Per discutere di razzismo e sport

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Per discutere di razzismo e sport
Speraddio-Pucciarelli, Io cittadino del mondo
Approfondimento
Per discutere di razzismo e sport
Leggete il seguente articolo tratto da La Repubblica e svolgete le attività proposte. Discutete quindi del contenuto dell’articolo in classe.
Se la Francia vuole bianchizzare la Nazionale di Bernardo Valli
PARIGI - Se nel linguaggio sportivo ti riferisci alla morfologia, alle forme esterne e alle strutture interne di quell’essere vivente che è l’atleta, per spiegare il
suo rendimento nello stadio, rischi di incorrere, non a torto, in un’accusa di
razzismo. In particolare se attribuisci la robustezza, la velocità, la resistenza ed
altre capacità fisiche a chi ha le pelle nera, e invece aggiudichi l’intelligenza,
l’abilità tecnica, l’astuzia ed altre capacità (diciamo intellettuali) a chi ha la pelle bianca. In tal caso la faccenda diventa inevitabilmente anche politica ed è
appunto quel che sta accadendo in Francia dove il mondo del calcio è sottosopra. E il paese, sensibilizzato dal problema dell’immigrazione, segue la polemica con una passione non soltanto sportiva.
Il football nazionale è in crisi. Lo è da tempo. Dopo la coppa del mondo
conquistata nel ‘98 ha conosciuto un’altalena di delusioni e successi. Fino al disastro dello scorso anno in Sudafrica dove la rapida eliminazione dai mondiali
(condivisa con gli italiani) è avvenuta tra poco edificanti polemiche e risse intestine alla squadra nazionale. I responsabili della Fédération française de football, e in particolare Laurent Blanc, il nuovo allenatore e selezionatore dei
«bleus» (dei quali era il capitano nel 1998) hanno cercato di scoprire le cause
di quel declino. Si sono chiesti perché mai gli spagnoli trionfino negli stadi di
calcio: e la conclusione alla quale sarebbero arrivati i dirigenti della Federazione francese è che l’attuale superiorità spagnola potrebbe essere dovuta
all’uniformità etnica della squadra. Sono tutti bianchi, quindi intelligenti, tecnicamente capaci, astuti, abili nel manovrare. Compatti nel seguire le tattiche
stabilite quanto geniali nelle improvvisazioni. Mentre la squadra francese, in cui
sono presenti tanti magrebini e subsahariani, è dotata soprattutto di muscoli,
mette in campo uomini robusti, resistenti, veloci, spesso giganti. Ma pesanti. E,
avendo il più delle volte una doppia nazionalità, quando portano i colori della
Francia, quei giocatori sarebbero scarsamente motivati. E comunque non avrebbero quelle caratteristiche che distinguono i componenti della squadra nazionale di Spagna. Si è allora parlato di adottare il sistema delle «quote», ossia
di limitare il numero di africani neri e magrebini.
Mediapart, un battagliero sito web, ha rivelato i propositi tenuti in una riunione avvenuta mesi fa, e ha sottolineato che è stata pronunciata la parola infame: «quota». In questo caso sinonimo di discriminazione.
La polemica è esplosa. Gli accusati negano di avere tenuto propositi razzisti, sia pure inconsci. Gli accusatori insistono.
Nel 1998 ci fu il miracolo «black-blancbeur». Un miracolo sportivo che
sembrava avere una sua naturale traduzione sociale. Il successo della squadra
di calcio (composta di neri, di bianchi e di beur, espressione che indica i discendenti degli immigrati magrebini nati in Francia) fu interpretato anche come
il risultato di un’integrazione riuscita. Jacques Chirac, l’allora capo dello Stato,
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quando i giocatori ritornarono a Parigi con la coppa del mondo, spalancò le
porte dell’Eliseo. E il palazzo presidenziale fu invaso da una folla in cui non pochi magrebini sventolavano le loro bandiere nazionali. Tredici anni dopo il mito
«black-blancbeur» sembra finito. Come era affrettato nel ‘98 sostenere che il
trionfo ai mondiali di calcio, con una squadra mista, multicolore, rifletteva la
realtà sociale; così adesso, nel 2011, è troppo precipitoso sostenere che la
sfortuna negli stadi riflette il fallimento di quella integrazione. Lo slogan
«black-blancbeur» era dettato dall’emozione, dall’entusiasmo del momento.
Non era una costruzione ideologica. Era piuttosto un auspicio.
Ma è vero che la Francia nel frattempo è cambiata. Il sociologo Michel
Wieviorka ricorda che temi come l’immigrazione, la laicità, la religione,
l’identità nazionale, la discriminazione non erano dibattuti con la passione di
oggi. Il paese aveva meno paura. Adesso teme la mondializzazione. E quel che
è stato detto, discusso, nella riunione della Fédération française de football è il
riflesso di quel che accade nella società. È il riflesso delle paure che il Front National xenofobo alimenta con successo.
Mediapart, il sito web parigino all’origine della polemica, sostiene, azzarda,
che lo sport moderno è stato spesso «la continuazione del razzismo con altri
mezzi». E ricorda quel che il barone Pierre de Coubertin, padre della rinascita
olimpica, disse ai Giochi di Atene del 1896: «Le razze hanno un valore diverso
e alla razza bianca, di natura superiore, tutte le altre devono fare atto di sottomissione». Hitler propose invano la candidatura di Coubertin al premio Nobel
per la pace. Più di un secolo dopo lo spirito di quel pioniere olimpico non è comunque morto del tutto.
(da La Repubblica, 7 maggio 2011)
Questionario
Quando la nazionale francese ha vinto il campionato del mondo?
Chi ha rivelato la discussione avvenuta nella Federazione francese di calcio?
Chi era l’allenatore della nazionale francese al campionato del mondo svoltosi
in Sudafrica?
Chi era il presidente della repubblica francese nel 1998?
Che cosa vuol dire l’espressione black-blancbeur?
Prova a dare una definizione del razzismo.
Quali caratteristiche vengono attribuite ai calciatori neri? E a quelli
bianchi?
Perché la discussione avvenuta nella federazione francese di calcio denota una mentalità razzista?
Prova a spiegare l’affermazione “lo sport moderno è stato spesso «la
continuazione del razzismo con altri mezzi»”.
Prova a dare un titolo diverso a questo articolo.
Ricerca: quale giocatore era il simbolo della nazionale francese nel
1998?
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Ricerca notizie sul barone Pierre de Coubertin e riassumile in quindici
righi.
A quale articolo della Costituzione ti appelleresti per esigere il rispetto
del principio di uguaglianza?