CINEMA 92 LA TIGRE E LA NEVE DI ROBERTO BENIGNI

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CINEMA 92 LA TIGRE E LA NEVE DI ROBERTO BENIGNI
CINEMA
LA TIGRE E LA NEVE DI ROBERTO BENIGNI: LETTURA DANTESCA1
FRANCO GALLIPPI
McMaster University,
Hamilton, Ontario
Abstract:
Il film di Roberto Benigni viene interpretato dal punto di vista di un viaggio
dantesco. I personaggi prinicipali e la dinamica del film si prestano a tale
interpretazione. I due grandi simboli del film, la tigre e la neve, sembrano
riassumere quello stato raggiunto da Dante alla fine del suo viaggio
nell oltretomba. Esaminando da vicino il viaggio compiuto da Attilio
(Benigni), viene evidenziato il legame con il viaggio dantesco in una
prospettiva del mondo contemporaneo.
Parole chiave:
Amore, bianco, tigre, neve, poeta, candore, morte.
el secondo trattato del Convivio, Dante ci spiega che i sensi delle
scritture possono essere quattro: letterale, allegorico, morale, e
anagogico. E insiste sull importanza del letterale proprio perché
condiziona gli altri tre sensi: onde, con ciò sia cosa che ne le scritture [la
litterale sentenza] sia sempre lo di fuori, impossibile è venire a l altre,
massimamente a l allegorica, sanza prima venire a la litterale 2. Più avanti
Dante farà riferimento a lo Filosofo (Aristotele) che nel primo libro della
Fisica dice: la natura vuole che ordinatamente si procede ne la nostra
conoscenza, cioè procedendo da quello che conoscemo meglio in quello che
conoscemo non così bene (p. 68). Dunque, da ciò nasce il metodo che Dante
applicherà nel suo commento alle canzoni nel Convivio: ragionerò prima la
litterale sentenza, e appresso di quella ragionerò la sua allegorica, cioè la
nascosta veritade (p. 69). Perché questo riferimento al Convivio?
Innanzitutto, sembra quasi d obbligo un riferimento a Dante quando si tratta
di un film di Benigni. Specialmente il più recente La tigre e la neve (2005),
dove mi pare fondamentale che si debba procedere dal significato letterale a
quello figurato, o se vogliamo dal denotativo al connotativo, se si vuole trarre
qualcosa di utile.
Lo spunto per questa relazione viene dalla grande quantità di recensioni
negative apparse su vari quotidiani e riviste italiani e nord-americani dopo
l uscita de La tigre e la neve nell ottobre del 2005 in Italia e nel dicembre del
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2006 negli Stati Uniti. Quello che prevale nelle recensioni è una
interpretazione denotativa; si tende, come spesso accade, a valutare il film
partendo dal letterale senza passare a una considerazione connotativa dei
codici che vengono utilizzati e che il cinema ha a sua disposizione. Su questo
livello qualcuno l ha perfino considerato un ottimo candidato per il peggior
film del 2006 agli Oscar. Sul Morandini si legge fiasco critico con poche
eccezioni generose (2007)3. Ecco, nel mio lavoro mi sono fatto condizionare
da quelle poche eccezioni generose per vedere se c è qualcosa da apprezzare
in questo film scritto ancora insieme a Vincenzo Cerami, con la musica di
Nicola Piovani e di Tom Waits, e con Nicoletta Braschi impegnata nella
produzione.
Il personaggio principle, Attilio Di Giovanni, interpretato da Benigni, è
appunto un poeta che riesce a comunicare con gli animali usando la formula
della poesia; un linguaggio che gli animali capiscono. Nell episodio del
pipistrello in camera delle figlie Attilio insegna loro che si può parlare con gli
animali che si presentano in un momento inopportuno. Al pipistrello dice:
Oh pipistrello sei tanto bello, sulla tua destra c è la finestra ; al ragno: Caro
ragno, esci dal bagno ; al topo: Topo ci vediamo dopo 4. Questo Attilio è un
poeta che compone e vive i propri versi; sta sempre sull orlo della galera e
vive con difficoltà all interno delle istituzioni che dettano leggi e sentenze.
Sembra una via di mezzo tra San Francesco d Assisi e Charlie Chaplin: parla
con gli animali e smaschera tutte le costruzioni ideali o illusorie che tendono
a fissare la vita. Seguendo le sue lezioni sulla poesia può venire in mente la
descrizione che Luigi Pirandello fa dell uomo fuori di chiave ne L umorismo
(1908); colui che vede sempre il contrario di tutto e smaschera tutto5. Ma
soprattutto non si può non pensare al viaggio dantesco e come Benigni ci
abbia raccontato in chiave moderna, volente o nolente, un viaggio che
comporta comunque un andare nell aldilà per poi ritornare in qualità di
poeta/profeta.
Il film inizia fellinianamente con un sogno di Attilio. Nel sogno quello che
attira l occhio è il bianco. C è il bianco dell abito da sposa di Vittoria,
interpretata da Nicoletta Braschi; e qui non sorprende e viene accolto come
elemento del tutto normale, ma poi abbiamo il bianco di Attilio, vestito in
maglietta e mutande bianche, che suscita una reazione e non solo in noi
spettatori ma in Attilio stesso, che si vede nudo davanti al mondo e privo di
ogni maschera imposta da lui stesso o dalla società. Perché Attilio è in
maglietta e mutande bianche nel suo sogno? Ovviamente, perché sogna
mentre è a letto e a letto ci va appunto indossando una maglietta e delle
mutande bianche. Risposta semplice e denotativa. Però, il bianco interessa
soprattutto perché va collegato all altro grande simbolo del film che è la
tigre. Il titolo del film è La tigre e la neve, il quale, secondo il regista,
sarebbe un connubio tra la ferocità della tigre e il candore della neve per
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indicare la vera natura dell amore6. E forse non a caso, la peluria della tigre è
un insieme di colori tra i quali c è anche il bianco, il che può anche
richiamare il simbolo cinese taiji, ossia Yin e Yang, come rappresentazione
dell interdipendenza tra forze opposte nella dinamica di un atto creativo7.
Questi due grandi simboli verranno via via elaborati attraverso le
vicissitudini di Attilio. Il primo riferimento alla neve viene fatto dopo la sua
lezione sulla poesia dalla sua collega, ed ex amante, Nancy: L ultima volta
che abbiamo dormito insieme nevicava; era il giorno più bello e più freddo di
gennaio . Ma la neve associata alla relazione con Nancy non è la stessa neve
che verrà associata al rapporto che Attilio desidera vivere con Vittoria. Va
ricordato che il bianco, simbolo della purezza, della verità, dell innocenza,
del sacro o del divino, ecc., ha anche connotazioni negative come la paura, la
vigliaccheria, la rinuncia, la freddezza, e il pallore della morte8. Questo lato
negativo del bianco potrebbe associarsi al rapporto che Attilio vive e poi
tronca con Nancy. Un dettaglio da osservare sono le carte bianche degli
appunti di Attilio che cadono in presenza di Nancy o quando si fa riferimento
a lei9. Queste carte che volano acquisteranno un significato più chiaro alla
fine del film quando Attilio trova Fuad, poeta arabo interpretato da Jean
Reno, morto suicida. La neve di Vittoria, invece, viene abbinata alla tigre e
l azione principale del film scaturisce da qualcosa che verrà detta da Vittoria.
Qui si può pensare al rito d iniziazione e all altro significato simbolico
attribuito al bianco; quello della conquista dell innocenza perduta dopo la
caduta di Adamo ed Eva. Sarà Vittoria a dire quale dovrà essere la
condizione perché lei ceda al sogno d amore che Attilio vuole realizzare con
lei. E qui Benigni forse rievoca i grandi temi dell amore cortese trattati da
Boccaccio nel Decameron. Ricordiamo la decima giornata, novella quinta,
dove Monna Dianora dice che cederà al desiderio di Ansaldo se lui sarà
capace di creare un giardino di gennaio bello come di maggio10. Vittoria dà
all eroe un simile compito: sarò tua quando vedrò a Roma una tigre sotto la
neve .
Dunque, che associazione ci può essere tra la tigre e la neve? Bisogna
arrivare al punto di unire le due cose in maniera che ci rendiamo conto che in
realtà sono una cosa sola e che quella tigre sotto la neve, con lo sguardo così
lucido, istintivo, libero da risonanze sociali 11, per dirla con le parole di
Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo racconto La Sirena, è lo stato di
candore e di coscienza raggiunto da Attilio dopo il suo lungo viaggio
dantesco attraverso il deserto in Iraq. La tigre, presa nella sua ferocità
associata all amore è un concetto che viene comunicato nel film in due scene
specifiche: una all inizio e l altra verso la fine. Nella prima scena c è un
dialogo tra Attilio e sua figlia Emilia mentre sono al circo. E credo che qui la
scenografia sia molto significativa. Attilio parla d amore con la figlia sotto il
tendone di un circo. Non sembra il luogo adatto, eppure questa scenografia
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non funge semplicemente da sfondo ma diventa un personaggio che partecipa
dando un significato aggiuntivo al contenuto del parlato:
Emilia: Non me ne importa proprio niente
Attilio: Ma chi, è sempre quello là, coso, come si chiama?
Emilia: Sì, Verri Francesco. Non sta nemmeno in classe con me.
Meno lo incontro e più sono contenta!
Attilio: Ti sta antipatico.
Emilia: Antipaticissimo, proprio odioso!
Attilio: Odioso?
Emilia: Odioso.
Attilio: Insomma, sei innamorata di lui?
Emilia: Sì!
Attilio: Tanto?
Emilia: Tantissimo.
Nella seconda scena vediamo Vittoria e ancora Emilia, la figlia che sembra
essere l erede di questo concetto d amore. In questa scena siamo nel giardino
di casa, il paradiso terrestre dove si svolgerà la scena finale tra Attilio e
Vittoria:
Vittoria: Prima sparisce e non si sa dov è. Poi arriva all improvviso quando
vuole lui.
Emilia: Insopportabile, eh?
Vittoria: Sì, brava, proprio insopportabile!
Emilia: Non ne puoi più, vero mamma?
Vittoria: Sì, brava, non ne posso più!
Emilia: Non si può vivere con uno così!
Vittoria: No!
Emilia: Insomma, sei proprio innamoratissima di lui?
Vittoria: Sì.
Ecco, abbiamo praticamente lo stesso dialogo, con qualche variante, svolto in
scenografie diverse. Si potrebbe pensare alla tigre nella prima scenografia e
alla neve nella seconda, e in questo modo si ha proprio i due simboli uniti
attraverso il parlato che non cambia ma si manifesta in scenografie diverse.
Inoltre, Attilio al circo con la figlia è un Attilio prima del suo viaggio in Iraq,
mentre quello che vediamo nel giardino alla fine del film è un Attilio che
sembra aver raggiunto il candore della neve12.
Ne L umorismo Pirandello spiega che l umorista scompone e rivela e odia
tutto quello che compone e nasconde. E visto che l abbigliamento compone e
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nasconde, l umorista va oltre per arrivare alla nudità della vita. E qui
Pirandello cita Carlyle: L uomo è un animale vestito , dice il Carlyle nel
suo Sartor Resartus, la società ha per base il vestiario . E il vestiario
compone anch esso, compone e nasconde: due cose che l umorismo non può
soffrire (pp. 161-62). Benigni, da grande umorista, gioca spesso con il
vestiario ne La tigre e la neve: nel suo sogno ricorrente dove indossa sempre
maglietta e mutande bianche, nello scambio delle giacche, nella divisa della
croce rossa, nell indossare i vestiti di Fuad. Attilio vive al di là di quello che
il vestiario compone, e riesce a vedere quello che esso nasconde; ed è
appunto questa capacità di vedere che viene attribuita al poeta da Attilio
stesso durante la sua lezione sulla poesia: il poeta non guarda, il poeta
vede . Dunque, vedendo quello che c è al di là del vestiario, Attilio agisce,
non secondo le convenzioni che il vestiario detta, ma secondo la nudità che
egli vede dietro di esso. E non è un caso che sul tram che lui insegue per
raggiungere Vittoria fuggente, ci sia una pubblicità per la White Star
Airlines , e il bianco qui è significativo, il cui slogan è appunto impara a
volare e l immagine è di un uomo nudo con le braccia spalancate a guisa di
volatile che sta per spiccare il volo. E Attilio, inseguendo questo tram,
indossa maglietta e mutande bianche come lo vediamo nel suo sogno.
Ovviamente, Attilio vorrebbe volare verso Vittoria ma non sembra che egli
sia pronto o capace di intendere la sua situazione nei confronti di lei. Il
numero del tram su cui fugge Vittoria è tre , il numero perfetto per chi come
Benigni ci racconta Dante in chiave moderna e popolare. E tre sono le donne
che nella vita di Attilio sono importanti e che lo ispireranno a ritrovare la
diritta via : le figlie Emilia e Rosa, e la moglie Vittoria.
Guardiamo da vicino la scena del tram analizzando insieme ad essa quella
che la precede perché qui abbiamo altri due esempi di una scenografia che
non funge da sfondo ma diventa un personaggio che partecipa all azione, non
solo elaborando la situazione del protagonista, ma fungendo da segno
premonitore. Nella scena che precede quella del tram, tutta la drammatica
situazione di Attilio viene comunicata allo spettatore attraverso i codici di un
altro film inserito nella scenografia. Difatti, mentre Attilio e Vittoria sono
seduti in cucina a lume di candela, dietro Attilio c è in televisione il film di
Sergio Leone, Il buono, il brutto, il cattivo (1966). L immagine, il dialogo, e
la musica della scena finale del film di Sergio Leone sono sullo sfondo e
contrappuntano la colonna visiva, dove vediamo Attilio che cerca di fare una
dichiarazione d amore a Vittoria, la quale ha appena detto che cederà solo
quando vedrà una tigre sotto una nevicata a Roma. Qui si può forse parlare
anche di una funzione dissonante del suono, visto che il parlato del film
s incrocia con la colonna sonora di un altro film per dare un significato più
chiaro sullo stato del rapporto tra Vittoria ed Attilio13. E il segno premonitore
si presenta quando nel film di Sergio Leone il brutto , interpretato da Eli
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Wallach, ha la corda al collo ma non muore impiccato. Ciò acquisterà un
significato più chiaro quando Attilio troverà Fuad morto suicida; una scena
che riecheggia quella di Pier della Vigna (Inferno, XIII). Dopo questa scena
a lume di candela, dove la scenografia è anche un discorso eloquente sul
rapporto di Attilio con la sua amante Nancy, segue la scena del tram e l altro
segno premonitore: la pubblicità della White Star Airlines , la quale ci
informa che Attilio da lì a poco partirà per raggiungere Vittoria in Iraq.
Nel viaggio, che si svolgerà nella seconda parte del film, pare che Benigni
voglia comunicare qualcosa che non è limitato alla storia di una coppia in
crisi. Siamo quasi costretti a considerare cosa vuole dirci Benigni con questa
storia che si svolge nel contesto della guerra in Iraq. Che funzione può avere
una scenografia ad alto rischio come la guerra in Iraq? È vero che Attilio può
sembrare infantile, ingenuo, e noncurante della grande storia, ma cerchiamo
di guardare da vicino le due guerre nel film. In primo piano abbiamo la
guerra di Attilio che si arma di uno scacciamosche per proteggere Vittoria
dagli insetti, e sullo sfondo c è la guerra in Iraq con soldati armati di
mitragliatrici e carri armati. Attilio non esprime mai in maniera diretta un suo
giudizio sulla guerra in Iraq, ma è probabile che voglia interrogarsi sul come
si possono evitare le guerre. Ed è forse per questo, secondo quanto ha detto
Benigni stesso14, che la guerra personale di Attilio diventa una guerra
superiore a quella della grande storia; perché lo sforzo che Attilio fa per
superare il proprio egocentrismo lo libera dalla gabbia del proprio io e lo
rende propenso ad amare non solo Vittoria ma il suo prossimo. La guerra, in
realtà, è quella che deve portare al candore dell animo libero e, in termini
pirandelliani, alla nudità di chi conosce se stesso.
Nella scena dove Attilio e Fuad parlano della grande storia e il fatto che
dopo secoli di saggezza l umanità non sembra aver imparato nulla, visto che
continua a fare guerre, c è un altro importante elemento che va osservato se si
vuole arrivare a conquistare l ottica della tigre sotto la neve. A mio parere,
Fuad rappresenta un lato che Attilio deve conquistare e fare interagire con il
suo lato esuberante e spontaneo e ottimista. Diciamo che a Fuad manca
quello che c è in Attilio e a quest ultimo manca quello che c è in Fuad. Per
intenderci, visto che Benigni usa il circo, mi sembra importante la distinzione
che si fa nella tradizione circense tra due figure di clown: il Bianco e
l Augusto. Federico Fellini sottolinea le loro caratteristiche nel modo
seguente:
Il primo è l eleganza, la grazia, l armonia, l intelligenza, la lucidità, che si
propongono moralisticamente come situazioni ideali, le uniche, le divinità
indiscutibili. Ecco quindi che appare subito l aspetto negativo della
faccenda: perché il clown bianco, in questo modo diventa la Mamma, il
Papà, il Maestro, l Artista, il Bello, insomma quello che si deve fare .
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Allora l augusto, che subirebbe il fascino di queste perfezioni se non
fossero ostentate con tanto rigore, si rivolta L augusto si ribella a una
simile perfezione Questa è, dunque, la lotta tra il culto superbo della
ragione (che giunge a un estetismo proposto con prepotenza e l istinto, la
libertà dell istinto.
Il clown bianco e l augusto sono la maestra e il bambino, la madre e il
figlio monello; si potrebbe dire, infine: l angelo con la spada
fiammeggiante e il peccatore15.
Il dialogo tra Attilio e Fuad che avviene mentre sono seduti sulla testa della
statua decapitata di Saddam Hussein sottolinea la differenza tra i due poeti.
Qui la scenografia ci comunica qualcosa a proposito di Fuad in qualità di
guida che rivela la propria ottica all alunno, il quale non la condivide. Fuad
conduce Attilio verso la veduta delle stelle, un altro dettaglio che ci ricorda il
Virgilio di Dante. Dopo il loro scambio, si alzano e si dividono andando via
in direzioni opposte, come se il viaggio di Attilio fosse anche quello di
contrapporsi a quella metà rappresentata nel personaggio di Fuad. Le ultime
battute fra di loro sono le seguenti:
Attilio: Fuad, Fuad, dai, che se siamo bravi, se ci si comporta bene, poi si
va in paradiso, eh?
Fuad: Dopo di noi Attilio c è il nulla, nemmeno il nulla che già sarebbe
qualcosa.
Attilio: Ma io, guarda, sono contento di essere nato, a me mi piace
esserci, io son sicuro che anche da morto mi ricorderò sempre di quando
ero vivo.
Fuad: Buona notte Attilio.
Attilio: A domani Fuad.
All inizio del film Fuad viene definito, da Attilio, il più grande poeta arabo
del mondo e che in futuro vincerà il premio Nobel. Quest immagine crolla
nel momento in cui Attilio trova Fuad morto suicida. La scena inizia con le
carte bianche di Fuad che volano ovunque nel suo studio mentre entra Attilio
per trovarlo morto, quasi a suggerire che la poesia fissata sulla pagina non ha
potuto salvare Fuad, e che il crollo dell illusione della sua patria fu troppo
difficile da sopportare per il poeta. Dopo quest episodio terribile Attilio vive
un momento di smarrimento e poi lo ritroviamo rientrare in Italia indossando
un vestito che sembra appartenere a Fuad. Certo, Attilio aveva bisogno di
vestiti per il viaggio, ma a vederlo indossare quei vestiti fa pensare a un rito
di passaggio. Attilio passa da uno stato di essere ad un altro. Si lascia dietro
un vestito per indossarne un altro, e quest altro vestito deriva dalla lezione
più difficile di tutto il film; quello di trovare una via di mezzo tra la ragione
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del clown bianco e la libertà d istinto dell augusto, ovvero, tra la poesia
fissata sulla pagina e il flusso dal quale deriva. E qui il legame che si può
stabilire con il rapporto tra il Virgilio dantesco e Dante pellegrino/poeta è
evidente. Fuad/Virgilio esiste in Attilio ed è il lato che non riesce più a
credere nel candore ed è capace di perdere la speranza fino al punto di
arrivare al gesto estremo. Infatti, Fuad si suicidia, e da un lato questo ci
rattrista e ci dimostra la gravità e la serietà del contesto storico. Ma se si
considera Fuad una metà di Attilio: la metà razionale che potrebbe prevalere
su quella istintiva, la metà che non arriva mai al candore della neve, la metà
che in ognuno di noi va simbolicamente suicidata perché non prevalga, e
perché l altra metà possa continuare il suo viaggio verso la vita. Fuad è la
poesia, il Virgilio di Attilio, ma quest ultimo sorprende e supera Fuad perché
egli riesce a dominare il caso quando il caso ha partita vinta 16. Questo
paragone ci porterebbe a considerare Fuad un poeta che non arriva al
traguardo di Attilio, così come nel Purgatorio Virgilio si congeda da Dante e
lascia il suo posto a Beatrice. Difatti, quando Fuad offre la sua ospitalità ad
Attilio, quest ultimo preferisce alloggiare in condizioni scomodissime ma
accanto a Vittoria/Beatrice:
Fuad: Perché stanotte non vieni a dormire su un letto vero a casa mia, così
ti riposi?
Attilio: Ti ringrazio, ma c ho una bella sedia da barbiere Fuad, ora mi
faccio una bella dormita pelo e contro pelo accanto a Vittoria, non si sa
mai.
Fuad: Ti capisco, ciao.
Attilio: Buona notte Fuad.
Nel titolo, dunque, abbiamo una tigre e abbiamo la neve. Lo sguardo della
tigre che viene inquadrato verso la fine del film è forse lo sguardo candido di
uno stato di essere che viene conquistato dal protagonista Attilio dopo un rito
d iniziazione. Quando Vittoria vede sotto il polline cadente una tigre in
mezzo alla strada, rimane senza parole. Infatti, è una scena muta dove c è uno
scambio di sguardi tra la tigre e Vittoria. Quando la cinepresa è dentro la
macchina e riprende la tigre da dietro le spalle di Vittoria vediamo lo sguardo
di lei nello specchietto retrovisore e per un attimo abbiamo in un inquadratura
lo sguardo di Vittoria e l immagine della tigre insieme. Le espressioni del
viso di Vittoria sono molto significative in questa scena perché le vedremo
ripetute quando vedrà Attilio nella scena finale in giardino. Sono espressioni
che partono dallo stupore per l incredulità davanti ad un significante
impossibile da realizzare, al sorriso nell accorgersi del significato che tale
significante ha per lei. Dunque, la scena si ripete in una scenografia diversa e
al posto della tigre c è Attilio, ma le espressioni di Vittoria seguono lo stesso
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ordine, dallo stupore al sorriso della rivelazione che in questo caso è un
desiderio realizzato.
Per ottenere la candidità degli istinti Attilio ha dovuto fare un viaggio
attraverso l Iraq, ossia l Inferno , per conquistare quello sguardo, quella
lucidità che supera le bassezze delle mezze verità e degli amori facili. Ad uno
come Attilio, dunque, che è caduto in tentazione, e in termini danteschi
rischerebbe di essere condannato al secondo cerchio dell Inferno convien
tenere altro viaggio (Inferno I, 91), se vuole campar d esto loco selvaggio
(93)17. All inizio del film, Attilio è nello stato di uomo caduto dal suo
paradiso terrestre, e vorrebbe riaverlo percorrendo una via meno difficile, ma
ciò non è possibile perché Attilio forse non sa veramente cosa abbia perduto.
E non sa ancora interpretare il suo sogno, il quale sembra preannunciare il
viaggio che dovrà fare in Iraq. Non a caso il prete ortodosso che appare nel
sogno porta al collo tre collane, e tre sono le maggiori religioni del mondo, il
cui luogo di nascita è appunto il Medio Oriente. In stato di poeta smarrito, ad
Attilio si presenta un poeta arabo, Fuad, molto famoso e saggio, il quale
guiderà Attilio verso la conquista di uno sguardo che forse non ha mai
veramente avuto: lo sguardo della tigre. E pare che se all inzio Vittoria
avesse ceduto subito alle sue insistenze, Attilio forse sarebbe caduto
nuovamente dal suo paradiso terrestre. Forse Attilio deve capire e per capire
deve percorrere la strada della conoscenza mettendosi alla prova. E questa
prova si presenta d improvviso per via di Vittoria, ma viene comunicata ad
Attilio da Fuad, il Virgilio di tutta la vicenda in Iraq. È difficile a questo
punto non pensare al secondo canto dell Inferno, dove è Beatrice a chiamare
Virgilio, così come sarà per via di Vittoria che Fuad diventerà la guida di
Attilio. E poi va ricordato il rimprovero di Beatrice a Dante nel paradiso
terrestre e la necessità che il poeta facesse diretta esperienza della perduta
gente 18. Alla fine del film Vittoria e Attilio avranno un analogo incontro nel
giardino della loro casa e l ottica di Attilio sarà diversa da quella che si nota
all inzio.
Nell ultima scena del film, siamo nel giardino della casa dove vivevano
insieme Vittoria ed Attilio con le loro due figlie. In questa scena, Benigni fa
uso di un altra strategia per comunicare lo stato di libertà conquistata da
Attilio. La figlia gli regala due cardellini di Perugia chiusi in una gabbia. Ad
un certo punto la gabbia cade e gli uccellini escono, ma prima di volare via
uno si posa sulla spalla di Vittoria, qualcosa che era successo ad Attilio da
bambino. Ecco, gli uccellini per somiglianza possono comunicare allo
spettatore una situazione cambiata, un intesa ritrovata o del tutto nuova tra
Vittoria ed Attilio. I cardellini non sono più chiusi in gabbia, perché la loro
natura è quella di cantare e di volare, come osserva Attilio/Benigni nel
vederli volare via cantando; e qui forse lo spettatore si ricorderà del
messaggio pubblicitario sul tram impara a volare . Alla fine del film ci sono
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ben tre espliciti esempi che hanno a che fare con una gabbia che si apre: la
prima è quella di Attilio che viene liberato dopo una notte in prigione; poi gli
animali del circo liberi per le strade di Roma; e in fine, la gabbia degli
uccellini che cade e aprendosi i cardellini volano via. E poi, l ultima
inquadratura del film è il cancello aperto della casa di Attilio e Vittoria. Nella
scena finale vediamo un Attilio non più insistente nei confronti di Vittoria, e
non si vanta di quello che ha fatto per lei in Iraq. Anzi, Vittoria non sa chi è
stato a salvarle la vita e lo scoprirà per caso, e non per volontà di Attilio,
quando noterà di sfuggita la catenina che credeva di aver perso in Iraq
intorno al collo di Attilio. È a questo punto che il silenzio e le espressioni di
Vittoria hanno una carica rivelatrice, e lo spettatore viene trasportato alla
scena precedente dove Vittoria fissa la tigre sotto il polline, e ci si accorge
che la neve di Vittoria, in realtà, non è quella di Nancy perché è polline, e
quest ultimo non solo ha proprietà fecondatrici ma è anche simbolo di quella
diritta via (Inf. I, 3) smarrita e poi ritrovata da Attilio19.
Ne La tigre e la neve a volte le carte bianche di Attilio cadono per terra, e
durante la sua lezione non riesce a leggere i suoi appunti, come se Benigni
volesse dire che la poesia in realtà non vive sulla pagina ma al di fuori e
aldilà di essa. Il viaggio di Attilio dimostra appunto tale flusso e diventa così
una lotta contro la morte, e la sua arma più forte è quella del raccontare al di
fuori dei limiti che gli vengono imposti. Attilio non smette mai di raccontare,
a differenza di Fuad il quale non avendo più la forza di raccontare si toglie la
vita. In tutto il film quando si parla l arabo non ci sono sottotitoli tranne
quando Fuad esprime il suo stato d animo quasi preannunciando il suo
suicidio: Il tempo non mi ha lasciato nulla per sostenere i miei occhi e il mio
cuore . Fuad sa anche a memoria tutti i racconti delle Mille e una notte, e
quando Attilio gli chiede, scherzando, dimmi la 406! , Fuad risponde: La
406 è quella di un poeta italiano con la scarpa rotta . E infatti, Attilio è un
poeta italiano in Iraq con la scarpa rotta. E ciò ci può far venire in mente un
Dante Alighieri in esilio ed impoverito, ma comunque poeta e voce profetica
del suo tempo che lotta contro la morte spirituale del Papato. Attilio sta
vivendo le sue Mille e una notte, e quindi sta lottando contro la morte, ma
non solo quella della carne. Ogni strategia che inventa per far sì che Vittoria
si mantenga in vita e riprenda coscienza è un nuovo racconto, una nuova
avventura da affrontare. Attilio è Sheherazade e l arte che gli permette di
salvare la vita di Vittoria risiede nella sua capacità di raccontare quel tanto
che basta per avvicinarsi gradatamente al suo obiettivo. Anche quando la
scienza medica gli dice che non c è speranza per Vittoria, Attilio continua a
raccontare e suscita in chi gli sta attorno racconti anche di un passato lontano
dove si ritrovano i metodi di una medicina antica che aiutano a mantenere in
vita Vittoria. Attilio non si dà per vinto e decide di vivere la sua illusione
trovando una via di mezzo tra scienza primitiva e scienza moderna con la
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ferocità di una tigre e il candore della neve. Ma tigre e neve, in ultima analisi,
sono dantescamente un allegoria di chi scopre il flusso della vita e si
ricongiunge ad esso prima che il corpo raggiunga il suo termine di vita. Ed è
questo, a mio parere, l elemento che fa di questo film un viaggio dantesco, il
cui scopo è quello di evitare la morte seconda facendo sì che dalla carne
nasca quella dimensione spirituale che spesso emerge appunto in seguito ad
un viaggio all Inferno, ossia in Iraq.
__________
NOTE
1
Il saggio è stato presentato alla conferenza internazionale dell AAIS-AATI
Taormina (22-25 maggio, 2008), in versione ridotta e con il titolo La tigre e
la neve di Roberto Benigni: un fiasco critico .
2
Dante Alighieri, Convivio, Milano: Garzanti, 1987, pp. 67-68.
3
Non mi pare sia il caso citare o elencare le infinite recensioni che il lettore
può consultare senza difficoltà collegandosi all internet. Fra quelli che hanno
visto qualcosa di positivo nel film, in Italia, ci sono: Tullio Kezich (Il
Corriere della sera, 5 ottobre 2005), Natalia Aspesi (La Repubblica, 5
ottobre 2005), Furio Colombo (L Unità, 5 ottobre 2005), e Lietta Tornabuoni
(La Stampa , 5 ottobre 2005). Negli Stati Uniti, su quotidiani quali il New
York Times, il Los Angeles Times, il San Francisco Chronicle, il New York
Post, e tantissimi altri, con qualche eccezione che si perde nei meandri dei
pareri negativi, il film è stato stroncato dalla critica. Dunque, a questo punto
della mia ricerca, pare che le poche eccezioni generose siano per lo più
italiane. Questo può apparire anche ovvio, visto che la guerra in Iraq è un
argomento molto più delicato negli USA che in Italia. Inoltre, è molto più
probabile che una lettura dantesca del film si faccia in Italia, dove Benigni
gira per le piazze più importanti commentando e recitando i canti della
Divina Commedia.
4
Tutte le citazioni tratte dal dialogo del film sono state trascritte dal
sottoscritto durante la visione del film. Roberto Benigni, The Tiger and the
Snow (Canada: Hart Sharp Video-Alliance Atlantis, 2007).
5
Un uomo a cui un pensiero non può nascere, che subito non gliene nasca
un altro opposto, contrario; a cui per una ragione ch egli abbia di dir sì,
subito un altra e due e tre non ne sorgono che lo costringono a dir no; e tra il
sì e il no lo tengan sospeso, perplesso, per tutta la vita; d un uomo che non
può abbandonarsi a un sentimento, senza avvertir subito qualcosa dentro che
gli fa una smorfia e lo turba e lo sconcerta e lo indispettisce . Luigi
Pirandello, L umorismo, Milano: Mondadori, 1992, p. 138.
102
FRANCO GALLIPPI
6
Benigni spiega il titolo del film usando questi termini nell intervista
disponibile sul DVD distribuito in Canada. Roberto Benigni, The Tiger and
the Snow (Canada: Hart Sharp Video-Alliance Atlantis, 2007).
7
Jack Tresidder, General Ed., The Complete Dictionary of Symbols, San
Francisco: Chronicle Books, 2005, pp. 528-29.
8
Jack Tresidder, General Ed., The Complete Dictionary of Symbols, San
Francisco: Chronicle Books, 2005, p. 517. Vedi anche, Hans Biedermann,
trans. James Hulbert, Dictionary of Symbols, New York: Meridian, 1994.
Benigni usa il bianco anche ne La vita è bella, dove fa parte della scenografia
del Grand Hotel per esprimere un parere sul regime fascista in Italia. La
Marcus, citando dalla sceneggiatura, dice il seguente in proposito: It is
significant that the huge ballroom of the hotel is round and windowless,
constituting a self-contained, hermetically sealed world cut off from all
external influences and distractions. The antiseptic whiteness of the décor is
strategic, alluding to the interiors of Hollywood domestic scenes of the
1930 s where white was a signifier of the wealth needed to keep it clean. On
the windowless white walls are realistici ritratti di uomini e donne dell alta
borghesia che sembrano conversare tra di loro bevendo champagne e
sorridendosi serenamente (p. 75). When the ballroom actually fills up with
guests, the specular relationship between the frescoes and the human
occupants of the room are cause for comment. Guido s uncle guarda la
parete affrescata, dove c è gente elegante cristallizzata nelle due dimensioni
del dipinto. Il portiere invece, sorridente, osserva la festa delle persone vere.
Sono veramente eleganti the doorman remarks. Elegantissimi agrees the
uncle, observing the fresco (pp. 89-90) , pp. 157-58. Millicent Marcus, Me
lo dici babbo che gioco è?: The Serious Humor of La vita è bella , Italica,
Vol. 77, No. 2, Film and Theater (Summer, 2000), pp. 153-170.
9
Sul DVD distribuito in Canada è possibile vedere alcune delle scene
eliminate dal film. Tra queste scene ce n è una dove Attilio viene informato
della partenza di Nancy. La reazione di Attilio è quella di andare a
raggiungerla all aeroporto, e correndo gli cadono dalla cartella tutti i suoi
fogli bianchi. Roberto Benigni, The Tiger and the Snow (Canada: Hart Sharp
Video-Alliance Atlantis, 2007).
10
Giovanni Boccaccio, Decameron, a cura di Vittore Branca, Torino:
Einaudi, 1994, pp. 1148-1155.
11
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, I racconti, Milano: Feltrinelli, 1993, p.
120.
12
Questo concetto d amore utilizzato da Benigni mi fa pensare a due poeti
del ventesimo secolo che parlano dell amore in questi termini: Kalil Gibran,
nel Profeta (1923) usa una terminologia che fa specifico riferimento al
bianco e alla nudità abbinati alla ferocità della tigre; e Rainer Maria Rilke,
nelle sue Lettere a un giovane poeta (1929) ne parla considerando l amore
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LA TIGRE E LA NEVE DI ROBERTO BENIGNI: LETTURA DANTESCA
difficile compito e prova che supera tutte le prove. Le pagine alle quali mi
riferisco sono le seguenti: Il Profeta, Milano: Feltrinelli, 2007, pp. 13-17;
Lettere a un giovane poeta, Milano: Adelphi, 2007, pp. 48-54.
13
Vedi Come si guarda un film di Angelo Moscariello, Roma-Bari: Laterza,
1982, pp. 35-43.
14
Mi riferisco all intervista a Benigni sul DVD distribuito in Canada da Hart
Sharp Video e Alliance Atlantis, 2007.
15
Federico Fellini, Fare un film, Torino: Einaudi, 1980, p. 117.
16
La situazione tra Fuad e Attilio mi fa pensare alle Lezioni americane, dove
Calvino dice in Esattezza : La poesia è la grande nemica del caso, pur
essendo anch essa figlia del caso e sapendo che il caso in ultima istanza avrà
partita vinta . Italo Calvino, Lezioni americane, Milano: Mondadori, 1993,
p. 78. Tra i due poeti è chiaro che Attilio è più propenso a sopravvivere i
capricci del caso.
17
Dante Alighieri, La Divina Commedia, note e commento Tommaso Di
Salvo, Milano: Zanichelli, 2006, p. 23.
18
Emilio Pasquini commenta quest episodio sottolineando tale necessità:
Nessun espediente valse a riportarlo sulla buona strada: il traviamento era
grave e immedicabile, di ordine anche intellettuale, al punto da condurlo alle
soglie della dannazione. Altro non restava che fargli fare diretta esperienza
delle perdute genti (Purg. XXX, v. 138) e costringerlo a un severo
pentimento . Vita di Dante, Milano: BUR, 2006, p. 214.
19
Il polline viene esaminato da Joseph Campbell nel suo significato
simbolico come ritrovamento del proprio centro e quindi della propria via. In
The Power of Myth dice: The Navaho have that wonderful image of what
they call the pollen path. Pollen is the life source. The pollen path is the path
to the center. The Navaho say, Oh, beauty before me, beauty behind me,
beauty to the right of me, beauty to the left of me, beauty above me, beauty
below me, I m on the pollen path , New York: Anchor Books, 1991, p. 285.
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