pag 21 - In coda per tutta una vita

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pag 21 - In coda per tutta una vita
Voci dal Sud
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Anno VI° nr. 1 Gennaio 2010
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In coda per tutta una vita
Ogni anno 400 ore se ne vanno aspettando il nostro turno, negli
uffici pubblici o al volante. Il fotografo Misha Haller ha ritratto la
folla in attesa: «Non è tempo perso, è relax»
FRANCESCA PACI - La Stampa
Che cos’hanno in comune l’uomo tecnologico capace
di comunicare in tempo reale coi quattro angoli del pianeta e il suo diretto predecessore che solo vent’anni fa ricorreva al gettone per avvertire la fidanzata d’essere imbottigliato nel traffico?
Per quanto diversamente accessoriati, entrambi passano buona parte delle loro giornate facendo la coda.
Secondo uno studio della società di aste online
Madbit.com, trascorriamo aspettando qualcosa di assai
meno metafisico del Godot beckettiano ben cinque anni
della nostra vita, sei mesi dei quali incolonnati alla cassa
del supermercato, in banca, al semaforo.
«Il progresso non c’entra, le poste offrono oggi molti
servizi in rete ma gli utenti continuano a preferire lo sportello», osserva Marco Managò, autore del saggio «Italiani in fila», pubblicato da Serarcangeli Editore.
Delle circa 400 ore l’anno perse in attesa del proprio
turno, 190 se vanno in un ufficio pubblico.
Le altre, calcola la think tank Vision & Value, sono bruciate al volante e distribuite asimmetricamente lungo lo stivale: 227 a Roma, 140 a Palermo, 98 a Milano.
Un lusso, sostiene il Codacons, che costa ai consumatori almeno 40 miliardi di euro.
Il valore del tempo è riconosciuto universalmente, il modo
d’investirlo invece varia con la latitudine.
Marco Managò ha ricostruito la storia della coda, dai
signorotti secenteschi di manzoniana memoria che scavalcavano impunemente quelle per il pane alle migliaia di fedeli allineati davanti a San Pietro nel 2005 per l’ultimo saluto a
Giovanni Paolo
«L’attitudine all’attesa svela molto dell’indole profonda di un Paese», spiega.
L’86% degli italiani considera lo stare incolonnati per ore
in ospedale o all’anagrafe ragione di stress, eppure solo il
75% ammette d’averne davvero paura.
Merito della proverbiale socievolezza latina, antidoto allo
stillicidio della convocazione allo sportello al punto che
solo un nostro connazionale su dieci pensi di distrarsi leggendo un libro?
O colpa dell’altrettanto nota idiosincrasia alla fila che ci
colloca ben lungi dai primi dieci virtuosi popoli che la rispettano educatamente?
Il Regno Unito, primo nella classifica che include Germania e Giappone, considera una certa dose di attesa naturale
come il maltempo.
E non conta che il 10 febbraio 2005 tra i seimila ammassati all’ingresso del nuovo magazzino Ikea di Londra nord per
un divano in pelle da 45 sterline (50 euro) ci sia scappato un
accoltellato, variante anglosassone dei tre morti nella medesima circostanza in Arabia Saudita.
L’82% degli inglesi è convinto che pazientare fino al pro-
prio turno sia un’onorevole tradizione britannica.
Se l’associazione ufficio pubblico-folla è sinonimo
indiscutibile d’inefficienza, il marciapiede gremito di un
negozio può comunicare il messaggio opposto.
Altrimenti un anno fa la Orange Polonia non avrebbe
ingaggiato decine e decine di comparse pagate per accompagnare il lancio dell’iPhone stazionando davanti ai rivenditori di Varsavia e Cracovia. Più spesso però l’attesa provoca disagi organizzativi o fisici, come l’ansia agorafobica
della piazza e la chiraptofobia, la paura d’essere toccati.
Il risultato, nota la psicologa, Carol Rothwell, è un’elettricità diffusa da prima della pioggia: «Con Internet ci siamo abituati ad avere i servizi in tempo reale e siamo assai
più intolleranti al gap tra il desiderio e la sua soddisfazione».
Sarà per questo che analisti di marketing e creativi si
sono messi a studiare il fenomeno e oggi mentre ciondoli
con lo zaino sulle spalle al gate Ryanair preso d’assalto dai
passeggeri senza posto assegnato puoi incappare nella hostess che vende per 3 euro il diritto di scavalcare la fila.
Il tempo è denaro e non si spreca: parola di quel giudice
pioniere di Milano che nel 1992 condannò il Comune a risarcire 400 mila lire dell’epoca all’avvocato Giuliano Votta
per il tempo buttato a contestare una multa ricevuta ingiustamente.
Un’eccezione ancora, d’accordo. Ma, insegnano le associazioni dei consumatori, tutto sta a cominciare.
Se siete arrivati sin qui vi starete domandando quanta
della vostra vita è già sfumata in inutili attese, dai saldi
natalizi ai controlli di sicurezza negli aeroporti blindati dopo
l’11 settembre 2001.
C’è un modo per recuperarla, suggerisce il fotografo
Misha Haller, che ha trascorso un anno immortalando gente in fila negli angoli più remoti del pianeta:
«Aspettare non è necessariamente tempo perso, basta
considerarlo una parentesi di relax nell’iperimpegnata
routine quotidiana».
Un po’ come assaporare il gusto di cercare una cabina
telefonica per fare gli auguri alla mamma, sapendo di avere
il cellulare in tasca.