Due eredi per Bodoni

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Due eredi per Bodoni
cultura E TERRITORIO
Due eredi per Bodoni
Alberto Nodolini e Augusto Vignali: due grandi grafici parmigiani
raccontano il valore della curiosità nella comunicazione visiva.
Facendo rivivere il genio del re dei tipografi
Mariagrazia Villa
A volte, il genio non segue la lunga corrente
del sangue. Arriva direttamente dove sfociano le affinità. E lì, inizia a fluire nell’invisibile parentela della mente e del cuore.
Nell’istinto di un’eredità che scavalca anche
i secoli, prima di riaffiorare. Al genio di
Giambattista Bodoni, il re dei tipografi e il
tipografo dei re, di cui quest’anno ricorre il
bicentenario dalla morte, è andata proprio
così. Il sangue del suo inchiostro, dopo essersi riversato in Erberto Carboni e Franco
Maria Ricci, è fluito nella vena artistica di
due nomi che sono oggi il fiore all’occhiello
della grafica parmigiana: Alberto Nodolini
e Augusto Vignali.
Dal saluzzese che guidò la Stamperia Reale di Parma dal 1768 sino alla morte, e che
abitava proprio nel palazzo farnesiano della Pilotta, dove sarebbe sorto quell’istituto
d’arte Paolo Toschi frequentato sia da Nodolini che da Vignali nella seconda metà
del Novecento, i due grafici hanno ereditato non solo l’abilità tecnica, la cultura e
l’inventiva, ma soprattutto l’eleganza e la
modernità. La smaliziata capacità di stare
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nella lava volgare del mondo, senza farsene
toccare, o di usarla a gioiose dosi omeopatiche per trarne un significato più vivido.
E la volontà d’immaginare le promesse del
presente, fiutando nuovi possibili scenari
e aprendosi alle spinte più sommerse e
inavvertite. Raffinati cantastorie del contemporaneo, ma anche àuguri perfetti di
quella fitta foresta di simboli che è la comunicazione visiva.
In entrambi, tornano i quattro principi indicati da Bodoni per una bella famiglia di
caratteri tipografici: coerenza del disegno,
nitida semplicità, buon gusto e incanto,
quella qualità sottile che dà l’impressione
d’essere nata con somma attenzione e calma, come in un atto d’amore. Non solo. In
ogni loro opera, si respira una sotterranea
bellezza neoclassica, limpida e rigorosa,
di bodoniana memoria. E la tendenza a
liberare i segni dal loro normale universo
semantico per farli vivere in modo autonomo e fantastico, come fece il grande tipografo nell’astrarre il nero dal bianco della
pagina.
La pittura Le theatre d'eau
per la motonave Costa, di
Alberto Nodolini
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Alberto Nodolini.
Il progetto dell’emozione
Alberto Nodolini ha il dono di chiamare
in vita le cose. E lo fa con idee grafiche, nel
senso etimologico del termine: graffiano,
incidono e scrivono la realtà. Con bozzetti
tratteggiati in gran velocità, come sintesi
progettuale di un’essenza: l’intensità di un’emozione da afferFin da bambino rare con la snellezza evocativa del
Nodolini frequenta segno. Idee che non sempre conZavattini e Donati, cepiscono qualcosa di bidimenresta affascinato dal sionale. Anzi. Spesso prefigurano
artefatti di un evento. Proprio
loro lavoro e decide gli
in questi giorni, e fino all’8 didi dedicarsi all’arte cembre, sono in corso a Parma
due mostre di cui Nodolini ha
magistralmente curato l’allestimento: Teatro per scelta, a Palazzo Pigorini, e Il progetto dell’illusione, alla Pinacoteca Stuard.
Sono ricche d’invenzioni e pervase di grazia: la capacità di partire dalla materia per
astrarla è evidente. Per lui la visione è proprio, come diceva Jonathan Swift, «l’arte
di vedere ciò che è invisibile»: con l’innata
saggezza del fior di loto, nasce dal basso
di condizioni concrete, per poi aprirsi sulla
superficie dell’acqua in tutta la sua eterea
purezza.
La sua è una storia anomala. «Anzitutto,
sono nato in una famiglia di contadini a
Luzzara, luogo surreale e metafisico, dove
l’astrattismo mentale è inevitabile e fecondo», racconta. Qui, ancora bambino, frequenta i due miti del paese: l’insuperabile
Cesare Zavattini, giornalista, sceneggiato-
re, commediografo, scrittore, poeta e pittore, e Danilo Donati, allora ancora ceramista, ma destinato a diventare il massimo
costumista del cinema italiano. «Mi affascinava la loro genialità nel raccontare…».
Infine, come se non bastasse, da ragazzino
conosce il grande fotografo newyorkese
Paul Strand, che si trova a Luzzara per realizzare con Zavattini il libro-reportage Un
paese, formidabile incontro tra la straight
photography della east coast americana e il
neorealismo italiano.
Dopo questo spontaneo apprendistato alla
vocazione artistica del racconto e della fotografia, Nodolini inizia a dipingere, e la
pittura diventa la sua musa. «Ancora oggi,
nell’anima, mi sento un pittore: la mia
grafica è emotiva, pittorica, si avvicina a
quella dell’ultimo Bodoni, che produceva
lavori di grande armonia astratta». Ma poi,
sempre perché la sua storia è singolare, gli
arriva un lavoro che, apparentemente, non
c’entra. E la fortuna comincia a piovergli
dall’alto. «È sempre andata così: le cose mi
vengono incontro, senza che le cerchi…
Se provo a farle accadere, non funzionano…». Ha poco più di 20 anni e ha vinto il premio internazionale di pittura San
Fedele, quando il professor Corvi, preside del Toschi, lo chiama per dirgli che a
Milano stanno cercando qualcuno che
impagini i giornali. Nodolini accetta, ma,
appena messo piede all’allora Novità (che
sarebbe diventato Vogue Novità e infine
Vogue, nda), pensa: «Io qua non ci lavorerò
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mai». Si sente un pittore, che non ha nulla
da spartire con il mondo artificioso della
moda. Ma, ancora una volta, la fortuna lo
va a prendere a casa: la domenica, il direttore artistico Flavio Lucchini arriva fino a
Luzzara per convincere suo padre a fargli
accettare l’incarico. E così, Nodolini dice il
primo “sì” che lo porterà lontano.
Prende il lavoro con serietà e dedizione.
Fino a diventare, nel ‘68, art director di Vogue e di tutti i magazine di Condé Nast
Italia. Per 28 anni, contribuisce al successo
planetario di una rivista che arriva a detenere il monopolio dell’immagine, anche
più di Vogue America, l’altolocata cugina
d’oltreoceano. La trova con una tiratura di
20mila copie e la lascerà a 110mila, il massimo raggiungibile stampando in fotolito.
«Vogue Italia la si trovava sulle scrivanie
di designer, architetti, imprenditori: una
volta, a Parigi, la vidi perfino nell’ufficio
della Legione Straniera…». Detta legge
nel campo dell’abbigliamento, ma anche
della casa e degli oggetti. È il must-have
di chi sta al passo coi tempi, sia nella borghesia agiata che nell’aristocrazia, ma anche in chi aspira a una miglior qualità del
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vivere. «Vogue, che esprimeva e diffondeva
quell’Italian lifestyle che tutti ci invidiavano, diventò un prodotto culturale ed estetico utile a chi faceva il made in Italy nella
moda, nel design, nell’architettura».
Sono i primi anni Settanta. Milano non
è ancora quella spumeggiante “da bere”,
anche perché è il decennio di piombo e
dell’austerity, ma è già l’epicentro di un
Paese che la mostra Italy: the New Domestic Landscape al Moma di New York nel
‘72 ha ormai consacrato ovunque per il valore del suo stile progettuale. «Sono stati
anni magici e irripetibili, con personaggi
come oggi non ce ne sono più… Milano
era davvero il centro dell’arte: ogni giorno
c’era un evento».
È soprattutto per Vogue che Nodolini incontra il gotha dell’arte internazionale. I
migliori fotografi a livello mondiale, da
Avedon a Hiro, cui commissiona i servizi,
disegnando delle maquette dove progetta il
filo narrativo tra uno scatto e l’altro. Conosce gli artisti del momento: il primo numero di Vanity, per esempio, nasce a New
York nella Factory di Warhol. Lavora con
gli stilisti di punta, da Armani a Valentino,
Alberto Nodolini, opera
pittorica con cui vinse il
premio internazionale di
pittura San Fedele a Milano
nel 1965.
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da Gaultier a Lagerfeld, e scopre i giovani di talento, come Dolce & Gabbana. E,
pur essendo esigente – per qualcuno anche
severo –, Nodolini va d’accordo con tutti,
anche perché crede nel lavoro di équipe,
come avesse una bottega rinascimentale. «Ho avuto dei batti«Milano era davvero becchi, ma solo all’inizio, unicail centro dell’arte: mente con Helmut Newton, che
ogni giorno c’era tendeva a volere carta bianca e a
un evento» infilare sempre qualche nudo…».
Occupandosi della regia artistica
delle varie testate, Nodolini cura
quella parte della comunicazione che tutti
assorbono, senza esserne veramente consapevoli. E lo fa in modo che la democrazia espressiva non ostacoli la perfezione,
che l’immaginazione sia sempre l’antidoto
alla banalità, che l’editoria si sposi con la
cultura e vivano felici e contente. «Avevo
dietro di me uomini colti, come il direttore
Franco Sartori. Sono sempre stato avvicinato da persone particolari, che mi hanno
capito e hanno puntato su di me, rischianAugusto Vignali, opera per
lo stilista Fiorucci.
do del loro».
A Vogue il lavoro è così totalizzante da
sovrapporsi all’esistenza. Nodolini riesce
anche a progettare l’allestimento di qualche mostra e la scenografia di alcuni importanti spettacoli per il Teatro Regio di
Parma, ma il ritmo milanese è incalzante.
«Dormivo tre ore a notte, ma era il prezzo
da pagare per una vita così speciale. Dopo
quasi 30 anni, infatti, non ero stanco, perché mi sono sempre divertito, ma saturo:
non trovavo più gli stimoli iniziali. Negli
anni Ottanta, ma soprattutto nei Novanta, la moda iniziava la sua lenta decadenza: autoreferenziale, priva di creatività,
commerciale…». Così, Nodolini lascia la
galassia Vogue e torna a Parma. Qui, dopo
un salutare periodo di silenzio, dove, come
nei passi del tango, ci si ferma per poter
andare avanti, di nuovo le cose gli arrivano: viene chiamato a curare, da grafico, i
libri della Step e a decorare, da pittore, gli
interni delle motonavi della Costa Crociere, a partire dalla Costa Mediterranea
del 2003, per la quale disegna una serie di
splendidi costumi della commedia dell’arte. E, con quest’ultimo incarico che prosegue tuttora, riprende a dipingere e comincia a fare scultura. Con lo stesso approccio
con cui ha progettato riviste, però: un’idea
da sviluppare in team e da chiamare in vita
con l’emozione.
La trama della curiosità
Ad Augusto Vignali nessuno vorrebbe
restituire l’infanzia perduta, perché se la
tiene ancora ben stretta. Nell’intelligenza prensile ed esploratrice, nella catapulta giocosa degli occhi, nell’abbraccio
sorprendente della sua autenticità. Inizia
l’attività artistica nel 1969, con la prima
personale di acquerelli e opere grafiche
alla Galleria del libro di Parma. E subito
dimostra di avere la mano di un disegnatore infallibile, capace di piegarla con umiltà
e dovizia a qualsiasi prova. Ma è nel ‘74
che trova la sua strada professionale, che
sarebbe più giusto chiamare autostrada.
Comincia a lavorare a Milano come art director e graphic designer per la casa di moda
Fiorucci, realizzando il progetto grafico
dei marchi, della pubblicità e del packaging dei prodotti insieme ai colleghi Sauro
Mainardi, Carlo Pignagnoli, Guglielmo
Pelizzoni e Mizio Turchet.
Un’esperienza esaltante, ironica e intrisa
di curiosità. Emblema di una libertà creativa controcorrente: musica londinese,
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hamburger americani, t-shirt e jeans scovati sui bazar di mezzo mondo. Vignali
prende a piene mani dal magazzino delle
immagini che ha a disposizione: nei musei, nei giornali, nelle strade. E non è una
fredda operazione postmoderna, da supermercato delle forme, è un sapiente insieme di citazioni da ripensare. Senza una
strategia di comunicazione, ma con felice
coerenza ecclettica. Festosi sciami di aeroplanini dai mille colori che volteggiano
nel cielo, profili di sgargianti grattacieli
accanto alla placida linea delle piramidi,
pin-up in costume da bagno, davanti a
un mare con il puntinato da fumetto di
un’opera di Lichtenstein. Vignali guarda
alla pop art americana e inglese, ai grandi illustratori stelle e strisce degli anni
Trenta e Quaranta del Novecento, come
Norman Rockwell e Reginald Marsh. «È
importante imparare, includere, riflettere
e rielaborare. Includere è fondamentale
per arricchire il proprio vocabolario e la
propria lingua e per comunicare con gli
altri. Sono curioso: ho qualcosa dentro
che mi porta a indagare continuamente
il mondo… e a non prendere mai le cose
troppo sul serio!».
Dall’inizio degli anni Ottanta, al lavoro
per Fiorucci affianca anche quello per al-
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Augusto Vignali.
tre aziende di moda, da Benetton a Kenzo,
per le quali disegna loghi e poster pubblicitari. E alcune sue opere per il Marchio
Fiorucci vengono esposte al Royal Victoria & Albert Museum di Londra e allo
Smithsonian Museum di Washington. Intanto, continua a mantenere vivo l’interesse per la ricerca grafica e pittorica sgombra
da committenze: «L’ho sempre tenuta in
equilibrio con il lavoro, anche perché l’una
si travasa nell’altro e viceversa: non sono
spazi distinti». E nel 1985 viene invitato
dal ministro della cultura francese Jack
Lang alla grande mostra d’arte L’Italie
d’aujourd’hui, al Centre national d’art contemporain di Nizza, con alcune sue opere
grafiche.
All’inizio degli anni Novanta, mentre continua a disegnare con lo studio di grafica e
fashion design Art Force, Vignali fa salpare il concetto di graphic design verso nuovi lidi: inizia la collaborazione – che dura
tuttora – con Costa Crociere, decorando
gli ambienti della motonave Costa Allegra
con 20 grandi tele, che reinterpretano in
senso grafico-pittorico i maestri
dell’impressionismo e del post- Fiorucci, Benetton,
impressionismo. Finora, sono Kenzo: Vignali
15 le motonavi della compagnia
di navigazione italiana (ma di lavora per le più
proprietà del Gruppo Carnival grandi case di
di Miami) di cui ha progettato moda e i suoi lavori
e realizzato il decoro (l’ultima è sono esposti anche
la Costa Diadema, che sarà va- all’estero
rata nell’ottobre 2014), a cui si
aggiungono altre imbarcazioni
da crociera per la Carnival e la spagnola
Ibero Cruceros. È proprio il caso di dire:
da Parma al mondo. Un po’ della creatività
ducale che viaggia lungo le principali rotte
del pianeta… Ogni volta un tema diverso,
da declinare con cura, ma anche con divertente leggerezza. «Nella decorazione della
Costa Favolosa, per esempio, dedicata alla
metafisica italiana, ho fatto il verso a De
Chirico, inserendo nelle sue piazze le sofisticate donne di Ertè, e al fratello Alberto
Savinio, facendo galleggiare le sue composizioni…».
Continua negli anni anche la sua attività
di realizzazione dell’immagine coordinata e di prodotto per aziende di moda,
come il progetto nel ‘98 del nuovo marchio per il prodotto Martini Sport Line
per Martini, o quello della comunicazione del grande emporio Cargo di Milano
nel 2012. La moda è una suggestione co-
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stante. Adesso, sta lavorando al disegno
di una serie di foulard di seta molto cool,
con immagini insolite, come una
ragnatela con il suo bravo ragno,
«Sono un artigiano una sequenza di poliedri tratti
e svolgo questo dalla cinquecentesca Perspectiva
mestiere per Corporum Regolarium di Jamnecessità, più che nitzer, o un dripping alla Jackson
per passione» Pollock. Un gioco personale,
senza una committenza e ancora in cerca di produttore. «Sono
un artigiano e svolgo questo mestiere per
necessità, più che per passione. Vengo in
bottega e mi rimbocco le maniche ogni
Augusto Vignali
giorno, anche nei momenti in salita: didecorazione per motonave
segnare lo vivo come un divertimento in
Costa.
senso settecentesco…».
Mentre due mostre importanti, a Milano, celebrano le sue opere grafiche legate
all’avventura Fiorucci, la retrospettiva al
palazzo dell’Arengario, Freespirit Fiorucci,
i sensi della libertà, nel 2000 e la collettiva TDM5: grafica italiana, organizzata
al Triennale Design Museum nel 2012,
Vignali prosegue il lavoro artistico: suoi
grandi acquerelli e tempere su carta vengono esposti al palazzo ducale di Colorno
nel ’96 e, nel 2009, la serie delle Lettere
dipinte, intrigante omaggio alla Secessione
viennese, viene presentata all’associazione
Remo Gaibazzi e alla galleria d’arte Farnese di Parma e alla biblioteca Tartarotti
del Mart di Rovereto.
«Dopo questa fase, le lettere hanno iniziato a prendere commiato, dapprima diventando nuvole che si dissolvono verso l’alto
e, poi, forme riconoscibili di oggetti, come
bottiglie o bicchieri, in composizioni che
ricordano il cubismo astratto di Ben Nicholson, ma con fondi pullulanti di tratti,
come limature di ferro, e realizzate su vecchi libri tagliuzzati da precedenti collage.
Sino a diventare la sola trama del fondo,
protagonista assoluta dell’opera». Benché
quest’anno Vignali sia tornato di nuovo
all’alfabeto, con una serie di lavori in cui
reinterpreta piacevolmente le lettere bodoniane per uno studio commissionatogli
da Orazio Tarroni, direttore del museo
Bodoniano di Parma, sono i diversi modi
di tramare, di giocare con i tratti per arrivare al disegno, che lo ipnotizzano.
Perché il bambino Augusto è anche un
uomo di profondità inconsueta. Che conosce lo spazio spirituale dell’arte, della
musica, della letteratura, della fotografia,
del cinema. Non sempre lo dà a vedere, riducendolo alle palline di carta di un’arma
loquace. Più spesso lo tiene nell’arsenale
del silenzio. Aldilà delle parole, come un
personaggio di Hofmannsthal.
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