Lo splendore rinascimentale nei palazzi dei signori

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Lo splendore rinascimentale nei palazzi dei signori
6 Tra storia e letteratura – Viaggio nel tempo
Giuliana Boldrini
Lo splendore rinascimentale
nei palazzi dei signori
Nel XV e nel XVI secolo, mentre in Europa si consolidavano le
grandi monarchie (Francia, Inghilterra, Spagna), in Italia si affermavano varie signorie locali: i Medici a Firenze, i Visconti e gli
Sforza a Milano, i Montefeltro a Urbino, gli Este a Ferrara, i Gonzaga a Mantova. La corte del signore o del principe è uno dei luoghi centrali per capire la storia del Rinascimento, l’evoluzione dei
costumi, della concezione dell’uomo e anche del potere che si
manifesta attraverso la ricchezza e lo sfarzo.
1. tuguri: abitazioni
squallide, stamberghe.
2. broccato: tessuto di
lusso spesso con fili d’oro e d’argento.
3. scudi: antiche monete d’oro e d’argento.
4. baiocchi: monetine
di rame.
5. mastro… famigli:
capo di stalla con dieci
servi.
6. scalco: servitore incaricato di trinciare le
carni e servirle ai convitati.
7. acquaiolo: servo,
operaio addetto al governo dell’acqua.
8. scopino: spazzino.
Se i tuguri1 dei poveri operai e dei malnutriti di campagna somigliavano a covili di bestie e la casa del ricco mercante era grande e
solida, ma giudiziosamente adibita tanto ad abitazione quanto a
magazzino per le merci e a scrittoio per l’amministrazione, lo splendore rinascimentale abbagliava nei palazzi dei signori. Una visita a
palazzo Gonzaga o a quello d’Urbino sarebbe naturalmente il più
vivo ed eloquente dei documenti. Ma ancora bisognerebbe immaginare i saloni sontuosi animati da decine di cortigiani in abiti di
broccato2 d’oro, di seta, di damasco, fiammeggianti di gioielli; le
centinaia di servi stretti in divise sgargianti, le guardie in armature
fregiate d’oro e d’argento; i nani che nella reggia Gonzaga hanno il
loro appartamento dove tutto, stanze, porte, scale, è costruito a loro misura come in una gigantesca casa di bambole; i cavalli di razza nelle immense stalle, falconi da caccia e uccelli rari nelle uccelliere, decine di cani grandi o minuscoli, trattati ben più riccamente
di qualsiasi popolano.
Ecco come Francesco Prisciano, nel suo Governo della corte di un signore di Roma, descrive, appunto, la corte «né troppo grande né
troppo piccola» di un cardinale o principe romano: centosette persone che costano seimilacinquecentosettantanove scudi3 all’anno e
baiocchi4 tredici. C’erano trentasei gentiluomini, quattro cappellani,
un mastro di stalla con dieci famigli5, un cuoco e uno scalco6, quattro letterati di diverse facoltà, il medico e poi decine di servi di ogni
rango, compreso un acquaiolo7 e… un solo scopino8. E qui siamo al
tasto dolente di tanta ricchezza; già, perché i fastosi palazzi erano,
sotto gli ori, le sete e i broccati, molto sporchi. I lenzuoli erano cambiati molto raramente e rattoppati, i materassi di paglia, coperti da
una rozza tela inchiodata alle sponde del letto, erano rosicchiati dai
topi, la stessa biancheria personale, oltre che assai scarsa, nascondeva il dubbio candore sotto i sontuosi vestiti, come le dame nascondevano il cattivo odore della poca pulizia sotto litri di forti profumi.
La cosa che sorprende di più, nel susseguirsi dei meravigliosi saloni,
Rosetta Zordan, Il quadrato magico, Fabbri Editori © 2004 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education
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9. monna: dama, si-
gnora.
10. “chisci, chisci”:
verso di richiamo per
polli e galline.
11. sporto: cornicione.
12. ermellino: pelliccia
pregiata.
13. pere moscadele:
pere moscate; particolare qualità di pere.
14. malvasia: uva dolce e aromatica da cui si
ricava l’omonimo vino.
15. pignocati: pignoccati, dolci fatti di farina
fritta in olio, pistacchi
e miele, in forma di pigna.
16. capi… rosa: coppe
di latte e zucchero, frittelle di fiori di sambuco
con zucchero e acqua
di rose.
17. supe: zuppe.
18. pastici in guazzeto: pasticci cioè pie-
tanze ricoperte di pasta
e cotte al forno con abbondante sugo (in guazzetto).
è poi la presenza di sgabuzzini, rari, piccoli e spogli, che servivano
da bagno: c’era soltanto, nel mezzo, una grande tinozza, magari d’argento e nascosta da una cortina (la velata) nella quale i signori facevano il bagno nelle grandi ricorrenze.
In compenso, il lusso degli abiti e dei gioielli è sorprendente. L’Archivio di Stato di Modena ci conserva, ad esempio, l’inventario dei
gioielli di Lucrezia Borgia, figlia di papa Alessandro: quattrocentotrentacinque pezzi, un turbinare di oro, di perle, di pietre preziose
disseminate su oggetti d’ogni genere, su cinture, colletti, ventagli,
scarpe, libri da messa, guarnizioni… Ma anche dame di minore importanza andavano pazze per i gioielli, come ci dimostra la curiosa
notizia riferita nella Cronica di Firenze di Donato Velluti: «Essendo
caduta dal cornicione una pietra in testa a monna9 Diana de’ Rossi,
la ghirlanda d’oro che aveva in testa attutì il colpo e la dama disse
solo: “chisci, chisci”10, perché credeva fosse becchime di polli caduto da uno sporto11».
E gli abiti? Il prezzo di ciascuno avrebbe potuto nutrire una famiglia popolana per un anno, come quello descritto da Cesare D’Arco
(Archivio Storico Italiano 1845) e che Lucrezia Borgia indossava per
le sue nozze nel febbraio 1502: «strisce d’oro e di raso, maniche larghe foderate d’ermellino12, mantello a ricami d’oro su fondo oro,
tutto foderato d’ermellino; rubini e diamanti al collo, cuffia d’oro,
diamanti e rubini in testa».
Ma come si svolgevano i banchetti di palazzo? Ce ne parla Marino
Sanudo, cronachista della Serenissima Repubblica Veneziana, il quale descrive il banchetto offerto dal cardinale Grimani agli ambasciatori della Serenissima (vi lasciamo interpretare il dialetto veneto e
qualche misteriosa vivanda rinascimentale).
Dopo la lavanda delle mani in bacili colmi di acqua di rose, pifferi,
trombe e tamburi annunciavano l’arrivo dei primi piatti: canditi di
zucca, cedri, limoni, pere moscadele13 e malvasia14.
Tamburi e arpe annunciavano: diciotto confettiere d’oro e d’argento con settantaquattro pignocati15 dorati e biscotelli.
Arpe e viole annunciavano: capi de late e zucaro, fritole di fior di
sambuco con zucaro e aqua rosa16.
Trombe squillanti annunciavano: diciotto piatti con supe17 de duca,
animelle e teste di capretto dorate, ciascuna recante la bandiera d’oro di S. Marco e le armi del cardinale.
Arpe, cembali e viole annunciavano: settantaquattro piatti di polli
alla castellana, e diciotto con arrosti minuti: dieci quaglie, sei pipioni, sei pollastri per piatto, con arance e ciliegie al sapore di salsa bastarda; pastici in guazzeto18.
Entravano poi i buffoni a rallegrare i convitati con danze, ed entravano diciotto piatti ciascuno dei quali conteneva due fagiani e un pavone col petto dorato e tutte le penne; accompagnati da minestra di
fior di ginestra.
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19. cembali: specie di
tamburelli a sonagli che
si suonano percuotendoli con le nocche o le
palme delle mani.
Buffoni spagnoli con cembali19 d’argento annunciavano cantando
l’arrosto grosso: vitelli, capretti e capponi. E poi, per abbreviare, altre decine di piatti con lessi, umidi, salumi, gelatine, torte dolci e salate, verdure, frutta dorata e argentata e infine i piatti dolci dell’inizio con aggiunta di confetti, semi di melone e frutta secca. I paggi
portavano in giro finalmente i bacili d’oro, dove i convitati ancora in
grado di farlo si lavavano le mani.
(da Maja delle streghe, B. Mondadori, Milano, rid. e adatt.)
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