Protesi Dolorose Dell`AnCA DA ACCoPPiAmento: mAteriAli e Design

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Protesi Dolorose Dell`AnCA DA ACCoPPiAmento: mAteriAli e Design
Agosto2012;38(suppl.2):131-133
Protesi dolorose dell’anca
da accoppiamento:
materiali e design
Painful total hip by coupling:
materials and design
Riassunto
Background: la liberazione di micro particelle dalle superfici
articolari costituisce, da sempre, una delle principali cause di
fallimento di una artroprotesi d’anca generando una reazione
granulomatosa che determina osteolisi e mobilizzazione delle
componenti.
Obiettivi: verificare, sulla base delle evidenze presenti in letteratura, e della esperienza clinica, le attuali cause di dolore, ed
eventuale fallimento di una artroprotesi d’anca, dovute al design
delle superfici articolari ed alla loro tribologia.
Metodi: sono state considerate le diagnosi che hanno condotto a
revisione di impianti protesici totali d’anca, e la diagnosi di dimissione successiva all’intervento; parimenti, utilizzando i più comuni data base, è stata condotta un’ampia ricerca sull’argomento.
Risultati: il polietilene, per quanto attualmente molto più sicuro,
rimane il materiale potenzialmente più esposto ad usura. Recentemente sono apparse segnalazioni relative alla liberazioni di
ioni metallici nell’accoppiamento metallo/metallo, mentre relativamente inerti sembra l’accoppiamento ceramica/ceramica ovvero ceramica/polietilene di ultima generazione. Anche tecnica
di impianto e design delle componenti possono, nel medio/lungo termine, condizionare la performance degli accoppiamenti
Conclusioni: materiali e processazione delle moderne superfici di
accoppiamento risultano sicuramente affidabili, anche se recentemente il metallo-metallo sembra avere problematiche maggiori.
Parole chiave: artroprotesi, accoppiamento, dolore
Summary
Background: wear debris arising from articular surfaces represents,
since long time, one of the main failure’s source for hip arthroplasty,
due to granulomatous reaction inducing osteolysis and loosening.
Objectives: to verify, by the evidence derived from lecterature
and clinical experience, pain sources and failure’s causes after
THR due to component design and coupling.
Methods: diagnoses before and after revision hip surgery have
been considered, together with most common data base research.
F. Biggi, C. D’Antimo, S. Di Fabio, D. Salfi,
S. Trevisani
UOA di Ortopedia e Traumatologia, ULSS 1, Belluno
Indirizzo per la corrispondenza:
Francesco Biggi
viale Europa 22, 32100 Belluno Tel. +39 0437 516187 E-mail: [email protected]
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Results: poliethylene, despite improvements, is potentially the
most exposed material to wear; recent reports outlined ions related problems due to metal on metal coupling; ceramic seems
the most silent material, both in ceramic on ceramic and ceramic
on polyethylene configuration. Also component design and surgical technique seem to play a role.
Conclusion: modern materials and manufacturing tecniques
seem to offer major advantages in terms of tribology and implant’s survivorship.
Key words: arthroplasty, coupling, pain
Introduzione
La produzione di microparticelle (wear debris) da parte
delle superfici articolari di una artroprotesi d’anca, con la
conseguente attivazione macrofagica e produzione di granulomi da corpo estraneo, è in grado di determinare un riassorbimento osseo periprotesico (osteolisi) e la mobilizzazione delle componenti stesse (mobilizzazione asettica) 1.
Fu Charnley, per primo, nonostante il successo della low
fiction arthroplasty , ad indicare nella liberazione di micro particelle di polietilene la causa prima di osteolisi,
considerando un accoppiamento basato sul polietilene
allora disponibile e su di una lega cromo/cobalto. Da
allora numerose soluzioni sono state proposte, frutto della
ricerca e dello sviluppo bio-ingegneristico: metallo/metallo, ceramica/ceramica, metallo o ceramica con polietilene reticolato e rinforzato di ultima generazione 2.
Nonostante un notevole incremento di conoscenze in materia, ed evidenze in-vitro circa la assoluta affidabilità e
resistenza ad usura di questi materiali, è ancora carente
il riscontro clinico in termini di sopravvivenza a lungo termine degli impianti protesici, mentre nuove problematiche sono via via comparse: usura del polietilene, reazioni
granulomatose da liberazione di ioni metallici, rottura della ceramica, fretting tra componenti modulari, attrito tra
componenti per non corretto posizionamentoe/o design.
Una scelta corretta dell’impianto e dell’accoppiamento
tribologico, insieme ad una adeguata tecnica chirurgica,
rappresentano la chiave di volta del successo nel breve
e lungo periodo: sono disponibili componenti eta bolare
e femorali cementabili e non; componenti eta bolare e
femorali monoblocco ovvero modulari; superfici articolari
in materiale diverso, ancorché biocompatibile.
Accoppiamento tribologico come possibile
causa di dolore
I fallimenti protesici da mobilizzazione delle componenti
sono stati attribuiti, per molto tempo, all’usura del polietilene ad alto peso molecolare su cui articolava una testa
metallica. Le nuove tecnologie, e le nuove tecniche di sterilizzazione sotto vuoto, hanno portato alla creazione di
nuovi materiali altamente resistenti, i PE reticolati, la cui
performance sembra migliorare se sterilizzati con ossido
di etilene ed addittivati con vitamina E 3 4.
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Peraltro, la necessità di ridurre ulteriormente il tasso di usura
, l’introduzione delle teste di grande diametro, e la ricerca
clinica sulle leghe metalliche e sulle ceramiche, hanno reso
sempre più diffuso l’utilizzo di accoppiamenti metallo/metallo e ceramica/ceramica. Nel primo caso, sono attualmente
sotto attenta valutazione le problematiche relative alla liberazione di ioni cromo e cobalto, con possibili reazioni locali
(pseudo tumori, riassorbimento osseo e fallimento dell’impianto) e sistemiche (mialgie, nevriti, nefropatia) in grado di
determinare dolore di diversa natura: è comunque da sconsigliarne l’impiego in donne in età fertile, in pazienti con
insufficienza renale ed in presenza di anamnesi positiva per
allergia ai metalli. Nel secondo, invece, a fronte di un rischio
pressoché nullo di usura e liberazione di micro particelle,
esistono problematiche relative alla rigidezza del materiale,
con rischio di rottura e conseguente fallimento dell’impianto;
inoltre, i liners ceramici sono molto più sensibili ad eventuali
conflitti col colletto e la testa della protesi, evento questo che
si realizza soprattutto in seguito ad un non accurato posizionamento delle componenti. Da non dimenticare, infine, per
la ceramica, il rischio di squeaking, sintomo che comprende
una fastidiosa percezione di rumore e, talora, fastidio/vaga
dolenzia periarticolare 2 5 6.
Design come causa di dolore
È opportuno distinguere, innanzi tutto, tra componenti cementate e non: di per sé stesse, se cementate, sia a livello
eta bolare che femorale non sono in grado di determinare
dolore (dando per scontata una corretta tecnica chirurgica e l’impiego di componenti disegnate e costruite allo
scopo), a meno che non intervenga una mobilizzazione
sia essa asettica che settica.
Diverso lo scenario per componenti non cementate, concepite e disegnate per garantire una stabilità primaria puramente meccanica, con possibilità di osteointegrazione
secondaria quale garanzia di durata nel tempo: è già evidente come il mancato raggiungimento di uno od entrambi
questi obiettivi possa determinare un cattivo risultato, fino a
rendere necessaria la revisione dell’impianto 7 8 9 10.
Le componenti acetabolari, costruite, ormai pressoché
costantemente, utilizzando una lega di titanio, sono composte da un guscio (outer shell degli aa.) di diametro crescente processato in maniera tale da aumentare il contatto e la frizione con l’endostio eta bolare. La forma è,
attualmente, prevalentemente emisferica, talora ribassata
polarmente, oppure rinforzata perifericamente sulla circonferenza maggiore ad incrementare l’interferenza con
la superficie ossea. Possono accogliere inserti diversi, sia
modulari che pre-assemblati, in polietilene reticolato, metallo e ceramica: il loro comune denominatore è la stabilità primaria ottenuta fresando la cavità aceta bolare di
circa 1,5 mm. in meno rispetto al diametro della componente metallica, inserendo, in ultima analisi, un elemento
F. Biggi et al.
sovra-dimensionato che si “incastra” meccanicamente. La
mobilizzazione, precoce o tardiva, rappresenta la prima
e principale causa di dolore e revisione.
Le componenti femorali (stelo) possono differire per forma (disegno), in funzione della eventuale cementazione,
e materiali, in quanto le leghe di titanio vengono utilizzate
ormai universalmente per gli steli non cementati, mentre è di
uso comune la cementazione di steli in lega cromo/cobalto.
Quest’ultima soluzione è stata da tempo abbandonata
nella cosiddetta fissazione biologica, proprio per l’insorgenza di dolore a livello della coscia dovuto alla eccessiva rigidezza del materiale rispetto alla elasticità dell’osso.
Come per la componente acetabolare, anche lo stelo
prevede una prima fase, successiva all’impianto, di pura
stabilità meccanica (interlocking) determinata dal suo disegno geometrico e dalla preparazione con raspe, brocce o frese dell’endostio femorale; attualmente, con l’affermarsi del concetto di mini-invasività inteso come tissue
sparing surgery, sono stati introdotti steli di dimensioni
minori, a fissazione cervicale ovvero metafisaria, ma per i
quali non esistono ancora evidenze tali da garantirne una
performance migliore rispetto a quelli tradizionali. Molti
steli, infine, sono stati rivestiti superficialmente con materiali osteoconducenti, al fine di migliorarne l’osteointegrazione, riducendo, fin dall’inizio, quei micro-movimenti potenzialmente responsabili del dolore che talora permane
fino a 6-12 mesi dopo l’intervento.
Può, di per sé stesso il disegno protesico essere causa di dolore? Nel caso dello stelo la risposta è affermativa: esistono steli,
più propriamente anatomici, che vengono inseriti per ottenere
un riempimento (fit and fill), e possono essere responsabili, trale altre cause possibili, del dolore anteriore della coscia talora
riscontrato in molte casistiche; ne esistono altri, al contrario,
sostanzialmente retti a diversa sezione trasversa (rettangolare,
trapezoidale, conica), che possono creare picchi di concentrazione del carico trasmesso all’osso, ovvero indurre dolore
per affondamento se sottodimensionati.
Conclusioni
Le moderne tecnologie di cui disponiamo, frutto di un
binomio imprescindibile industria (intesa come ricerca e
sviluppo)-chirurgo, offrono la possibilità di ottenere ottimi
risultati nell’immediato e nel lungo periodo dopo l’impianto di una artroprotesi d’anca.
Sono molte, come ormai ben noto, le variabili che possono altresì condizionare il fallimento, precoce o tardivo:
da mettere sullo stesso piano una non corretta tecnica di
impianto, e l’uso che il paziente fa della artroprotesi.
Una protesi dolorosa, indipendentemente dalla causa, rappresenta di per sé stessa un fallimento, peraltro risolvibile
dopo una adeguata diagnosi e conseguente trattamento, anche se esistono già evidenze che possono indirizzare verso
scelte in grado di ridurre l’incidenza di complicazioni.
Protesi dolorose dell’anca da accoppiamento:
materiali e design
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