sicuranza (a russa), Giovanni Coppola (cupp’licchj), Canio Maffucci (spaccac’pogghjì’); prima fila: Salvatore Ramundo (El Pelon),Vito Metallo, figlio di Canio e di Maria Di Cecca da poco rientrato in paese dopo una lunga degenza al Gaslini di Genova, Maria Di Cecca, Maria Iraci consorte di Antonio Zazzarino,Antonio Zazzarino, Lucia Cialeo, Franca Maria Germano, consorte di Giovanni Sicuranza,Valentino D’Ascoli (Valente),Angela Schettino, Lucia Santina Di Milia e Rosa Gallucci. Calitri 23 novembre 1929, matrimonio di Angelo Maria Girardi (sand’f ’les’/26.08.1906 † 26.01.1993) nato da Giuseppe e da Grazia Vincenza Martiniello e Giacinta Rapolla (maccar’nal’/05.07.1905 † 03.08.1987) nata da Vincenzo e da Maria Vincenza. Calitri 27 agosto 2006, Fiera Interregionale presso lo stand del giornale “Il Calitrano” da sinistra Raffaele Salvante direttore del nostro giornale,Vincenzo Armiento, il professor Galante Colucci di Atripalda e Salvatore Ramundo. 15 IL CALITRANO USA Hibbing, Minnesota 1906 circa il sacerdote Giovanni Zarrilli nato a Calitri il 26.12.1876 da Antonio e da Maria Antonia Codella, arrivato negli USA nel settembre 1905 con la nave inglese Cretic; il giovane prete missionario da Calitri fu chiamato da mons. James McGolrick, primo vescovo di Duluth, per seguire i numerosi emigrati calitrani che lavoravano in miniera nella cittadina di Hibbing. N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 Calitri 1950/51, in occasione della venuta dall’America di Canio Rainone, ripreso qui in mezzo ai parenti della famiglia Rainone (sanducc’) prima fila da sinistra:Vincenza Fatone, Michelina Fatone, figlie di Vito e di Maria Rainone, Rosa Scoca, e il padre Vincenzo (sargend’/accoccolato), Antonio Scoca, figlio di Vincenzo, Gerardina Sanò e Lucia Rainone; seconda fila:Vito Fatone e la moglie Maria Rainone, Concetta Rainone, moglie di Vincenzo Scoca,Alessandra Rainone (Sandrina),Assunta Fatone con in braccio il figlioletto Alessandro Rainone; terza fila: Canio Rainone l’Americano, Lucia Cestone con in braccio Filomena Russo figlia di Peppinella Rainone e Michelantonio Russo, e Michelantonio Rainone. Lago Laceno 1 maggio 1968, festa dei lavoratori: da sinistra: Orazio Armiento (caram’zzett’), Michele Zarrilli (sciascialicchj), Michele Metallo (baccalà) con la coppola si vede appena, Delli Liuni Pasquale (lu giacchett’) col cappello, Vitantonio Metallo (baccalà) in primo piano con la giacca sbottonata, Lucia Aristico (t’mbesta),Vitantonio Scoca (u’ sargend’) col cappello e con le mani sul braccio del ragazzo, Donato Scoca (u’ sargend’) il ragazzo con la maglia bianca,Angelomaria Russo (cangianella) con la coppola dietro il ragazzo, Esterina Borea (panga/socialista), Angela Ramundo (l’cces’), la bambina con la fiasca non identificata,Vito Tuozzolo (u’ patiss’) col cappello, Michele Scoca (pisciap’rtiegghj),Vincenzo Gautieri (m’naciegghj),Vito Zabatta (march’) seduto con la coppola, Donato Petito (pr’hatorij) col cappello,Vito Cianci (V’tucc’ r’ Cianc’) col cappello e con la mano davanti al viso, non identificato. 16 Calitri, 23 gennaio 2006, Giuseppe Fastiggi (tobb’t’) e Michela Della Badia con i figli Lucia e Canio hanno festeggiato il cinquantesimo anniversario di matrimonio. I più sentiti e sinceri auguri dai parenti, amici e dalla Redazione. IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 Calitri anno scolastico 1979-80, da sinistra in piedi: Concetta Di Salvo, Angela Maffucci, Patrizia Barletti, Claudia Galgano,Anna Gargano, Maria Teresa Di Milia, Felicetta Zarrilli; prima fila: Franco Sena, Peppino Zabatta, Gianni Rauso, Antonio Zabatta, Michele Di Cairano, Benito Cianci ed Agostino Di Salvo. Agnano Napoli 8 marzo 2007, presso il ristorante “Villa Astronia” sono stati festeggiati i 90 anni del nostro compaesano Giuseppe Metallo, da sinistra: Gennaro Musto da Napoli, Mauro Maffucci da Roma, Giuseppe Metallo il festeggiato da Napoli, Nina Turkyna da Napoli,Vincenzo Metallo e Teresa Staltari da Roma.Auguri vivissimi da parenti, amici e dalla Redazione. Poggibonsi 27 febbraio 2007, 84° compleanno della signora Maria Di Maio (mangiaterra) con i fiori in mano, con i figli Vincenza, Michele e Antonietta De Nicola.Auguri dagli amici, parenti e dalla Redazione. Poggibonsi 21 gennaio 2007, i coniugi Antonietta De Nicola (cordalenda) e Antonio Galgano (cappiegghj) festeggiano il compleanno della signora.Auguri dalla Redazione. Calitri anno scolastico 1950-51, sulla terrazza del Municipio dove era la scuola Media e le prime classi dell’Istituto Tecnico Commerciale, i tre in fondo da sinistra: Mario Mansi, prof. di disegno, Girolamo Corona prof. di lingue, Nicola Musto prof. di educazione fisica; prima fila: Mario Cerreta prof. di lettere, Dora De Martino prof. ssa di musica, Iermano Biagio prof. di lettere, Michele Della Badia prof. di matematica e Preside, Paolo Spirito prof. di lettere, Anna Capolupo prof.ssa di lettere e Benedetta Conforti prof.ssa di economia domestica. Calitri 20 agosto 1973, matrimonio di Vincenza Cianci (napulitana) e Michele De Nicola (cordalenda), da sinistra: Michele Zarrilli (paulucc’),Vincenza De Nicola, sorella dello sposo – gli sposi – Maria Teresa De Nicola,Anna Galgano (r’nategghia), si vede appena, i ragazzi Lucia e Michele Galgano figli di Antonio Galgano (cappiegghj) e di Antonietta De Nicola e, seduta, la signora Lucia Abate in Iannella. 17 IL CALITRANO Calitri 18 gennaio 1969, gli sposi novelli Vincenza De Nicola (cordalenda) e Michele Zarrilli (paulucc’). N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 Calitri 1964, la signora Lucia Rainone vedova Acocella figlia di Michele e di Assunta Fatone, all’età di 17 anni. Poggibonsi 22 aprile 2006, Michele Zarrilli (paulucc’) e il nipote Alessio. Flavia Borea (Linda r’ la carr’zzera) e il marito Ascanio Manzoli. Il 4 agosto 2007 festeggiano il 50esimo anniversario di matrimonio. Auguri dai parenti, dagli amici e dalla Redazione. Dagli U.S.A. Brooklyn, NY circa 1923,Angela Lucrezia nata a Calitri il 13 gennaio 1897 da Michele e da Lucia M. Cicoira, col marito Gabriele Di Maio nato a Calitri il 5 ottobre 1895 da Michelangelo e da Angela Acocella, deceduto a Lynbrook, NY nel 1966, con i due figli Michele ed Angelina nati a Brooklyn. Calitri, 29 dicembre 2006, nella chiesa madre, parrocchia di San Canio i coniugi Vittorio Zarrilli e M. Michelina Fierravanti, celebrano il loro 50° anniversario di matrimonio, benedetto dal parroco don Maurizio, circondati dai figli, nipoti, parenti, amici e parrocchiani. Prima fila: Sabrina figlia di Angelo e Ursula Krieger, Michelle,Adriano e Christian figli di Mary e manfred Emming e i festeggiati; seconda fila: Ursula, semicoperta, Angelo con cravatta, Manfred con baffetti e Mary. Dietro, sulla sinistra, riconoscibili Giuseppina, Caterina, Enza Ciccullo con cappello e occhiali. In lontananza sulla destra: Benito, Michelina, Lucia Zabatta,Vincenzina Acocella, Donato Zarrilli, Rosa Cerreta (foto Aldo Fierravanti).Auguri dai figli, amici, parenti e dalla Redazione. 18 IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 ANNIBALE COGLIANO Calitri e Bisaccia nella crisi del 1799 Fra fedeltà ai Borboni e adesione alla Repubblica: l’impotenza riformatrice alle radici di risposte politiche antitetiche l secolare conflitto agricoltura-pastoriIrispetto zia nel Mezzogiorno muta radicalmente alle sue tradizionali forme e contenuti nella seconda metà del Settecento. Non è più solo il contrasto fra Caino e Abele, l’agricoltore e il pastore, a scandire il ritmo di vita della comunità e delle istituzioni statali, locali e centrali. Non siamo di fronte alla consueta fame di terra da strappare al pascolo per coltivarvi grano, o viceversa, ma siamo di fronte, da un lato, alla precipitazione esplosiva delle antiche contraddizioni rispetto alle esigenze nuove mutate della società civile, e, dall’altro, all’impotenza delle istituzioni statali dell’ancien régime a soddisfarle o anche a regolarle o mediarle. La lotta è lotta politica tout court per il potere locale e centrale: in gioco è l’affermazione e legittimazione delle nuove conquiste ed interessi. Se però è politica nel senso pieno del termine, né il riformismo borbonico, né il 1799 con la sua effimera Repubblica e guerra civile cui dà luogo, e meno ancora la lunga, cieca fase repressiva che si apre con il ristabilimento del trono (primo sconfitto il cardinale Ruffo) riusciranno a dare ad essa voce, saldando in programma e blocco sociale le spinte nuove di una società civile per costruire un nuovo assetto statale. L’Ottocento, a partire dal Decennio francese, non sarà un’alba, ma una lunga notte, gravida dei nodi irrisolti e delle strozzature del tramonto di un assetto socio-economico, nato con gli aragonesi e continuato con il viceregno spagnolo. Il rilevante incremento demografico, che in alcune aree porta al raddoppio o addirittura alla triplicazione della popolazione fra inizi e fine Settecento1, l’affermazione economica, sociale e politica di un ceto di galantuomini, cresciuti come amministratori, agenti, erari, massari, governatori, procuratori e legali, all’ombra del feudo o della Chiesa, rafforzati dall’esercizio del potere nelle Università che non amministrano più sotto l’esclusivo controllo del barone, sono gli elementi più rilevanti della rottura degli equilibri politici dagli inizi dell’età moderna. Nei galantuomini, come nelle masse rurali da loro dominate, si ha l’irruzione di valori, bisogni e la ricerca di istituti nuovi, quali la richiesta del possesso certo (diritto di proprietà o enfiteusi) dei beni fondiari che amministrano o sui quali lavorano. La Chiesa e i baroni sono assediati2 nei loro diritti reali (difese, fondi rustici, urbani, terraggi, censi), proibitivi (monopoli di trappeti, molini, forni, panatica, ecc.) e giurisdizionali (proventi, bagliva, piazza, zecca e misure, amministrazione della giustizia), non più compatibili con le esigenze cresciute della popolazione rurale e delle stesse figure professionali che hanno garantito la crescita della loro rendita. La messa a coltura di tanti demani feudali a cavallo della seconda metà degli anni ‘50, se da un lato porta all’incremento della rendita feudale e soddisfa esigenze materiali alimentari basilari della popolazione, da un altro, incrina o devasta in significativa parte del territorio la stessa possibilità di sopravvivenza delle comunità, a causa degli sconvolgimenti generali e incontrollabili che ne derivano al territorio nel suo complesso e al rapporto pascolo-agricoltura (la crisi agraria del 1764 ne è un sintomo e una causa allo stesso tempo). Quale ulteriore e più importante ancora conseguenza, il mutamento del paesaggio agrario innova profondamente i meccanismi di accumulazione fondiaria del secolo precedente: si ha non più solo la costituzione di difese baronali abusive, privatizazzioni di fatto del territorio, o passaggi di proprietà dalle Università indebitate alla camera baronale, che offrono solo lo spazio a sterili jacquerie; ma si hanno risorse addizionali nuove che ristrutturano i rapporti sociali, favorendo la crescita di nuovi ceti, ai quali non bastano più le sole briciole del bottino feudale, e portando a nuovi equilibri politici e culturali fra la capitale e le campagne, dove rispettivamente si consuma e si produce la rendita. Mutano gli stessi baroni, sempre più figure di rentier che lasciano alle spalle quella di innovatori rampanti o di borghesi di recente blasonati, e sono rimpiazzati dai loro amministratori nel governo del territorio. I vescovi, i capitoli cattedrale, i potenti monasteri, i capitoli delle chiese lo19 cali, con le loro risorse fondiarie a coltura o a pascolo, le loro masserie armentizie sono scossi alle fondamenta. I loro privilegi secolari, la loro rendita, che in alcune comunità giunge ad eguagliare se non superare quella dei feudatari e delle Università, sono parimenti assediati dal nuovo clero emergente dalle nuove famiglie dei galantuomini e garantito dai patrimoni sacri indispensabili, previsti dal Concordato del 1741. Il clero pletorico, popolare e non, si riduce, ma aumenta d’intensità la sua conflittualità interna, perché riproduce allargato lo scontro non componibile fra le fazioni dei vecchi e nuovi ceti in ascesa. Le popolazioni rurali non sono meno scosse nei loro difficili equilibri secolari. Muta la composizione quantitativa e qualitativa delle famiglie: i massari di animali o di terra non vivono più con beni fondiari e armentizi comuni, e in famiglie multiple o allargate, ma si evolvono verso famiglie nucleari più ristrette, nelle quali l’abbandono del maggiorascato e del fedecommesso, mutuato fra Sei e Settecento dai modelli di difesa dei patrimoni feudali e nobiliari, porta a differenziazioni della proprietà, dei beni in uso, delle professioni, verso un’articolazione sociale non più compatibile con la semplificazione, rozzezza e introiezione della subordinazione del passato. È quello che si è comunemente chiamato il passaggio da forme di vita comunitarie all’individualismo diffuso. Mutano gli insediamenti abitativi delle comunità, con l’ampliamento e abbellimento urbanistico, e la proliferazione di nuovi casali urbani, sub-urbani e rurali. Case palazziate, nuove piazze, strade, collegamenti viari, ecc., costituiscono il nuovo reticolo spaziale delle forme di vita comunitaria. I bilanci comunali mutano nelle loro voci e nel loro ammontare complessivo; non vi è stato discusso della fine della prima metà del secolo che possa essere più compatibile con le esigenze nuove di una popolazione cresciuta, più colta e raffinata nei bisogni. Lo stesso incremento di spesa per liti giudiziarie nei tribunali provinciali e della capitale con baroni o con Università confinanti, lungi dall’essere una voce paras- IL CALITRANO sitaria di spesa, diventa uno strumento di difesa ed offesa allo stesso tempo contro i vecchi poteri per la realizzazione di nuovi e più avanzati equilibri economici e sociali. Variante individuale – e che merita essere studiata come variabile a sé della crescita dei galantuomini – è la corsa alla giurisdizione del tribunale del foro doganale di Foggia, che si riempie di iscritti di locati fittizi, che, servendosi del privilegio antico concesso da Alfonso I d’Aragona ai locati reali, mutano l’istituto di garanzia della vita e degli averi dei pastori e delle entrate del Fisco in potente strumento moderno, corporativo e selvaggio di accumulazione economica e politica di potere. La vita e i conflitti delle comunità, nella seconda metà del Settecento, sono intrisi di figure sociali che si sottraggono al giudizio delle locali corti baronali e delle udienze regie. Il foro doganale di Foggia si moltiplica con gli ufficiali doganali delle varie comunità, che esercitano le funzioni giudiziarie per suo conto nei territori in cui i nuovi galantuomini guerreggiano la crescita del loro dominio. Di fronte a tali mutamenti si erge uno stato che ha solo la forza di mediare o di rinviare la modernizzazione e lo scontro risolutivo fra le classi all’infinito. La politica riformatrice dei Borboni subisce più volte battute di arresto, sino ad essere impedita dal mutarsi in monarchia amministrativa sul modello francese. Ferdinando IV ancor più di Carlo III, anche per i mutati equilibri e sollecitazioni internazionali, nonostante i grandi mutamenti istituzionali (basti pensare al ruolo dei nuovi ministeri di economia, di giustizia, al ruolo unificatore e centralizzatore delle udienze provinciali, alle riforme catastali, ai cambiamenti dell’apparato difensivo e delle alleanze politiche), resta al di sotto dell’evoluzione necessaria, alla quale altri paesi si sono portati. È questo il quadro in cui lo scontro pastorizia-agricoltura s’inserisce. Solo uno dei tanti ai quali la Corte non riesce a dare sbocco. La mappa del paesaggio agrario, delle manifatture e del commercio di tutto il regno, tentata dalla Corte nel 17833 avrebbe dovuto essere una tappa conoscitiva chiave per l’accelerazione della modernizzazione. La prammatica Palmieri (Regia Camera della Sommaria, 23 febbraio 1792), ad essa collegata, che avrebbe dovuto essere il suo prosieguo applicativo, elemento di modernizzazione, canalizzazione delle tensioni, regolazione produttiva, fattore di nuovo equilibrio, si trasforma in ulteriore fonte di cieca conflittualità, già in atto, nella lotta trasversale fra le classi e i ceti, finendo con il diventare effetto e causa al tempo stesso dell’avvitamento del regime su se N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 stesso, che di lì a poco collasserà di fronte all’invasione di qualche migliaio di soldati francesi. “Agri Universitatum, qui demania vulgo dicuntur, civibus ad censum dari permittentur. Forma censionis praeferibitur”, recita il suo inizio contraddittorio per una politica statale che voglia trasformare e dirigere, vanificando la sua premessa: “la scarsa utilità proveniente da’ Terreni demaniali di varia specie, de’quali abbonda il Regno, dovea eccitare le provvide cure del Clementissimo Sovrano a rivolgervi lo sguardo per fare fiorire ovunque la meglio intesa agricoltura, sorgente primordiale delle ricchezze, in quanto fosse compatibile con lo stato delle popolazioni e coerentemente alle leggi in osservanza e dritto di proprietà”. Si permette4 la quotizzazione e la censuazione, ma non la si attua; si riconosce un’esigenza sociale ed economica, ma solo come interesse legittimo, non come diritto, e se ne affida la realizzazione alle deboli forze delle Università5, come se non si sapesse che sono dilaniate al loro interno, infinitamente più deboli della Corte di fronte ai baroni. Gli editti nelle città e Università del regno ingenerano aspettative cieche: Per li demani di proprietà delle Università, siccome ne’ Baronali, saranno preferiti i cittadini de’ rispettivi luoghi, a’ quali sono annessi; salvo rimanendo il diritto di colonia, dove sia in osservanza, ed abbia dato de’ legittimi possessori a’ medesimi terreni (capo III). Ne’ i demani di proprietà delle Università, siccome ne’fondi propri di essa, qualora si volessero censuare, si preferiranno i bracciali ne’terreni più vicini alle popolazioni; dandone loro nella misura che possono coltivarli colla propria opera, ed in quelli più lontani a’ cittadini coltivatori più facoltosi, da esercitarne una più estesa coltura, secondo sarà più conveniente alla popolazione, esclusa ogni preferenza agli attuali affittatori. Si fanno intravedere ripartizioni giuste per la popolazione ed equilibrate per il pascolo e l’agricoltura: Qualora sia maggiore il numero de’ bracciali o cittadini coltivatori al terreno da ripartirsi, fatta la scelta de’ meno provveduti di terreni, quei che rimangono saranno assoggettati alla sorte” (capo V); “de’ medesimi demani universali, o terreni propri delle Università, quei che siano addetti al pascolo, saranno ripartiti tra i possessori degli armenti, e per la picciola industria de’ cittadini non possidenti, qualora sia richiesto, si lascerà per loro uso solamente, pagandone discreta fida, che ridonda in comune beneficio. 20 Si offre il destro alle mille opposizioni interessate in nome della conservazione delle risorse boschive e della salvaguardia ambientale6. NOTE 1 Cfr. P. Villani, “Documenti e orientamenti per la storia demografica del regno di Napoli nel Settecento”, in Annuario dell’Istituto Storico Italiano per l’età moderna e contemporanea, Roma 1968, in particolare il cap. III. 2 Cfr. G. Cirillo, Il barone assediato, Terra e riforme in Principato Citra fra Seicento e Ottocento, Avagliano editore, Cava dei Tirreni, 1997. 3 Prammatiche “De administratione universitatum” in Nuova collezione delle prammatiche del regno di Napoli, Napoli 1803, Stamperia Simoniana, tomo I Prammatica XXIII, “Nuova istruzione per le Università del Regno”, anno 1783 – Oggetto: “Cognizione topografica di tutti i terreni componenti il suolo del suo dominio”. Incaricati di fornire i dati necessari (non attraverso la misurazione del terreno, ma attraverso fedi ed informazioni, senza alcun dispendio per le Università) sono i Governatori regi e baronali, gli amministratori delle Università, sei deputati, due dei quali ecclesiastici, due massari di campo, due benestanti civili. La prammatica prevede altresì la distribuzione di mappe stampate in bianco alle Università, tenute ad indicare le contrade che compongono il territorio, l’estensione, la qualità del terreno, il possesso, le colture, le piantagioni. Nelle mappe dovrebbero essere descritti: il clima, le acque, l’uso delle fonti, i fiumi, l’energia idraulica ottenuta, le piantagioni che più abbondano sul territorio e le migliorie possibili; la qualità delle derrate e il loro quantitativo prodotto, le olive, gelsi, mandorle, le noci, il vino prodotto, il numero degli animali domiti e indomiti, se i demani universali o baronali siano messi in parte a coltura; se parte del territorio sia censuato, e se sia soggetto alla Dogana di Foggia. In realtà poche saranno le mappe consegnate, che avrebbero dovuto essere redatte entro quattro mesi da tutte le Università del regno. 4 “Col presente Editto adunque in forma d’istruzione si permette di censire i terreni demaniali di qualunque specie, giusta il prescritto in esso, a tenore della norma data in seguito di questo, e l’emolumento che ciascuna Università ne ritrarrà, sarà principalmente impiegato in disgravio della classe più bisognosa con approvazione di S. M.” 5 “I Governatori di ciascuna Università coll’assistenza del Governatore locale nomineranno sei deputati, eligendi in pubblico parlamento, secondo le leggi, da convocarsi e celebrarsi, due ecclesiastici, due Gentiluomini benestanti, e due comodi agricoltori, che sceglieranno due abili ed onesti periti per l’esame dei terreni, ed un terzo qualora vi sia disparità tra li due nominati.” 6 “Qualora i terreni da censirsi fossero boschi fruttiferi, sarà permesso il farlo con pattuire di conservare o allevare almeno trenta in quaranta piante per ogni tomolata di terra, oltre delle picciole in arbusto, dopo che sia preceduta la numerazione delle piante esistenti”(capoVII); “si potranno censire le selve cedue colla legge regolare de’tagli, secondo la costante regola di esse, e la censuazione del loro stato” (capoVIII). Si potranno censire i luoghi di macchie e fratte colla condizione di allevarvi degli alberi, che siano più analoghi al terreno, e piantarveli con tale condizione che si dovranno concedere” (capo IX). Se i terreni siano scoscesi, o soggetti allo slamamento, si dovrà pattuire di potersi soltanto piantare e non coltivarli, che rimosso ogni dubbio dello scioglimento delle terre, specialmente quelle che sieno superiori a’ corsi de fiumi o torrenti, donde provengono le rovine che portano gli ammassi delle terre arenose e cretose, che seco precipitano” (capo X). continua nel prossimo numero IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 L’INSEDIAMENTO BASILIANO DI PALOMONTE l luogo dove sorse l’insediamento basiIlone liano di Palomonte (SA) è detto “Valdi Sperlonga o Spelonca” che, si vuole, ritenga il nome dal complesso cavernicolo a due piani ed annesso riparo sottoroccia esistenti lungo la sponda destra del torrente Capojazzo, affluente del Tanagro, che scorre perenne in fondo al vallone stesso. La configurazione dei luoghi evidenzia gli sconvolgimenti paleogeografici, climatici ed ecologici avvenuti a seguito dell’ultima deglaciazione, alla quale appartengono i numerosi siti in grotta e ripari, alcuni dei quali, rioccupati ripetutamente nel corso dei millenni. Il suo insieme (ambiente, adattamento strutturale, trofico – funzionale ed i fattori culturali) dà l’idea della vera e propria “nicchia ecologica dell’uomo”, strettamente legata al rapporto uomo-ambiente, caratterizzato dalla cultura. L’uomo, nel corso della sua storia evolutiva, è stato in grado di sopravvivere facendo fronte alle diverse condizioni ambientali (anche sfavorevoli) con adeguate tecnologie, create dalla cultura che, da sempre, ne ha influenzato la vita della specie umana1. La frequentazione del luogo da parte dell’uomo, sin dal Neolitico antico, è provata dalle mensole in negativo e dalle tracce di focolari presenti nelle numerose grotte dalla volta impregnata da un grosso spessore di nerofumo. La prova più evidente è data da due buche cultuali, diametro m.1,20 con al lato la vasca sacrificale, scoperte nel livello pavimentale della grotta a tre celle al piano campagna facente parte del menzionato complesso cavernicolo. L’uso delle buche cultuali, persistito durante l’Eneolitico e l’Età del Bronzo, rientra nella concezione delle popolazioni agricole che celebravano riti legati a pratiche intese a rendere feconda la terra e per questo avevano luogo in seno alla terra stessa, in grotte. Queste buche cultuali del vallone di Sperlonga presentano strette analogie con quelle trovate in altre grotte del territorio nazionale, dalla Liguria al Salento2. La sacralità del luogo continuò ad esercitare un fascino misterioso che perpetuò nel nascente Cristianesimo, le antiche credenze religiose, come stanno a dimostrare i graffiti con temi cristologici Palomonte (SA) - Chiesa della Madonna di Spelonca con, al lato, i ruderi del convento basiliano. trovati incisi sulla parete calcarea che va dall’ingresso della grotta a tre celle al grande riparo sottoroccia. Graffiti che hanno molta affinità con quelli trovati a Nazareth, a Malta, sui mattoni della Santa Casa di Loreto, ad Albano di Lucania e presso la tomba di S. Pietro “muro g”, in Vaticano. Vengono detti paleocristiani o giudeocristiani in quanto, si ritiene, siano stati eseguiti dai Cristiani antichi con l’intento di osservare le pratiche della Legge mosaica che, evidentemente, avevano appreso dagli Ebrei sparsi nel nostro meridione nei primi secoli del Cristianesimo3. Tra la fine del VII e l’inizio dell’VIII secolo torme di coloni e gruppi di monaci e di laici dell’impero bizantino giunsero intorno ad Otranto ed a Rossano, da lì si spinsero per le pendici dell’Appennino venendo su per la Basilicata, la Calabria e il Salernitano, specie nel Cilento. La gran parte di questi immigrati venne a causa delle persecuzioni iconoclaste, specialmente i monaci Basiliani4, renitenti alla teologia imperiale, per cui l’imperatore Leone III l’Isaurico aveva sciolto le loro comunità, aboliti i conventi, sconsacrate le chiese e vietato di vestire il saio. Da allora in poi sorsero molte laure cenobitiche scavate nel tufo, nella quali i monaci Basiliani trovarono il modo di conservare i loro riti e la vita anacoretica. L’eremo, la laura, la cella era il nucleo prima del cenobio o mona21 stero e questo ben presto diventava un casale5. Questi elementi sono presenti nel Vallone di Sperlonga, quali le cinque laure scavate nella roccia calcarea lungo il torrente, esposte a mezzogiorno, ossia rivolte all’Oriente percorso dai primi trasalimenti della grande Luce. In cima alla collinetta, a circa cento metri dalle laure, fu edificata la chiesa iniziale ed al lato sinistro di questa il convento, del quale si notano ancora i resti del muro perimetrale e di quattro celle all’interno. Dietro al convento fu realizzata una cisterna per la raccolta di acqua piovana. Lungo il costone sono visibili le tracce di una stradina acciottolata che portava nel vallone dove fu realizzato un ponticello in pietra per passare all’altro lato del torrente Capojazzo. Qui si notano resti di antiche abitazioni e di un mulino ad acqua dall’aspetto imponente che, sembra sia stato in uso fino ai primi decenni del secolo scorso. All’interno della chiesa, che prende luce da due finestre circolari, si nota nell’abside dietro l’altare un affresco raffigurante la Madonna con bambino, da sempre venerata dalla gente del posto col nome di Santa Maria di Spelonca. Sulla parete di destra altro affresco sembra raffiguri Santa Caterina di Alessandria, mentre sulla parete di sinistra sono raffigurati tre nobili personaggi caratterizzati dall’astratta accentuazione espressiva dei volti, tipica dell’arte bizantina conventuale. IL CALITRANO Non v’è dubbio che anche in questa chiesa si celebrasse il rito costantinopolitano (spesso chiamato in Occidente rito greco), introdotto nel 968 per volere dell’imperatore d’Oriente Niceforo Foca, se ancora nel 1043 il monastero era retto dall’Abate Davide di genere graecorum6. Questi religiosi Basiliani diffusero il culto della Madonna; l’iconografia la rappresentava con il bambino Gesù sulle ginocchia e incoronata di gioielli, secondo l’ideologia imperiale bizantina che si appropriò dell’immagine di Maria nella sua qualità di “Theotokos”, che vuol dire “Madre di Dio, Colei che partorisce Dio”7 ed anche “Theotokos Hodegetria”, “Signora che conduce alla Vittoria, Colei che indica la via”8. Si direbbe che la Vergine fosse maggiormente appellata Santa Maria Scala (di Giacobbe)9, figura di Maria “scala di mediazione” presso il Figlio, se sotto questo nome era venerata a Palomonte ed ancora oggi a Contursi (Santa Maria della Scalella). Inoltre, nell’antica cattedrale di Conza vi era un altare a lei intitolato, legato a benefici di cui si era persa la memoria, che nell’anno 1682 fu fatto rimuovere dall’Arcivescovo mons. Gaetano Caracciolo (Cronista Conzana, 1691); con lo stesso nome è rappresentata la Sua immagine nella cappella del Coro o Tedesca del Santuario di Loreto10. N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 Con lo stesso nome, usualmente detta Madonna della Scala, venne venerata negli insediamenti dei Basiliani, molto identici a quello di cui ci occupiamo, quali quello della contrada Rifoggio a nord-est di Albano di Lucania (PZ), riportato nella bolla di Nicolò II del 1060, distrutto dai saraceni annidati nel vicino borgo fortificato di Pietrapertosa, retto fin verso il 983 dal monaco Joanas11; quello dell’insediamento rupestre nel fondovalle della gravina di Massafra (TA) 12 e quello lungo il vallo del Canal Reale, in contrada Salinelle, a sud di Oria (BR)13. Damiano Pipino NOTE 1 AA.VV., Paleoantropologia e Preistoria, ed. Jaca Book, Cremona, 1993, pp. 20, 96, 215. 2 Radmilli Antonio Mario, Popoli e Civiltà dell’Italia Antica, ed. Biblioteca di Storia Patria, Roma, 1974, volume I, pp. 307, 308, 319, 392; Pipino Damiano, Contursi Eneolitica, ed. Tip. Valsele, Materdomini (AV), pp. 25-29. 3 Santarelli P. Giuseppe, I Graffiti della Santa Casa di Loreto, ed. Congregazione Universale della Santa casa, 1998; Iorio Ruggero, Malta, incontro sulla via di Roma, in Archeologia Viva, ed. Giunti, Firenze, 2000, n. 82, p. 48; Pipino Damiano, Graffiti paleocristiani ad Albano di Lucania, Sicignano degli Alburni e Palomonte, ed. Castrignano, Anzi (PZ), 2000. Calitri 21 gennaio 1963, matrimonio di Lucia Pasqualicchio nata il 14.08.1945 da Giuseppe e da Antonia Caruso e Cosimo Bovio, nato il 27.10.1938 da Lorenzo e da Rosa Cella, da sinistra:Vincenzo Pasqualicchio, fratello della sposa, Rosa Cella, madre dello sposo, Lucia Bovio sorella dello sposo – gli sposi – Antonia Caruso e Giuseppe Pasqualicchio, genitori della sposa. 22 4 N.d.a. Erano monaci osservanti la regola claustrale dettata da San Basilio Magno di Cesarea di Cappadocia (329-379), basata sul lavoro, lo studio della Bibbia e la preghiera. 5 Racioppi Giacomo, Storia dei Popoli della Lucania e della Basilicata, ed. eloescher & C. Roma, 1889, volume II, pp. 93-95. 6 Racioppi Giacomo, op. cit., volume II, pp.96, 128; PIPINO Damiano, Spigolando nella Valle del Sele, ed. Valsele Tip., Napoli, 1981, p. 62 e seg. 7 Pruneti Giulia, Maria e l’eredità delle dee madri, in Archeologia Viva, op. cit., 2005, n. 112, p. 19. 8 Grant Michael, Gli imperatori Romani storia e segreti, ed. Newton & Compton, Roma, 2000, p. 389. 9 La “scala coeli” (scala del cielo) nella visione avuta in sogno da Giacobbe quando da Canaan si portava in Mesopotamia, in Siria. In sogno vide una scala appoggiata alla terra, la cui sommità toccava il cielo; gli Angeli salivano e discendevano per essa. Il Signore appoggiato alla scala gli diceva:”Io sono il Signore Dio di Abramo la terra in cui dormi la dò a te e alla tua stirpe. E la tua stirpe sarà come la polvere della terra; e in te e nel seme tuo saran benedette tutte le tribù della terra” (Genesi 28, 11-14). 10 Santarelli P. Giuseppe, Pellegrini a Loreto, ed. Congregazione Universale della Santa Casa di Loreto, 2004, pp.84-87. 11 Scelzi Mario, Albano di Lucania-storia e cultura popolare, ed. Volonnino, Lavello (PZ), 1986, pp. 39-41. 12 Castronovi archeologa Cosima, Medioevo in Puglia scoperte nella gravina, in Archeologia Viva, op. cit., 2005, n. 110, p. 3. 13 Rampino Riccardo e Benvenuto Antonio, Chiesa della Madonna della Scala - Chiese e laure basiliane, in Oria-il Rione S. Basilio, ed. Italgrafica, Oria (BR), 1986, pp. 45-49. Balconevisi, 29 aprile 2007, dopo tanti anni di fidanzamento, Emanuele Marmeggi e Isabella Bruno di S. Miniato, si sono uniti in matrimonio. Infiniti auguri di felicità dai nipoti Federico e Lorenzo, dai familiari, parenti, amici tutti e dalla Redazione. IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 DIALETTO E CULTURA POPOLARE VINCENZO METALLO NG’ERAN’ NA VOTA I FR’GGIAR’ C’ERANO UNA VOLTA I FABBRI FERRAI a matina quann’ s’aprìa la forgia s’avienna romp’ li car’vun’ s’ a matina quando si apriva la forgia si dovevano rompere i carboluavan’ cu l’attizzatur’, r’ sf’rrusc’n’ r’ lu juorn prima “scorie r’ L ni e togliere con l’attizzatoio i residuati di ferri del giorno prima Lcar’vun’” e s’app’cciava r’ fuoch’, s’ m’ttia n’ picca r’ paglia, roj “scorie e carboni”, si accendeva il fuoco, si metteva un po’ di paglia taccul’ r ‘ leun’, li car’vun ngimma e chian’ chian’ s’agg’rava la ventola fin’ a chi r’ fuoch’ n’ nn’era app’cciat’ e s’accumm’nzava a fat’hà.. Tanta vot’ s’cc’ria ca amment’ chi s’ fat’hava cu r’ fuoch’ v’nia quacche cristian’ cu lu ciucc’ chi avia pers’ nu fierr’, lu star’ avìa lassà quegghj’ chi facìa e avìa scì a f’rrà. La r’meca a matina li cr’stian’ v’nienn’ a f’rrà, la f’rratura era na fatiha delicata, lu mastr’ avìa canosc’ lu per’ e la camm’nata r’ l’animal’, si era necessarij cu lu fierr’ avìa correggere la camm’nata.L’ogna r’ l’animal’ eia fatta: la part’ r’ for’ p’ tutta la circonferenza eia profonda circa nu centimetr’ e miezz’ r’ ogna dura chiamata “muraglia”, la part’ r’ sotta chi apposcia nterra ndov’ s’ mett’ lu fierr’ chiamata “soletta”, la part’ r’ intr’ eia totta part’ viva. U r’scibb’l’ luava i fierr’ vecchj’, lu mastr’ tagliava cu la t’naglia l’ognia cr’sciuta, cu la roina l’apparava; quann’ s’ausava la roina lu huv’t’ avìa ess’ attaccat’ a lu fianch’, s’avìa sta ttient ca si rìa tropp’ fort’ cu la roina p’tìa taglià lu aramiegghj’ a quigghj’ chi t’nìa lu per’, quann’ l’ogna era s’stemata s’ p’gliava lu fierr’ ra cimma a la pert’ca; li chiuov’ eran’ fatt’ ca quann’ s’ m’navan’ avienna assì ra lu lat’ r’ l’ogna, p’ totta sicurezza “s’app’stavan’” s’ chj’cava n’ picca la ponta chi facilitava la curvatura, lu fierr’ avìa ess’ a m’sura r’ l’ogna e avìa assì n’ picca sul’ ra lu lat’ r’ for’, si lu fierr’ era cchiù gruoss’ r’ l’ogna, quann’ era mal’ tiemp’ e ng’eran’ r’ zangh’ l’animal’ nf’ssava e quann’ t’rava lu per’ lu fierr’ r’manìa nda r’ zangh’; ng’era nu tip’ r’ f’rratura a l’abruzzes’ ndov’ lu fierr’ era par’ a la circonferenza r’ l’ogna e n’ nn’erav’ chjcat’ nnanz’. Si quacche bota cap’tava “per errore” s’ m’nava nu chiuov’ cu l’app’statura viers’ intr’, lu chiuov’ anziché r’assì for’ scia viers intr’ e p’ngìa la carna viva, s’avìa luà n’ata vota lu fierr’ cu la roinetta, s’avìa scavà l’ogna fin’ a ndov’ lu chiuov’ avìa punt’, s’avìa disinfettà la ferita e s’ t’rnava a mett’ lu fierr’; si la ferita n’ nn’era difinfettata s’ f’rmava la materia “pus’” che sfuquava tra l’ogna e li pil’ r’v’ntava r’ culor’ viola.; li chiuov’ quann’ eran’ assut’ ra l’ogna s’ chjcavan’ e s’ tagliavan’ n’ picca distant’ ra l’ogna. Quann’ l’animal’ t’nìa la f’rmicula “caria r’ l’ogna”, s’ scavava cu la roinetta fin a la carie, s’ m’ttìa n’ picca r’ polva ra spar’ e s’ ria fuoch’ p’ vr’scìà la carie, tutt’ lu p’rtus’ fatt’ cu la roinetta s’anghìa r’ p’triuol’ p’sat’ (verderame) v’len’ potent’ ca si la f’rmicula n’ nn’era vr’sciata cu r’ fuoch’ m’rìa cu lu p’triuol’ ropp’ s’ m’ttìa la stoppa e ngimma s’ m’ttìa la catrama chi imperneabilizzava la ferita e s’ m’ttìa lu fierr’, quas’ semp’ l’animal’ uarìa. L’animal’ cu l’ogna cr’pata “la serchia” na malatia chi n’ guarìa maj, ndo la stagion’ assutta l’animal’ stìa bb’nariegghj’, quann’ arr’vava la v’rnata cu r’ muogghj s’aggravava, s’ m’ttìa la nzogna nda la cr’patura, ma r’ ggummr’ s’ f’ccava semp’. e un po’ di legna secca con sopra i carboni e piano piano si aggirava la ventola fino a che il fuoco non era acceso e si cominciava a lavorare. Tante volte succedeva che mentre che si lavorava col fuoco arrivava qualche persona con l’asino che aveva perduto un ferro, il fabbro doveva lasciare quello che faceva e e andava a ferrare. La domenica mattina le persone venivano a ferrare, la ferratura è un lavoro delicato, il fabbro doveva conoscere il piede e la caminata dell’animale, se era necessario, col ferro doveva correggere la camminata, L’unghia dell’animale è fatta: la parte esterna per tutta la circonferenza e profondo circa un centimetro e mezzo dell’unghia dura chiamata “muraglia”, la parte di sotto che appoggia a terra si chiama “soletta” la parte interna è tutta parte viva. L’apprendista toglieva i ferri vecchi, il fabbro tagliava, con la tenaglie per le unghie, l’unghia cresciuta, con la roina la pareggiava; quando si usava la roina il gomito doveva stare attaccato al fianco, si doveva stare sttenti perché se si davano colpi troppo forti con la roina c’era il pericolo di colpire colui che aiutava a tenere il piede dell’animale; quando l’unghia era sistemata si prendeva il ferro dalla pertica; i chiodi erano fatti che quando si mettevano dovevano uscire dal lato dell’unghia, per tutta sicurezza “s’app’stavan’” si puiegava un poco la punta che facilitava la curvatura, il ferro doveva essere a misura dell’unghia, doveva uscire un poco solo dal lato esterno, se il ferro era più grande dell’unghia quando era mal tempo e c’era il fango l’animale nfossava e quando tirava il piede il ferro restava nel fango. C’era un tipo di ferratura a “l’abruzzese” il ferro era pari alla circonferanza dell’unghia e non erano piegati davanti. Se qualche volta capitava “per errore” si metteva un chiodo con l’appostatura venso l’interno, il chiodo anziché uscire fuori andava verso l’interno e pungeva la carne viva, allora si doveva togliere un’altra volta il ferro con la roinetta, si doveva scavare l’unghia fino a dove il chiodo aveva punto, si doveva difinfettare la ferita e si tornava a mettere il ferro; se la ferita non veniva disinfettata si formava del “pus” che maturava fra l’unghia e i peli diventando di colore viola. I chiodi quando erano usciti dall’unghia si piegavano e si tagliavano un poco distante dall’unghia e col martello a paletta si piegavano sull’unghia. Quando l’animale aveva la formicola “carie dell’unghia” si scavava con la roinetta fino alla carie, si metteva un poco di polvere da sparo e si dava fuoco per bruciare la carie, tutto il buco fatto con la roinetta si riempiva di petriolo in polvere (verderame) veleno potente, che se la formicola non era bruciata col fuoco moriva col petriolo. Dopo si metteva la stoppa e sopra si metteva del catrame che impermeabilizzava la ferita e si metteva il ferro, quasi sempre l’animale guariva. L’animale con l’unghia crepata “la serchia” una malattia che non guariva mai, nella stagione asciutta l’animale stava benino, quando arrivava l’inverno con l’umido si aggravava, si metteva la sugna nella crepatura ma l’umido entrava sempre. 23 da n. 32 continua - 5 IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 no, oppure strette da una sincera e profonda amicizia e che si ritrovano coinvolti in un pauroso incubo collettivo. Ci sono ben otto vittime per due assassini, ma l’intrigato sviluppo si dipanerà soltanto ritornando al primo omicidio, passando attraverso una vera e propria metanoia che trasforma tutti i personaggi.. Lo stile è scorrevole e di una semplicità che ti aiuta a capire, la dizione chiara, concreta e precisa, insomma ti guida ad una lettura incessante, propria come nei romanzi gialli. L A N OS TRA BIBLIOTECA They Came by Ship – The Stories of the Calitrani Immigrants in America di Mario Toglia. Il “circondario” di Baiano agli inizi dell’Ottocento. Condizioni di vita, economia e popolazione nei documenti della “Statistica Murattiana” di Pasquale Colucci – Comunità Montana Vallo di Lauro e Baianese – Quadrelle 2007. C on la fattiva collaborazione di Josephine Galgano Gore, Richard L. Morris, Mary Margotta Basile, Fred Rabasca e Angela Cicoira Moloney il nostro concittadino Mario Toglia ha dato alle stampe, in lingua inglese, un ponderoso volume di ben 501 pagine, che racconta le storie dei Calitrani emigrati in America. Le ultime 96 pagine riportano tutti i calitrani con nome e cognome, l’età, la nave con la quale sono partiti, la data di arrivo e la destinazione. È stato un lavoro enorme per poter mettere insieme tutte queste notizie e sappiano che Mario Toglia ha dovuto girare per molte città degli USA per chiedere notizie di amici, parenti, conoscenti che gli hanno permesso di portare in porto questo importantissimo lavoro. amico professore Pasquale Colucci (Sirignano 1953), che è L’ socio dell’istituto per la Storia del Risorgimento Italiano e cultore di storia patria, che ha dato alle stampe numerosi studi sulla storia e sul folklore della Bassa Irpinia e che collabora a diverse riviste scientifiche, si è cimentato ultimamente con la presente pubblicazione che si onora, come sempre, di una brillante presentazione di Francesco Barra, docente di Storia moderna e contemporanea nell’Università di Salerno. Tra le province del regno, un ruolo privilegiato occupò, nell’ambito della Statistica murattiana, la Terra di Lavoro, nella quale i lavori andarono molto oltre la fase preliminare di raccolta dei dati, concretizzandosi in una densa serie di relazioni locali e in quella riassuntiva – assai pregevole – di Francesco Perrini. Utilizzando sagacemente questa ricca e preziosa documentazione, Pasquale Colucci analizza in questo volume le condizioni socio-economiche e le strutture demografiche dei comuni del Baianese, all’epoca facenti parte della Terra di Lavoro. Il contributo alla conoscenza del territorio che arrecano i dati, le notizie e le analisi della Statistica murattiana appare, a distanza di due secoli, imprescindibile e di primissimo ordine. E tale considerazione vale sia per lo storico che per l’amministratore, a cominciare, ad esempio, dall’ancora oggi attualissimo problema del dissesto idrogeologico. Ed è per questo che l’agile ma denso volume di Pasquale Colucci si pone non solo come un interessante saggio storico, ma anche come utile ed efficace strumento di lettura del territorio. Irpinia Antica di Emilio Ricciardi - Aracne Editrice – Cittaducale (RI) 2007 on una esauriente e dotta presentazione della professoressa C Maria Raffaela Pessolano, il nostro amico Emilio Ricciardi ha consegnato alla stampa un altra perla delle sue ricerche e dei suoi studi, perché ormai – come scrive la studiosa – solo l’opera degli studiosi locali, da sempre preziosi per la conservazione della memoria di luoghi, storie e tradizioni, ha impedito la scomparsa di molte testimonianze del passato, condannate alla distruzione dallo spopolamento dei paesi, da restauri affrettati e da una malintesa esigenza di “modernizzazione”. Oggetto particolare di questo libro sono venti centri dell’Irpinia letti attraverso le descrizioni dei secoli passati, mettendo a raffronto testimonianze scritte e antiche, e a volte rare raffigurazioni che illustrano di volta in volta le peculiarità del territorio, l’aspetto degli abitanti e le loro attività, corredate da testimonianze archeologiche ed architettoniche che ci fanno conoscere più approfonditamente la realtà effettiva del Principato Ultra. Un libro che l’autore, dottore di ricerca in Storia e dell’architettura e della città, ci fa comprendere e gustare con la sua parola fluida e vivace. (dalla Presentazione di Francesco Barra) L’Arte Sacra in Alta Irpinia di don Pasquale Di Fronzo – Diciassettesimo volume – Edizioni Grappone – Torrette (AV) 2007 – Fuori Commercio. n sedici schede approfondite e debitamente illustrate don Pasquale, come sempre, ci conduce per mano a visitare San MerIcurio martire, la statua dell’Immacolata, il quadro di San Genna- La maledizione e il cerchio che si chiude di Irma Loredana Galgano – Edizioni Duemme grafica - Roma 2007 - Romanzo ro, il monumento di S.Luisa de Marillac e la statua di S. Vincenzo dei Paoli a Mirabella Eclano, la Madonna di Costantinopoli e la Visione di San Tommaso a Gesualdo, la statua di Sant’Emidio e la concattedrale a Conza della Campania, la chiesa dei SS. Pietro e Paolo a Morra De Sanctis, la Madonna del Rosario a Torella dei Lombardi, il culto di San Benigno a Taurasi, le anime purganti a Villamaina, l’organo dell’ex cattedrale a Frigento e infine la statua di san Francesco a Castervetere sul Calore. Con il presente diciassetesimo volume, don Pasquale ci dimostra, ancora una volta di avere molta familiarità con questa zona dell’Irpinia, e degno di nota è il crescente numero di notizie che ci riferisce su queste opere, dimostrando di essere non sol- a nostra giovane concittadina, che ha già al suo attivo delle riLAvellino me giovanili e la partecipazione come finalista ai premi Città di 1996 e Puglia Viva 1996, si è cimentata con il suo primo romanzo giallo che in dieci capitoli di intensa suspence ci racconta una storia intricata ed intrigante con uno stile suasivo, convincente e seduttivo. Come prima esperienza è certamente positiva, i personaggi sono tipi normali come ciascuno di noi, e si ritrovano ad essere pesantemente coinvolti in una vicenda che ha dell’assurdo, ma coinvolge e travolge la vita di tante persone che non si conosco24 IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 Dardano-Melara con la sua faggeta e quello fluviale Sele-Tanagro-Calore in agro di Buccino. Quindi, un ecosistema in cui si integrano storia e natura, per lo più ancora oggi incontaminata, che gli itinerari ci aiutano a comprendere nel suo insieme da Palomonte a Buccino, a San Gregorio Magno, a Ricigliano, a Romagnano al Monte, ad Auletta, a Salvitelle e a Caggiano, in un unico organico itinerario di 7 giorni, o in “itinerari locali”, di cui la diretta esperienza di Andrea Perciato ci indica le difficoltà, i dislivelli, lo sviluppo chilometrico ed i tempi di percorrenze, non senza utili annotazioni supplementari sulle caratteristiche colturali e paesaggistiche dei luoghi. Antonio Capano tanto un antiquario ed un intenditore, ma anche un patriota, un vero irpino, che viene mosso dall’amore per le glorie dei nostri paesi, della nostra amata terra, insomma lo possiamo definire benissimo “il periegeta Irpino”. Grazie ancora don Pasquale e ad maiora semper! Oltre le ‘Nares’. Viaggio nelle terre del Negro… dal Palo al Diano, di Andrea Perciato, Edizioni Arci Postiglione, Salerno 2005, pp. 128 con illustrazioni Autore, dopo gli itinerari escursionistici editi sulle terre del L’ Cilento e degli Alburni, si avvale del solito metodo consolidato da anni di esperienza, per illustrarci l’affascinante territorio, Il libellus di Chicago - Un ricettario veneto di arte, artigianato e farmaceutica (secolo XV), di Adriano Caffaro e Giuseppe Falanga, Edizioni Arci Postiglione, Penta di Fisciano 2005, pp. 176 attraversato dal fiume Tanagro, un tempo detto il Negro per le colorazioni delle sue acque, il quale interessa un’ampia area tra il Vallo di Diano, cosiddetto dalla volgata popolare medievale della romana Tegianum, e l’agro di Palo, cioè di Palomonte, presso la quale, e precisamente in territorio di Contursi, il fiume diventa affluente del Sele. L’articolato aspetto del territorio, attraversato dalla via Capua-Reggio (Calabria), nella quale confluiva, però, presso Castelluccio Inferiore (Basilicata), la via Herculea, conserva ancora molte documentazioni antiche, alcune delle quali sono riportate dall’Autore nelle schede sui principali paesi, che precedono i sedici itinerari, per i quali ricorre ripetutamente il discrimine storico del 1980, anno del terremoto (23 novembre), che ha cambiato, con le sue distruzioni il volto secolare di questi località. A radici preindoeuropee può ad es. farsi risalire, nel nome di Palomonte, il primo termine (o radicale) Pal, che equivale ad altura, mentre errata è l’interpretazione, che l’autore non fa propria, di identificare la località con l’antica Numistrone, che sorgeva, invece, nella contrada S. Basilio di Muro Lucano. Se Salvitelle può avere la sua origine da Selvitelle, cioè “terra di piccole selve”, e se Pertosa si riconduce al pertuso, cioè alla grotta, sede di frequentazioni fin dal Paleolitico e di un antichissimo culto, poi destinato a S. Michele, dall’antica lucana e poi romana Volcei deriva l’odierna Buccino, di cui si illustrano le principali peculiarità; nel cui agro doveva esistere Auletta e il villaggio, che in epoca alto medievale avrà il nome di S. Maria, prima che quello di S. Gregorio Magno, mentre ad i Ricilii ed ai Romani (donde Romanianus) dovevano appartenere i territori, ove si sono successivamente formati gli abitati di Ricigliano, di cui l´autore ricorda, per l’età romana, la villa in loc. Incoronata ed il “Ponte del Diavolo”, o di Annibale, e Romagnano; così come dai grandi proprietari romani, i Caii, proviene Cai-anus, poi Caggiano. Notevoli i resti medievali, a partire da Castelluccio Cosentino, che si fa derivare nell’aggettivo, come Cosentini nel Cilento, dagli abitanti emigrati da Cosenza, oltre che dal piccolo borgo fortificato, documentato fin dal 1097, sorto a presidio degli importanti itinerari di collegamento da un lato con la Campania e la Calabria, come indicato anche dalla presenza di antiche taverne, e dall’altro con la Basilicata e la Puglia. Il culto di S. Nicola, di S. Michele (“S. Miele” in una grotta di Palomonte) e di altri santi di matrice greco-bizantina confermano la ripresa di territori in crisi, grazie all’intervento dei monaci italo-greci, che vi giunsero nel VII-VIII secolo. Le numerose chiese, di cui si ricorda nell’intitolazione ad es. il protettore da pestilenze (S. Sebastiano in Pertosa) o degli animali (S. Vito a Ricigliano), rappresentano, insieme ai conventi (ad es. quelli dei Conventuali e degli Agostiniani di Buccino) il riferimento della fede e dell’assistenza religiosa e sociale. Castelli, torri, palazzi gentilizi, mulini, masserie caratterizzano gli aspetti medievali e di età moderna di un territorio, di cui oggi si apprezzano anche i parchi naturalistici, come il Parco n nuovo e importante contributo per la storia delle tecniche artistiche tra medioevo ed età moderna è il libro di Adriano U Caffaro e di Giuseppe Falanga sul libellus di Chicago, significativo ricettario veneto di arte, artigianato e farmaceutica del XV secolo. Gli autori offrono, con testo latino a fronte e riproduzione integrale del manoscritto originale, la prima traduzione italiana di un antico manuale in uso nelle botteghe degli speziali per il trattamento della pergamena, per la scrittura in oro e per la preparazione dei colori, delle colle e degli inchiostri, nonché per la confezione di alcuni cosmetici e ritrovati medicamentosi. Il testo appartiene alla collana “L’officina dell’Arte”, edita dall’ARCI Postiglione, volta a raccogliere tutta una serie di contributi scientifici sulla storia delle tecniche artistiche. Quest’ultimo libro è il terzo della collana, dopo quelli sul Papiro di Leida e sul trattato De Clarea, il primo curato da Caffaro e Falanga, il secondo dal solo Caffaro. La collana “L’officina dell’Arte”, ideata a diretta dal prof. Adriano Caffaro, storico dell’arte ed esimio studioso di tecniche artistiche, si propone nel panorama della trattatistica sulle arti, e in genere nel campo della letteratura artistica, come un rigoroso percorso per ricostruire la fitta trama di rimandi che lega il momento tecnico-esecutivo dell’opera d’arte ai contenuti propriamente culturali che essa veicola, dunque dalla “materialità” dell’opera, in quanto oggetto fisico, al percorso ideativo e ai contenuti culturali e sociali che l’artista vuole trasmettere attraverso di essa. Possiamo dire, infatti, che la collana va a colmare un vuoto editoriale nel campo del generale studio delle arti in quanto per la prima volta emergono organicamente dalle nebbie del tempo e della memoria saperi e tecnologie che sottendono la stessa nascita delle opere d’arte nella loro consistenza fisica, materiale, e culturale. I testi già pubblicati, e quelli che si aggiungeranno, sono l’evidente segno di una nuova e marcata sensibilità verso la complessa fenomenologia delle arti, viste nella loro totalità, attraverso il recupero di saperi e di manualità che gli artisti da sempre hanno utilizzato per la realizzazione del proprio pensiero visivo. L’introduzione al libellus di Chicago si propone come un vero e proprio saggio sull’organizzazione sociale delle botteghe artistiche e degli speziali, visti come i luoghi naturalmente deputati alla sperimentazione di tecniche di lavorazione e di produzione di materiali necessari anche alla realizzazione delle opere d’arte, i cui saperi non appaiono mai univoci e settoriali, ma sono il risultato di una fitta gamma di conoscenze trasversali che spaziano dall’alchimia alla medicina, alla tecnologia. Il quadro che emerge dalla lettura attenta del testo è variegato, complesso, stimolante, e induce alla riflessione attenta e puntuale sul modo con cui non solo venivano prodotte le opere d’arte, ma an25 IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 ca, di testimoniare le fasi di un lavoro impegnativo e altamente specialistico nel fare bene e nel produrre prodotti di qualità utili, sicuramente remunerativi, anche dal punto di vista economico. A sostegno di quanto testé detto, Caffaro e Falanga, poi, mettono in relazione il libellus con altre opere affini per contenuto, soprattutto utili per la corretta ricostruzione delle tecniche e dei “segreti” degli artisti i cui materiali e ritrovati dovevano essere particolarmente utili, buoni e ricercati, «per la preparazione dei colori e, di fatto, sperimentati personalmente da coloro che li avrebbero custoditi con gelosia» (p. 115). Da ciò emerge anche l’idea della pittura come arte affine alle altre arti liberali, come risultato di tecniche specifiche e di istanze estetiche e culturali precise, con continui rimandi al mondo dell’alchimia, della farmacopea, della medicina e della tecnologia. I ricettari sono in parte anche gli “eredi” di una tradizione trattatistica che affonda le proprie radici nelle grandi “enciclopedie medioevali”. Una parte importante del libellus è dedicata alle ricette per colori, colle, inchiostri ed altri esperimenti pratici. Grande attenzione è dedicata, ad esempio, all’uso dei colori, che accomuna «artisti ed artigiani, pittori e miniatori: il testo ci fornisce indicazioni tecniche preliminari alla realizzazione di manufatti artistici. […] I colori cui si fa riferimento nel ricettario sono l’azzurro, di cui si riporta una gamma apprezzabile di varietà tonali oltre che di formule di composizione, seguito dal verderame, il vermiglione, l’indaco, il minio, il rosso scuro ed il nero» (p. 123). Anche questo libro, come quelli che lo hanno preceduto, è una preziosa e ricca miniera di informazioni, utili per gli studiosi di storia dell’arte, per i restauratori e, in generale, per tutti coloro che s’interessano all’arte poiché contribuisce ad arricchire un bagaglio di conoscenze indispensabili per il corretto studio dei beni culturali, sia in quanto opere fisicamente e materialmente esistenti, frutto di precise scelte tecniche artigianali, che come prodotti della cultura estetica e visiva in generale. Gerardo Pecci che sul ruolo che esse avevano nella società dell’epoca, per esempio attraverso i vincoli contrattuali che i committenti stipulavano con gli artisti o i materiali che dovevano essere usati di volta in volta, a seconda della tipologia dell’opera, del gusto e dell’iconografia. Così “materiale”, “manodopera”, iconografia e vincoli contrattuali davano un valore economico e culturale all’opera commissionata. I trattati, le prescrizioni, e in generale l’analisi dei documenti d’archivio, i contratti pervenutici nel tempo, sono fonti indispensabili per poter meglio comprendere il mondo degli artisti e la loro epoca. Il libellus di Chicago è, sotto questo aspetto, un ricettario che ci fornisce indicazioni utili per capire meglio il mondo delle botteghe d’arte del secolo XV e i metodi di produzione dei manufatti d’arte. Ad esempio, un importante committente spesso pretendeva dall’artista un’opera d’arte di altissima qualità, fatta con i migliori colori disponibili in quel momento: si rivolgeva, naturalmente, ai Maestri più in voga. E un’esauriente disamina dell’ambiente sociale in cui venivano prodotte le opere, con numerosi e puntuali esempi di riferimento, ci fa entrare a contatto con il mondo delle corporazioni artigianali e di mestiere che, con i loro vincoli e regolamenti, custodivano i saperi e le consuetudini tecniche dell’epoca presa in considerazione cioè il XV secolo. Infatti, come «il disegno attesta […] l’ideazione dell’opera, dando ragione dei tratti compositivi originari di un dipinto o di un’applicazione decorativa, così il ricettario informa sull’esecuzione dell’opera, di cui riporta mezzi, materiali e metodi di lavorazione» (p. 12). E proprio il ricettario è il veicolo di unione, il documento scritto, di prescrizione e documentazione, che contiene le conoscenze tecniche indispensabili per la realizzazione delle opere d’arte. Il libellus di Chicago è stato redatto in area veneta e quindi ci informa sulle tecniche usate nell’area geografica e culturale presa in considerazione in quel particolare momento storico. Si tratta di una raccolta di 90 ricette. Il codice fu acquistato dalla Newberry Library da H.P. Kraus nel 1945. La parte centrale del libro di Caffaro e Falanga riporta il testo latino del libellus e la sua traduzione italiana, con numerose note esplicative a piè di pagina ricche di riferimenti ad altre opere e ricettari e ai materiali di volta in volta impiegati dagli artefici dell’epoca, utili a una comparazione filologica in grado di ricostruire un tessuto connettivo che lega le esperienze descritte a quelle coeve e pregresse in campo alchemico, fisico, tecnologico e operativo rintracciabili in altre opere e ricettari dello stesso tipo. Emerge un ricco e variegato quadro storico d’insieme, utile per la corretta comprensione di una civiltà sempre alla ricerca di nuove esperienze e di materiali che hanno segnato il “progresso” delle tecniche artistiche in un arco di tempo ampio, dal mondo tardo antico e medioevale a quello umanistico e rinascimentale. Non a caso i riferimenti a opere e ricettari di epoche lontane segnano l’impalcatura su cui si regge il testo del libellus, ricco di conoscenze pregresse e di sapienza antica. Il successivo capitolo sul libellus e la tradizione ricettaria mette in luce l’eterogeneità dei contenuti dell’opera, in cui i ritrovati naturali e le cose sperimentate vogliono proporsi come «una sorta di manuale utile all’occorrenza nelle più svariate circostanze. Tale doveva essere nell’intenzione dell’autore, o degli autori, come si deduce dai consigli che questi spesso rivolgono in prima persona a chi, artista o speziale, vuole sperimentare nella tecnica artistica, artigianale e farmaceutica» (p. 111). Importante in tale contesto è il ruolo dello speziale, che doveva garantire l’onestà della ricerca unita alla competenza con la quale preparava le sostanze di volta in volta usate, sia nel campo medico che in altri affini. La volontà di lasciare per iscritto le proprie esperienze di ricerca su materiali e metodi testimonia l’importanza di trasmettere conoscenze, competenze e fini del proprio lavoro di ricerca. In fondo vi è la volontà, storica ed eti- Antologia del Premio Nazionale di Poesia “Cluvium 2006” VI edizione – di Michele Sessa e Vincenzo D’Alessio – Edizioni Pro Loco Calvanico (SA) – Fisciano 2007 l Premio Nazionale di Poesia “Cluvium”, proposto biennalmente nella terra che ha dato i natali all’eminente filosofo e teoIlogo Gianfrancesco Conforti (1743-1799), la cittadina di Calvanico (SA, nasce dalla collaborazione tra l’Associazione Pro loco e il Gruppo Culturale “F. Guarini”. La presenza di questo premio nel tessuto nazionale di “poetilandia” si differenzia perchè è nato nella terra meridionale: la terra sottomessa ai politici, alla camorra, alla mafia, alle malversazioni, alle violenze, agli omicidi, all’instabilità economica e sociale, alla precarietà dell’esistenza. Nasce nel Sud massacrato dei terremoti, dalle guerre invisibili che affollano quotidianamente i marciapiedi. Nasce nella terra della continua emigrazione, dell’allontanamento dei giovani appena laureati, nella terra dove la speranza viene uccisa da secoli. La voce dei poeti è come l’acqua sorgiva che la cittadina di Calvanico conserva gelosamente nel sottosuolo: tuona, s’incaverna, spacca, si libera e genera una sorgente viva di vita e di luce trasparente. Questa forza noi la definiamo libertà e sulla libertà di esistere si fonda tutta la scenografia del teatro umano descritto nelle poesie che compongono questo testo. Vincenzo D’Alessio P. S. a questa sesta edizione ha partecipato anche un amico calitrano, il dottore Ettore Cicoira. 26 IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 ra di castità dovesse cessare. E molti lo hanno pensato, ma non Infante che ha affrontato l’attualità di questo strumento di tortura e violenza, che ancora oggi è utilizzato soprattutto nei giochi erotici. A questo punto è importante evidenziare le motivazioni legate all’utilizzo della cintura di castità. Il primo motivo è quello della “limitazione della sessualità” in tutte le sue forme (rapporti sessuali più o meno completi); in secondo luogo è importante la “tutela della propria sessualità” (verginità fino al matrimonio, sicurezza e difesa contro lo stupro, metodo contraccettivo, protezione contro le molestie e l’incesto). Il terzo motivo è legato alle “rassicurazioni proprie ed altrui”, ovvero la liberazione dai sensi di colpa, la dimostrazione al partner della propria fedeltà, l’atto di riacquistare la fiducia dopo aver commesso tradimento. Infine, l’ultima motivazione è quella della “libera scelta”: sessualità libera, come piacere sessuale; accessorio trasgressivo per eccitare chi lo indossa o chi lo osserva; performance sessuale in tutte le sue forme più o meno perverse. Pertanto, dalle forme più coercitive e dalla violenza psicologica si ricorre oggi a scelte più libere che però sono sempre connesse a pratiche, di cui si può discutere all’infinito se sono perversioni, violenze o sfoghi e piaceri sessuali. Infante volutamente non si dilunga su questi aspetti, preferendo digredire sulla violenza e la tortura connesse alle cinture di castità, preferendo parlare di strumenti che negano una sessualità libera, come le forme più aberranti di una barbarie, chiamata “infibulazione”, che rappresenta per l’autore la forma più estrema di mutilazioni sessuali in nome dell’affermazione della castità e della purezza. Pasquale Martucci Antichi e nuovi ricordi della cintura di castità, di Antonio Infante, Edizioni Arci Postiglione, Salerno 2005, pp. 112 con illustrazioni castità e la negazione della sessualità sono state nella storia elementi di coesione di una comunità, i modi utilizzati Lperaglitenere unita la famiglia, per via dei precetti religiosi che hanno imposto all’uomo di rimanere casto e tendere ad una vita ascetica. Ma quando per limitare le pratiche sessuali si fa uso di strumenti che connotano violenza e tortura, allora le cose cambiano e si modifica lo stesso concetto di castità. Il saggio di Antonio Infante si occupa di un attrezzo, la cintura di castità, che in passato ha visto la sottomissione della donna per costringerla alla fedeltà. Questo strumento serviva per difendere la castità delle proprie mogli, sorelle, figlie e amanti durante le lunghe assenze dell’uomo. Infante parte da un racconto del 1990, da un uomo fedifrago che è costretto dalla moglie ad indossare una cintura che racchiude il suo organo sessuale e gli impedisce di provocare gravidanze extraconiugali. Poi documenta il significato della cintura di castità nella storia, dai primi strumenti greci e romani, alle pratiche di castità presso gli arabi, per giungere al medioevo, alle famiglie più o meno nobili che cercavano di mantenere integre le donne, perché le tentazioni erano tante e la gelosia ancora più diffusa. La conclusione del volume è rivolta alla pratica dell’infibulazione, l’inaccettabile crudeltà del duemila. Il libro, scritto da Antonio Infante in modo scorrevole, data la lunga pratica di giornalista e scrittore, è corredato di foto che evidenziano i modelli di cintura, da quelli più rudimentali a quelli più ricercati e pregiati, e si avvale di alcune note introduttive di Eduardo Giuliano che rilevano l’importanza di queste tematiche che non sono state finora affrontate in maniera diffusa e documentata nel nostro territorio. Indubbiamente Infante ha compiuto una operazione intelligente, trattando il problema con le cautele del caso e definendo da subito queste pratiche aberranti, proprio per non ingenerare nel lettore nessuna nostalgia per strumenti definiti “brutali arnesi” e “disumani orpelli”. Dalle testimonianze dei popoli antichi e dai documenti tratti dalla letteratura, dagli esempi di questi attrezzi riportati nel libro con dovizia di particolari, l’autore compie un percorso suggestivo e lineare, legando epoche e fatti e fornendo importanti esempi di cinture di castità. Si sofferma poi su alcune canzoni dialettali cilentane che sottolineano l’uso della cintura di castità nel nostro territorio. Sono canti di supplica affinché l’uomo cessi quella tortura, abbandoni la sua gelosia e ristabilisca la dignità della donna: “torna marito mio, torna patrone. No nge la fazzo chiù a sopportare…”; “chiesto ch’a fatto a me nun è amore ma condanna, chiesto ch’a fatto a me nun è amore ma tortura”. L’autore si pone fin dalle prime pagine del suo volume contro questa pratica, mettendosi dalla parte della donna, nel medioevo considerata una sorta di fantasma di Afrodite, che nasce nuda dalla spuma del mare ed è il grande nemico della moralità biblica, sia di stampo ebraico, cristiano o islamico. Quasi tutti erano infatti convinti che l’amore carnale era la causa prima di ogni disordine civile e politico: allora era indispensabile allontanare la donna e vigilare il suo corpo attraverso uno strumento che ne limitasse la sua affermazione. La castità simbolicamente è paragonata al giglio: il bianco che rende gli uomini simili agli Angeli. È sinonimo di onestà, conservazione, integrità, virtù dell’anima e del corpo. I piaceri sono legittimi solo con il matrimonio ed anche nell’ambito dello stesso occorre che “l’intenzione sia onesta”. Non astenersi dai piaceri carnali, ma sapersi moderare. Con la fine del periodo più oscurantista, con l’affermazione della ragione e dell’illuminismo, si ritenne che l’uso della cintu- Le lettere di Francesco De Sanctis e Pasquale Stanislao Mancini a Benedetto Cairoli di Carmine Ziccardi con Presentazione di Michele Miscia – Delta 3 Edizioni – Grottaminarda 2007. a quello attento, scrupoloso e meticoloso ricercatore che è D Carmine Ziccardi, non potevamo che attenderci un’altro prezioso volume su un carteggio – ancora inedito – fra le due grandi figure storiche meridionali di Francesco De Sanctis e Pasquale Stanislao Mancini, all’indirizzo di Benedetto Cairoli, Capo del Governo nel quale i due politici irpini furono ministri. All’amico Ziccardi, già per anni funzionario dell’Archivio di Stato di Pavia, non poteva certamente sfuggire, nel suo continuo ed instancabile peregrinare per Archivi alla ricerca di documenti sempre nuovi e non indagati, la serie di lettere di questi due politici, illustri conterranei, al responsabile del Governo. Infatti presso l’Archivio Storico Cairoli di Pavia nel Fondo Storico Risorgimentale dell’archivio della famiglia di Benedetto Cairoli più volte responsabile del Governo, Ziccardi ha reperito una ricca documentazione, in parte completamente inedita, che ci fa conoscere meglio, qualora ce ne fosse ancora bisogno, questi politici, pionieri dell’Italia unita i cui ideali sono stati l’impegno politico costante, la passione e la presenza istituzionale in alcuni decenni della travagliata storia del nostro paese, per la costruzione di una società, più giusta, più attenta agli interessi degli ultimi, più libera dai tanti perigliosi condizionamenti. Tre grandi personalità legate fra loro dall’interesse per l’Italia, dai comuni sentimenti risorgimentali e da un’amicizia personale che va ben oltre i rapporti di carattere politico, come si evince chiaramente da questa corrispondenza che segnala, ancora una volta, il ruolo importante dei due nostri conterranei. 27 IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 siamo noi”, promosso dal Ministero della Pubblica Istruzione. I bambini e i ragazzi si sono esibiti nel laboratorio teatrale, successivamente hanno gareggiato con quelli di Bisaccia e Aquilonia e nel progetto alimentare hanno valorizzato il frumento. Vita Calitrana I La scrittrice Loredana Galgano, il pomeriggio di Domenica 20 maggio 2007, nei locali dell’ex ECA ha trattato il tema: La primavera, nel quadro del Tè letterario proposto dalle “Donne per il sociale”. l Comitato dei solenni festeggiamenti in onore dell’Immacolata Concezione e di San Vito martire ha messo in vendita un CD e una videocassetta, della processione al Calvario ripresa il mattino del Venerdì Santo 2007 a Calitri. al 29 giugno 1° luglio 2007 ha avuto luogo a Calitri, negli spazi dell’hotel Ambasciatore, il motoslow organizzato dal locale club Moto Guzzi e dal Slow Food “alta Irpinia” – I partecipanti hanno avuto modo di ammirare i percorsi turistici del territorio irpino, del Vulture e gustare i prodotti tipici della gastronomia locale. l Ministero dei Beni e le Attività Culturali ha promosso la settimana della cultura, dal 19 al 20 maggio 2007, dal titolo “C’è l’arte per te” presso il borgo castello di Calitri. Le visite guidate riguardano la valorizzazione dell’architettura, del borgo, del museo archeologico e del paesaggio. D I Il prof. Francesco Barra, dell’Università di Salerno, il pomerig- I n un incidente avvenuto nel pomeriggio del 27 maggio 2007, sull’autostrada A16 all’altezza di Mirabella Eclano è deceduto Sergio Toglia, mentre era alla guida della sua auto, tornando da Calitri a Napoli. La madre di Sergio, Francesca De Rosa in Toglia, ha riportato ferite così gravi che l’hanno ridotta in coma ed è deceduta il 23 giugno. La moglie di Sergio, Maria Teresa Pecorini in Toglia, è stata miracolata. Sconvolti per quanto è accaduto a questa famiglia di calitrani, manifestiamo il nostro profondo dolore alla signora Maria Teresa e ai figli Francesca e Michele. gio del 27 giugno 2007, ha presentato a Montella (AV) il volume dal titolo: IN NOME TUO – una miscellanea di testimonianze e scritti in onore di Mons. Ferdinando Palatucci – Arcivescovo emerito (1915 † 2005) Dragonetti Edizioni Montella 2007 – curato da Mario Palatucci e Gennaro Passaro. L’ Istituto Comprensivo Statale di Calitri ha organizzato dal 26 maggio all’8 giugno la settimana culturale dal titolo “La scuola I NOVELLI SACERDOTI L a Chiesa di Dio che è in Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia è grata al Signore per il dono delle vocazioni sacerdotali. Sabato 28 aprile 2007, nella Cattedrale di Sant’Angelo dei Lombardi, l’Arcivescovo Mons. Francesco Alfano ha ordinato presbitero il diacono don GIUSEPPE CESTONE, della comunità parrocchiale di “San Canio vescovo e martire” di Calitri (AV). Hanno partecipato al sacro rito tutti i presbiteri dell’Arcidiocesi, i Diaconi, le Suore di Gesù Redentore, la famiglia dell’ordinando, papà Salvatore, mamma Michelina Lucrezia, i fratelli, le nonne, gli zii, gli amici, e poi ancora il Sindaco di Calitri e la Giunta. Nell’omelia l’Arcivescovo ha presentato la figura di Gesù Buon Pastore, esortando ad imparare a riconoscerci tra le pecore che ascoltano il Pastore. Poi ha sviluppato il tema del ministero del presbiterato al servizio della Chiesa, nella comunità dei fedeli. Infine ha esortato il popolo di Dio, convenuto per l’ordinazione, a gioire e nello stesso tempo a pregare per le vocazioni religiose e sacerdotali in Alta Irpinia. Domenica, 29 aprile, a Calitri, il novello sacerdote, ha presieduto nella chiesa parrocchiale, la Santa Messa vespertina, concelebrando con il cancelliere arcivescovile, Mons. Tarcisio Luigi Gambalonga, il parroco, sac. Maurizio Palmieri, e il nonagenàrio, Mons. Michele Di Milia. Al termine della celebrazione ha ringraziato il Signore “per la chiamata al sacerdozio”, la famiglia che 1’ha generato, non solo alla vita ma anche alla fede, la comunità parrocchiale di Calitri che con tanto amore lo ha sempre sostenuto, negli undici anni di studio, presso il Seminario di Salemo, poi al Pontificio Seminario Interregionale di Posillipo -Napoli e attualmente lo sostiene per la specializzazione in Pastorale giovanile, presso Pontificia Università Salesiana di Roma. Ha concluso ricordando in modo particolare i Parroci, don Raffaele Gentile, Mons. Mario Malanga e don Siro Colombo di venerata memoria, e il carissimo don Maurizio che lo hanno guidato nel corso degli anni fino all’altare. Altra festa di giubilo per la comunità di San Francesco a Folloni - Montella, il 14 aprile 2007 a Napoli, l’Arcivescovo mons. Francesco Alfano ha ordi- nato presbitero il frate conventuale, architetto, Antonio G. Vetrano. Questi ha celebrato la prima Eucaristia nella monumentale chiesa del Santuario francescano di Montella, Domenica 15 aprile, alla presenza di tantissimi fedeli, oltre ai genitori, i parenti e gli amici. I l Diacono don ENZO CIANCI è stato ordinato sacerdote, nella Cattedrale Primaziale di Salerno, dall’Arcivescovo S. E. Gerardo Pierro, insieme ad altri cinque presbiteri, il pomeriggio del 30 giugno 2007. Ha celebrato la prima S. Messa nella Parrocchia di San Bartolomeo Apostolo e S. Matteo Evangelista in EBOLI, alle ore 18 di domenica 1° luglio. Il giovane sacerdote durante la concelebrazione è stato presentato alla comunità dall’anziano Parroco, don Ferdinando Sparano, il quale ha ringraziato la comunità di Calitri per il dono ricevuto e i genitori che l’hanno generato, fatto studiare e avviato al sacerdozio. Prima della benedizione finale don Enzo ha ringraziato i convenuti, la famiglia, i vari parroci di Calitri, di Campagna (SA), in modo particolare don Marcello Scanzione, don Ferdinando, la comunità di Eboli e tutte le persone che negli anni l’hanno accolto e sostenuto. A Calitri don Enzo ha celebrato la prima Eucaristia nella Chiesa Madre di San Canio, alle ore 18.00 di sabato 7 luglio. Nella sala delle comunità parrocchiali di San Canio e di San Bartolomeo, don Enzo ha festeggiato insieme agli amici e al popolo di Dio, convenuto per l’occasione, con un ricco buffet e il taglio della torta. Infine ha distribuito il ricordino con il seguente motto: “Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore “. (Mt 11,29) – Il neo sacerdote è nato a Calitri nel 1972, da Gaetano e Lucia Natale, secondo di tre figli, dopo avere conseguito con il massimo dei voti la Maturità di Arte Applicata “sez. Disegnatori di architettura e arredamento” presso l’Istituto d’Arte “S. Scoca” di Calitri, ha frequentato la Facoltà di Architettura a Milano, dopo “la chiamata” abbandona gli studi artistici per entrare nel Seminario “Giovanni Paolo II” di Salerno, pronto per l’ordinazione presbiterale, al servizio della Chiesa di Dio che è in Salerno-Campagna-Acerno. Vito Alfredo Cerreta 28 IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 SOLIDARIETÀ COL GIORNALE Zabatta Antonio (Nova Milanese), Zampaglione Angela (Roma), Buldo Antonia (Varallo Pombia), Grieco Aldo (Grosseto), Capossela Giuseppe (Genova Pontex), Lucrezia Raffaele (Cesano Maderno), Mazziotti Antonietta (Santa Marinella), Lotito Vincenzo e Nesta Rosetta Maria (Foggia), Famiglia Zazzarino (Caramagna), Maffucci Angelomichele (Lissone) Euro 22:Tozzoli Giandomenico (Roma) Euro 25: Melaccio Amalia (Padova),Abate Michele (Roma), Galgano Vincenzo e Rosaria (Melfi), Farese Raffaele (Conza della Campania), Cubelli Tonino (Bologna), Pastore Elio (Taranto), Gautieri Vito (Acqui Terme), Nivone Antonio (S. Angelo dei Lombardi), Galgano Angelo Maria (Salerno), Vallario Giuseppe Nicola (s. Miniato Basso), Frasca vincenzo (Roma), Castagna maria Teresa (Roma), Scoca Pasquale (Lavena Ponte Tresa), Pasolini Italo (Napoli) Euro 26: Salvia Giuseppe e Acocella Marilena (Reggio Emilia) Euro 30: Margota & Nicolais (S.Donato M.se), Galgano Antonio (Poggibonsi), Codella Vito (Cremona),Acocella Francesca (Napoli), Nappi Gaetana (Bergamo), Salvatore Lucia (Montaione), Di Milia michele (Gallarate) Euro 40: Di Maio Giuseppe (Caserta), Galgano Giovanni (Milano) Euro 50: Messina Giuseppe (Roma), Di Milia Giuseppe (Milano), Messina Giuseppe (Roma), Armiento Michele (Torino), Maiello Savino (Aprilia), Cerreta Donato (Teramo),Tuozzolo Donato (Roma), Galgano Anna (Milano), Marra Raffaele (Caserta), Zampaglione Canio (Roma) Euro 100: Zarrilli Canio (Parma) DA CALITRI Euro 10: Cirminiello Angelomaria, Lucrezia Enza Euro 15: Nivone Giuseppe, Calabrese Maria Lucia, Maffucci Angelomaria (via Circonvallazione 9), Cioffari Lucia, Metallo Canio e Di Milia Rosa Euro 20: Zarrilli Vittorio e Michelina, Simone Pasquale, Di Cecca Russo Giuseppina Euro 25: Miranda Pasquale Antonio Euro 30: Nigro Giuseppe Euro 50: Basile Vincenzo DA VARIE LOCALITÀ ITALIANE Euro 5: Iannella Rosa (Avellino), Cesta Lucia (Cornale) Euro 9: Metallo Vincenzo (S. Giovanni V.no) Euro 10: Russo Luciana (Lentate S.S.), Colucci Pasquale (Sirignano), Ricciardi Fernando (Conegliano), Manzoli Ascanio e Flavia (Genova), Lantella Salvatore (Torino), Senerchia Giuseppe (Firenze), Zabatta Francesco (Roma), Cianci Giacinta (Treggiaia), Zarrilli Luigi (Poggibonsi), Cianci Michele (Mariano Comense), Cianci Francesca (Roma), Di Cairano Antonio (Guidonia), Pasqualicchio Luigi (Figino Serenza), Nicolais Maria Giuseppa (Cairano), Martiniello Orazio (Caselle Torinese), Restaino Giovanni (Poggio Berni),Acocella Ada (Castelfranci) Euro 15: Margotta Franchino (Olgiate Comasco), Simone Vincenza (Maddaloni), Donatiello Giovanni (Usmate Velate), Studio Commericlae Di Cairano Mario (Colleverde), Zabatta Vincenzo (Lentate S.S.) Euro 20: Cerreta Guerino Antonio (Cesinali), Ferrara Teodora (Pescopagano), Metallo Alessandro (Caronno Pertusella), Zabatta Antonio (Savio di Cervia), Nannariello Rosellina (Genova), Maffucci Vincenzo (Brignano), DALL’ESTERO OLANDA: Euro 26 Tozzoli Zylstra Ella SVIZZERA: Euro 310 Associazione Lavoratori Calitrani Emigrati in Svizzera, Euro 5 Jannece Sonia e Terry CANADA: Euro 40 Sacino Giuseppe LETTERA AD UN VIGILE DELLA SPERANZA Caro zio Peppino, è così che amavi farti chiamare ed è così che io ti invoco sempre nei miei pensieri. Era doveroso per me ricordarti in questo modo perchè ora che non puoi più ascoltare le mie parole, spero ti arrivi lo spirito che le ha mosse. E tu di certo non mancavi di parole da regalare a chiunque, parole a volte dirette, altre volte dure, ma sempre sagge e avvolte di dolcezza, riso e ottimismo. Un ottimismo speranzoso che ti ha sorretto nella tua faticosa vita, fatta di appassionato e duro lavoro, fino alla tua sventurata morte. Proprio di questa, tuttavia, ti sei servito per donare incondizionatamente e gratuitamente speranza, coraggio e rispetto dei buoni sentimenti e dei saggi valori della vita, ma talora anche silenziosa indifferenza verso chi li derideva. Ricordo la nostra ultima telefonata quando tu, sebbene giacente in ospedale nel calvario delle tue sofferenze, mi hai ripetuto, con voce tuonante, che la tua amata vigna aveva bisogno di braccia forti, così come il mio adorato lavoro, lontano da casa e da te, aveva bisogno di grinta, la stessa che usavi tu in campagna, al solo tocco della zappa. Già consapevole della tua imminente morte, un’ultima volta hai voluto anteporre i bisogni del tuo prossimo ai tuoi, pronto a lottare contro il volto oscuro della malattia non con lo scudo della commiserazione, ma con il delicato fiore dell’altruismo e amore caparbio per la vita. Ancora il tono e il suono vigoroso di queste tue raccomandazioni mi accompagnano oggi, caro zio, risuonando nella voragine del dolore in cui la tua perdita ci ha condotti. La tua umiltà e la tua saggezza, sempre volte a mascherare le smorfie del dolore della tua malattia, sono state e saranno da esempio per la tua famiglia: per tua moglie, per i tuoi figli, per il tuo piccolo nipotino Daniele, nei cui occhietti vispi hai infuso sin dalla sua nascita il tuo attaccamento alla vita, e in particolare per me, zio Peppino, nella speranza di serbare per sempre nelle corde del mio cuore, preziose, le gocce di saggezza che il tuo animo stillava, affinché anche ora che ci guardi e ci sorridi dall’alto, ti giunga, in cambio, come vento caldo, questa ventata di amore eterno per te. Ciao zio, ti voglio bene e... Forza Napoli! Valeria Capossela 29 IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 MOVIMENTO DEMOGRAFICO Rubrica a cura di Anna Rosania I dati, relativi al periodo dal 23 marzo 2007 al 14 giugno 2007, sono stati rilevati presso l’Ufficio Anagrafe del Comune di Calitri. NATI Bavosa Naomi di Antonio e di Buscemi Maria Agnese Russo Maria Ludovica di Giuseppe e di De Nicola Rosetta Cestone Marco di Canio e di Frino Maria Pompea Gautieri Marialisia di Vito e di Fiordellisi Giuseppina Beltrami Franco di Romolo e di Grieco Lucia Porrari Beatrice di Giuseppe e Di Maio Amalia Tamoudi Salma di Asmail e di Oufaska Latifa Margotta Ivan Salvo di Giuseppe e di Lembo Fabiola 23.03.2007 27.03.2007 06.04.2007 06.04.2007 21.04.2007 24.05.2007 08.06.2007 08.06.2007 MATRIMONI Di Cecca Luigi e Fiordellisi Enza Acocella Attilio e Di Cecca Emanuela Zarrilli Michele e Cirminiello Patrizia Maffucci Angelomaria Gerardo e Di Cosmo Gessica Cornacchia Franco Gerardo e Di Tolve Rosa Pascium Michele e Merola Lucia Lucrezia Michelangelo e Cianci Nicolina Mare Sebastiano e Borea Silvana Pecora Angelo e Nappo Lucia 31.03.2007 21.04.2007 26.04.2007 28.04.2007 30.04.2007 05.05.2007 12.05.2007 19.05.2007 19.05.2007 MORTI Acocella Giovanni Munari Angela Lucrezia Franco Strollo Gaetano Fatone Canio Cestone Vincenzo Galgano Salvatore Gallucci Angela Leone Antonio Senerchia Giuseppe Zabatta Vincenzo Ricciardi Antonio Covino Raffaela Cestone Vincenzo Cioffari Ada Rosina Gallucci Massimo Cardarelli Gesilda Maria De Nicola Eva Pagliarulo Angela Fierravanti Giuseppe D’Elia Pasquale Gautieri Grazia Tancredi Lucia Casale Nicola Cianci Giuseppe Di Carlo Concetta Vallario Luisa 02.10.1913 - † 16.10.2006 16.10.1932 - † 27.12.2006 26.09.1960 - † 04.01.2007 11.11.1930 - † 05.01.2007 11.03.1920 - † 03.03.2007 30.04.1916 - † 07.03.2007 02.01.1919 - † 18.03.2007 06.09.1919 - † 18.03.2007 03.03.1922 - † 26.03.2007 22.03.1921 - † 31.03.2007 01.12.1925 - † 12.04.2007 19.08.1930 - † 13.04.2007 11.11.1908 - † 19.04.2007 24.09.1929 - † 26.04.2007 23.02.1925 - † 27.04.2007 01.01.1963 - † 29.04.2007 18.09.1916 - † 01.05.2007 16.09.1914 - † 08.05.2007 23.05.1943 - † 15.05.2007 11.12.1924 - † 26.05.2007 28.08.1937 - † 27.05.2007 23.10.1917 - † 29.05.2007 03.04.1935 - † 29.05.2007 25.03.1913 - † 31.05.2007 31.03.1916 - † 07.06.2007 24.08.1908 - † 11.06.2007 12.01.1915 - † 14.06.2007 30 Fatone Rosa Lucia 25/10/1907 † 24/01/2007 ancora adesso, a circa 3 mesi dalla sua scomparsa mi è difficile pensare a lei come a qualcuno che non c’è più, chi ha avuto modo di conoscerla comprenderà il mio stato d’animo. Di lei ricordo tante cose, ma ciò che non dimenticherò mai sono alcuni episodi tipo la gente mi domandava “a chi’ appartien’?” e io “so’ figlia a Michele Russo” ma nessuno capiva a quale dei tanti Russo io “appartenevo”, allora rispondevo “SO N’POT A ROSA LUCIA R’ FATON…!” e qui tutti hanno sempre risposto allo stesso modo “n’ r’ ptiv ric prima’” Mia nonna è sempre andata fiera di questo! Ha sempre vissuto nella sua amata CALITRI fino all’età di 94 anni,dove tutti la conoscevano. Poi abbiamo a malincuore dovuto portarla qui a Mariano Comense con noi. Non passava giorno, in cui non parlava della sua Calitri, r’u v’cnanz, r’a Maronna e Sant Canij’… Le sue mani hanno saputo essere forti e capaci, quando c’era da lavorare la terra e dare governo agli animali, e abili e delicate nel lavoro all’uncinetto. Tant’è vero che io il corredo “U’ prim’ Liett’ e la naca” c’è l’ho tutto ricamato a mano da lei. Avrei voluto portarla a rivedere Calitri un’ultima volta … il 24 gennaio 2007 è ritornata a casa. Ciao Nonna F.to a’ n’pot r’ Rosa Lucia Calitri 1945, Ernesto e Maria Gautieri insieme a Vincenzo Fastiggi (halecchia). Nessuno muore sulla terra finché vive nel cuore di chi resta. I nipoti e i parenti tutti. IL CALITRANO N. 35 n.s. – Maggio-Agosto 2007 R E Q U I E S C A N T P A C E Annamaria Grazia Mazziotti 21.06.1956 † 04.07.2005 Orazio Cubelli Calitri 19.09.1925 † Napoli 09.04.2007 Italo Rabasca 31.03.1912 † 25.07.2006 Ci hai lasciato il tuo sorriso, in casa tesoro della mamma, sei tutta la mia vita. Abbiamo contemplato, o Dio, le meraviglie del Tuo amore. (Salmo 117) Lucia Zarrilli 01.11.1926 † 16.05.1996 I N Gaetano Nigro 15.03.1919 † 17.11.1996 I giusti vivono per sempre, la loro ricompensa è presso il Signore Angela Senerchia 01.11.1936 † 15.05.2006 Dopo 10 anni dalla vostra scomparsa Vi ricordiamo con immutato affetto. I vostri cari. Beati i miti, perché erediteranno la terra. La memoria del giusto sarà benedetta Berardino Melaccio 19.06.1914 † 03.09.1965 Regina Massari 21.01.1926 † 13.03.2007 I figli sono dono del Signore, mercede e il frutto del vostro amore. (Salmo 127) Angelo De Nicola 05.02.1916 † 22.06.1975 Le figlie Amalia e Lella Il tuo ricordo è la nostra vita Maria Antonia Di Napoli 27.10.1916 † 04.06.2001 Francesca Fastiggi 19.10.1936 † 06.12.2005 Il marito Francesco, i figli Michele, Canio e Angelo e le nuore Maria e Anna la ricordano con l’amore di sempre. I necrologi di norma vengono pubblicati nel mese in cui ricorre il decesso, ad esclusione di quelli avvenuti nell’anno in corso, e in quello precedente Giuseppe Di Cecca 14.03.1914 † 17.06.2001 Vincenzo Zazzarino Calitri Caramagna (CN) 14.02.1915 † 08.06.2006 L’eterno, il vostro Dio, sarà sempre con Voi. La figlia Maria. La mia difesa sta in Dio, che salva i cuori puri. (Salmo 7) Pasquale Galgano (mangiaterra) 06.05.1902 † 20.01.2001 Michele Caruso 16.12.1905 † 29.11.1968 I figli Maria, Francesca, Michelina e Donato lo ricordano con l’amore di sempre. Maria Grazia Di Napoli 15.03.1913 † 22.09.1984 Il Signore conosce quelli che sperano in lui. (Nahum I - 7) Pasquale Zabatta (C’cchett’) 30.05.1912 † 06.09.1999 Mi cercherete e mi troverete, perché mi avete cercato con tutto il vostro cuore (Geremia XXIX - 13) È un servizio “Gratis”. 31 In caso di mancato recapito rinviare all’Ufficio Postale di Firenze CMP per la restituzione al mittente previo pagamento resi Calitri 14 agosto 2006, festa dei quarantenni, ultima fila da sinistra: Enza Zarrilli (mafiosa), Franca Di Cairano (stella), Angela Di Cecca (sciard’nera), Lucia Margotta (hraziuccia r li P’ppun’) con occhiali scuri, Enza Gautieri (tart’legghia) si vede appena, Lucia Pasqualicchio (menghj), Zoia Chirai (moglie di Canio Scatozza); penultima fila: R.Agnese Strollo (parmaregghia), Pasqualina Metallo (baccalà), Enza Maffucci (spaccac’pogghj), Maria Stanco (fiorin’), Immacolata Di Roma (chiechieppa), Flavia Aristico (t’mbesta), Anna Patrissi (mangiaterra), Pina Del Cogliano (gliaglià), Annamaria D’Alò (p’zzaregghia), Margherita cappiello (rap’nes’),Vita Gallucci, Luciana Galgano (patr’nett’); terzultima fila: Enrico Ricigliano, Canio Maffucci (zacanij), Benedetto Cestone (r’nzin’), Canio Cestone (u’ musc’), Giuseppe Donatiello (mangialard’); quartultima fila: Antonio Russo (nzeppa), Giuseppe Di Milia (paparul’), Michele Lombardi (M’n’cucc’), Luigi Zarrilli (zl), Michelangelo Cestone (pank’losc’),Vito Martiniello (lancier’), Giuseppe Codella (pupatella),Vitantonio Codella (Curella); seconda fila: Canio De Rosa (babbeo), Canio Viglioglia, Francesco Margotta (capp’tiegghj), Canio Di Napoli (napp’licchj),Vito Maffucci (strunz’),Vitantonio Leone (scisc’l’), Pietro Maffucci (casier’),Vincenzo Galgano (ndist’); prima fila: Franco Di Guglielmo (m’ron’), Leonardo Margotta (spaccapret’), Pino Galgano (rapida),Vito Cestone (C’stun’), Giovanni Panniello (Carm’nucc’),Vito Zarrilli (chiancon’), Giovanni Ramundo (l’cces’), Antonio Nicolais (ngrassacan’).