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RIVISTA DI STUDI ITALIANI CONTRIBUTI “THE CORROSION OF NARRATIVE”. GIORGIO FALCO E L’EPICA DEL LAVORO PRECARIO PAOLO CHIRUMBOLO Louisiana State University Baton Rouge, Louisiana 1. “The Corrosion of Character”: due storie paradigmatiche In un testo uscito nel 1998 dal titolo The Corrosion of Character. The Personal Consequences of Work in the New Capitalism (tradotto in italiano con il titolo L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale da cui si cita) il sociologo inglese Richard Sennett ha analizzato in modo compiuto e penetrante uno dei fenomeni socio-economici più rilevanti dell’ultimo decennio, vale a dire la crisi progressiva del lavoro inteso in senso tradizionale e il contemporaneo affermarsi di nuove forme di impiego. Facendo riferimento alla storia di due personaggi da lui conosciuti nel corso di alcune ricerche sui colletti blu in America 1, Enrico (un portiere italo-americano per oltre vent’anni impiegato in un palazzo del centro città) e il figlio Rico (a sua volta laureato in ingegneria elettronica e studente della Business School di New York), Sennett ricostruisce in maniera paradigmatica il grande cambiamento occorso nel mondo del lavoro in seguito all’ascesa della New Economy e alla sempre più crescente globalizzazione dei mercati2. Se Enrico è il tipico rappresentante di un periodo in cui fare progetti a lunga scadenza era ancora un’opzione legittima e percorribile, ossia, da buon padre di famiglia, risparmiare per comprare casa, sostenere la famiglia, mandare i figli a scuola e programmare in questo modo (quasi teleologicamente) la propria vita, Rico rappresenta, al contrario, quella generazione di persone che, pur in possesso di un livello di scolarizzazione molto alto, sono costrette loro malgrado a reinventarsi di volta in volta un lavoro e una vita. Se dunque Enrico ha avuto modo di trascorrere vent’anni nello stesso luogo, costruendo così solidi legami sociali, familiari e affettivi, il figlio Rico, di contro, ha dovuto cambiare (per diverse ragioni) ben quattro lavori in soli quattordici anni. Ciò che colpisce nell’analisi di Sennett, ed è ciò che più interessa metter in evidenza in questo 116 PAOLO CHIRUMBOLO contesto, è l’uso che il sociologo inglese fa della metafora narrativa. Enrico – spiega Sennett – si era creato un percorso molto chiaro in cui le sue esperienze si accumulavano sia dal punto di vista materiale sia da quello psicologico; la sua vita quindi gli si presentava come una narrazione lineare. Anche se gli snob avrebbero potuto definirla ‘noiosa’, durante gli anni Enrico aveva sperimentato un’evoluzione drammatica e progressiva, riparazione dopo riparazione, rata dopo rata. Sentiva di essere diventato il creatore della propria vita, e anche se si trovava a un basso livello sociale questa ‘narrazione’ gli consentiva di sviluppare un senso di autostima (14). Pur non appartenendo a nessuna elite sociale Enrico è stato comunque in grado di dare un significato ed una direzione certa alla propria esistenza e di costruirsi quella che Sennett definisce “narrazione lineare”, una storia personale coerente con obiettivi a lunga scadenza. Nato e cresciuto in un contesto economico totalmente diverso da quello del padre e in rapida evoluzione, Rico deve per forza organizzare la propria vita (e quella della sua famiglia) in modo diverso. I progetti a lunga gittata vengono sostituti da quelli a breve scadenza e l’esistenza si configura sempre di più come una serie di capitoli da aprire e chiudere in rapida successione. Il senso di direzione lineare proprio del mondo paterno fa spazio a un’esperienza quotidiana frammentata ed estemporanea dalle notevoli ripercussioni sociali, psicologiche e, nel nostro caso, discorsive e stilistiche. La narrazione lineare in grado di raccontare la vita di Enrico diventa così uno strumento non più capace di narrare la tortuosa esistenza di Rico e di quelli come lui, costretti dal nuovo sistema produttivo ad una vita fatta di continui arrivi e partenze. Come ha scritto Zygmunt Bauman, nella modernità “liquida” il mondo è radicalmente mutato. Se la modernità “pesante” (caratterizzata dal modello fordista) aveva sanzionato l’affermarsi di politiche (anche del lavoro) decisamente improntate sulla stabilità ora la situazione è cambiata, e l’ingrediente cruciale è la nuova mentalità ‘a breve termine’ che si è sostituita a quella ‘a lungo termine’. I matrimoni ‘finché morte non ci separi’ sono ormai cosa rara: i partner non prevedono più di rimanere a lungo in compagnia l’uno dell’altro. Secondo le ultime stime, un giovane americano con un livello di istruzione modesto prevede di cambiare lavoro almeno undici volte durante la propria vita lavorativa, e senza dubbio la diffusione di aspettative del genere andrà aumentando nell’arco della vita lavorativa della presente generazione (34)3. Tra i sociologi italiani che meglio hanno analizzato il fenomeno del lavoro flessibile (o meglio, precario) vi è sicuramente Luciano Gallino, da anni impegnato in questo campo di ricerca. Il testo cui si fa riferimento (Il lavoro 117 “THE CORROSION OF NARRATIVE”. GIORGIO FALCO E L’EPICA DEL LAVORO PRECARIO non è una merce. Contro la flessibilità, 2007), ultimo di una serie di saggi incentrati su questo argomento, fornisce alcuni dati che, per ciò che concerne la realtà italiana, permettono di inserire in un contesto più appropriato e comprensibile il discorso che si intende fare. Tralasciando le valutazioni più strettamente tecniche fatte dall’autore ciò che va messo in evidenza è la variegata tipologia del lavoro atipico individuata da Gallino. Si passa così dai contratti di durata determinata o a termine ai contratti a tempo parziale; dai contratti di lavoro in affitto a quelli interinali; dai contratti di collaborazione coordinata e continuativa (i famigerati Co.Co.Co.) al lavoro a progetto; dai contratti di lavoro ripartito a quelli di lavoro intermittente e occasionale (6). Una giungla, insomma, all’interno della quale si trovano ogni giorno a lottare milioni di italiani (per lo più sotto i quarant’anni) senza garanzie di alcun tipo. Per la precisione, stando ai complicati calcoli di Gallino, le persone coinvolte in questo nuovo mercato sarebbero circa dieci milioni. Date queste premesse, appare abbastanza naturale che un fenomeno sociale di tale portata abbia attirato l’attenzione di diversi scrittori e diverse case editrici. Come ha del resto notato lo stesso Gallino (77) la letteratura del precariato – e quella che si occupa di lavoro in generale – ha oramai assunto una propria rilevanza sia numerica sia qualitativa. Mettendo da parte alcune delle opere pubblicate negli anni novanta (tra cui Il dipendente di Sebastiano Nata, 1994, e Volevo solo dormirle addosso di Massimo Lolli, 1998), peraltro tra le cose letterariamente più pregiate di questo filone narrativo, è con il nuovo millennio che si registra una vera e propria esplosione di testi, per lo più raccolte di racconti, dedicati al lavoro. In tale ambito sociale, economico e culturale, fare ricorso alla forma breve del racconto risulta infatti, in numerose istanze, la migliore soluzione narrativa possibile e il modo più adatto per raccontare le esperienze “a breve termine” dei protagonisti di queste storie. Come sostenuto anche da Raffaele Donnarumma il racconto, che, a dispetto delle dichiarazioni di sfiducia degli editori maggiori, conserva vitalità, diviene allora il genere letterario di vite a pezzi: da esse, non si potrebbe davvero costruire un romanzo. Tutt’al più, si può spingere sulla singola vicenda, volgendola a un esito perturbante e allucinato [...]. (45-46) Solo tra il 2004 e il 2006, per esempio, sono stati pubblicati circa una dozzina di volumi tra i quali, in ordine cronologico: Pausa caffè di Giorgio Falco (2004), Gli ultimi giorni di Lucio Battisti di Igino Domanin (2005), Le remore e il Titanic. Vite precarie a scuola (2005) di Luca Antoccia, Cordiali saluti (2005) e Mi spezzo ma non mi impiego (2006) di Andrea Bajani, le antologie Tu quando scadi? (2005) e Laboriosi oroscopi (2006), Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese... (2006) di Aldo Nove, Buon lavoro (2006) di Federico Platania, Le risorse umane (2006) di Angelo 118 PAOLO CHIRUMBOLO Ferracuti, Il mondo deve sapere (2006) di Michela Murgia. Se a questo elenco costituito da testi la cui caratteristica principale è la forma breve del racconto e dell’episodio si aggiungono veri e propri romanzi quali Nicola Rubino è entrato in fabbrica (2004) di Francesco Dezio, Un anno di corsa (2006) di Giovanni Accardo, Breve storia di lunghi tradimenti (2007) di Tullio Avoledo e Vita precaria e amore eterno (2007) di Mario Desiati, ci si trova di fronte ad un’esperienza socio-letteraria di grande rilevanza cui bisogna dare il giusto rilievo critico4. In questa occasione ci si soffermerà in particolare su Pausa caffè di Giorgio Falco sia perché, come si è visto, è uno dei primi testi di questa nuova stagione letteraria (e anche tra i più significativi), sia perché in virtù delle proprie caratteristiche formali esso esemplifica in modo paradigmatico come la forma del frammento episodico sia quella più adatta a raccontare la nuova realtà del lavoro ed i suoi ingenti “costi umani” (Gallino). 2. Tra/da una pausa caffè all’altra Pubblicato nel 2004 da Sironi all’interno della collana Indicativo Presente, una delle serie che più spazio ha concesso, e continua a concedere, ai giovani autori italiani5, Pausa caffè di Giorgio Falco è tra i testi che meglio raccontano il mondo della precarietà lavorativo-esistenziale che tanto contraddistingue l’Italia contemporanea. Il volume, suddiviso in 68 brevi segmenti in cui l’autore descrive la misera quotidianità di camerieri, operai, impiegati, interinali, dirigenti di aziende, pornostar, è introdotto da due epigrafi di per sè già molto signficative. La prima, tratta da una campagna pubblicitaria della Lavazza6, evoca sin dall’inizio quel mondo del marketing commercial-pubblicitario così accuratamente descritto, e implicitamente denunziato, da Falco. La seconda, tratta da “La ballata di Rudi” di Elio Pagliarani (“Attivare l’inerzia della carne è già protesta”,7), chiama in causa le scelte stilistico-espressive dell’autore. Che Falco abbia scelto uno degli autori storici della neoavanguardia italiana pare abbastanza significativo. Come ha fatto notare Andrea Cortellessa l’influsso della neoavanguardia nel testo di Falco è abbastanza evidente e si ritrova non solo nella epigrafe di Pagliarani (da Falco ritenuto una sorta di maestro), ma anche – e forse soprattutto – nell’implicito riferimento all’epica operaia di Balestrini ed al suo stile sperimentale e combinatorio7. Per le medesime ragioni non soprende che una delle migliori letture di Pausa caffè sia venuta da Aldo Nove, autore molto vicino a Falco per stile, contenuti e simpatie letterarie. Nella recensione l’autore di Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese... si focalizza innanzitutto sulla dimensione epica della narrativa di Falco, autore che viene enfaticamente definito come “l’attuale poeta epico del mondo del lavoro precario”. Secondo Nove l’epica di Pausa caffè è innanzitutto inventario dei fatti o, meglio, delle divagazioni che a partire da un mondo, da un’idea narrativa di mondo, lo saziano fino a dargli una 119 “THE CORROSION OF NARRATIVE”. GIORGIO FALCO E L’EPICA DEL LAVORO PRECARIO forma che non ha centro, perché è un mondo e diviene. Un po’ il contrario del romanzo tradizionale, dove è la retta che conduce la narrazione a delineare il tragitto, e nella fine si dispiega e congeda fissandosi. L’epos si muove invece a zig-zag, continua a indugiare sulle periferie, trova il proprio focus dove il romanziere rischerebbe di perdersi. (“Un’epica pausa caffè”) Impossibilitato a perseguire una narrazione lineare (la materia, il mondo che si intende rappresentare non lo consente), Falco descrive un universo in cui “non esistono ‘categorie’ di lavoratori ma individui che vivono il loro personale dramma all’interno di una struttura esplosa in mille realtà” (Nove). La struttura episodica (a zig-zag) di Pausa caffè rappresenta in questo senso il perfetto correlativo oggettivo di una realtà “in frantumi” (Gallino), estemporanea, in cui si passa – come suggerito dal titolo della raccolta – da una breve pausa caffè ad un’altra. Come ha opportunamente affermato Cortellessa: “il mondo che racconta Falco è quello della frammentazione sociale, della frammentazione emotiva di ciascuno di noi, della frammentazione del tempo e dello spazio: la sua tecnica narrativa non può che essere quella del frammento”. Con una strategia simile a quella del montaggio cinematografico Falco giustappone di continuo brandelli di conversazione telefoniche, spaccati di vita aziendale, slogan pubblicitari e spezzoni narrativi tutti privi di ogni contesto e, dunque, slegati l’uno dall’altro. L’effetto è straniante, e il lettore paziente (invocato ripetutamente dallo stesso narratore alla fine del testo, mentre scorrono i titoli di coda: “Lettore! Se hai avuto la pazienza di arrivare fino a qui, non digitare, aspetta”, 342-43) si trova immerso in un caleidoscopio di immagini, personaggi e interferenze linguistiche tramite cui Falco ritrae, impietosamente, l’Italia (l’“Italietta” come la chiama Aldo Nove) dei nostri giorni. Esemplificativo di questa tecnica è il racconto/frammento “Ferragosto”, qui riportato per intero: Le webcam trasmettono immagini da tutto il mondo. “Guardiamo piazza San Babila a Ferragosto?”. “’cazzo guardiamo a fare piazza San Babila? Piazza San Babila è come Lorenteggio”. “Non è vero, a volte in piazza San Babila è bello mentre qui è nuvoloso”. “Ma se oggi è bello anche qui, perché dobbiamo guardare la web cam in piazza San Babila? Con tutti i posti belli che ci sono, che poi siamo qui dentro in ogni caso”. “Cosa ti costa farmi vedere piazza San Babila?” “To’, hai visto? È come qua”. “Lo sapevo, son mica deficiente. L’ho chiesto così, tanto per fare qualcosa”. 120 PAOLO CHIRUMBOLO “Che bello, mi fate vedere New York? Ecco! Vedete qui? Qui John Travolta esce e cammina”. “Posso vedere Rimini?” “Viareggio?” “Formentera?” “Questa è Ibiza. Oh, vi giuro, la piscina che vi ho detto a giugno”. “Vediamo le Hawaii”. “Mi sa che è impallato, non vorrei resettare il computer per colpa delle Hawaii”. “Ma no, è nero perché adesso alle Hawaii è notte, guarda quella luce”. (118-19) Situato tra il racconto di un immigrato della “bassaitalia” ed il monologo di una madre preoccupata per i problemi di salute del figlio, il segmento appena citato bene rappresenta la decontestualizzazione discorsiva messa in atto da Falco. In un mondo in cui la saturazione mediatica è soffocante, la realtà (spesso filtrata) si riduce a mera contingenza. I punti di vista, così come le tipologie lavorative, si moltiplicano, lasciando il soggetto (narrante e narrato) in uno stato di perenne ebetudine. Come ha notato Sennett, eventi non collegati fra loro come “la frammentazione o fusione di aziende, o come la comparsa e scomparsa di posti di lavoro” (L’uomo flessibile, 28) non solo rappresentano un handicap economico ma influiscono anche “dal punto di vista della narrazione” (28) e della autorappresentazione. In altre parole: una vicenda individuale fondata – come nel caso della maggior parte dei protagonisti di Pausa caffè – sul tempo scollegato non produce altro che l’impossibilità “di trasformare le proprie personalità in narrazioni continuate” (29). Lo stile usato da Falco ben asseconda la struttura generale di un testo interamente costruito lungo l’asse paratattico e si contraddistingue – di volta in volta – per la brevità della frase, per la superficialità dei contenuti, per il carattere meticciato e per la forte dimensione orale e acustica. Si prenda ad esempio il segmento laconicamente intitolato “?”, tra i più interessanti dal punto di vista stilistico dell’intera raccolta. L’incessante e incalzante serie di domande poste dall’io narrante a se stesso e al lettore comincia con un perentorio “Perché sciopero?” (33) e mescola, allo stesso tempo, riferimenti alla politica contemporanea (Bertinotti, Epifani, Cofferati, Scajola), al mondo del calcio (“Perché il Milan non ha pagato l’IVA sui diritti di Champions League? Sciopero per un rigore? Perché ho perso?”, 33), alla famigerata Legge Biagi (“Sciopero perché ho superato i trenta? Contro la Legge 30? La Legge Biagi? Sciopero contro la legge di un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto? Sciopero contro il ministro Scajola che l’ha detto?”, 34), a Falco stesso (“Sciopero perché questo pezzo fa schifo? Perché non è un racconto? Perché non è una poesia? Perché non ha una trama?”, 34). L’intensità dei quesiti viene inoltre messa in risalto dalla dimensione acustica del brano che ricorda da vicino le sonorità della musica Rap (si veda anche 121 “THE CORROSION OF NARRATIVE”. GIORGIO FALCO E L’EPICA DEL LAVORO PRECARIO “Rep Dance”, 84-100) con conseguente uso insistito dell’anafora e della rima interna (straccia/caccia; Laurentino/Berlino/vicino; cassette/etichette). Il risultato, energico e sferzante, conferma la bontà della ricerca formale dell’autore, pronto a sperimentare percorsi linguistici inusitati e poco frequentati attraverso cui fornire una lettura anche politica del Belpaese. Pausa caffè è stilisticamente rilevante anche per un altro motivo. Come argomenta Wu Ming in New Italian Epic, uno dei saggi più discussi degli ultimi tempi, la narrativa italiana degli ultimi anni ha prodotto libri in cui si trovano diversi codici letterari “fiction e non-fiction, prosa e poesia, diario e inchiesta, mitologia e pochad. Negli ultimi quindici anni molti autori italiani hanno scritto libri che non possono essere etichettati o incasellati in alcun modo, perché contengono quasi tutto” (42). Secondo la felice intuizione di Wu Ming questi testi potrebbero essere definiti come degli degli UNO, e cioè “Unidentified Narrative Objects” o meglio, in italiano, degli “Oggetti Narrativi Non Identificati” (11-12)8. Volendo rimanere nel gioco linguistico di Wu Ming, si potrebbe riadattare la versione italiana della definizione e formare così l’acrostico, altrettanto significativo, ONNI. Il libro di Falco rientra alla perfezione in questa categoria. Come si legge nelle note di copertina redatte da Giulio Mozzi: “Pausa caffè non è un romanzo, non è una raccolta di racconti, non è un’inchiesta sociologica”. Pausa caffè è, infatti, tutto questo. È un testo ONNI-comprensivo, ONNI-presente, ONNI-voro. Caleidoscopico. In esso si trovano residui linguistici di ogni tipo: campagne pubblicitarie della Omnitel e della Vodafone9, banali slogan aziendali, messaggi del computer, dozzinali trasmissioni radiofoniche10, l’infinito già detto giornalistico11, liste di tariffe telefoniche12, sigle di ogni tipo. Insomma: una sorta di catalogo enciclopedico postmoderno del mondo della virtualità telefonica e del lavoro interinale. Il linguaggio usato da Falco, in tutte le sue mille sfaccettature e frammenti, diventa inoltre il veicolo ideale per rappresentare una società realmente in frantumi, in cui l’identità umana e professionale si è ridotta ad una semplice password. Come si legge in “Login”: “Siamo la nostra login, la nostra password, nella grande rete aziendale diventiamo unico cervello che succhia dati dalle tette poste chissà dove, fonte sconosciuta, periferia di Dio, donna di erba sintetica, tra le cosce icone da toccare aprire copiare salvare tagliare incollare annullare” (Pausa caffè, 174)13. Nella società liquido-moderna il rapporto con se stessi (e con gli altri) diventa una mera interazione virtuale e digitale, in cui l’io, privato di ogni punto di riferimento, naufraga disperatamente. A nulla serve la politica, oramai discorso insulso ed autoreferenziale; a nulla serve la religione: in un universo dominato da (perverse) logiche industriali, l’azienda stessa si fa portatrice di messaggi/slogan religiosi (le mission, per esempio) ripetuti ossessivamente come fossero parte di una preghiera (un “rosario” dice Falco; Sinibaldi) da recitare a memoria; a nulla, e questo Falco lo sa benissimo, servono le parole, irrimediabilmente ostaggio di una ideologia fondata sul capitalismo più 122 PAOLO CHIRUMBOLO sfrenato. In “Noi”, uno dei segmenti più intensi e meglio riusciti di Pausa caffè, l’autore (ri)assume il punto di vista aziendale (una prima persona plurale totalitaria) e sostiene: Noi abbiamo cambiato il loro linguaggio. L’adesione totale alla nostra visione ha previsto una rivoluzione delle loro parole. Le parole! Che cosa sono le parole? Le parole non servono per comunicare! Le parole sono un prolungamento della produzione industriale! Le nostre risorse hanno dimenticato l’esistenza di migliaia di parole, ripetono costantemente le nostre, anche a casa, come le vecchine di maggio”. (185) In un contesto linguistico così strutturato, anche il proliferare incontrollato di una terminolgia basata sull’uso coatto della lingua inglese ha una propria finalità ideologica. Grazie alla propria aura di lingua efficiente, moderna, giovanile e, si direbbe, cool, l’inglese viene usato, per citare Falco, per “fare stare meglio” i lavoratori (Sinibaldi), per illuderli. Fare il seller door to door deve essere indubbiamente più renumerativo che fare il semplice venditore porta a porta; essere assunto con un contratto job on call è decisamente più rassicurante che avere un contratto di lavoro a chiamata o intermittente, in cui il lavoratore è praticamente privato di ogni diritto14. 3. The corrosion of narrative Scriveva alcuni decenni fa Bachtin: “La lingua non è un astratto sistema di forme normative, ma una concreta opinione pluridiscorsiva sul mondo. Tutte le parole hanno l’aroma di una professione, di un genere, di una corrente, di un partito, di un’opera, di un uomo, di una generazione, di un’età, di un giorno e di un’ora” (101). Ecco: la lingua messa in scena e smascherata da Falco ha l’aroma dell’Italia plastificata del nuovo millennio, l’Italia dell’happy hour, un’Italia in cui migliaia di lavoratori sono costretti a reinventarsi una esistenza alla fine di ogni contratto e di ogni esperienza lavorativa dando vita, come ha scritto Nichi Vendola nell’introduzione all’antologia Tu quando scadi?, ad una infinita “narrazione fratturata” (6). In tal senso è dunque possibile parafrasare il titolo originale del saggio di Richard Sennet citato in apertura. Nel mondo liquido-moderno si assiste non solo ad una tragica “corrosion of character” (come ampiamente dimostrato da Sennett), ma anche ad una equivalente e conseguente “corrosion of narrative”. Per raccontare il mondo del lavoro precario contemporaneo, i tradizionali modi rappresentatativi non bastano più. Bene ha fatto Falco a riprendere la lezione della neoavanguardia italiana riaggiornandone codici e segni. Oltre a rappresentare allegoricamente lo spezzettamento e la frammentarietà del mondo del lavoro di oggi, un mondo sempre più lontano dall’idea di carriera a lunga scadenza e frantumato in decine di possibilità contrattuali, Pausa caffè è anche, più in generale, una riuscita rappresentazione dell’esperienza quotidiana tout court, caratterizzata da una sovraesposizione linguistica dietro la quale si affaccia il nulla. In questo 123 “THE CORROSION OF NARRATIVE”. GIORGIO FALCO E L’EPICA DEL LAVORO PRECARIO senso Falco non è solo il “poeta epico del mondo del lavoro precario”, per tornare alla definizione di Nove, ma è anche il poeta che con sguardo ironico e amaro, tragico e comico, ritrae l’Italia contemporanea, con i suoi sogni ed i suoi incubi. __________ NOTE 1 Da cui il libro The Hidden Injuries of Class, pubblicato nel 1972. Studioso molto attento al significato profondo insito nelle parole, Sennett si sofferma sulla differenza, rivelatrice, dei termini inglesi career e job: “L’attenzione rivolta alla flessibilità sta cambiando il significato stesso del lavoro, e anche le parole per definirlo. L’etimologia del termine inglese career (‘carriera’), per esempio, rimanda a una ‘strada per carri’; e questa parola, applicata al lavoro, indicava in quale direzione un individuo doveva incanalare i propri sforzi in campo economico. Una direzione che era necessario seguire per tutta la vita. Ma oggi il capitalismo flessibile, con la sua pratica di spostare all’improvviso i lavoratori dipendenti da un tipo di incarico a un altro, ha cancellato i percorsi lineari tipici delle carriere. Nell’Inglese del Trecento la parola job (‘lavoro’) indicava un ‘blocco’ o un ‘pezzo’, qualcosa qualcosa che poteva essere spostato da una parte all’altra. Oggi la flessibilità sta riportando in auge questo significato arcaico della parola job, in quanto durante la propria vita le persone sono chiamate a svolgere ‘blocchi’ o ‘pezzi’ di lavoro (o di mansioni)” (L’uomo flessibile, 9). Si veda sui cambiamenti epocali nel mondo del lavoro anche il testo di Aris Accornero Era il secolo del lavoro. 3 Per altre pertinenti considerazioni sull’evoluzione del concetto di lavoro si veda tutto il capitolo dal titolo “Ascesa e caduta del lavoro” (Bauman, 2743). 4 A tal proposito va detto che, fortunatamente, anche la critica accademica si sta accorgendo della portata e della importanza di questa ondata letteraria. Si segnalano, tra le varie pubblicazioni, il volume Letteratura e azienda curato da Silvia Contarini, in cui sono contenuti saggi su diversi protagonisti della narrativa contemporanea (Celestini, Bajani, Murgia, Pascale, Rea), e il saggio di Giulia Dell’Aquila “Scritture flessibili”, in cui si trovano anche spunti critici relativi a Pausa caffè. 5 Come è stato del resto segnalato da diversi critici italiani (tra cui, per citarne un paio, Robero Carnero e Marco Belpoliti) la collana diretta da Giulio Mozzi dal 2002 al 2009 si distingue sia per la grande attenzione riservata ad una lettura della contemporaneità italiana lucida e priva di retorica, sia per l’apertura a scritture che vadano al di là del romanzesco puro. Per citare direttamente il curatore della collana Giulio Mozzi: “Se la letteratura deve servire a qualcosa, cosa di cui sono convinto, è anche per parlare di ciò che c’è. Si può parlarne attraverso la finzione, e in alcuni casi può essere 2 124 PAOLO CHIRUMBOLO conveniente, ma si può parlarne anche non attraverso la finzione: e a volte conviene di più. Dipende dalla situazione e dall’oggetto, per cui non ne farei una questione semplicemente di “storie”, nel senso che a me interessano le storie, ma interessa anche il modo. Le soluzioni formali ti permettono di dire delle cose che altre forme non si riescono a dire. Se pubblico il diario on line di Giuseppe Caliceti, lo faccio perché la forma diaristica, che si è persa negli ultimi cinquanta anni, sa dire cose uniche [...] indicativo presente si distingue per i generi inusuali: il dialogo, il reportage, addirittura l’agiografia... Non ne posso più di romanzi. L’idea che la letteratura si sia ristretta ai racconti di finzione significa tagliarle le ali, escludere molte cose dalla sua potenzialità. Nella tradizione non è così: tutti noi abbiamo studiato libri passati come letteratura che sono tutto fuorché finzione: dal Principe di Machiavelli, alle Osservazioni sulla tortura di Pietro Verri, fino alle cronache nere di Buzzati. Visto questo, perché dobbiamo essere costretti a pensare che letteratura equivale a finzione?” (Pegoraro). Tra i testi pubblicati da Sironi in cui il problema del lavoro è affrontato in maniera più o meno diretta si vogliono ricordare La mania dell’alfabeto di Marco Candida, La cultura enciclopedica dell’autodidatta di Davide Bregola, Un anno di corsa di Giovanni Accardo, Piramidi di Elio Paoloni. 6 “Tutti hanno diritto a una buona pausa caffè. Lavazza Espresso Point. Il tuo ideale compagno di lavoro. Per avere in ogni ufficio un grande espresso firmato Lavazza non è necessario fare una rivoluzione” (7). 7 Cortellessa, critico sempre attento e puntuale, scrive: “Ha ragione Mozzi a segnalare gli influssi ‘della neoavanguardia italiana come dei cosiddetti cannibali’. Se è proprio Nove [...] la matrice della stupefazione che contempla certe icone commercial (dai brand delle merci alle intoccabili super-modelle), c’è anche molto del disincanto combinatorio del Balestrini narratore nella formula di Pausa caffè” (“Questo cielo d’acciaio”). Sulle influenze letterarie si ascolti anche l’intervista fatta da Marino Sinibaldi, in cui Falco cita, oltre a Pagliarani e Balestrini, anche Nove, Caliceti e Ottonieri. 8 Questi testi, afferma Wu Ming, sono “libri che sono indifferentemente narrativa, saggistica e altro: prosa poetica che è giornalismo che è memoriale che è romanzo [...]. La definizione [UNO, N.d.A.] nasconde un gioco di parole, anzi, un acrostico: le iniziali di ‘Unidentified Narrative Object’ formano la parola UNO; ciascuno di questi oggetti è uno, irriducibile a categorie pre-esistenti” (12). 9 In “Rep Dance” si legge: “io adoro gli spot mi piace molto il cinema non ho un genere che preferisco mi pacciono per dire i film americani come i film visionary di fellini la donna corre nel deserto solleva la sabbia il cielo giallo la donna libera una colomba dipinta di verde il colore della nostra azienda nel 1996 il deserto diventa prato la colomba verde vola nel cielo azzurro vicino al grattacielo motorola di un centro direzionale la famiglia padre madre figlia ha in mano il telefonino quattro colombe verdi nel cielo azzurro omnitel vi diamo ascolto la nostra azienda è omnitel azienda innovativa nel campo 125 “THE CORROSION OF NARRATIVE”. GIORGIO FALCO E L’EPICA DEL LAVORO PRECARIO panorama della telefonia mobile mondiale” (84). Il frammento continua poi citando gli spot di Megan Gale la modella australiana protagonista di numerose campagne pubblicitarie che, a cavallo dei due secoli, divenne una sorta di icona di Omnitel e della telefonia nazionale. 10 Citando a caso da “Radioitaliasuper”: “Oggi finalmente splende il sole facciamo gli scongiuri ma dopo tanti giorni di pioggia e soprattutto l’agosto che abbiamo avuto un attimo di tregua ci voleva proprio ce lo meritiamo almeno qui a Milano” (130); “Gli esteri il presidente americano George Dabliù Bush ha incontrato il premier australiano John Howard e gli ha confidato la sua avversione per la guerra tuttavia l’aspettativa positiva o negativa che sia di un attacco all’Iraq sembra sempre più probabile [...]” (132). 11 “Libertà di stampa” è in tal senso un piccolo capolavoro tassonomico di tutto il già detto giornalistico che vale la pena citare per esteso: “Anche quest’anno gli italiani festeggiano il nuovo anno all’insegna di zampone e lenticchie... si registra il tutto esaurito nelle località montane dove splende il sole... mentre al Sud continua l’emergenza maltempo con allagamenti e smottamenti... pioggia di premi distribuiti dalla dea bendata... spettacolari mareggiate hanno tenuto col fiato sospeso... un nuovo sbarco ripropone drammaticamente l’emergenza clandestini... sulle ali dell’entusiasmo la Juve si laurea campione d’inverno con una giornata d’anticipo... chiara matrice terroristica... bivio tra inferno e paradiso per il monumento mister... lo Stato saprà rispondere da par suo...” (298-99). 12 Si veda nuovamente “Rep Dance” uno dei capitol centrali di Pausa caffè: “rep a ivrea milano roma napoli entro fine anno rep a catania cosa positiva per lo sviluppo di tutto il mezzogiorno ovunque le tariffe gold libero con happy hour night and day night and day più new night and day new busines time personal mattina personal mezzogiorno personal pomeriggio personal sera valore valore 25 valore 50 (...) e se hai una fidanzata o un fidanzato (...) puoi fare you and me segnali un numero di telefono che chiami sempre a 95 lire al minuto in ogni istante più iva ” (89). 13 Si veda anche il segmento “Position”, dove si legge: “ogni movimento della tua login sei tu io sono la login quando vedo la mia login mi sembro io un altro io” (71). 14 Sul linguaggio interinale e sugli idioletti aziendali si consulti l’ottimo saggio di Pietro Trifone, in cui si trova anche una approfondita e dettagliata analisi degli anglicismi settoriali presenti in Pausa caffè. WORKS CITED Accornero, Aris. Era il secolo del lavoro, Bologna: il Mulino, 1997. Bauman, Zygmunt. La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza, Bologna: il Mulino, 2001. 126 PAOLO CHIRUMBOLO Bachtin, Mikhail. Estetica e romanzo, Torino: Einaudi, 1979. Belpoliti, Marco. “Insider’s View – Booming Italian writers”, Vogue Italia 1 agosto, 2003. www.sironieditore.it/sezioni/articolo.php?ID_articolo=192. Consultato il 15 settembre 2010. Carnero, Roberto. “Niente paura, il romanzo italiano c’è”, L’Avvenire 15 luglio, 2003. www.sironieditore.it/sezioni/articolo.php?ID_articolo=158. Consultato il 15 settembre 2010. Contarini, Silvia (a cura di). Letteratura e azienda. Rappresentazioni letterarie dell’econommia e del lavoro nell’Italia degli anni 2000, Narrativa 31/32, Parigi: Presses Universitaires De Paris Ouest, 2010. 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