Beati i costruttori di pace - Azione Cattolica Italiana di Siracusa

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Beati i costruttori di pace - Azione Cattolica Italiana di Siracusa
2010/
2011
“Beati i costruttori di
pace”
Educare alla pace
Appunti per i catechisti
UFFICIO CATECHISTICO DIOCESANO
ARCIDIOCESI DI SIRACUSA
2010/2011
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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Premessa
«La pace nasce nella coscienza e lì si alimenta, si custodisce, si difende si mantiene. È il compito
dell’educazione alla pace, che richiede un continuo lavoro su di sé, per diventare persone di pace e operatori
di essa nel proprio ambiente di vita»1.
I destinatari di questi “appunti” per un possibile itinerario di educazione alla pace sono i catechisti
dell’iniziazione cristiana dei ragazzi.
Non contengono indicazioni dettagliate sui tempi e sul modo di introdurre i nostri ragazzi alla
comprensione del significato della pace e alla necessità di impegnarsi per essa. Si desidera, invece, fornire
ai catechisti un quadro essenziale di riferimento per se stessi, per avere in prima persona una idea
profonda del perché i discepoli di Gesù debbano essere “operatori di pace”. Occorrerà quindi una
mediazione che i catechisti, nei diversi contesti in cui operano, dovranno compiere. Non si presentano idee
originali, si richiamano semplicemente alcune linee fondamentali della Bibbia e dell’insegnamento del
magistero conciliare e pontificio, accompagnato da un magistero di vita, la testimonianza viva di chi si è
impegnato in prima persona a vivere il Vangelo della pace di Gesù.
Per questo in un primo punto si delinea brevemente il quadro biblico di rifermento; in un secondo si
ripropongono i testi della Costituzione conciliare Gaudium et Spes e l’Enciclica di Giovanni XXIII Pacem in
terris, la testimonianza del vescovo Tonino Bello e di Giorgio La Pira; in un terzo punto si delineano alcune
linee pedagogiche. In una breve appendice si riportano il cap. V di Gaudium et Spe, alcuni brani della Pacem
in terris e alcuni passaggi degli scritti di mons. Tonino Bello e di Giorgio La Pira.
L’utilità di ritornare ancora a considerare la pace come bene e dono prezioso da accogliere e
custodire, secondo le parole di Gesù, che la liturgia conserva vive nella memoria di tutti nella liturgia della
chiesa: “Vi do la pace, vi do’ la mia pace, …”, non è difficile da comprendere. A conclusione dell’incontro di
preghiera di Assisi, voluto da Giovanni Paolo II, il Papa nel suo discorso conclusivo, dopo aver ricordato che
la pace porta il nome di Gesù Cristo, che quindi la sua fede contiene costitutivamente l’annuncio della pace,
si dice “pronto a riconoscere che i cattolici non sempre sono stati fedeli a questa affermazione di fede” [Il
testo del discorso si può leggere nella rivista Il Regno 21 (1986) 642-644]. Per fedeltà al Vangelo di Gesù e
solo per questo siamo chiamati ad annunciare sempre e mai in modo occasionale la pace e ad educare ad
essa, proclamando ciò che Gesù stesso ha insegnato ai primi discepoli.
1
P. Bignardi, Educare alla pace, in Segni di pace, a cura di G. Di Santo, A. Martino, F. Zavattaro,
AVE, Roma2003, 9
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1. Un percorso biblico
Cominciamo con un racconto della tradizione ebraica.
Rabbi Shimon ben Lakish disse:
La pace è grande, poiché, per promuovere la pace tra Giuseppe e i suoi fratelli,
la Scrittura si servì di parole inventate.
Quando il padre morì, i fratelli temettero che Giuseppe sfogasse su di loro la
sua vendetta. Perciò gli dissero (Genesi, 50,16s.): «Tuo padre prima di morire
ha dato quest’ordine: ‘Così direte a Giuseppe: Perdona i tuoi fratelli ecc’»
Ma noi non troviamo in nessun passo della Sacra Scrittura che nostro padre
Giacobbe avesse effettivamente dato tale ordine. La Sacra Scrittura si serve qui
di parole inventate per la pace2.
Questo racconto ci suggerisce due cose importanti. Innanzi tutto che la pace è
veramente una condizione fondamentale della vita delle persone e dei popoli, al
punto che la Scrittura stessa ―inventa‖ le parole pur di conseguire la pace. In secondo
luogo che la pace richiede un impegno, diventa un dovere da compiere. ―Inventare‖
le parole potrebbe essere inteso, infatti, nel senso del costruire una cultura di pace e
quindi come un impegno ad educare alla pace.
C‘è però anche un terzo significato che emerge ad una lettura attenta.
―Inventare le parole‖ per conseguire la pace tra Giuseppe e i suoi fratelli rinvia a
qualcosa di gratuito, di semplicemente donato e da accogliere. Non la volontà di
Giuseppe viene invocata, ma quella del padre morto.
Nella Bibbia, considerata nel suo insieme, in verità emergono due dimensioni
fondamentali della pace: la pace come dono e la pace come impegno.
―Pace‖/shālōm è il saluto per antonomasia. Lo shālōm non è, infatti, semplice
assenza di conflitti e di guerra, ma benessere della persona, pienezza di beni materiali
e spirituali. Una persona pacificata è una persona che vive compiutamente la sua vita.
Da questa armonia interiore deriva una relazione pacifica con gli altri.
Il superamento dei conflitti e della guerra suppone questa condizione
individuale. La pace è un desiderio così profondo della persona umana che l‘era
messianica sarà contrassegnata dalla pace universale.
La pace non è dunque solo assenza di guerra o di tensioni, ma l‘intesa cordiale
(1 Re 5,26; Mc 9,50; At , 26; Rm 12, 18; Ef 4, 3; Gc 3, 18), fondata sulla capacità di
ascolto, resa possibile dal Dio della pace che instaura il suo Regno (Sl 85, 9-14; Rm
14, 17; 2 Cor 13, 11) e che annuncia il suo Messia, principe della pace (Is 9, 5s.; Lc
1, 79; 2, 14; 19, 42; At 10, 36; Ef 2, 17; 6, 15).
Un posto speciale occupa Gesù Cristo, che mediante il dono di sé, riconcilia gli
uomini con il Padre e tra di loro (Ef 2, 14-22; Col 1, 20; Ap 1, 4; cf. 2 Cor 5, 18-20).
La pace che Gesù ci dona non è come quella del mondo (Ger 6, 14; 8, 11; Mt 10, 34
// Lc 12, 51; Gv 14, 27), ma è quella che accompagna il dono dello Spirito Santo (Gv
2
Da Deuteronomio Rabbah, Shofetim, 15, ed. Liebermann, p. 102; cit. in “i nostri maestri
insegnavano …”, Storie rabbiniche scelte da Jakob J. Petuchowscki, Morcelliana, Brescia 1983, 92
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20, 19-33; Gal 5, 22) e che resiste anche nella persecuzione (Gv 16, 33). Così il
cristiano ―costruttore‖ della pace (Mt 5, 9), ama augurare la pace, anche nel saluto
(Lc 7, 50; 10, 5; Rm 1, 7; 1 Cor 1, 3; 2 Cor 1, 2; Ga 1, 3; Ef 1, 2; Col 3, 15; 1 Pt 1, 2;
5, 14).
Come ―iniziare‖ i ragazzi al senso biblico della pace? Un testo significativo da
cui partire può essere proprio Mt 5, 9:
«Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio».
Si possono mettere in relazione i due termini di questa famosa ―beatitudine‖:
costruire la pace, essere chiamati figli di Dio. Partendo dall‘essere chiamati, essere
cioè ri/conosciuti, avere una paternità, e quindi dal significato che nella Bibbia ha la
paternità di Dio, si giunge al legame che c‘è tra l‘essere costruttori di pace e non
essere più anonimi, l‘avere cioè un nome, essere capaci di relazioni significative.
«Gli ―operatori di pace‖ della settima beatitudine (Mt 5,9) richiamano
soprattutto, nella tradizione ebraica, coloro che si impegnano nella riconciliazione
del prossimo: coniugi o amici in disaccordo, genitori e figli. Un versetto della
Mišnah accosta significativamente ―il rispetto del padre e della madre, le opere di
misericordia, mettere pace tra un uomo e il suo prossimo …‖ e, sulla base di Ml 3,
243, attribuisce a Elia, quando egli tornerà, una missione di artefice di pace.
Nella filiazione, i semiti scorgono un‘identità profonda col padre e una
completa dipendenza nei suoi confronti. Ora, gli artefici di pace assomigliano a Dio,
promotore stesso della pace (cfr. Sal 85, 9-14). Per questo motivo ―Dio (passivo
teologico) li chiamerà suoi figli‖ conferendo loro una dignità sublime; come spesso,
nella Bibbia, un personaggio ―è chiamato‖ con un nome nuovo (cfr. Gn 17, 5; Mt 16,
17-19; anche Fil 2, 9 per il Risorto)»4.
Il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, infatti, è il Dio della pace, egli
medita ―progetti di pace e non di sventura‖ (Ger 29, 11). La pace è un bene divino,
come la giustizia e la verità; un dono di salvezza che l‘uomo deve trasmettere agli
altri. Lo può fare nella vita quotidiana, riavvicinando i cuori divisi con un piccolo
gesto, spegnendo gli odi, con una parola di riconciliazione. Sono proclamati beati,
perciò, tutti coloro che si impegnano per la pace sia a livello di rapporti
interpersonali, sia livello di rapporti tra i popoli.
Questo impegno, per la Scrittura. è possibile se si ricostruisce la pace tra Dio e
gli uomini. Proprio questo è lo scopo peculiare di ogni ministero apostolico, il quale,
secondo la parola di san Paolo, altro non è che ―ministero di riconciliazione‖ (2 Cor
5, 18-21). Ora, tutti i cristiani sono chiamati ad essere apostoli di pace, così da essere
chiamati ―figli di Dio‖, vivere cioè in piena comunione di vita con Dio, amore
personale come tra padre e figlio, intimità di vita con il Dio infinitamente santo. La
promessa di essere chiamati ―figli di Dio‖ si realizza fin da ora, anche se in
partecipazione, ma vale da subito, in modo reale e vero, ciò che san Giovanni dice di
noi nella sua prima lettera: ―Chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente‖ (1 Gv 3, 1).
Un altro testo fondamentale è quello di Ef 2, 14-18: Gesù è la nostra pace!
Questa espressione significa che professare la fede in Gesù Cristo vuol dire
riconoscere in Lui l‘avvenimento in cui si è operato uno ―scambio‖ tra Dio e ogni
persona umana; Lui si è fatto peccato perché noi diventassimo giustizia di Dio in Lui.
3
«Ecco, io invierò il profeta Elia … egli convertirà il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli
verso i padri».
4
C. T ASSIN, Vangelo di Matteo, EP, Cinisello Balsamo 1993, 71
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Dire che ―Gesù è la nostra pace‖ significa, ancora, che con Lui si è realizzato
nella storia uno spazio di accoglienza radicale, in cui l‘ ―altro‖ è accolto nella sua
diversità prima ancora di ogni sua risposta. Qui sta l‘essenza della ―buona notizia‖,
del vangelo, che siamo chiamati ad annunziare: la giustizia di Dio ci giustifica non
per nostri meriti, ma per l‘immensità del suo amore. Per questo si può affermare che
la fede cristiana è nella sua stessa natura originaria annuncio di pace.
Bisogna subito riconoscere, comunque, che storicamente i cristiani non sono
stati fedeli a questo vangelo di pace, come lo stesso Giovanni Paolo II fece ad Assisi.
Dal punto di vista teologico, però, è indubitabile che la ―pace‖ sia una dimensione
essenziale della fede cristiana.
Se ogni persona, infatti, è accolta da Dio in Cristo, di una accoglienza
incondizionata, come potrebbe essere diversamente per i credenti in Lui? Paolo lo
esprime in maniera radicale, ricordandoci che Dio santo accoglie l‘uomo peccatore:
«Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora
peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8).
Questo genere di accoglienza non riguarda altri, ma innanzi tutto noi stessi,
perché peccatori non sono gli altri, ma ciascuno di noi. Si tratta allora di un dono
ricevuto da tutti; i cristiani che di questo hanno consapevolezza sono dunque degli
―amministratori‖ di quanto hanno ricevuto. Nell‘essere operatori di pace
amministriamo solo un dono ricevuto: l‘accoglienza di Dio nei nostri confronti.
Prima di proseguire occorre però rispondere ad alcune obiezioni che possono
sorgere dalla lettura della Bibbia. Nella Sacra Scrittura, infatti, si constata la presenza di
fatti violenti compiuti in nome di Dio. Come si concilia con l’annuncio che il Regno di Dio è
un Regno di pace?
Il testo biblico è sicuramente segnato dalla violenza soprattutto nell‘Antico Testamento. Gli
studiosi hanno evidenziato che per comprendere questa presenza bisogna fare riferimento alle diverse
―tradizioni‖ che sono a fondamento della redazione del testo biblico, e notare come l‘idea della
violenza o il ricorso alla ―guerra sacra‖ subisce una evoluzione determinante.
Anche nel contesto storico-culturale di Israele si riteneva importante l‘intervento di Dio sul
campo di battaglia contro il nemico, in virtù del quale il vincitore si sentiva protetto dalla divinità e
legittimato ad impadronirsi della terra altrui. Si ritrova questa concezione nella ―tradizione Jahvista e
Deuteronomista‖ in cui si giustifica il possesso della terra di Canaan da parte delle tribù di Israele
come diritto divino del popolo alla terra promessa e il compimento del dovere a non mescolarsi con
altri popoli idolatrici mettendo in pericolo l‘integrità del culto.
Secondo gli studiosi nella ―tradizione sacerdotale‖ e maggiormente in quella ―profetica‖, il
testo biblico presenta una spiritualizzazione dell‘idea di guerra. Più che una guerra si doveva
considerare un giudizio l‘intervento di Dio a favore degli Israeliti liberati dagli Egiziani. Questo
intervento giudicante di Dio si deve considerare come l‘abbandono di chi non vuole riconoscere il suo
agire salvifico di fronte alle forze ostili e primordiali da cui Dio aveva tratto l‘uomo e la terra.
La ―tradizione sacerdotale‖ va oltre l‘idea della ―guerra sacra‖ e dell‘azione militare e afferma
l‘istituzione di una società di tipo ―sacrale‖ da cui viene estromessa la guerra e la violenza tra gli
uomini. A questo si deve collegare la dottrina del ―capro espiatorio‖ «una dottrina che ha rimosso la
violenza dai rapporti interumani grazie ai vari processi di sostituzione con cui l‘ha indirizzata
sull‘animale da sacrificare, ritenendolo vittima sostitutiva e quindi occasione e implorazione di
ravvedimento da parte di Dio. Sostiene N. Lohfink che proprio l‘affermazione sempre più
generalizzata e la legittimazione rituale di natura sacerdotale del sacrificio cruento degli animali ha
consentito questo passaggio, ponendo le basi per l‘utopico, ma non chimerico progetto non violento
del Vangelo» (G. Mazzillo).
Negli scritti dei profeti oltre all‘idea che il vero Dio non sta mai dalla parte dei persecutori ma
dei perseguitati, troviamo l‘idea che Dio non si serve della violenza per affermare la propria signoria
sul mondo. Dio sta accanto agli oppressi, ai perdenti, alle vittime dell‘ingiustizia perché il suo Regno
è un Regno di giustizia e di pace.
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2. Il Magistero e i testimoni
2.1. Gaudium et Spes
La Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II Gaudium et Spes ci parla
della pace nel cap. V, che contiene gli elementi fondamentali da presentare ancora
oggi ai ragazzi; è a questo livello che va fatta una mediazione perché anche le nuove
generazioni avvertano la gravità dell‘assenza di pace e capiscano la necessità di
costruire una cultura di pace, che formi la mentalità degli uomini e li apra alla
risoluzione non violenta dei conflitti, ma soprattutto perché capiscano il valore della
pace per se stessa e non come semplice assenza di guerra. Solo la pace con Dio, la
riconciliazione degli uomini con Lui consente di essere costruttori di pace.
Altresì è importante comprendere il fondamento teologico della pace, vale a
dire Gesù Cristo: « La pace terrena, che nasce dall‘amore del prossimo, è essa stessa
immagine ed effetto della pace di Cristo che promana dal Padre. Il Figlio incarnato
infatti, principe della pace, per mezzo della sua croce ha riconciliato tutti gli uomini
con Dio; ristabilendo l‘'unità di tutti in un solo popolo e in un solo corpo, ha ucciso
nella sua carne l‘odio e, nella gloria della sua risurrezione, ha diffuso lo Spirito di
amore nel cuore degli uomini» (GS cap. V, § 78)
Il paragrafo introduttivo (GS 77) contiene due nozioni importanti in riferimento
alla situazione storica che il mondo intero viveva negli anni ‘60. L‘umanità si
trovava dinanzi ad un scelta cruciale ―nel progresso della sua maturazione‖: avrebbe
potuto fare una scelta per il suo bene solo volgendosi con un mentalità nuova alla
―vera pace‖. Con l‘espressione ―progresso della sua maturazione‖ il Concilio si
riferisce all‘evoluzione dell‘umanità in termini ottimistici, perché la considera un
―progresso‖. Non è tuttavia una posizione ottimisticamente ingenua, perché si
riconosce precisamente la necessità di una scelta, trovandosi l‘umanità come ad un
bivio. Bisogna volgersi al ―vero bene‖. Da qui l‘attualità del messaggio che proclama
―beati‖ i costruttori di pace.
GS 78 descrive la natura della pace:
«La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a
rendere stabile l'equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una
dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita ―opera della
giustizia‖ (Is 32,17)»
È funzione di una ricerca continua della giustizia. Il contesto storico degli anni
‘60 imponeva risposte ai grandi sconvolgimenti del primo cinquantennio del ‗900.
Emergeva l‘insufficienza della dottrina divenuta tradizionale a partire da
sant‘Agostino della ―guerra giusta‖. Il testo conciliare cita il noto passaggio di Is 32,
17: opus justitiae pax. La pace è frutto, opera della giustizia.
Secondo GS, la pace che è opera della giustizia consiste nella realizzazione
cosciente ed efficace del disegno del Creatore sulla comunità umana. All‘umanità
spetta il compito di iscrivere questo disegno nella realtà dei fati. La pace non si
presenta quindi come una realtà acquisita una volta per tutte, che i potenti di turno
devono conservare, ma diventa l‘obiettivo che spinge l‘attività umana.
La pace, dunque, da questo punto di vista è un impegno di tutti sia a livello
individuale sia a livello di comunità (familiare, ecclesiale, dei popoli, …). La GS
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però non si ferma qui. L‘idea di una giustizia distributiva (a ciascuno sia dato ciò che
gli spetta) non basta. Anche se riusciamo a stabile ciò che spetta a ciascuno, perché
ciascuno effettivamente vi possa accedere, occorre ancora che tra gli uomini regnino
rapporti di fiducia, una comunicazione reciproca, un senso di fraternità universale, la
stima della dignità di ciascuno, perché nessuno desideri appropriarsi della parte
dell‘altro. (Un‘opera educativa in famiglia, in parrocchia, nella scuola, ovunque …
necessità che si sviluppino le condizioni ora enunciate). Solo in questo modo la pace
potrà essere edificata su un terreno sicuro, come dire che è «frutto anche dell‘amore,
il quale va oltre quanto può assicurare la semplice giustizia». Qui entriamo
nell‘urgenza evangelica. Si può concludere che ―effetto ed immagine della pace di
Cristo‖, la pace nella società terrena è collegata organicamente alla grande opera di
pacificazione di Cristo.
2.2. Pacem in terris
Questa Enciclica rappresenta un momento fondamentale della storia della
Chiesa, ma anche in quella del mondo. Fu scritta, infatti, da Giovanni XXIII in tempi
di guerra fredda, tanto più tesa in occasione della crisi di Cuba, in cui l‘intervento di
Papa Giovanni aveva permesso agli USA e alla Russia di sbloccare un braccio di
ferro che stava per sfociare in una guerra che sarebbe stata disastrosa per il mondo
intero.. E questo fu lo stimolo per il Papa a scrivere quest‘Enciclica che, uscita a
poco più di un mese dalla sua morte, costituisce quasi il suo testamento. L‘Enciclica
di Giovanni XXIII propose al mondo l‘ideale della pace, fino ad allora
strumentalizzato dai vertici comunisti, ma guardata con fastidio da quelli occidentali
a cui imponeva un progressivo disarmo.
La pace è presentata nella sua visuale complessiva (come l‘ebraico shālōm), e
poggia su quattro pilastri, che sono la verità, la giustizia, la libertà, l‘amore. In realtà
la verità, prima ancora che la verità speculativa (per cui si fanno anche le guerre di
religione) è la verità dell‘uomo, il valore di ogni persona umana in quanto essere
umano. Tutte le guerre (come tutte le ingiustizie, le prepotenze, le violenze) partono
dalla svalutazione dell‘altro, del nemico, del diverso, che ci si sente autorizzati a
trattare come un essere di serie inferiore se non addirittura come se non fosse un
essere umano: di qui gli stermini, le torture, le umiliazioni.
Questa discriminazione tra le persone si estende ai popoli: quelli che si sentono
superiori per sviluppo tecnologico, economico, quindi militare e politico,
organizzano il mondo, ormai globalizzato, secondo i propri interessi; sapranno
presentarsi come i benefattori dell‘umanità, ma nel concreto ne sono gli sfruttatori.
Tutto questo mostra l‘ipocrisia che usiamo quando esaltiamo la libertà. In
realtà noi perseguiamo non ―la‖ libertà, alimentata in genere dalla delimitazione della
libertà degli altri, ma ―la nostra libertà‖. Non è un caso che le nazioni o i settori più
forti di fronte ai problemi più seri diano la priorità alle soluzioni violente, alle guerre
che sono – dice l‘Enciclica – al di fuori della ragione umana, (alienum a ratione)
perché confermano la supremazia militare dei più forti, e di conseguenza la loro
supremazia politica ed economica, e alimentano contrapposizioni preparando nuove
violenze, mentre le soluzioni non violente sono le sole veramente umane, perché
riconoscono le ragioni di chi le ha, anche dei più deboli, e orientano quindi
effettivamente alla pace.
Ne segue che il quarto pilastro, l‘amore (o la solidarietà) non è una virtù
facoltativa, è invece, soprattutto per i popoli più fortunati (il quinto dell‘umanità!),
un dovere di giustizia, un compito di globalizzazione. La Pacem in terris ha segnato
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un punto di svolta per la Chiesa; perché un documento così importante del Magistero
ecclesiale per la prima volta si rivolgeva, oltre che ai cristiani, anche a ―tutti gli
uomini di buona volontà‖: puntualizzando così che la Chiesa proprio in forza della
sua missione evangelizzatrice è chiamata a proporre a tutto il mondo i grandi valori
umani che Dio ha consacrato facendosi uomo, e a collaborare con tutti gli esseri
umani per la loro realizzazione.
2.3. Tonino Bello e Giorgio La Pira
Presentiamo alcuni testi di due testimoni che hanno vissuto la beatitudine
evangelica del‘essere costruttori di pace. Sono due esempi di come in contesti diversi
e con responsabilità diverse, una ecclesiale l‘altra culturale e politica, si possa vivere
da discepoli di Gesù e in particolare facendosi portavoce del vangelo della pace.
Mons. Tonino Bello, vescovo di Molfetta dal 1982 fino alla sua morte,
avvenuta nel 1993, visse il suo ministero episcopale come appassionato testimone
della pace di Gesù. Per lui tutto il Vangelo poteva essere sintetizzato nell‘impegno
per la pace, come ebbe a dichiarare in occasione di una intervista.
Alla domanda se «può bastare l'impegno nei riguardi della pace, per far
sperimentare l’interezza dell'annuncio evangelico?», rispondeva: «La pace non è una
delle mille ―cose‖ che la Chiesa evangelizza. Non è uno scampolo del suo vasto
assortimento. Non è un pezzo, tra i tanti, del suo repertorio. Ma è l‘unico suo
annuncio. È il solo brano che essa è abilitata a interpretare. Quando parla di pace,
perciò, il suo messaggio è già esauriente. Se è vero, come dice san Paolo, che ―Cristo
è la nostra pace‖ (Ef 2,14), non c‘è da temere che la Chiesa parzializzi l‘annuncio
evangelico, o trascuri altri aspetti dottrinali, o decurti l‘ampiezza della rivelazione,
parlando solo di pace. Anzi, per usare un‘immagine, tutte le altre verità della
Scrittura non sono che i colori dell‘arcobaleno in cui si scompone l‘unico raggio di
sole: la pace»5
Le sue parole non erano altro che la comunicazione della sua esperienza
personale. Considerando la pace come una scommessa per l‘uomo di oggi, notava
che scommettere su una pace che non venga dall‘alto, significa scommettere su una
pace inquinata. Nello stesso tempo, però, scommettere su un pace che non si connoti
di scelte storiche è un bluff. E ancora: scommettere su una pace che prenda le
distanze dalla giustizia è peggio della guerra. Così pure scommettere su una pace che
sorrida sulla radicalità della non violenza, significa scommettere su di una pace
infida. La pace che non provoca sofferenza è sterile. Non bisogna neanche
scommettere sulla pace come ―prodotto finito‖ perché scoraggia. Solo Cristo, nostra
Pace, non delude.
L‘impegno per la pace non ha una radice sociologica o, perlomeno, solamente
sociologica. La sua vera radice è teologica: il mistero della Trinità è la sorgente che
alimenta l‘impegno per la pace del cristiano .
Mons. Bello riflette pure sui luoghi dove si costruisce la pace: innanzi tutto la
famiglia e, poi, naturalmente la Chiesa e la società là dove si vive. Mostra così che
tutti possono contribuire a edificarla.
5
ANTONIO B ELLO, Le mie notti insonni. Meditazioni per i cristiani costruttori di speranza e di pace,
San Paolo, Cinisello Balsamo 1996
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Giorgio La Pira nacque a Pozzallo il 9.01.1904 e morì a Firenze il 5 novembre
1977. A Firenze fu più volte eletto sindaco. Docente universitario di diritto romano,
fu membro della Costituente e più volte deputato. Il suo impegno politico si rivolse a
costruire un mondo dove possano regnare giustizia e pace. Considerato da alcuni un
utopista e pericoloso idealista, la sua testimonianza cristiana è ancora oggi
attualissima. Come tutti i profeti e i santi spesso precorre i tempi e intuisce ciò di cui
gli uomini hanno veramente bisogno.
Come sindaco di Firenze si occupa dei poveri, degli operai che rischiano di
perdere i posto di lavoro; vuol fare di Firenze una città della pace. Cerca in tutti i
modi il dialogo con tutti e la riconciliazione tra i popoli. Intervenendo alla
Conferenza Internazionale della Gioventù per la Pace e il Disarmo di giovani per la
pace, da lui ospitata a Firenze alla fine del febbraio del 1964, pronunzia parole di
speranza:
«(…) I popoli e le nazioni di tutto il mondo costituiscono, ormai, ogni giorno
più - a tutti i livelli - una unità indissociabile (anche se - come ogni vera unità plurima e, perciò, riccamente articolata: ―multitudo ordinata!‖), significa che i
problemi scientifici, tecnici, economici, sociali, politici, culturali e religiosi di
ogni popolo sono problemi la cui soluzione interessa organicamente tutti gli
altri popoli del globo! Tutti i muri sono spezzati: tutte le barriere sono infrante;
tutti gli schemi mentali di divisione sono tolti; i confini dei popoli sono
trasformati da muri che dividono in ponti che uniscono! (…) Le generazioni
nuove sono, appunto, come gli uccelli migratori: come le rondini: sentono il
tempo, sentono la stagione: quando viene la primavera essi si muovono
ordinatamente, sospinti da un invincibile istinto vitale - che indica loro la rotta
e i porti! - verso la terra ove la primavera è in fiore! Così le generazioni nuove
del tempo nostro: ―haec est generatio quaerentium eum‖. (…) [Occorrono]
piani mondiali (biblici anche essi), perciò, per sradicare ovunque la fame, la
disoccupazione e la miseria (ancora due miliardi di denutriti); per sradicare
ovunque l'ignoranza (un uomo su due non sa ancora leggere); per combattere
ovunque la malattia e prolungare la vita; per sradicare ovunque la schiavitù e la
tirannia (il colonialismo; il fascismo ed il nazismo; il razzismo; l'antisemitismo;
il nazionalismo; lo statalismo, il dogmatismo, l'ateismo di Stato, lo
stalinismo)!»
Sono parole attuali? L‘odierno processo di globalizzazione è un cammino verso
l‘unità? Bisogna cogliere i germi di bene che i processi storici contengono e farli
sviluppare specialmente nei ragazzi e nei giovani.
La città degli uomini, il mondo intero sono il campo di impegno del cristiano e
come cristiano egli sempre agì. Dai testi che in appendice riportiamo si possono
ricavare molte piste di riflessione per un itinerario educativo alla pace.
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3. Spunti per un percorso
3.1. Violenza quotidiana
L‘attuale società in cui viviamo fa sperimentare sia direttamente che
indirettamente situazioni di violenza, conflitti e guerre.
Non passa giorno in cui non venga data notizia di episodi di violenza che
riguardano sia i bambini, gli adolescenti, gli adulti. Gli atti di violenza sono rivolti a
volte dalle stesse persone contro se stessi attraverso l‘uso di droghe, alcool, episodi
di autolesionismo, e a volte riguardano i rapporti interpersonali, in cui non ci si riesce
a relazionare in maniera pacifica, dando sfogo all‘aggressività che è connaturata in
ogni persona. Inoltre vi è la violenza collettiva che coinvolge interi popoli.
All‘interno di un percorso di Iniziazione Cristiana in cui si è invitati a vivere
come discepoli del Signore Gesù che ha annunciato e realizzato il Regno di Dio fra
gli uomini, non si può non riflettere sul significato che ha l‘appello alla pace e alla
non violenza per ogni cristiano.
Il Regno che Gesù ha annunziato è infatti un Regno dove ha ―stabile dimora la
pace‖, la mansuetudine, il perdono. Educare alla pace intesa come non-violenza
significa educare ogni persona, nelle sue relazioni costitutive: con se stesso, con gli
altri,con la natura, con Dio seguendo l‘esempio di Gesù di Nazareth.
3.2. La pace, impegno di tutti
L‘atteggiamento pacifico è un abito che non si può indossare nelle occasioni
pubbliche, se non si è già stati educati ad indossarlo nelle piccole situazioni private,
quotidiane. Ognuno può essere ritenuto responsabile di contribuire alla pace a partire
dalle relazioni che vive nella quotidianità, con gli amici, con i fratelli, con chi è più
vicino. La pace impegna tutti, pur nella consapevolezza che non si possono risolvere
i grandi problemi, se non a partire dal compiere piccoli passi. L‘impegno per la pace
non può essere proclamato solo a parole, ma deve diventare azione e stile di vita.
Ecco l‘importanza di un‘educazione per la pace che aiuti a vivere atteggiamenti di
rispetto reciproco, di dialogo, di condivisione, di perdono, di tolleranza. Da qui lo
sforzo per favorire l‘identificazione con l‘altro, il riconoscimento degli altri come
uguali a se, anche se diversi. Un percorso di educazione alla pace dovrebbe favorire e
facilitare tutte le occasioni di incontro, di scambio, di condivisione; sottolineare tutto
ciò che unisce anziché ciò che divide.
3.3. L‘impegno educativo
Se prendiamo in considerazione l‘ambito psico-pedagogico, una condizione
che rende possibile l‘educazione alla pace è lo sviluppo di una certa sicurezza di
base, che consente al bambino e poi in seguito all‘adulto lo sviluppo di una
personalità non violenta. Questa ―sicurezza primaria‖ così come la definiscono gli
studiosi, permette al soggetto di non vedere in ogni persona o situazione nuova,
diversa, imprevista, una minaccia da cui difendersi. Su di essa si costruisce il senso
di identità di ogni persona che si esprime nella fiducia verso se stessi e nella fiducia
verso gli altri. In mancanza di ciò l‘aggressività può essere l‘unico modo per
esprimere se stessi. Non è un caso se durante il periodo dell‘adolescenza nel quale si
accentua la crisi di identità, aumentano spesso i comportamenti aggressivi. La
sicurezza di sé, l‘identità personale si acquisiscono all‘interno di un contesto sociale,
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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nelle relazioni con gli altri, soprattutto all‘inizio della vita, nell‘ambito familiare e
poi nelle relazioni più allargate con i coetanei.
La famiglia, la scuola, il gruppo parrocchiale, svolgono un ruolo importante in
quanto possono aiutare i bambini, i ragazzi a valorizzarsi mettendo in luce, durante le
varie attività sia ludiche sia lavorative, le qualità positive che possiedono.
Valorizzare i bambini e i ragazzi significa anche aiutarli a porsi di fronte alle varie
situazioni, non in maniera difensiva e aggressiva, ma in maniera serena e pacifica,
dando loro la giusta fiducia e sicurezza di fronte al presentarsi degli ostacoli e degli
insuccessi.
Oltre alla ―sicurezza primaria‖ è fondamentale il processo di identificazione
con l‘altro attraverso cui la persona riconosce nell‘altro un proprio simile uguale a sé.
Un percorso di educazione alla pace deve favorire l‘identificazione con l‘altro,
che non va visto come un nemico da combattere nei confronti di cui bisogna
difendersi, ma come una persona uguale anche se diversa, da valorizzare perché
portatrice di valori e risorse. Sono importanti a questo proposito i momenti e le
esperienze di collaborazione, cooperazione, in cui ciascuna persona può portare il
proprio personale contributo. Collaborare significa individuare una soluzione
comune, che tenga conto delle esigenze di tutti. Valorizzare i giochi, i lavori di
gruppo per aiutare le persone ad incontrarsi con le opinioni degli altri, nel dialogo si
impara ad assumere un certo comportamento decentrato rispetto a se stessi e si
facilita la comunicazione, la condivisione e la comprensione degli altri.
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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APPENDICE
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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DALLA LETTERA ENCICLICA PACEM IN TERRIS
Convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà
18. La convivenza fra gli esseri umani è quindi ordinata, feconda e rispondente alla loro
dignità di persone, quando si fonda sulla verità, conformemente al richiamo dell‘apostolo
Paolo: ―Via dunque da voi la menzogna e parli ciascuno col suo prossimo secondo verità,
poiché siamo membri gli uni degli altri‖ (Ef 4,25). Ciò domanda che siano sinceramente
riconosciuti i reciproci diritti e vicendevoli doveri. Ed è inoltre una convivenza che si attua
secondo giustizia o nell‘effettivo rispetto di quei diritti e nel leale adempimento dei rispettivi
doveri; che è vivificata e integrata dall‘amore, atteggiamento d‘animo che fa sentire come
propri i bisogni e le esigenze altrui, rende partecipi gli altri dei propri beni e mira a rendere
sempre più vivida la comunione nel mondo dei valori spirituali; ed è attuata nella libertà, nel
modo cioè che si addice alla dignità di esseri portati dalla loro stessa natura razionale ad
assumere la responsabilità del proprio operare.
19. La convivenza umana, venerabili fratelli e diletti figli, deve essere considerata anzitutto
come un fatto spirituale: quale comunicazione di conoscenze nella luce del vero; esercizio di
diritti e adempimento di doveri; impulso e richiamo al bene morale; e come nobile comune
godimento del bello in tutte le sue legittime espressioni; permanente disposizione ad
effondere gli uni negli altri il meglio di se stessi; anelito ad una mutua e sempre più ricca
assimilazione di valori spirituali: valori nei quali trovano la loro perenne vivificazione e il
loro orientamento di fondo le espressioni culturali, il mondo economico, le istituzioni sociali,
i movimenti e i regimi politici, gli ordinamenti giuridici e tutti gli altri elementi esteriori, in
cui si articola e si esprime la convivenza nel suo evolversi incessante.
Disarmo
59. Ci è pure doloroso costatare come nelle comunità politiche economicamente più
sviluppate si siano creati e si continuano a creare armamenti giganteschi; come a tale scopo
venga assorbita una percentuale altissima di energie spirituali e di risorse economiche; gli
stessi cittadini di quelle comunità politiche siano sottoposti a sacrifici non lievi; mentre altre
comunità politiche vengono, di conseguenza, private di collaborazioni indispensabili al loro
sviluppo economico e al loro progresso sociale.
Gli armamenti, come è noto, si sogliono giustificare adducendo il motivo che se una pace
oggi è possibile, non può essere che la pace fondata sull‘equilibrio delle forze. Quindi se una
comunità politica si arma, le altre comunità politiche devono tenere il passo ed armarsi esse
pure. E se una comunità politica produce armi atomiche, le altre devono pure produrre armi
atomiche di potenza distruttiva pari.
60. In conseguenza gli esseri umani vivono sotto l‘incubo di un uragano che potrebbe
scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile. Giacché le armi ci sono; e se
è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle
distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile
ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l‘apparato bellico. Inoltre
va pure tenuto presente che se anche una guerra a fondo, grazie all‘efficacia deterrente delle
stesse armi, non avrà luogo, è giustificato il timore che il fatto della sola continuazione degli
esperimenti nucleari a scopi bellici possa avere conseguenze fatali per la vita sulla terra.
Per cui giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli
armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si
mettano al bando le armi nucleari; e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli
efficaci. "Non si deve permettere — proclama Pio XII — che la sciagura di una guerra
mondiale con le sue rovine economiche e sociali e le sue aberrazioni e perturbamenti morali
si rovesci per la terza volta sull‘umanità" [48].
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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61. Occorre però riconoscere che l‘arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva
riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso
tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti,
adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua
volta, che al criterio della pace che si regge sull‘equilibrio degli armamenti, si sostituisca il
principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo
che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta
ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità.
62. È un obiettivo reclamato dalla ragione. È evidente, o almeno dovrebbe esserlo per tutti,
che i rapporti fra le comunità politiche, come quelli fra i singoli esseri umani, vanno regolati
non facendo ricorso alla forza delle armi, ma nella luce della ragione; e cioè nella verità,
nella giustizia, nella solidarietà operante.
Dovere di partecipare alla vita pubblica
76. Ancora una volta ci permettiamo di richiamare i nostri figli al dovere che hanno di
partecipare attivamente alla vita pubblica e di contribuire all‘attuazione del bene comune
della famiglia umana e della propria comunità politica; e di adoprarsi quindi, nella luce della
fede e con la forza dell‘amore, perché le istituzioni a finalità economiche, sociali, culturali e
politiche, siano tali da non creare ostacoli, ma piuttosto facilitare o rendere meno arduo alle
persone il loro perfezionamento: tanto nell‘ordine naturale che in quello soprannaturale.
DALLA COSTITUZIONE PASTORALE GAUDIUM ET SPES DEL CONCILIO
ECUMENICO VATICANO II
CAPITOLO V
LA PROMOZIONE DELLA PACE E LA COMUNITÀ DELLE NAZIONI
77. Introduzione
In questi nostri anni, nei quali permangono ancora gravissime tra gli uomini le afflizioni e le
angustie derivanti da guerre ora imperversanti, ora incombenti, l'intera società umana è
giunta ad un momento sommamente decisivo nel processo della sua maturazione. Mentre a
poco a poco l'umanità va unificandosi e in ogni luogo diventa ormai più consapevole della
propria unità, non potrà tuttavia portare a compimento l'opera che l'attende, di costruire cioè
un mondo più umano per tutti gli uomini e su tutta la terra, se gli uomini non si volgeranno
tutti con animo rinnovato alla vera pace. Per questo motivo il messaggio evangelico, in
armonia con le aspirazioni e gli ideali più elevati del genere umano, risplende in questi nostri
tempi di rinnovato fulgore quando proclama beati i promotori della pace, "perché saranno
chiamati figli di Dio" (Mt 5,9).
Illustrando pertanto la vera e nobilissima concezione della pace, il Concilio, condannata
l'inumanità della guerra, intende rivolgere un ardente appello ai cristiani, affinché con l'aiuto
di Cristo, autore della pace, collaborino con tutti per stabilire tra gli uomini una pace fondata
sulla giustizia e sull'amore e per apprestare i mezzi necessari per il suo raggiungimento.
78. La natura della pace
La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile
l'equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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con tutta esattezza definita ―opera della giustizia‖ (Is 32,7). È il frutto dell'ordine impresso
nella società umana dal suo divino Fondatore e che deve essere attuato dagli uomini che
aspirano ardentemente ad una giustizia sempre più perfetta. Infatti il bene comune del genere
umano è regolato, sì, nella sua sostanza, dalla legge eterna, ma nelle sue esigenze concrete è
soggetto a continue variazioni lungo il corso del tempo; per questo la pace non è mai
qualcosa di raggiunto una volta per tutte, ma è un edificio da costruirsi continuamente.
Poiché inoltre la volontà umana è labile e ferita per di più dal peccato, l'acquisto della pace
esige da ognuno il costante dominio delle passioni e la vigilanza della legittima autorità.
Tuttavia questo non basta. Tale pace non si può ottenere sulla terra se non è tutelato il bene
delle persone e se gli uomini non possono scambiarsi con fiducia e liberamente le ricchezze
del loro animo e del loro ingegno. La ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri
popoli e la loro dignità, e l'assidua pratica della fratellanza umana sono assolutamente
necessarie per la costruzione della pace. In tal modo la pace è frutto anche dell'amore, il
quale va oltre quanto può apportare la semplice giustizia.
La pace terrena, che nasce dall'amore del prossimo, è essa stessa immagine ed effetto della
pace di Cristo che promana dal Padre. Il Figlio incarnato infatti, principe della pace, per
mezzo della sua croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio; ristabilendo l'unità di tutti in
un solo popolo e in un solo corpo, ha ucciso nella sua carne l'odio e, nella gloria della sua
risurrezione, ha diffuso lo Spirito di amore nel cuore degli uomini.
Pertanto tutti i cristiani sono chiamati con insistenza a praticare la verità nell'amore (Ef 4,15)
e ad unirsi a tutti gli uomini sinceramente amanti della pace per implorarla dal cielo e per
attuarla.
Mossi dal medesimo spirito, noi non possiamo non lodare coloro che, rinunciando alla
violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono, del
resto, alla portata anche dei più deboli, purché ciò si possa fare senza pregiudizio dei diritti e
dei doveri degli altri o della comunità.
Gli uomini, in quanto peccatori, sono e saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino
alla venuta di Cristo; ma in quanto riescono, uniti nell'amore, a vincere i1 peccato essi
vincono anche la violenza, fino alla realizzazione di quella parola divina ―Con le loro spade
costruiranno aratri e falci con le loro lance; nessun popolo prenderà più le armi contro un
altro popolo, né si eserciteranno più per la guerra‖ (Is 2,4).
Sezione 1: Necessità di evitare la guerra
79. Il dovere di mitigare l'inumanità della guerra
Sebbene le recenti guerre abbiano portato al nostro mondo gravissimi danni sia materiali che
morali, ancora ogni giorno in qualche punto della terra la guerra continua a produrre le sue
devastazioni. Anzi dal momento che in essa si fa uso di armi scientifiche di ogni genere, la
sua atrocità minaccia di condurre i combattenti ad una barbarie di gran lunga superiore a
quella dei tempi passati. La complessità inoltre delle odierne situazioni e la intricata rete
delle relazioni internazionali fanno sì che vengano portate in lungo, con nuovi metodi
insidiosi e sovversivi, guerre più o meno larvate. In molti casi il ricorso ai sistemi del
terrorismo è considerato anch'esso una nuova forma di guerra.
Davanti a questo stato di degradazione dell'umanità, il Concilio intende innanzi tutto
richiamare alla mente il valore immutabile del diritto naturale delle genti e dei suoi principi
universali. La stessa coscienza del genere umano proclama quei principi con sempre
maggiore fermezza e vigore. Le azioni pertanto che deliberatamente si oppongono a quei
principi e gli ordini che comandano tali azioni sono crimini, né l'ubbidienza cieca può
scusare coloro che li eseguono. Tra queste azioni vanno innanzi tutto annoverati i metodi
sistematici di sterminio di un intero popolo, di una nazione o di una minoranza etnica;
orrendo delitto che va condannato con estremo rigore. Deve invece essere sostenuto il
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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coraggio di coloro che non temono di opporsi apertamente a quelli che ordinano tali misfatti.
Esistono, in materia di guerra, varie convenzioni internazionali, che un gran numero di
nazioni ha sottoscritto per rendere meno inumane le azioni militari e le loro conseguenze.
Tali sono le convenzioni relative alla sorte dei militari feriti o prigionieri e molti impegni del
genere. Tutte queste convenzioni dovranno essere osservate; anzi le pubbliche autorità e gli
esperti in materia dovranno fare ogni sforzo, per quanto è loro possibile, affinché siano
perfezionate, in modo da renderle capaci di porre un freno più adatto ed efficace alle atrocità
della guerra. Sembra inoltre conforme ad equità che le leggi provvedano umanamente al caso
di coloro che, per motivi di coscienza, ricusano l'uso delle armi, mentre tuttavia accettano
qualche altra forma di servizio della comunità umana.
La guerra non è purtroppo estirpata dalla umana condizione. E fintantoché esisterà il pericolo
della guerra e non ci sarà un'autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una
volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai
governi il diritto di una legittima difesa. I capi di Stato e coloro che condividono la
responsabilità della cosa pubblica hanno dunque il dovere di tutelare la salvezza dei popoli
che sono stati loro affidati, trattando con grave senso di responsabilità cose di così grande
importanza. Ma una cosa è servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli, ed altra
cosa voler imporre il proprio dominio su altre nazioni. La potenza delle armi non rende
legittimo ogni suo uso militare o politico. Né per il fatto che una guerra è ormai
disgraziatamente scoppiata, diventa per questo lecita ogni cosa tra le parti in conflitto.
Coloro poi che al servizio della patria esercitano la loro professione nelle file dell'esercito, si
considerino anch'essi come servitori della sicurezza e della libertà dei loro popoli; se
rettamente adempiono il loro dovere, concorrono anch'essi veramente alla stabilità della
pace.
80. La guerra totale
Il progresso delle armi scientifiche ha enormemente accresciuto l'orrore e l'atrocità della
guerra. Le azioni militari, infatti, se condotte con questi mezzi, possono produrre distruzioni
immani e indiscriminate, che superano pertanto di gran lunga i limiti di una legittima difesa.
Anzi, se mezzi di tal genere, quali ormai si trovano negli arsenali delle grandi potenze,
venissero pienamente utilizzati, si avrebbe la reciproca e pressoché totale distruzione delle
parti contendenti, senza considerare le molte devastazioni che ne deriverebbero nel resto del
mondo e gli effetti letali che sono la conseguenza dell'uso di queste armi.
Tutte queste cose ci obbligano a considerare l'argomento della guerra con mentalità
completamente nuova. Sappiano gli uomini di questa età che dovranno rendere severo conto
dei loro atti di guerra, perché il corso dei tempi futuri dipenderà in gran parte dalle loro
decisioni di oggi.
Avendo ben considerato tutte queste cose, questo sacro Concilio, facendo proprie le
condanne della guerra totale già pronunciate dai recenti sommi Pontefici dichiara:
Ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste
regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con
fermezza e senza esitazione.
Il rischio caratteristico della guerra moderna consiste nel fatto che essa offre quasi
l'occasione a coloro che posseggono le più moderne armi scientifiche di compiere tali delitti
e, per una certa inesorabile concatenazione, può sospingere le volontà degli uomini alle più
atroci decisioni. Affinché dunque non debba mai più accadere questo in futuro, i vescovi di
tutto il mondo, ora riuniti, scongiurano tutti, in modo particolare i governanti e i supremi
comandanti militari a voler continuamente considerare, davanti a Dio e davanti alla umanità
intera, l'enorme peso della loro responsabilità.
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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81. La corsa agli armamenti
Le armi scientifiche, è vero, non vengono accumulate con l'unica intenzione di poterle usare
in tempo di guerra. Poiché infatti si ritiene che la solidità della difesa di ciascuna parte
dipenda dalla possibilità fulminea di rappresaglie, questo ammassamento di armi, che va
aumentando di anno in anno, serve, in maniera certo paradossale, a dissuadere eventuali
avversari dal compiere atti di guerra. E questo è ritenuto da molti il mezzo più efficace per
assicurare oggi una certa pace tra le nazioni.
Qualunque cosa si debba pensare di questo metodo dissuasivo, si convincano gli uomini che
la corsa agli armamenti, alla quale si rivolgono molte nazioni, non è una via sicura per
conservare saldamente la pace, né il cosiddetto equilibrio che ne risulta può essere
considerato pace vera e stabile. Le cause di guerra, anziché venire eliminate da tale corsa,
minacciano piuttosto di aggravarsi gradatamente. E mentre si spendono enormi ricchezze per
la preparazione di armi sempre nuove, diventa poi impossibile arrecare sufficiente rimedio
alle miserie così grandi del mondo presente. Anziché guarire veramente, nel profondo, i
dissensi tra i popoli, si finisce per contagiare anche altre parti del mondo. Nuove strade
converrà cercare partendo dalla riforma degli spiriti, perché possa essere rimosso questo
scandalo e al mondo, liberato dall'ansietà che l'opprime, possa essere restituita una pace vera.
È necessario pertanto ancora una volta dichiarare: la corsa agli armamenti è una delle piaghe
più gravi dell'umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri; e c'è molto da temere che,
se tale corsa continuerà, produrrà un giorno tutte le stragi, delle quali va già preparando i
mezzi.
Ammoniti dalle calamità che il genere umano ha rese possibili, cerchiamo di approfittare
della tregua di cui ora godiamo e che è stata a noi concessa dall'alto, per prendere
maggiormente coscienza della nostra responsabilità e trovare delle vie per comporre in
maniera più degna dell'uomo le nostre controversie. La Provvidenza divina esige da noi con
insistenza che liberiamo noi stessi dall'antica schiavitù della guerra.
Se poi rifiuteremo di compiere tale sforzo non sappiamo dove ci condurrà la strada perversa
per la quale ci siamo incamminati.
82. La condanna assoluta della guerra e l'azione internazionale per evitarla
È chiaro pertanto che dobbiamo con ogni impegno sforzarci per preparare quel tempo nel
quale, mediante l'accordo delle nazioni, si potrà interdire del tutto qualsiasi ricorso alla
guerra. Questo naturalmente esige che venga istituita un'autorità pubblica universale, da tutti
riconosciuta, la quale sia dotata di efficace potere per garantire a tutti i popoli sicurezza,
osservanza della giustizia e rispetto dei diritti. Ma prima che questa auspicabile autorità
possa essere costituita, è necessario che le attuali supreme istanze internazionali si dedichino
con tutto l'impegno alla ricerca dei mezzi più idonei a procurare la sicurezza comune. La
pace deve sgorgare spontanea dalla mutua fiducia delle nazioni, piuttosto che essere imposta
ai popoli dal terrore delle armi. Pertanto tutti debbono impegnarsi con alacrità per far cessare
finalmente la corsa agli armamenti. Perché la riduzione degli armamenti incominci
realmente, non deve certo essere fatta in modo unilaterale, ma con uguale ritmo da una parte
e dall'altra, in base ad accordi comuni e con l'adozione di efficaci garanzie.
Non sono frattanto da sottovalutare gli sforzi già fatti e che si vanno tuttora facendo per
allontanare il pericolo della guerra. Va piuttosto incoraggiata la buona volontà di tanti che
pur gravati dalle ingenti preoccupazioni del loro altissimo ufficio, mossi dalla gravissima
responsabilità da cui si sentono vincolati, si danno da fare in ogni modo per eliminare la
guerra, di cui hanno orrore pur non potendo prescindere dalla complessa realtà delle
situazioni. Bisogna rivolgere incessanti preghiere a Dio affinché dia loro la forza di
intraprendere con perseveranza e condurre a termine con coraggio quest'opera del più grande
amore per gli uomini, per mezzo della quale si costruisce virilmente l'edificio della pace.
Tale opera esige oggi certamente che essi dilatino la loro mente e il loro cuore al di là dei
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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confini della propria nazione, deponendo ogni egoismo nazionale ed ogni ambizione di
supremazia su altre nazioni, e nutrendo invece un profondo rispetto verso tutta l'umanità,
avviata ormai così faticosamente verso una maggiore unità.
Per ciò che riguarda i problemi della pace e del disarmo, bisogna tener conto degli studi
approfonditi, già coraggiosamente e instancabilmente condotti e dei consessi internazionali
che trattarono questi argomenti e considerarli come i primi passi verso la soluzione di
problemi così gravi; con maggiore insistenza ed energia dovranno quindi essere promossi in
avvenire, al fine di ottenere risultati concreti. Stiano tuttavia bene attenti gli uomini a non
affidarsi esclusivamente agli sforzi di alcuni, senza preoccuparsi minimamente dei loro
propri sentimenti. I capi di Stato, infatti, i quali sono mallevadori del bene comune delle
proprie nazioni e fautori insieme del bene della umanità intera, dipendono in massima parte
dalle opinioni e dai sentimenti delle moltitudini. È inutile infatti che essi si adoperino con
tenacia a costruire la pace, finché sentimenti di ostilità, di disprezzo e di diffidenza, odi
razziali e ostinate ideologie dividono gli uomini, ponendoli gli uni contro gli altri. Di qui la
estrema, urgente necessità di una rinnovata educazione degli animi e di un nuovo
orientamento nell'opinione pubblica. Coloro che si dedicano a un'opera di educazione, specie
della gioventù, e coloro che contribuiscono alla formazione della pubblica opinione,
considerino loro dovere gravissimo inculcare negli animi di tutti sentimenti nuovi, ispiratori
di pace. E ciascuno di noi deve adoperarsi per mutare il suo cuore, aprendo gli occhi sul
mondo intero e su tutte quelle cose che gli uomini possono compiere insieme per condurre
l'umanità verso un migliore destino.
Né ci inganni una falsa speranza. Se non verranno in futuro conclusi stabili e onesti trattati di
pace universale, rinunciando ad ogni odio e inimicizia, L'umanità che, pur avendo compiuto
mirabili conquiste nel campo scientifico, si trova già in grave pericolo, sarà forse condotta
funestamente a quell'ora, in cui non potrà sperimentare altra pace che la pace terribile della
morte.
La Chiesa di Cristo nel momento in cui, posta in mezzo alle angosce del tempo presente,
pronuncia tali parole, non cessa tuttavia di nutrire la più ferma speranza. Agli uomini della
nostra età essa intende presentare con insistenza, sia che l'accolgano favorevolmente, o la
respingano come importuna, il messaggio degli apostoli: a Ecco ora il tempo favorevole " per
trasformare i cuori, "ecco ora i giorni della salvezza".
Sezione 2: La costruzione della comunità internazionale
83. Le cause di discordia e i loro rimedi
L'edificazione della pace esige prima di tutto che, a cominciare dalle ingiustizie, si eliminino
le cause di discordia che fomentano le guerre. Molte occasioni provengono dalle eccessive
disparità economiche e dal ritardo con cui vi si porta il necessario rimedio. Altre nascono
dallo spirito di dominio, dal disprezzo delle persone e, per accennare ai motivi più reconditi,
dall'invidia, dalla diffidenza, dall'orgoglio e da altre passioni egoistiche. Poiché gli uomini
non possono tollerare tanti disordini avviene che il mondo, anche quando non conosce le
atrocità della guerra, resta tuttavia continuamente in balia di lotte e di violenze. I medesimi
mali si riscontrano inoltre nei rapporti tra le nazioni. Quindi per vincere e per prevenire
questi mali, per reprimere lo scatenamento della violenza, è assolutamente necessario che le
istituzioni internazionali sviluppino e consolidino la loro cooperazione e la loro
coordinazione e che, senza stancarsi, si stimoli la creazione di organismi idonei a
promuovere la pace.
84. La comunità delle nazioni e le istituzioni internazionali
Dati i crescenti e stretti legami di mutua dipendenza esistenti oggi tra tutti gli abitanti e i
popoli della terra, la ricerca adeguata e il raggiungimento efficace del bene comune
richiedono che la comunità delle nazioni si dia un ordine che risponda ai suoi compiti attuali,
tenendo particolarmente conto di quelle numerose regioni che ancor oggi si trovano in uno
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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stato di intollerabile miseria.
Per conseguire questi fini, le istituzioni internazionali devono, ciascuna per la loro parte,
provvedere ai diversi bisogni degli uomini, tanto nel campo della vita sociale (cui
appartengono l'alimentazione, la salute, la educazione, il lavoro), quanto in alcune
circostanze particolari che sorgono qua e là: per esempio, la necessità di aiutare la crescita
generale delle nazioni in via di sviluppo, o ancora il sollievo alle necessità dei profughi in
ogni parte del mondo, o degli emigrati e delle loro famiglie.
Le istituzioni internazionali, tanto universali che regionali già esistenti, si sono rese
certamente benemerite del genere umano. Esse rappresentano i primi sforzi per gettare le
fondamenta internazionali di tutta la comunità umana al fine di risolvere le più gravi
questioni del nostro tempo: promuovere il progresso in ogni luogo della terra e prevenire la
guerra sotto qualsiasi forma. In tutti questi campi, la Chiesa si rallegra dello spirito di vera
fratellanza che fiorisce tra cristiani e non cristiani, e dello sforzo d'intensificare i tentativi
intesi a sollevare l'immane miseria.
85. La cooperazione internazionale sul piano economico
La solidarietà attuale del genere umano impone anche che si stabilisca una maggiore
cooperazione internazionale in campo economico. Se infatti quasi tutti i popoli hanno
acquisito l'indipendenza politica, si è tuttavia ancora lontani dal potere affermare che essi
siano liberati da eccessive ineguaglianze e da ogni forma di dipendenza abusiva, e che
sfuggano al pericolo di gravi difficoltà interne.
Lo sviluppo d'un paese dipende dalle sue risorse in uomini e in denaro. Bisogna preparare i
cittadini di ogni nazione, attraverso l'educazione e la formazione professionale, ad assumere i
diversi incarichi della vita economica e sociale. A tal fine si richiede l'opera di esperti
stranieri, i quali nel prestare la loro azione, si comportino non come padroni, ma come
assistenti e cooperatori. Senza profonde modifiche nei metodi attuali del commercio
mondiale, le nazioni in via di sviluppo non potranno ricevere i sussidi materiali di cui hanno
bisogno. Inoltre, altre risorse devono essere loro date dalle nazioni progredite, sotto forma di
dono, di prestiti e d'investimenti finanziari: ciò si faccia con generosità e senza cupidigia, da
una parte, e si ricevano, dall'altra, con tutta onestà.
Per instaurare un vero ordine economico mondiale, bisognerà rinunciare ai benefici
esagerati, alle ambizioni nazionali, alla bramosia di dominazione politica, ai calcoli di natura
militaristica e alle manovre tendenti a propagare e imporre ideologie. Vari sono i sistemi
economici e sociali proposti; è desiderabile che gli esperti possano trovare in essi un
fondamento comune per un sano commercio mondiale. Ciò sarà più facile se ciascuno,
rinunciando ai propri pregiudizi, si dispone di buon grado a condurre un sincero dialogo.
86. Alcune norme opportune
In vista di questa cooperazione, sembra utile proporre le norme seguenti:
a) Le nazioni in via di sviluppo tendano soprattutto ad assegnare, espressamente e senza
equivoci, come fine del progresso la piena espansione umana dei cittadini. Si ricordino che
questo progresso trova innanzi tutto la sua origine e il suo dinamismo nel lavoro e nella
ingegnosità delle popolazioni stesse, visto che esso deve sl far leva sugli aiuti esterni, ma,
prima di tutto, sulla valorizzazione delle proprie risorse nonché sulla propria cultura e
tradizione. In questa materia, quelli che esercitano sugli altri maggiore influenza devono dare
l'esempio.
b) È dovere gravissimo delle nazioni evolute di aiutare i popoli in via di sviluppo ad
adempiere i compiti sopraddetti. Perciò esse procedano a quelle revisioni interne, spirituali e
materiali, richieste da questa cooperazione universale. Così bisogna che negli scambi con le
nazioni più deboli e meno fortunate abbiano riguardo al bene di quelle che hanno bisogno
per la loro stessa sussistenza dei proventi ricavati dalla vendita dei propri prodotti.
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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c) Spetta alla comunità internazionale coordinare e stimolare lo sviluppo, curando tuttavia di
distribuire con la massima efficacia ed equità le risorse a ciò destinate. Salvo il principio di
sussidiarietà, ad essa spetta anche di ordinare i rapporti economici mondiali secondo le
norme della giustizia.
Si fondino istituti capaci di promuovere e di regolare il commercio internazionale,
specialmente con le nazioni meno sviluppate, e destinati pure a compensare gli inconvenienti
che derivano dall'eccessiva disuguaglianza di potere fra le nazioni. Accanto all'aiuto tecnico,
culturale e finanziario, un simile ordinamento dovrebbe mettere a disposizione delle nazioni
in via di sviluppo le risorse necessarie ad ottenere una crescita soddisfacente della loro
economia.
d) In molti casi è urgente procedere a una revisione delle strutture economiche e sociali. Ma
bisogna guardarsi dalle soluzioni tecniche premature, specialmente da quelle che, mentre
offrono all'uomo certi vantaggi materiali, si oppongono al suo carattere spirituale e alla sua
crescita. Poiché " non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di
Dio " (Mt 4,4). Ogni parte della famiglia umana reca in sé e nelle sue migliori tradizioni
qualcosa di quel tesoro spirituale che Dio ha affidato all'umanità, anche se molti ignorano da
quale fonte provenga.
87. La cooperazione internazionale e l'accrescimento demografico
La cooperazione internazionale è indispensabile soprattutto quando si tratta dei popoli che,
fra le molte altre difficoltà, subiscono oggi in modo tutto speciale quelle derivanti da un
rapido incremento demografico. È urgente e necessario ricercare come, con la cooperazione
intera ed assidua di tutti, specie delle nazioni più favorite, si possa procurare e mettere a
disposizione dell'intera comunità umana quei beni che sono necessari alla sussistenza e alla
conveniente istruzione di ciascuno. Alcuni popoli potrebbero migliorare seriamente le loro
condizioni di vita se, debitamente istruiti, passassero dai vecchi metodi di agricoltura ai
nuovi procedimenti tecnici di produzione, applicandoli con la prudenza necessaria alla
situazione propria e se instaurassero inoltre un migliore ordine sociale e attuassero una più
giusta distribuzione della proprietà terriera.
Nei limiti della loro competenza, i governi hanno diritti e doveri per ciò che concerne il
problema demografico della nazione; come, ad esempio, per quanto riguarda la legislazione
sociale e familiare, le migrazioni dalla campagna alle città, o quando si tratta
dell'informazione relativa alla situazione e ai bisogni del paese. Oggi gli animi sono molto
agitati da questi problemi. Si deve quindi sperare che cattolici competenti in tutte queste
materie, in particolare nelle università, proseguano assiduamente gli studi già iniziati e li
sviluppino maggiormente.
Poiché molti affermano che l'accrescimento demografico nel mondo, o almeno in alcune
nazioni, debba essere frenato in maniera radicale con ogni mezzo e con non importa quale
intervento dell'autorità pubblica, il Concilio esorta tutti ad astenersi da soluzioni contrarie
alla legge morale, siano esse promosse o imposte pubblicamente o in privato. Infatti, in virtù
del diritto inalienabile dell'uomo al matrimonio e alla generazione della prole, la decisione
circa il numero dei figli da mettere al mondo dipende dal retto giudizio dei genitori e non
può in nessun modo essere lasciata alla discrezione dell'autorità pubblica. Ma siccome questo
giudizio dei genitori suppone una coscienza ben formata, è di grande importanza dare a tutti
il modo di accedere a un livello di responsabilità conforme alla morale e veramente umano,
nel rispetto della legge divina e tenendo conto delle circostanze. Tutto ciò esige un po'
dappertutto un miglioramento dei mezzi pedagogici e delle condizioni sociali, soprattutto
una formazione religiosa o almeno una solida formazione morale. Le popolazioni poi siano
opportunamente informate sui progressi della scienza nella ricerca di quei metodi che
potranno aiutare i coniugi in materia di regolamentazione delle nascite, una volta che sia ben
accertato il valore di questi metodi e stabilito il loro accordo con la morale.
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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88. Il compito dei cristiani nell'aiuto agli altri paesi
I cristiani cooperino volentieri e con tutto il cuore all'edificazione dell'ordine internazionale,
nel rispetto delle legittime libertà e in amichevole fraternità con tutti. Tanto più che la
miseria della maggior parte del mondo è così grande che il Cristo stesso, nella persona dei
poveri reclama come a voce alta la carità dei suoi discepoli. Si eviti questo scandalo: mentre
alcune nazioni, i cui abitanti per la maggior parte si dicono cristiani, godono d'una grande
abbondanza di beni, altre nazioni sono prive del necessario e sono afflitte dalla fame, dalla
malattia e da ogni sorta di miserie. Lo spirito di povertà e d'amore è infatti la gloria e il segno
della Chiesa di Cristo.
Sono, pertanto, da lodare e da incoraggiare quei cristiani, specialmente i giovani, che
spontaneamente si offrono a soccorrere gli altri uomini e le altre nazioni. Anzi spetta a tutto
il popolo di Dio, dietro la parola e l'esempio dei suoi vescovi, sollevare, nella misura delle
proprie forze, la miseria di questi tempi; e ciò, secondo l'antico uso della Chiesa, attingendo
non solo dal superfluo, ma anche dal necessario.
Le collette e la distribuzione dei soccorsi materiali, senza essere organizzate in una maniera
troppo rigida e uniforme, devono farsi secondo un piano diocesano, nazionale e mondiale;
ovunque la cosa sembri opportuna, si farà in azione congiunta tra cattolici e altri fratelli
cristiani. Infatti lo spirito di carità non si oppone per nulla all'esercizio provvido e ordinato
dell'azione sociale e caritativa; anzi l'esige. È perciò necessario che quelli che vogliono
impegnarsi al servizio delle nazioni in via di sviluppo ricevano una formazione adeguata in
istituti specializzati.
89. Efficace presenza della Chiesa nella comunità internazionale
La Chiesa, in virtù della sua missione divina, predica il Vangelo e largisce i tesori della
grazia a tutte le genti. Contribuisce così a rafforzare la pace in ogni parte del mondo,
ponendo la conoscenza della legge divina e naturale a solido fondamento della solidarietà
fraterna tra gli uomini e tra le nazioni. Perciò la Chiesa dev'essere assolutamente presente
nella stessa comunità delle nazioni, per incoraggiare e stimolare gli uomini alla cooperazione
vicendevole. E ciò, sia attraverso le sue istituzioni pubbliche, sia con la piena e leale
collaborazione di tutti i cristiani animata dall'unico desiderio di servire a tutti.
Per raggiungere questo fine in modo più efficace, i fedeli stessi, coscienti della loro
responsabilità umana e cristiana, dovranno sforzarsi di risvegliare la volontà di pronta
collaborazione con la comunità internazionale, a cominciare dal proprio ambiente di vita. Si
abbia una cura particolare di formare in ciò i giovani, sia nell'educazione religiosa che in
quella civile.
90. La partecipazione dei cristiani alle istituzioni internazionali
Indubbiamente una forma eccellente d'impegno per i cristiani in campo internazionale è
l'opera che si presta, individualmente o associati, all'interno degli istituti già esistenti o da
costituirsi, con il fine di promuovere la collaborazione tra le nazioni. Inoltre, le varie
associazioni cattoliche internazionali possono servire in tanti modi all'edificazione della
comunità dei popoli nella pace e nella fratellanza. Perciò bisognerà rafforzarle, aumentando
il numero di cooperatori ben formati, con i necessari sussidi e mediante un adeguato
coordinamento delle forze. Ai nostri giorni, infatti, efficacia d'azione e necessità di dialogo
esigono iniziative collettive. Per di più simili associazioni giovano non poco a istillare quel
senso universale, che tanto conviene ai cattolici, e a formare la coscienza di una
responsabilità e di una solidarietà veramente universali.
Infine è auspicabile che i cattolici si studino di cooperare, in maniera fattiva ed efficace, sia
con i fratelli separati, i quali pure fanno professione di carità evangelica, sia con tutti gli
uomini desiderosi della pace vera. Adempiranno così debitamente al loro dovere in seno alla
comunità internazionale. Il Concilio, poi, dinanzi alle immense sventure che ancora
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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affliggono la maggior parte del genere umano, ritiene assai opportuna la creazione d'un
organismo della Chiesa universale, al fine di fomentare dovunque la giustizia e l'amore di
Cristo verso i poveri. Tale organismo avrà per scopo di stimolare la comunità cattolica a
promuovere lo sviluppo delle regioni bisognose e la giustizia sociale tra le nazioni.
CONCLUSIONE
91. Compiti dei singoli fedeli e delle Chiese particolari
Quanto viene proposto da questo santo Sinodo fa parte del tesoro dottrinale della Chiesa e
intende aiutare tutti gli uomini del nostro tempo--sia quelli che credono in Dio, sia quelli che
esplicitamente non lo riconoscono -- affinché, percependo più chiaramente la pienezza della
loro vocazione, rendano il mondo più conforme all'eminente dignità dell'uomo, aspirino a
una fratellanza universale poggiata su fondamenti più profondi, e possano rispondere, sotto
l'impulso dell'amore, con uno sforzo generoso e congiunto agli appelli più pressanti della
nostra epoca.
Certo dinanzi alla immensa varietà delle situazioni e delle forme di civiltà, questa
presentazione non ha volutamente, in numerosi punti, che un carattere del tutto generale;
anzi, quantunque venga presentata una dottrina già comune nella Chiesa, siccome non
raramente si tratta di realtà soggette a continua evoluzione, l'insegnamento presentato qui
dovrà essere continuato ed ampliato.
Tuttavia confidiamo che le molte cose che abbiamo esposto, basandoci sulla parola di Dio e
sullo spirito del Vangelo, possano portare un valido aiuto a tutti, soprattutto dopo che i
cristiani, sotto la guida dei pastori, ne avranno portato a compimento l'adattamento ai singoli
popoli e alle varie mentalità.
92. Il dialogo fra tutti gli uomini
La Chiesa, in forza della missione che ha di illuminare tutto il mondo con il messaggio
evangelico e di radunare in un solo Spirito tutti gli uomini di qualunque nazione, razza e
civiltà, diventa segno di quella fraternità che permette e rafforza un sincero dialogo.
Ciò esige che innanzitutto nella stessa Chiesa promuoviamo la mutua stima, il rispetto e la
concordia, riconoscendo ogni legittima diversità, per stabilire un dialogo sempre più fecondo
fra tutti coloro che formano l'unico popolo di Dio, che si tratti dei pastori o degli altri fedeli
cristiani. Sono più forti infatti le cose che uniscono i fedeli che quelle che li dividono; ci sia
unità nelle cose necessarie, libertà nelle cose dubbie e in tutto carità.
Il nostro pensiero si rivolge contemporaneamente ai fratelli e alle loro comunità, che non
vivono ancora in piena comunione con noi, ma ai quali siamo uniti nella confessione del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e dal vincolo della carità, memori che l'unità dei
cristiani è oggi attesa e desiderata anche da molti che non credono in Cristo.
Quanto più, in effetti, questa unità crescerà nella verità e nell'amore, sotto la potente azione
dello Spirito Santo, tanto più essa diverrà per il mondo intero un presagio di unità e di pace.
Perciò, unendo le nostre energie ed utilizzando forme e metodi sempre più adeguati al
conseguimento efficace di così alto fine, nel momento presente, cerchiamo di cooperare
fraternamente, in una conformità al Vangelo ogni giorno maggiore, al servizio della famiglia
umana che è chiamata a diventare in Cristo Gesù la famiglia dei figli di Dio.
Rivolgiamo anche il nostro pensiero a tutti coloro che credono in Dio e che conservano nelle
loro tradizioni preziosi elementi religiosi ed umani, augurandoci che un dialogo fiducioso
possa condurre tutti noi ad accettare con fedeltà gli impulsi dello Spirito e a portarli a
compimento con alacrità.
Per quanto ci riguarda, il desiderio di stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore
della verità e condotto con la opportuna prudenza, non esclude nessuno: né coloro che hanno
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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il culto di alti valori umani, benché non ne riconoscano ancora l'autore, né coloro che si
oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere.
Essendo Dio Padre principio e fine di tutti, siamo tutti chiamati ad essere fratelli. E perciò,
chiamati a una sola e identica vocazione umana e divina, senza violenza e senza inganno,
possiamo e dobbiamo lavorare insieme alla costruzione del mondo nella vera pace.
93. Un mondo da costruire e da condurre al suo fine
I cristiani, ricordando le parole del Signore: "in questo conosceranno tutti che siete i miei
discepoli, se vi amerete gli uni gli altri" (Gv 13,35), niente possono desiderare più
ardentemente che servire con maggiore generosità ed efficacia gli uomini del mondo
contemporaneo. Perciò, aderendo fedelmente al Vangelo e beneficiando della sua forza, uniti
con tutti coloro che amano e praticano la giustizia, hanno assunto un compito immenso da
adempiere su questa terra: di esso dovranno rendere conto a colui che tutti giudicherà
nell'ultimo giorno.
Non tutti infatti quelli che dicono: " Signore, Signore ", entreranno nel regno dei cieli, ma
quelli che fanno la volontà del Padre e coraggiosamente agiscono. Perché la volontà del
Padre è che in tutti gli uomini noi riconosciamo ed efficacemente amiamo Cristo fratello, con
la parola e con l'azione, rendendo così testimonianza alla verità, e comunichiamo agli altri il
mistero dell'amore del Padre celeste.
Così facendo, risveglieremo in tutti gli uomini della terra una viva speranza, dono dello
Spirito Santo, affinché alla fine essi vengano ammessi nella pace e felicità somma, nella
patria che risplende della gloria del Signore. " A colui che, mediante la potenza che opera in
noi, può compiere infinitamente di più di tutto ciò che noi possiamo domandare o pensare, a
lui sia la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù, per tutte le generazioni nei secoli dei secoli.
Amen" (Ef 3,20-21).
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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DAL LIBRO DI MONS. TONINO BELLO, SUI SENTIERI DI ISAIA, LUCE E VITA – LA
MERIDIANA, MOLFETTA 19893:
Su quale pace scommettere?
Con questo non si vuoi dire che il termine ―pace‖ indichi inequivocabilmente una realtà cosi
precisa e dai contorni così ben definiti, da escludere nettamente zone di valori limitrofi.
È difficile tracciare la linea di demarcazione che distingue l‘area della pace da quella propria
della libertà, o della giustizia, o della comunione, o del perdono, o dell'accoglienza, o della
verità. Ed è fatica improba disegnare sulle mappe lessicali gli spartiacque di questi valori.
Sicché, se le immagini possono aiutarci a capire, dovremmo dire che la pace più che una
stella è una galassia, più che un'isola è un arcipelago, più che una spiga è un covone.
A fare difficoltà, però, non è lo sfumare della pace propriamente detta nelle fasce degli altri
concetti viciniori con i quali, per così dire, essa ha rapporti stretti di consanguineità.
Ciò che crea problemi, invece, è quella terribile operazione di contrabbando secondo cui si
espongono nella medesima vetrina, magari con la medesima etichetta, prodotti
completamente diversi. Diciamocelo francamente: la pace la vogliono tutti, anche i criminali;
e nessuno è così spudoratamente perverso, da dichiararsi amante della guerra. Ma la pace di
una lobby di sfruttatori è la stessa perseguita dalle turbe degli oppressi? La pace delle
multinazionali coincide con quella dei salariati sotto costo? La pace voluta dai dittatori si
identifica con quella sognata dai perseguitati politici? E sul vocabolario del regime di
Pretoria, la definizione di pace suona allo stesso modo che sul vocabolario delle vittime
dell'apartheid?
Come si vede, è necessario evitare il rischio di pericolose contraffazioni.
Pertanto, si rende indispensabile, almeno per noi credenti, fissare dei criteri sulla cui base
selezionare il genere di pace, per il quale valga la spesa di impegnarsi in una scommessa.
Non scommettere sulla pace che non venga dall'alto: è inquinata.
Dire che la pace è un dono di Dio sta diventando purtroppo uno slogan pronunciato da noi
cristiani senza molta convinzione e usato come formula di maniera. Tutto sommato, all'atto
pratico facciamo affidamento più sulle mediazioni diplomatiche che sull'implorazione, più
sulla bravura delle cancellerie della terra che sulla forza impetrativa della preghiera, più
sull'abilità dei politici che sulla tenacia dei contemplativi Preghiamo, questo sì, per la pace.
Ma di essa abbiamo una concezione maledettamente tolemaica: il ciclo sembra che le ruoti
attorno solo per fecondarne lo sviluppo e per incoraggiarne la crescita.
Ebbene, considerare la pace come acqua ricavata dai nostri pozzi è un tragico errore di
prospettiva di cui, prima o poi, pagheremo le spese col prosciugamento o con l'inquinamento
delle falde freatiche.
Quando la riflessione delle nostre comunità riuscirà a scoprire che i pozzi della pace sono le
stimmate del Risorto?
Non scommettere sulla pace non connotata da scelte storiche concrete:è un bluff.
Se, per un verso, non è infrequente l‘equivoco su descritto, che potremmo designare come
l'eresia del ―pelagianesimo della pace‖, per un altro verso non è raro il rischio opposto che è
quello del disimpegno, coperto oltretutto dall'alibi comodo che la pace è una realtà ―oriens ex
alto‖, proveniente dal Ciclo.
Occorre scongiurare questa specie di fatalismo che fa ritenere inutili, se non addirittura
controproducenti, le scelte di campo, le prese di posizione, le decisioni coraggiose, le
testimonianze audaci, i gesti profetici. È vero, la pace è un'acqua che scende dal ciclo: ma
siamo noi che dobbiamo canalizzarla affinché, attraverso le condutture appropriate della
nostra genialità, giunga a ristorare tutta la terra.
Ecco perché è un ―bluff‖ limitarsi a chiedere la pace in chiesa, e poi non muovere un dito per
denunciare la corsa alle armi, il loro commercio clandestino, e la follia degli scudi spaziali.
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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Per impedire la crescente militarizzazione del territorio. Per smascherare la logica di guerra
sottesa a tante scelte pubbliche e private. Per indicare nelle leggi dominanti di mercato i
focolai della violenza. Per accelerare l'accoglimento di criteri che favoriscano un nuovo
ordine economico internazionale. Per tracciare i percorsi concreti di una educazione
autentica alla pace. Per esporsi, magari anche con i segni paradossali ma eloquenti
dell'obiezione di coscienza, in tutte le sue forme, sui crinali della contraddizione.
Non scommettere sulla pace che prenda le distanze dalla giustizia: è peggio della guerra.
La Bibbia allude spesso ad abbracciamenti tra pace e giustizia simili a quelli tra madre e
figlia, o tra due amanti comunque. Frutto della giustizia è la pace, dice Isaia in uno splendido
passo. E il salmo 85 parla così apertamente di baci tra i due partners, che non mancano
coloro a cui verrebbe il sospetto che questi rapporti abbiano del torbido, e calpestino il
cosiddetto elementare senso del pudore.
In effetti, è un‘accoppiata che fa scandalo. Tant‘è che molti agenti della ―buon costume‖
preferirebbero che le due imputate se ne tornassero ciascuna a casa sua e rientrassero, per
così dire, a vita privata.
Parlando fuori parabola, non è difficile capire come ai ben pensanti, che quasi sempre
coincidono con i garantiti di turno, da fastidio questa scoperta biblica, recente tutto sommato,
del legame esistente tra pace e giustizia.
Pace, sì. Ma che c'entrano i 50 milioni di esseri umani che muoiono ogni anno per fame?
Sulla pace non si discute. Ma che cosa hanno da spartire con essa i discorsi sulla
massimizzazione del profitto? La pace, va bene. Ma non sa di demagogia chiamare in causa,
ad ogni giro di boa, le divaricazioni esistenti tra Nord e Sud della terra? Pace, d'accordo. Ma
è proprio il caso di tirare in ballo la ripartizione dei beni, o i debiti del terzo mondo, o le
manipolazioni delle culture locali, o lo scempio della dignità dei poveri?
Attenzione! È in atto una campagna ―soft‖ che spinge pace e giustizia alla ―separazione
legale‖, con espedienti che si vestono di ragioni morali, ma camuffano il più bieco dei
sacrilegi.
Non scommettere sulla pace che si proclami estranea al problema della salvaguardia del
creato: è amputata.
Qualcuno potrebbe pensare che il bisogno di allargare i consensi, con l'ammiccamento ai
temi di moda, abbia provocato l'inclusione del problema ambientale nell'area degli interessi
di coloro che si battono per la pace.
Non è così. Alla radice di questa coscienza, che potremmo chiamare ―trinitaria‖, visto che la
pace oggi si declina inesorabilmente con la giustizia e con la salvaguardia del creato, c'è la
constatazione che, a produrre tanti guasti inesorabili della natura, è sempre il seme del
profitto. Lo stesso che genera le guerre.
L‘utero che partorisce la guerra è sempre gravido, diceva Brecht.
E i suoi parti sono trigemini, dal momento che, oltre alla guerra e all'ingiustizia, si porta
dentro anche il mostro ecologico.
Isaia le aveva intuite prima di noi queste articolazioni, quando annunciava la discesa dello
Spirito che avrebbe trasformato il deserto in giardino, all'interno del quale sarebbe fiorito
l'albero della giustizia, sui cui rami sarebbe spuntato il frutto della pace. ―In noi sarà infuso
uno Spirito dall‘alto. Allora il deserto diventerà un giardino...e la giustizia regnerà nel
giardino...e frutto della giustizia sarà la pace‖ (32,15-17).
Non scommettere sulla pace che sorrida sulla radicalità della nonviolenza: è infida.
È giunta l‘ora in cui occorre decidersi ad arretrare (arretrare o spingere?) la difesa della pace
sul terreno della nonviolenza assoluta. Non è più ammissibile indugiare su piazzole
intermedie che consentano dosaggi di violenza, sia pur misurati o prevalentemente rivolti a
neutralizzare quella degli altri.
Richiamarsi al dovere di ―camminare con i piedi per terra‖, e fare spreco di compatimento
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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sul preteso ―fondamentalismo‖ degli annunciatori di pace, significa far credito alle astuzie
degli uomini più di quanto non si faccia assegnamento sulle promesse di Dio.
La nonviolenza è la strada che Gesù Cristo ci ha .indicato senza equivoci.
Se su di essa perfino la profezia laica ci sta precedendo, sarebbe penoso che noi credenti,
destinati per vocazione a essere avanguardie che introducono nel presente il calore
dell'utopia evangelica, scadessimo al ruolo di teorizzatori delle prudenze carnali.
Il grande esodo che oggi le nostre comunità cristiane sono chiamate a compiere è questo:
abbandonare i recinti di sicurezza garantiti dalla forza per abbandonarsi, sulla parola del
Signore, alla apparente inaffidabilità della nonviolenza attiva.
Non scommettere sulla pace che non provochi sofferenza: è sterile.
Il grande teologo protestante Bonhoeffer parlava di ―grazia a caro prezzo‖. Forse è ora che ci
abituiamo a pensare che anche la pace ha dei conti altissimi.
I prezzi stracciati destano sospetto.
Gli sconti da capogiro inducono a credere che la mercé è avariata.
Le svendite fuori stagione sanno di ambiguità. E le allettanti offerte sottocosto fanno pensare
ai surrogati.
La pace non è il premio favoloso di una lotteria che si può vincere col misero prezzo di un
solo biglietto.
Chi scommette sulla pace deve sborsare in contanti monete di lacrime, di incomprensione e
di sangue.
La pace è il nuovo martirio a cui oggi la Chiesa viene chiamata.
L'arena della prova è lo scenario di questo villaggio globale che rischia di incenerirsi in un
olocausto senza precedènti.
E come nei primi tempi del cristianesimo i martiri stupirono il mondo per il loro coraggio,
cosi oggi la Chiesa dovrebbe fare ammutolire i potenti della terra per la fierezza con cui,
noncurante della persecuzione, annuncia, senza sfumare le finali come nel canto gregoriano,
il vangelo della pace e la prassi della nonviolenza.
È chiaro che se, invece che fare ammutolire i potenti, ammutolisce lei, si renderebbe
complice rassegnata di un efferato ―crimine di guerra‖.
Ma, grazie a Dio, stiamo assistendo oggi a una nuova effusione dello Spirito che spinge la
Chiesa sui versanti della profezia e le da l'audacia di sfidare le trame degli oppressori, i
sorrisi dei dotti, e le preoccupazioni dei prudenti secondo la carne.
Non scommettere sulla pace come “prodotto finito”: scoraggia.
La pace è una meta sempre intravista, e mai pienamente raggiunta. La sua corsa si vince sulle
tappe intermedie, e mai sull'ultimo traguardo. Esisterà sempre un ―gap‖ tra il sogno cullato e
le realizzazioni raggiunte. I labbri delle conquiste non combaceranno mai con quelli
dell'utopia, e il ―già‖ non si salderà mai col ―non ancora‖.
Ciò vuoi dire che sul terreno della pace non ci sarà mai un fischio finale che chiuda la partita,
e bisognerà giocare sempre ulteriori tempi supplementari. Tutto questo può indubbiamente
provocare delusioni e stanchezza, creando collassi operativi e crisi da insuccesso. Ma chi è
convinto che la pace è un bene la cui interezza si sperimenterà solo nello stadio finale del
Regno, troverà nuovi motivi per continuare la corsa anche nella situazione di scacco
permanente in cui è tenuto dalla storia.
E' chiaro che se, invece che fare ammutolire i potenti, ammutolisce lei, si renderebbe
complice rassegnata di un efferato "crimine di guerra".
Ma, grazie a Dio, stiamo assistendo oggi a una nuova effusione dello Spirito che spinge la
Chiesa sui versanti della profezia e le da l'audacia di sfidare le trame degli oppressori, i
sorrisi dei dotti, e le preoccupazioni dei prudenti secondo la carne.
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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Cristo, nostra Pace, non delude
Coraggio, allora! Nonostante questa esperienza frammentata di pace, scommettere su di essa
significa scommettere sull'uomo. Anzi, sull‘Uomo nuovo. Su Cristo Gesù: egli è la nostra
Pace. E lui non delude. Del resto anche lui, finché staremo sulla terra, sarà sempre per noi un
Ospite velato.
Faremo di lui un‘esperienza incompleta, e i suoi passaggi li scorgeremo solo attraverso segni
da interpretare e orme da decifrare. Faccia a faccia, così come egli è, lo vedremo solo nei
chiarori del Regno di Dio.
Allora, come per una arcana dissolvenza, le linee con cui abbiamo tenacemente disegnato la
pace quaggiù si ricomporranno nella luce dei suoi occhi e assumeranno finalmente i tratti del
suo volto.
E la realtà, stavolta, sopravanzerà il sogno.
Ma qui siamo già alle soglie del mistero!
In principio, la Trinità
Una delle cose più belle e più pratiche messe in luce dalla teologia in questi ultimi anni è che
la SS. Trinità non è solo il mistero principale della nostra fede, ma è anche il principio
architettonico supremo della nostra morale. Quella trinitaria, cioè, non è solo una dottrina da
contemplare, ma un'etica da vivere. Non solo una verità tesa ad alimentare il bisogno di
trascendenza, ma una fonte normativa cui attingere per le nostre scelte quotidiane.
Gesù, pertanto, ci ha rivelato questo segreto di casa sua non certo per accontentare le nostre
curiosità intellettuali, quanto per coinvolgerci nella stessa logica di comunione che lega le tre
persone divine.
Nel ciclo tre persone uguali e distinte vivono così profondamente la comunione, che formano
un solo Dio.
Sulla terra più persone, uguali per dignità e distinte per estrazione, sono chiamate a vivere
così intensamente la solidarietà, da formare un solo uomo, l‘uomo nuovo: Cristo Gesù.
Sicché l‘essenza della nostra vita etica consiste nel tradurre con gesti feriali la
contemplazione festiva del mistero trinitario, scoprendo in tutti gli essere umani la dignità
della persona, riconoscendo la loro fondamentale uguaglianza, rispettando i tratti
caratteristici della loro distinzione.
C'è da aggiungere, poi, che nel ciclo le ricchezze proprie di una persona divina sono così
trasferibili dall‘una all‘altra (c‘è, potremmo dire, un così intenso scambio culturale tra Padre,
Figlio e Spirito), che la teologia per indicare questo fenomeno ha dovuto coniare
un'espressione forse un po' difficile per i non addetti ai lavori, ma estremamente
significativa: la comunicazione degli idiomi.
Ebbene, l‘imperativo etico che ne deriva per coloro che vivono sulla terra è che se tengono
sotto sequestro le proprie risorse spirituali o materiali senza metterle a disposizione degli
altri, non possono esimersi dall'accusa di appropriazione indebita.
Per una nuova diaconia della pace
Nessuno penserà che, spingendo la riflessione sul terreno trinitario, si sia offerto il destro per
eleganti evasioni nelle teorizzazioni astratte. Non c'è nulla di più diseducante in fatto di pace
che pretendere di stimolare suggestioni di prassi, fitte di banali ricettari operativi e
disancorati da una forte matrice teologica.
Già Berdjaev diceva: ―la nostra dottrina sociale è la Trinità‖.
Parlare, pertanto, della famiglia come icona trinitaria, significa fornire il crivello per valutare
la trama delle nostre contro testimonianze e compiere le scelte giuste in fatto di pace.
Una teologia forte, del resto, non è mai fuga per la tangente innocua della storia di Dio.
Ma è offerta di parametri tesi a misurare la fedeltà degli uomini al Dio della storia.
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DAI DISCORSI DI GIORGIO LA PIRA:
Alla Croce Rossa Internazionale (Ginevra 1954)
Il valore delle città
Signor Presidente, Signori Esperti, quando aveste la cortesia di invitarmi a questa sessione
del Comitato Internazionale della Croce Rossa, a tutta prima mi trovai indeciso: accettare o
no?
Con quale diritto, pensavo, posso io partecipare legittimamente alla riunione di un Comitato
di Esperti impegnato in un compito già così esattamente definito dalla tecnica del diritto
internazionale e dalla tecnica dell'assistenza e militare?
Sennonché la mia indecisione scomparve appena voi, Eccellenza, aveste la bontà di
ricordarmi che sono il Sindaco di una città – Firenze – la quale riveste certamente una
funzione elevata e fondamentale in tutto il complesso della civiltà umana, città che porta
ancora i segni delle ferite che non potranno mai essere rimarginate e che sono state
inutilmente inflitte ad essa -e con essa a tutta la civiltà umana- durante la seconda guerra
mondiale.
Il vostro richiamo, Eccellenza, posto da un lato in relazione con i lavori di questo Comitato e
dall'altro con certe recenti esperienze di distruzione, non poteva non prospettarmi alcuni
aspetti, certamente assai drammatici, dei problemi della storia attuale, cioè il problema del
valore storico delle città e quello, correlativo, delle responsabilità storiche che sono
strutturalmente collegate al valore e al destino di queste città.
Il vostro invito, Eccellenza, provocò in me quell'effetto che la terminologia ascetica definisce
composizione di luogo: rividi, cioè, con la fantasia la mia dolce, composta e armoniosa
Firenze; rividi, come in un sol colpo d'occhio, assieme a quelle signorili e storiche, le nostre
piccole città della Toscana, dell'Italia; gettai lo sguardo su tutte le incomparabili città
dell'Europa -irte di cattedrali e di monumenti di inestimabile valore, autentiche rifrazioni
dell'eternità nel tempo; passai, con l'immaginazione, dalle città dell'Europa a quelle,
ugualmente preziose, degli altri continenti (America, Asia, Australia, Africa) e mi domandai,
affranto dall'orrore: -Si può concepire che queste autentiche ricchezze delle nazioni, che
queste essenziali strutture della civiltà umana -strutture in cui trovano espressione i valori
storici e creativi dell'uomo e, in certo senso, gli stessi valori storici e creativi di Dio- possano
venire radicalmente cancellate dalla faccia della terra?
In realtà, è ormai inequivocabilmente provato che questa devastazione totale delle città
dell'uomo dalla faccia della terra è possibile: infatti qualche bomba a idrogeno lasciata
cadere su alcuni punti del globo può ridurre la terra a un deserto... transivi et ecce non erat!
Le parole del Vangelo che qualche critico aveva ritenuto espressione di fanatismo religioso,
diventano oggi quasi dei teoremi di fisica nucleare, di scienza e di pratica militare: ―...Ma in
quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà più luce, e le stelle
cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sommosse (Marco, XIII, 24).
Dopo questa ―composizione di luogo‖ la mia decisione non poteva che essere una sola:
venire.
Ma a che titolo? Non certamente in qualità di esperto di problemi di tecnica giuridica
internazionale e nemmeno di tecnica sanitaria, assistenziale o militare; ma solo in qualità di
sindaco e di responsabile, in un certo senso, di una fra le città essenziali del mondo: e, ancora
come tacitamente investito della rappresentanza e della responsabilità di tutte le città della
terra, grandi e piccole, storiche e no, artistiche e no, di tutti i continenti e di tutti punti della
terra!
Ecco, Eccellenza e Signori, il titolo che legittima la mia presenza. Presente, ma per dire che
cosa? Per portare quale messaggio? La risposta è categorica: la mia dolce e armoniosa
Firenze creata, in un certo senso, sia per l'uomo come per Dio, per essere come la città sulla
montagna, luce e conforto sul cammino degli uomini, non vuole essere distrutta!
Questa stessa volontà di vita viene affermata, insieme con Firenze -grazie a una missione
tacitamente affidata al sindaco del capoluogo toscano- da tutte le città della terra: città,
ripeto, capitali e non capitali; grandi o piccole, storiche o di recente tradizione, artistiche e
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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no: tutte indistintamente. Esse rivendicano unanimemente il loro inviolabile diritto
all'esistenza: nessuno ha il diritto, per qualsiasi motivo, di distruggerle.
E permettetemi, Signor Presidente e Signori Esperti, qualche breve considerazione.
Quando dico che tutte le città del mondo, di fronte al pericolo reale di una condanna a morte,
proclamano unanimemente il loro inviolabile diritto all'esistenza, non faccio della retorica e
nemmeno del nominalismo: cioè, io non mi servo di parole e di immagini a cui non
corrisponde una solida realtà.
No, io mi servo di parole e di immagini per esprimere una realtà solida, anche se non
chiaramente percettibile.
Le città hanno una loro vita e un loro essere autonomi, misteriosi e profondi: esse hanno un
loro volto caratteristico e, per così dire, una loro anima e un loro destino: esse non sono
occasionali mucchi di pietre, ma sono le misteriose abitazioni di uomini e, vorrei dire di più,
in un certo modo le misteriose abitazioni di Dio: gloria Domini in te videbitur.
Non per nulla il porto finale della navigazione storica degli uomini mostra, sulle rive
dell'eternità, le strutture quadrate e le mura preziose di una città beata: la città di Dio!
Ierusalem quae aedificatur ut civitas cuius partecipatio eius in idipsum, dice il Salmista.
La rivelazione dell' Antico e del Nuovo Testamento - e in generale tutte le più grandi
tradizioni religiose dell'umanità - ci assicura che la protezione angelica si esercita come sugli
uomini singoli, così sulle singole città.
La nostra insensibilità per questi valori fondamentali che danno, in maniera invisibile ma
non meno reale, peso e sorte alle cose degli uomini, ci ha fatto smarrire la percezione del
mistero delle città: e tuttavia questo mistero esiste e proprio oggi -in questo periodo così
decisivo della storia umana- si manifesta attraverso segni che si rivelano sempre più
rimarchevoli e che richiamano alla responsabilità di ciascuno e di tutti.
Signor Presidente, Signori Esperti, è un fatto incontestabile quello che sta svolgendosi sotto i
nostri occhi, un fatto che ha un valore storico e sintomatico senza dubbio eccezionale: è
giunta, per così dire, la epoca storica delle città, l'epoca storica che deriva la sua nozione, la
sua figura e il suo nome dalla cultura delle città .
E' superfluo citare la letteratura indicativa di questo fatto essenziale; non si tratta solo di
letteratura urbanistica (in proposito mi limiterò a citare solo il libro del Mumford), ma di
letteratura storica, politica, metafisica, mistica perfino.
Ed esiste un complesso di fatti sintomatici che nelle biografie, per così dire, delle città, si
rivela veramente in mille modi. Basta pensare al fermento così vivo che anima -cementandoli
insieme- i comuni d'Europa; o all'interesse crescente che provocano le biografie delle città
più caratteristiche (sto leggendo una biografia su la ―Santa Mosca‖ nel XIX secolo); o alle
manifestazioni del pensiero giovanile orientato giustamente verso l'intuizione del valore
culturale e politico delle città.
Tutto ciò è innegabile: la cultura della città, la metafisica della città sono diventate, in
qualche modo, il centro nuovo di orientamento di tutta la meditazione umana. Siamo a una
nuova ―misura‖ dei valori: la storia presente e ancor più quella futura, si serviranno sempre
più di questo metro destinato a fornire la misura umana a tutta la scala, già tanto sovvertita,
dei valori.
Ebbene, a questo periodo di preminenza delle città a cui noi siamo giunti, fa riscontro, per un
misterioso paradosso storico, proprio l'epoca in cui la distruzione simultanea delle città
essenziali può essere compiuta in pochi secondi! Non siamo nel campo della fantasia, ma
nella sfera delle cose possibili, nel volgere di poche ore la civiltà umana potrebbe essere
irrimediabilmente privata di Firenze e di tutte le capitali del mondo.
Tutti si chiedono: -Che sarebbe del mondo senza questi centri essenziali, senza queste fonti
insostituibili, senza questi fari che riflettono la luce della civiltà?
Ecco il problema fondamentale dei nostri giorni, che è pertinente anche dal punto di vista
giuridico.
Esso si pone così. Gli Stati hanno il diritto di distruggere le città? Di uccidere queste ―unità
viventi‖ - veri microcosmi in cui si concentrano i valori essenziali della storia passata e veri
centri da cui si irraggiano i valori per la stessa storia futura - che costituiscono il tessuto
intero della società e della civiltà umana?
La risposta, secondo noi, deve essere negativa! Le generazioni attuali non hanno il diritto di
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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distruggere una ricchezza che è stata loro affidata in vista delle generazioni future! Si tratta
di beni che derivano dalle generazioni passate e di fronte ai quali le presenti rivestono la
figura giuridica degli eredi fiduciari: i destinatari ultimi di questa eredità sono le generazioni
successive (et hereditate acquirent eam, Salmo 68).
Ci troviamo di fronte a un caso che i Romani definivano sostituzione fidecommissaria, cioè
di un fidecommesso di famiglia destinato a per:petuare in seno al gruppo familiare l'esistenza
di un determinato patrimonio. Ne domus alienaretur sed ut in familia relinqueretur (D. 3132-6), dice Papiniano.
Ecco definita con mordente chiarezza la posizione giuridica degli Stati e delle attuali
generazioni di fronte alle città che sono state loro trasmesse dalle generazioni precedenti: ne
domus alienaretur sed ut in familia relinqueretur!
Nessuno ha il diritto di distruggerle: dobbiamo conservarle, integrarle e ritrasmetterle; non
sono nostre, sono d'altri. Affermandolo, siamo nella stretta orbita della giustizia: neminem
laedere suum unicuique tribuere.
Ecco definita la figura giuridica che giustifica la mia presenza fra voi. Sono venuto per
affermare il diritto all'esistenza delle città umane, un diritto di cui siamo titolari, noi della
generazione presente, ma del quale sono titolari ancor di più gli uomini delle generazioni
future; un diritto il cui valore storico, sociale, politico, cui turale, religioso si fa più grande a
misura che si chiarisce, nella meditazione umana attuale, il significato misterioso e profondo
delle città.
Ogni città è una rocca sulla montagna, è un candelabro destinato a rischiarare il cammino
della storia.
Nessuno, senza commettere un crimine irreparabile contro l'intera famiglia umana, può
condannare a morte una città!.
Ecco allora, Signor Presidente e Signori Esperti, ci che io chiedo in veste quasi di procurator
di tutte le città su cui pende la minaccia spaventosa di una simile condanna: io domando che
il diritto delle città all'esistenza sia formalmente e solidalmente riconosciuto dagli Stati che
hanno il potere di violarlo; io domando, anche a nome delle generazioni future, che i beni di
cui sono destinatarie non siano distrutti: ne civitas destruetur.
E perché si possa raggiungere questo scopo, io domando che intanto gli Stati si riconoscano
responsabili dei luoghi e dei posti essenziali per l'esistenza stessa della civiltà umana e che,
di conseguenza, siano, a priori, sottratti a qualsiasi minaccia mortale di azioni di guerra.
Grazie, Signor Presidente e Signori Esperti, per quanto vorrete fare per tradurre in stretti
termini giuridici la domanda che io presento: il problema, voi lo vedete, è veramente la
magna quaestio del nostro tempo. Risolverlo in senso positivo significa aver salvata
l'umanità intera da rovina certa.
Che Dio vi aiuti in questa opera così determinante per la salvezza degli uomini!
Ginevra 12 aprile 1954
Lettera ad una claustrale
Pregare per la pace
Reverenda Madre,
lo scopo di questa circolare? Ecco: fare proprie, con tutta l'anima, con tutto il cuore, con tutta
la mente, con tutte le forze, le parole del Signore «Finora non avete chiesto nulla nel mio
nome: chiedete ed otterrete, perché la vostra gioia sia piena» e chiedere al Padre celeste, nel
nome di Gesù e di Maria, una cosa precisa: cessino i focolai di guerra che sono di ancora
accesi qua e là nel pianeta, specie in Asia (il Vietnam) ed in America Latina (San Domingo e
altrove) e che la pace, malgrado tutto, si stabilisca definitivamente sopra la terra: Pax in
terra!
Madre Reverenda,
bisogna puntare con estrema decisione, con totale impegno sopra questa domanda: questa
grazia della pace alla intiera famiglia umana deve essere concessa dal Padre celeste; il fiume
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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di pace -di cui parla Isaia - deve irrigare con abbondanza la città degli uomini, come irriga la
città di Dio (Apoc. 22): il Signore non può negare questa grazia così fondamentale dalla
quale dipende l'esistenza della civiltà umana, del genere umano e, forse, dello stesso pianeta!
Perché, Madre Reverenda, al punto in cui si trovano le cose, non c'è alternativa per i popoli:
o la pace millenaria o la distruzione apocalittica della famiglia umana e della terra medesima
provocata, (Dio non voglia!) dalla potenza sconvolgitrice -apocalittica davvero!- delle armi
nucleari!
Queste affermazioni, Madre Reverenda, non sono mie: sono degli scienziati nucleari; sono
delle massime guide politiche del mondo (si ricordi Kennedy); sono di Giovanni XXIII che
con la Pacem in Terris consegnò ai popoli di tutta la terra il suo messaggio di salvezza e di
speranza!
Questo, Madre Reverenda, è, perciò, il problema fondamentale del mondo, oggi: fare la
scelta finale, apocalittica: scegliere, cioè, o la pace millenaria (che richiede un profondo
mutamento in tutti i rapporti -e nel modo stesso di pensare!- degli uomini) o la distruzione
davvero senza misura, che può condurre sino alla rottura degli stessi equilibri fisici sui quali
si regge l'esistenza fisica del nostro pianeta (e non solo di esso).
Ed allora? Allora la risposta è evidente: -bisogna avere il coraggio (perché di questo si
tratta!) di scegliere la pace e di agire a tutti i livelli (internazionali ed interni: militari,
scientifici, tecnici, economici, sociali, culturali, politici e religiosi) in conformità a questa
scelta.
Ma per fare questa scelta ci vuole davvero un atto smisurato di fede: la fede di Abramo: spes
contra spem! Per fare questa scelta- che è, certamente, piena di rischi, piena di incognite,
piena di incertezze- non ci vuole meno della fede degli Apostoli che sulla parola di Cristo
risorto lanciarono le reti; durante tutta la notte non avevano preso nulla: in quell 'alba
preziosa, invece, presero 153 pesci grossi, più di quanto la rete ne sopportava!
Madre Reverenda, la storia del mondo è pervenuta, appunto, a questo «limite apocalittico»:
le guide politiche del mondo si trovano davanti a questa alternativa: o lanciare, nel nome di
Cristo risorto -come gli apostoli nel mare di Galilea- la rete della pace; o scatenare una
guerra nucleare che, ripeto, può distruggere la civiltà umana, la famiglia umana, e l'esistenza
stessa del pianeta. . Senta, Madre Reverenda, cosa disse Kennedy: ―...gli avvenimenti e le
decisioni dei prossimi dieci mesi (eravamo nel settembre 1961) potranno forse decidere il
destino dell'uomo per i prossimi diecimila anni. Non ci sarà modo di evitare questi
avvenimenti: queste decisioni saranno senza appello; noi saremo ricordati o come la
generazione che ha trasformato questo pianeta in un rogo fiammeggiante o come la
generazione che ha realizzato il suo voto di salvare le generazioni future dal flagello della
guerra‖.
Perché, Madre Reverenda, Le dico queste cose? Si tratta forse di una nota pessimistica che
viene ad inserirsi improvvisamente nella visione sempre piena di speranza storica - spes
contra spem - che ha caratterizzato il nostro dialogo nel corso di un quindicennio?
No, Madre Reverenda, non si tratta di una impreveduta visione pessimista della storia
presente del mondo: non togliamo un solo accento, anche piccolo, dal coro di speranza che è
stato sempre ed è tuttavia nel nostro cuore e nella nostra mente. Noi siamo sempre -oggi più
di ieri- profondamente persuasi sulle essenziali caratteristiche di pace, di unità, di civiltà, di
grazia, che definiscono -nonostante le apparenze contrarie- la presente epoca spaziale del
mondo.
La genesi di questo mondo nuovo -pacificato, unito, civilizzato, illuminato dalla grazia del
Signore (anche se tanto faticosa e tanto piena di contrasti e di contraddizioni)- noi la
vediamo, per così dire, crescere ogni giorno più, differenziarsi ed articolarsi ogni giorno più
sull'orizzonte storico del mondo. Basta (per accorgersi di questa crescita) alzare gli occhi e
guardare attentamente -riflettendo, pregando- la stagione storica presente (nonostante le
nuvole) della Chiesa e dei popoli.
Quali impensate «convergenze» in tutti i piani, a tutti i livelli! La nostra speranza, perciò,
Madre Reverenda, non si è affievolita; la nostra fede non si è indebolita; anzi, si è, in certo
senso, potenziata: se la stagione avanza, nonostante tante tempeste e tante nuvole, ciò è
segno che essa risponde ad un ―piano‖ che si attua in modo irresistibile nella vita della
Chiesa ed in quella delle nazioni (di Israele e di tutte le genti).
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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Questo piano -Madre Reverenda- noi lo abbiamo sempre meditato e sempre (come era
possibile) indicato nelle circolari di tutti questi anni. Usando il metodo dei «segni dei tempi»
che il Signore indicò agli apostoli e che Giovanni XXIII applicò in tutta la sua azione
pastorale ed esplicitamente indicò nella Pacem in terris (un metodo cui Paolo VI ha fatto Egli
pure esplicito riferimento in un discorso pieno di speranza), noi abbiamo sempre sostenuto
questa tesi: -L'epoca storica presente (cioè l'epoca nucleare e spaziale) è un'epoca che
presenta alcune caratteristiche che la definiscono. Essa ci pare, infatti, caratterizzata:
a) dall'impossibilità della guerra nucleare e, perciò, dalla inevitabilità della pace, della unità e
della civiltà dei popoli di tutta la terra;
b) da un irresistibile e crescente movimento di pace ed unità nella Chiesa (come il Concilio
ha provato e prova);
c) dal ritorno di Israele -dopo la crocifissione di Auschwitz- nella terra dei Patriarchi, dei
Profeti, di Cristo, di Maria, della ,Chiesa nascente: ritorno che prefigura e quasi anticipa
«l'amore paolino» di Israele per Gesù, il più grande dei suoi Profeti, l'Atteso, il Risorto!
d) da un irresistibile movimento di grazia che fa convergere, per così dire, «verso Hebron»
(ove è sepolto il patriarca Abramo e tutti i Patriarchi) la triplice famiglia dei popoli la cui
discendenza spirituale ha in Abramo la comune origine: ebrei, cristiani, mussulmani;
e) dalla inevitabile consumazione e vecchiezza (ogni giorno più crescente, malgrado le
apparenze contrarie) di tutte. le «ideologie», compresa quella marxista: tutte queste ideologie
sono sottoposte ad un processo interno irreversibile ed irresistibile di dissoluzione; e nel
vuoto che esse lasciano si colloca -ogni giorno più elevato (malgrado le apparenze
contrarie)- il candelabro sul quale sta la lampada della Rivelazione Antica e Nuova che
illumina Israele e tutte le genti: lumen ad illuminationem gentium.
È davvero -vista in prospettiva- l'epoca paolina della «pienezza di Israele e della pienezza dei
gentili» .
Madre Reverenda, sogniamo ad occhi aperti? No: tutt'altro! I nostri occhi sono aperti su tutta
la realtà del nostro tempo; non ci sono, perciò, ignote le nuvole e le tempeste che turbano
tanto profondamente e cercano di arrestare questa «stagione primaverile» del mondo!
Non ignoriamo la zizzania che si trova in mezzo al grano: le intense forze di resistenza che
«l'uomo nemico» oppone accanitamente all'avanzata di Dio.
E tuttavia, Madre Reverenda, la nostra tesi (oggi più di ieri) resta salda: queste forze avverse
(malgrado tutto) non prevalgono; la stagione di Dio avanza irresistibilmente; il piano di Dio
si svolge irresistibilmente nella storia del mondo; «l'intenzione storica di Dio» si attua, in
modo irrevocabile, nonostante tutto; il messaggio di vittoria, di Cristo risorto «mi è stata data
ogni potestà in cielo ed in terra: illuminate tutte le nazioni... sarò con voi tutti i giorni sino
alla consumazione dei secoli » si profila sempre più chiaramente nell'orizzonte storico della
Chiesa e dei popoli; il tempo della regalità di Cristo sulle nazioni -il tempo dei «mille anni»
dell' Apocalisse; il tempo della pace millenaria e della unità e della civiltà dei popoli- si vede
già spuntare, come un'alba, nella prospettiva storica, millenaria, del mondo!
Levate oculos vestros et videte!
La «visione» di Isaia (2, 1 ss.) e dei Profeti non appare più un'utopia: la pace universale,
l'unità del mondo, la fraternità, la civiltà e l‘ illuminazione biblica del mondo, non appaiono
più «sogni» di poeti e «fantasie» di profeti: appaiono realtà storiche che cominciano a
profilarsi, a «sagomarsi», nell'orizzonte storico della Chiesa e dei popoli!
Basta guardare con amore, con preghiera, con attenzione, lo svolgersi irresistibile del piano
di Dio nel mondo.
Perché di questo, Madre Reverenda, dobbiamo essere persuasi: il Signore vuole che il Suo
regno venga, come in cielo, anche in terra; che sulla terra -abitata dal Suo Unigenito e dalla
Sua Chiesa!- si faccia la pace, splenda la luce, trionfi la grazia; che le «visioni» felici dei
Profeti e le «visioni» felici dell'Apocalisse diventino -nel corso futuro dei millenni- la realtà
benedetta nella quale si svolge la vita degli uomini, delle città, delle nazioni, dei popoli!
(Benedixisti Domine terram tuam, avertisti captivitatem Jacob - Isaia), in una parola che la
regalità di Cristo su Israele e sui popoli -regalità che si radica nella divina «forza» creatrice
di Cristo risorto e di Maria Assunta- è l'approdo felice verso il quale è irresistibilmente
avviata la storia presente e futura del mondo!
Ripeto, Madre Reverenda, noi non «sogniamo »: guardiamo, in prospettiva, la realtà storica
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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quale il Signore la sta svolgendo nella Chiesa e nei popoli: la «pesiamo»; la «misuriamo»; la
« numeriamo»; teniamo conto delle immense forze avverse che il nemico di Dio e dell'uomo
lancia sulla scena storica degli uomini; e dopo aver fatto tutte le analisi e tutte le misurazioni,
ci vengono nel cuore e sulle labbra le parole del Signore: Ego vici mundum!
Il demonio incatenato (Apoc. 20, 1) «per mille anni» e la regalità di Cristo approdo felice,
«per mille anni », della storia della Chiesa e delle nazioni!
La «visione» dei Profeti (la Gerusalemme messianica di Isaia); la visione di san Giovanni (il
regno di Cristo in terra per «mille anni») la visione di san Paolo (la pienezza degli ebrei e la
pienezza dei gentili); la «visione» stessa di Gesù a proposito del «ritorno» a Gerusalemme
(...«sino a quando non direte benedetto Colui che viene nel nome del Signore»): tutta questa
misteriosa ricchezza profetica e storica eccola già profilarsi -anche se ancora da lontanonell'orizzonte storico del mondo: ciò che sino a ieri era sembrato «utopia» ecco che oggi
appare come possibile realtà storica di domani!
Sembrava un «sogno» ed ecco, invece, una realtà che si mostra già possibile. Come la
«fantascienza»: ciò che sembrava ieri «fantascienza» (andare sulla Luna; nel fondo degli
oceani; girare in pochi minuti attorno alla terra; fare diventare giardini i deserti; esplorare le
stelle e cosi via) eccolo divenuto realtà storica (scientifica, tecnica, sociale, ecc.).
Come mai, Madre Reverenda, tutto questo? Come mai (in virtù di quale strumento) i «sogni»
sulla pace universale di Isaia e di san Giovanni vanno trasformandosi in realtà?
La risposta è chiara: -la Provvidenza ha aperto all'uomo, nel nostro tempo, le «porte»
dell'atomo, del nucleo; in conseguenza, gli ha aperto le «porte» dello spazio, del cosmo; gli
ha aperto le «porte» più segrete della scienza e della tecnica; e si direbbe che Dio ha
consegnato all'uomo -nel nostro tempo- le chiavi che aprono le «porte» della intiera
creazione.
Ed allora? Allora, Madre Reverenda, il «limite storico» a cui la storia del mondo è oggi
pervenuta è davvero quello apocalittico; cioè: se la guerra nucleare (epperciò, in ultima
analisi, ogni guerra) :gli è impossibile: ed allora bisogna fare la pace! Pace universale
inevitabile; unità del mondo inevitabile (a tutti i livelli: scientifici, tecnici, economici,
sociali, culturali, politici); civiltà del mondo -per tutti i popoli- inevitabile!
Sembra un sogno -«fantascienza »- ed è invece realtà!
E se -per pazzia!- scoppiasse una guerra nucleare? Allora, Madre Reverenda, arrivederci in
Paradiso; sarebbe «segno» del giudizio finale e della distruzione del mondo!
Queste cose non le dico io, forzando le tinte, esagerando; no: le dicono gli scienziati più
grandi e più responsabili del tempo nostro; le dicono le massime e più responsabili guide
politiche del tempo nostro; le dicono i teologi più oranti, più pensosi e più attenti del nostro
tempo; le dice la Chiesa, attraverso i suoi pontefici: Pio XlI (l'annunziatore profetico della
«primavera storica» della Chiesa e dei popoli); Giovanni XXIII (il :Pontefice dell'età
spaziale; del Concilio vaticano Il; della pace e della unità della Chiesa; della «unità» della
famiglia modi Abramo; della pace, della unità, della fraternità e della civiltà del mondo
intiero: il pontefice, Padre e Patriarca del genere umano); Paolo VI (col linguaggio
significativo, si direbbe parabolico, dei suoi viaggi in Terra Santa e a Bombay: viaggi che
sono come i punti di partenza di un itinerario destinato presto ad allargarsi e a abbracciare
l‘intero pianeta.
Madre Reverenda,
a questo punto, Lei dirà: -ma allora, se tutto questo è vero (guerra impossibile, pace
inevitabile, ecc.), perché Lei, Professore, ha impostato questa circolare -e con termini così
vivi- sulla urgenza di chiedere al Signore, con estremo impegno, la pace del mondo? Non c'è
contraddizione fra questa richiesta, così urgente e viva, e l'affermazione che siamo entrati
nella stagione storica «di primavera»?
Madre Reverenda, Ella stessa comprende che questa contraddizione non c'è!
Siamo entrati nella stagione storica di primavera: è vero; ma è meglio precisare: -siamo al 19
marzo, non al 21, come disse in modo tanto significativo Pio XII nel celebre discorso di San
Giuseppe 1958. Mancano due giorni, perciò, all'inizio della stagione primaverile: e due
giorni -nelle prospettive della storia totale del mondo- non sono pochi!
E poi: quanti venti e quante piogge e quante tempeste nel mese di marzo ed anche nei mesi
successivi! La primavera non va esente da temporali che -se potessero!- farebbero arretrare
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
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la stagione e riporterebbero nell'inverno. Madre Reverenda,
è avvenuto proprio questo in questi ultimi due anni e sta avvenendo proprio questo in questi
ultimi mesi.
Quest'epoca nuova della storia della Chiesa e dei popoli è contrassegnata certamente al suo
inizio (per così dire) da due nomi: Giovanni XXIII (guida religiosa della Chiesa e dei popoli)
e Kennedy (guida politica e civile delle nazioni). Essi indicarono ai popoli di tutta la terra il
nuovo corso millenario della storia della Chiesa e del mondo; essi aprirono ai popoli di tutta
la terra le porte della nuova epoca!
Ebbene, quando la primavera sembrava in piena fioritura, ecco l'infuriare dei venti, lo
scatenarsi delle piogge e delle tempeste. Il 3 giugno 1963 Giovanni XXIII muore, attraendo a
sé – sull‘altare della Sua agonia e della Sua morte- il dolore e l'amore dei popoli di tutto il
pianeta; il 22 novembre dello stesso anno Kennedy viene tragicamente ucciso; poi, nel 1964,
altre situazioni politiche e sociali (che avevano dato viva speranza) si mutano: Krusciov (che,
nonostante le sue responsabilità passate, aveva pure dato un apporto determinante alla
speranza della pace) scompare dalla scena politica; in Italia ed a Firenze sorgono situazioni
nuove; la Cina (settecento milioni di uomini!) entra minacciosa (con lo scoppio della prima
bomba atomica -16 ottobre 1964) nella scena «atomica» del mondo; le strutture essenziali
dell'ONU sono fortemente scosse; e «fatiche» non mancano nello svolgersi del Concilio e, in
genere, nella vita e nell'avanzata della Chiesa.
E in questi ultimi mesi? Madre Reverenda, come si è aggravata –davvero!- la situazione
politica e militare del mondo! In Asia (nel Vietnam e sino ai confini della Cina) la guerra
(anche se non nucleare) è in pieno e severo svolgimento; nell'America Latina (San Domingo,
ecc.) severe convulsioni interne e severe azioni militari sono in atto: specie per effetto
dell'ingresso atomico e politico della Cina nella scena militare e politica dell' Asia e del
mondo, la politica mondiale ha subito spostamenti pericolosi verso le frontiere della guerra
fredda ed anche oltre!
Questa è «la fotografia» della realtà storica odierna (sul piano militare e politico); siamo,
ripeto, sulle frontiere più avanzate della guerra fredda e la guerra autentica (anche se non
nucleare) pesa tristemente (coi suoi bombardamenti e le sue guerriglie) sul popolo del
Vietnam, che da venti anni non trova è pace né a nord né a sud!
Giunte le cose a questo punto, possiamo ben dire di essere proprio sulle frontiere dell'
Apocalisse: sul crinale apocalittico; e queste frontiere dell' Apocalisse si possono benissimo
anche localmente identificare: sono le frontiere della Cina; la guerra nucleare -distruttiva del
mondo!- potrebbe scoppiare proprio in esse! .
Il pericolo c'è: saremmo davvero dei sognatori (non saremmo dei cristiani attenti) se non ci
rendessimo conto di esso!
Ecco perché, Madre Reverenda, questa circolare è tutta rivolta verso una domanda sola -per
così dire- al Signore: la domanda della pace! Signore, donaci la pace! Questa domanda, fatta
al Padre nel nome di Gesù Cristo, deve essere esaudita!
Deve? Sì, deve! Madre Reverenda, bisogna avere il coraggio - la fede, cioè - di fare questa
affermazione confidente ed audace: -Si, Signore: voi lo avete detto: «quidquid orantes petitis
credite quia accipietis et fiet vobis! -chiedete al Padre mio nel mio nome ».
Sono parole di Cristo: noi le crediamo senza dubbio alcuno; se chiediamo la pace mondiale in Asia, nell'America Latina, in Palestina ed ovunque- noi lo facciamo con la certezza che
questa è la volontà stessa ed il desiderio medesimo di Gesù, di Maria, di tutti i Santi; questa è
la volontà stessa del Padre che è nei cieli!
Come facciamo ad affermare ciò? su quali basi?
Ma, Madre Reverenda, il Signore non può aver suscitato invano Giovanni XXIII ed il
messaggio di pace da Lui donato -in nome di Dio- ai popoli!
«Pacem in terris », comincia la «lettera» che reca quel messaggio!
Sì: il Signore vuole la pace mondiale dei popoli! Egli permette che siano raggiunte le
frontiere dell' Apocalisse -della distruzione!- per suscitare la fede totale e la preghiera totale
di tutti i Suoi figli!
Permette che la barca stia per affondare, per suscitare l'impeto di domanda e di fede degli
apostoli impauriti: -Signore salvaci, periamo!
Ed i venti cessarono e si fece calma grande! Così, Madre Reverenda, in questo punto
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odierno, drammatico, apocalittico, della storia del mondo: il Signore permette che si giunga
sul crinale dell' Apocalisse, affinché da tutti i punti della terra, da tutti i cuori dei cristiani,
dei credenti e di tutti gli uomini, si elevi un grido di fede e di preghiera: -Signore, salvaci,
periamo!
E i venti certamente cesseranno, e si farà calma grande nella storia del mondo!
Dal 19 marzo si passerà al 21 e la stagione di primavera storica -millenaria- inizierà in modo
inarrestabile il suo corso. Levate oculos vestros et videte.
Ecco, Madre Reverenda, il «perché» di questa circolare; il «perché» dell'unica domanda quella della pace mondiale verso la quale essa è rivolta!
Nella richiesta della pace mondiale sono contenute implicitamente tutte le richieste che la
condizionano!
Col darci il dono della pace mondiale -è il dono mariano di Fatima!- il Signore darà anche il
dono della «convergenza» verso di Lui di tutti i popoli, di tutte le nazioni della terra; darà,
perciò, il dono della unità ed il dono della illuminazione del mondo!
Sì, bisogna credere, fermamente credere, in questa effusione di doni che, con la pace, lo
Spirito Santo vuole fare, proprio nel nostro tempo, a tutti i figli (a partire da Israele) ed a
tutte le genti!
Si sa: le cose vanno viste in prospettiva; e prospettiva storica è appunto quella che mostra la
pace del mondo, la unità del mondo e la illuminazione cristiana e biblica del mondo (lumen
ad illuminationem gentium).
Madre Reverenda,
fede dunque! Fede capace di muovere tutte le montagne, e capace di fare spuntare sulla terra
-malgrado tutto!- quella stagione millenaria di grazia, di pace, di giustizia, di civiltà, che è
nel piano di Dio -il piano rivelato dai Profeti: il piano dei «mille anni»- e che costituisce la
gioia, l'attesa e la speranza della Chiesa e del mondo!
Madre Reverenda,
ecco il senso di questa circolare: è un appello per una «mobilitazione» mondiale di preghiera
(di tutti i monasteri di clausura del mondo) per ottenere dal Signore la pace fra i popoli di
tutto il pianeta! Per ottenerla!
Ecco perché questa circolare viene inviata ai monasteri di tutti i continenti!
Essa troverà eco in certo senso più profonda nei monasteri dell'Asia, del Medio Oriente e
dell' America Latina; nei monasteri, cioè, che si trovano nei tre punti nevralgici del mondo:
che si trovano (specie quelli dell' Asia e della frontiera cinese e del sud-est asiatico), perciò,
sul «crinale dell'Apocalisse »! Ma noi lo ripetiamo, Madre Reverenda, con quanta forza
abbiamo nel cuore: anche se il pericolo è grande (e non dobbiamo nasconderlo), più grande è
la nostra fede, più possente la volontà del Signore; e la volontà del Signore -manifestata
attraverso mille segni- appare sempre più questa: -che la pace mondiale venga, che l'unità
mondiale venga, che la civiltà mondiale fiorisca, e che in Israele ed in tutte le genti fiorisca a poco a poco, come una aurora ancora lontana ma crescente- la grazia di Cristo che illumina
e che santifica!
Non è un sogno tutto ciò: è il «senso della storia» per la Chiesa e per le nazioni: il «senso
della storia» indicato da Maria a Fatima; quel «senso della storia» che mostra nella regalità
di Cristo e di Maria l'approdo atteso della storia futura a della Chiesa e del mondo! ―...e
regneranno con Lui per mille anni‖
Grazie di tutto, Madre .Reverenda, e preghi tanto, con tutto il cuore, la dolce Madonnina,
Madre nostra e Regina del mondo, per Firenze (per la sua missione di pace) e per me.
Suo in X.to
La Pira
Firenze, Ascensione 1965 (27 maggio)
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
Pagina 37
INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE
Di seguito un elenco di siti utili per reperire informazioni, giochi, spunti didattici per
l’educazione alla pace:
http://www.paxchristi.it/
http://www.puntopace.net/
http://bottegadipace.altervista.org/giochi_1.html
http://www.griffini.lo.it/laScuola/prodotti/lapace/giochipace.htm
http://blog.libero.it/AROUNDTHEWORD/commenti.php?msgid=9030897
http://www.cantieredipace.it/
www.scuoledipace.it/progetti
http://www.peacelink.it/links/i/532_1.html
http://www.paceediritti.it/wcm/pace_diritti/sezioni/educare.htm
www.sestosg.net/CmsReply/ImageServlet/biblio_discorsipace2.pdf
http://www.animare.it/il_tempo_libero/giornate_di_giochi/index.htm
Sempre utili anche i sussidi cartacei come, per es.:
29 giochi per educare alla pace, Borla, Roma 1987
LOOS SIGRID, Il giro del mondo in 101 giochi, Gruppo Abele, Torino 1998
–, Naturalmente giocando: alla scoperta dell'ambiente attraverso il gioco, Gruppo
Abele, Torino 1992
–, Viaggio a fantasia. Giochi creativi e non competitivi a scuola e in famiglia,
Gruppo Abele, Torino 1991
MANICOTTI PAOLA, Inventagiochi: tecniche per inventare nuovi giochi di strada,
Ega, Torino 2001
NOVARA DANIELE, La strada dei bambini: 100 giochi di strada, Gruppo Abele,
Torino 1999
PAROLINI MARSILIO, Giochi di pace, con illustr. di BALZARETTI SILVIA, San Paolo,
Cinisello Balsamo (MI) 2005
PORTMANN ROSEMARIE, In gamba! 107 giochi per diventare “bravi”, La Meridiana,
Molfetta 2004
Segni di pace, a cura di G. Di Santo, A. Martino, F. Zavattaro. Prefazione di Paola
Bignardi, AVE, Roma2003
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
Pagina 38
Indice
Premessa
p. 3
1. Un percorso biblico
p. 4
2. Il Magistero e i testimoni
p. 7
2.1. Gaudium et spes
p. 7
2.2. Pacem in terris
p. 8
2.3. Tonino Bello e Giorgio La Pira
p. 9
3. Spunti per un percorso
p. 11
Appendice
p. 13
Indicazioni bibliografiche
p. 38
“beati i costruttori di pace” – Educare alla pace
Pagina 39