giovanni bellini
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GIOVANNI BELLINI 1. Venezia, XV secolo: ponte dei traffici e degli scambi tra Nord Europa ed Oriente 2. Arte veneziana nella prima metà del ‘400 legata alla tradizione a. tardo-gotica b. greco-bizantina 3. Venezia, 1450: a. espansione in terraferma b. contatti con l’arte rinascimentale - fiorentina - lombarda (architettura) - padovana (pittura) 4. colore a. usato nel gotico in modo innaturale, come ornamento b. a Firenze meno importante di linea, prospettiva e composizione (unione delle figure) c. caratteristica originale della pittura veneta 5. Giovanni Bellini (Venezia, 1430 – 1516) a. fusione di forme, colore, luce e ombra b. sentimenti dei personaggi c. paesaggio naturale, tenero e dolce 6. La Pietà (1460) pone fine alla fase giovanile della pittura di Bellini a. influenza del cognato Andrea Mantegna - linearismo (contorni delle figure, capelli, pieghe dei tessuti, vene del braccio) b. colore imbevuto di luce calda c. non i personaggi epici di Mantegna, ma figure patetiche, sentimentali, che inducono lo spettatore alla partecipazione emotiva (parapetto) d. paesaggio sullo sfondo cassa di risonanza delle emozioni umane e. rappresentazione assorta, dolente f. religioso silenzio 7. Trasfigurazione (1480-1485) a. luce solare calda e morbida che inonda il paesaggio b. colori caldi e freddi creano il senso di spazio, di profondità c. umanità dei personaggi d. paesaggio aperto, atmosferico, in cui circolano luce e aria, importante tanto quanto i personaggi umani e. fusione uomo – natura: - le figure umane sono immerse nella natura e avvolte dalla luce - la luce chiara abbraccia, rivela e definisce tutti i particolari del dolce e quotidiano paesaggio veneto, rocce, piante, uomini e animali, castelli, città e colline 8. Rapporto tra uomo e natura a. nell'Umanesimo fiorentino l’uomo è al centro dell’universo, lo comprende, lo domina e lo crea con la ragione b. a Venezia l’uomo vive immerso dentro la natura, ne fa parte, in perfetta armonia 9. Colore tonale, natura, sentimento: da Giovanni Bellini parte la grande stagione della pittura veneta, da Giorgione in poi GIOVANNI BELLINI, LA PALA DI SAN GIOBBE Grande emblema del problema del dolore, Giobbe esprime il grido dell'uomo che cerca di comprendere se stesso, diventando simbolo della situazione esistenziale umana nei confronti del divino. La sua figura diventa modello del vero credente, ma nello stesso tempo del ribelle, poiché fronteggia il silenzio di Dio, per poi tacere, muto, davanti alla sua potenza. Nel racconto biblico, l'iniziale intensa meditazione sul mistero del dolore umano si conclude con la teofania, manifestazione del mistero di Dio. Il suo esempio di straordinaria pazienza fu proposto all'imitazione dei fedeli cattolici già da Cipriano e Tertulliano, e poi da molti altri, sia in Oriente che in Occidente. Fin dal Medioevo era riconosciuto intercessore contro la peste, ed era considerato protettore degli ammalati, in particolare quelli colpiti da epidemie che comportavano la presenza di vermi nel corpo. Contemporaneamente, era il patrono dei lavoratori della seta, derivando la seta a sua volta dai bachi: non c'era seteria antica che non avesse una sua raffigurazione popolare, appoggiato a due bastoni e con le gambe ricoperte dai vermi. La nudità del santo è un riferimento preciso che lo assimila ad ogni altro uomo che "nudo esce dal ventre materno e nudo scende nella tomba" (Libro di Giobbe, 1,21; 10,19). Inoltre, spesso viene raffigurato con il ginocchio piegato, come Cristo quando esce dal sepolcro, e proprio nell'immagine del balzo (Libro di Giobbe, 39,20) l'esegesi trova la profezia della resurrezione. Fino al Novecento il Libro di Giobbe è stato riletto e commentato di volta in volta secondo interpretazioni e risonanze diverse, incrociando esegesi religiosa, ricerca filosofica, riflessione teologica e letteratura, da Lutero a Kierkegaard, da Goethe a Dostoevskij, da Roth a Singer, da Bloch a Camus, da Morselli a Pomicio e altri ancora. Il culto di Giobbe fa la sua comparsa a Venezia in un documento del 1389, dove risulta protettore di un ospedale dei poveri in contrada di San Geremia Profeta, poi dell'attiguo oratorio ed in seguito della chiesa, che rimane uno dei rari edifici a lui dedicati, in quanto il culto dei santi veterotestamentari, ben radicato nella Chiesa orientale, non diventa mai molto popolare in Occidente. La presenza proprio a Venezia di una chiesa dedicata a San Giobbe è legata ai forti rapporti della città con Bisanzio, tradizione culturale che influenza la dedicazione di altre chiese veneziane a Mosè, Samuele, Geremia, Zaccaria. La fortuna della pala dipinta per la chiesa di San Giobbe da Giovanni Bellini inizia con particolare precocità, quando nel 1490 compare nella Guida di Venezia del Sabellico e solo tre anni dopo, nel 1493, viene inclusa nel De Origine, situ et magistratibus urbis venetae del Sanudo, conquistandosi così una fama immediata che le conferma un posto privilegiato in tutta la letteratura successiva. Giobbe vi è raffigurato accanto a San Francesco, che mostra il crocifisso e le stigmate quali segni viventi del sacrificio redentore di Cristo, e a San Domenico, probabile omaggio al francescanesimo che tanto si era adoperato per rinforzare la fede nella santità della Vergine durante il pontificato del francescano Sisto IV. San Domenico potrebbe alludere all'accordo tra i due ordini, francescani e domenicani, rispetto al tema sacro testimoniato nell'iscrizione: AVE VIRGINEI FLOS INTEMERATE PUDORIS (Salve fiore immacolato di pudore virginale) nel mosaico del catino absidale, tematica molto cara anche al doge Cristoforo Moro e al cardinale Bessarione, il quale, in nome del suo stretto legame con Venezia come altera Bisantium, nel 1472 donò la sua ingente biblioteca alla Repubblica. La Vergine, inoltre, è allegoria della Serenissima, personificazione sottolineata dall'ombrella con foglie d'alloro dipinta sospesa in chiave dell'arco del catino dorato, simbolo universalmente riconosciuto dell'autorità dogale. Infatti, secondo la tradizione medievale, nel 1177 papa Alessandro III aveva offerto l'ombrella, fino allora appannaggio esclusivo di papi e imperatori, al doge Sebastiano Ziani, in riconoscenza dell'appoggio nella lotta con l'imperatore Federico Barbarossa.