crolli a pompei - Ari
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crolli a pompei - Ari
CROLLI A POMPEI L’A.R.I., Associazione Restauratori d’Italia, si associa a quanto espresso in modo chiaro e inequivocabile dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: "E' vero che c'è stato un cambiamento climatico ma non è possibile che per il fatto che piove un po' di più crolli una parte del patrimonio della nostra storia, come è successo a Pompei" Il crollo della Casa dei Gladiatori è stato un disastro vergognoso, che ha ulteriormente danneggiato la già compromessa immagine del nostro Paese all’estero. A rendere più grave l’accaduto è il fatto che la situazione di pericolo era ben nota, poiché l’edificio era considerato ad alto rischio fin dal 2006, quando fu classificato al grado terzo, in una scala a quattro livelli di gravità. Se solo il crollo fosse accaduto qualche ora più tardi, quando, dopo l’apertura degli scavi, i turisti invadono via dell’Abbondanza e stazionano sui marciapiedi, avremmo avuto una strage. E non è un caso isolato, siamo infatti già al terzo crollo in pochi mesi: prima il soffitto della Domus Aurea, poi l’intonaco del Colosseo, ed ora la "Schola Armaturarum Juventus Pompeiani" ridotta ad un cumulo di macerie. Tutti eventi disastrosi avvenuti proprio in quei siti, proprio su quei monumenti che erano stati commissariati dal Governo, con la motivazione di garantirne una più efficace protezione. A quanto invece ritengono ormai osservatori italiani e stranieri, la Protezione Civile ed i Commissariamenti hanno sottratto risorse al restauro e alla vera manutenzione, quella fatta da chi ha le competenze e la professionalità, per dirottarli, attraverso slogan e spot di dubbio gusto (si pensi alla gru che smonta a pezzi il Colosseo), verso operazioni di marketing ed eventi che nulla hanno a che fare con la tutela. E pensare che lo scopo del commissariamento, in principio, doveva essere proprio riscattare gli scavi di Pompei dall’abbandono e dall’incuria. In questi ultimi anni il depotenziamento degli organi ministeriali è andato di pari passo con l'istituzione di commissari straordinari di nomina politica, che hanno affidato consulenze, incarichi e appalti senza trasparenza, in base a meccanismi discrezionale ed a regimi derogatori. Pompei è un’intera città, antica di 2000 anni e con 66 ettari di estensione, che necessita di restauri e manutenzione costante da affidare a mani esperte. Avrebbe bisogno di molti restauratori, assiduamente occupati nel curare le preziose opere e prevenirne i danni. A fronte di un’impresa di tale impegno la Soprintendenza ha in organico solo tre restauratori, mentre i custodi sono oltre 500. Questi numeri già rendono la misura di quanto il restauro e la manutenzione siano lontane dalle priorità di chi opera le scelte politiche nel nostro Paese e quanto miopi logiche sindacali abbiano nuociuto alla soluzione dei reali problemi della cura del patrimonio archeologico nazionale. A Pompei, come in tutti gli altri siti archeologici italiani, negli ultimi decenni ci si è necessariamente affidati a ditte esterne per gli interventi di restauro e manutenzione, che con gli insufficienti fondi a disposizione si sono comunque in parte realizzati. Per questo l’A.R.I. ritiene che oggi sia importante, oltre ad un rafforzamento degli organici degli enti di tutela territoriale attraverso l’assunzione di restauratori, anche agire sui meccanismi di qualificazione dei professionisti e delle imprese che lavorano nel settore e che realizzano ormai la parte più consistente degli interventi, nonostante i ridotti investimenti. Come noto nel nostro Paese, il bilancio dello Stato riserva poco più dello 0,2 per cento delle risorse alla cultura, risorse che solo in minima parte vengono utilizzate per i restauri e la manutenzione del patrimonio artistico ed archeologico. In particolare a soffrire è proprio la manutenzione, vuoi perché non crea ritorno di immagine, vuoi perché richiede stanziamenti regolari e non fondi eccezionali. L’A.R.I. Associazione Restauratori Italiani è da anni che ribadisce la necessità di riportare la centralità dell’azione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali sulla conservazione, sulla prevenzione e sulla manutenzione, attraverso la valorizzazione delle professionalità coinvolte nella tutela, prima fra tutte quella del restauratore, e operando un’attenta selezione delle imprese che operano nel settore. La soprintendenza di Pompei gode di un regime di gestione finanziaria autonomo e può quindi utilizzare gli introiti dei biglietti (16 milioni nel 2009) anche per i restauri. Durante gli anni in cui è stato soprintendente Pietro Giovanni Guzzo, ovvero fino al 2009, sono stati realizzati numerosi interventi, agendo in base ad una graduatoria di rischio. Si è intervenuti su molte domus, procedendo al contempo nel restauro delle superfici di pregio e nel risanamento strutturale, sostituendo le coperture in cemento armato con leggeri tetti in legno e tegole di laterizio, simili a quelli antichi e canalizzando l’acqua piovana. Le tecniche di intervento per evitare crolli come quello che ha distrutto la casa dei Gladiatori, quindi esistono e sono ben collaudati, vanno solo utilizzati i fondi in modo giusto. Molti interventi, sia a Pompei che ad Ercolano, sono stati affidati secondo una strategia corretta ed efficace, nel rispetto delle competenze: per ogni domus da restaurare, gli interventi strutturali (categoria OG2) sono stati separati da quelli su mosaici, intonaci antichi e dipinti (categoria 0S2) e sono stati affidati a ditte distinte in base alla diversa specializzazione ed al diverso organico (OG2 con personale di operai e OS2 con personale di restauratori e direttore tecnico Restauratore di Beni Culturali). Per legge lo “scorporo” della categoria specialistica OS2 è obbligatorio poiché valorizza le professionalità e porta quindi a risultati di qualità. Va detto purtroppo che in molti altri siti non avviene questo. Spesso chi affida i lavori raggira la normativa, che di per se è già ambigua poiché rimette tutto al giudizio di chi redige il bando di gara, che spesso preferisce l'affidamento congiunto con un'unica impresa referente. Quindi, in molti casi, viene partorito un unico appalto ed il restauro dei dipinti o delle sculture contenute nell'edificio storico da restaurare finisce insieme alla realizzazione di tetti, tramezzi, solai, impianti elettrici, termici e sanitari. Le opere d'arte diventano quindi l'appendice di un grande appalto, che viene affidato ad un'impresa edile. In questi casi, i restauratori, se riescono a lavorare, lo fanno in coda ad una catena di subappaltatori, senza più nessuna garanzia sulla qualità del lavoro. L’A.R.I. ha più volte ribadito che i mega appalti, che affidano ad un unico imprenditore milioni di euro per interventi “chiavi in mano”, le Concessioni, le Società Municipalizzate, le gestioni Commissariali, non danno nessuna garanzia su chi poi andrà realmente a mettere le mani sulle nostre opere. Sui beni culturali serve invece continuità e certezza negli stanziamenti, anche se di importo contenuto, che permettano di programmare la manutenzione ordinaria, che è il vero tallone di Achille delle aree archeologiche. Gli elementi necessari per affrontare i problemi di conservazione del patrimonio archeologico sono molteplici: ci vogliono fondi, progetti mirati e ben ponderati frutto di equipe interdisciplinari di esperti, imprese ed operatori selezionati in modo attento attraverso leggi volte agli interessi della tutela e non a quelli del mondo imprenditoriale. C’è bisogno di stanziamenti sicuri e continui per programmare la manutenzione e per i restauri. Necessitano appalti trasparenti in un reale regime di libera concorrenza tra liberi professionisti e tra imprese qualificate che garantiscano un livello di qualità alto degli interventi. Solo così si potranno evitare altri crolli e recuperare la credibilità che l’Italia ha vantato nel settore della conservazione fino a tempi recentissimi, grazie ad istituti di formazione di eccellenza quali l’I.S.C.R. e l’O.P.D. Alla base del sistema di qualificazione delle imprese, come anche di quello delle procedure concorsuali per le assunzioni e per le riqualificazioni interne del Pubblico Impiego, c’è sempre la corretta qualificazione professionale del restauratore, senza la quale l’intera impalcatura normativa non ha fondamento e rischia di diventare un gigante dai piedi d’argilla. Per questo uno degli obiettivi che l’A.R.I. si pone è quello di ottenere una corretta ed adeguata qualificazione della categoria e la regolamentazione della formazione. E’ quindi fondamentale consolidare il processo di perfezionamento della normativa del settore, con la risoluzione della fase transitoria della legge sulla qualifica dei restauratori e la creazione dell’atteso elenco dei Restauratori di Beni Culturali da tenersi presso il Ministero per Beni e le Attività Culturali. In questo momento il MiBAC sta cercando di applicare la legge, ovvero il Codice dei Beni Culturali del 2004 di cui il decreto 53/2009 è un regolamento. Ma applicare la leggi in Italia è talvolta più difficile che approvarla. L’A.R.I. ritiene che, nell’interesse della tutela del nostro Patrimonio, è basilare che in tempi brevi sia istituito l’elenco ufficiale dei restauratori, ovvero di coloro che si occupano del restauro e della manutenzione delle nostre opere d’arte e delle nostre aree archeologiche. E una necessità di garanzia improcrastinabile che deve avvenire senza soggiacere ai piccoli e grandi poteri della politica, al mondo delle università e delle accademie, dei sindacati e dell'imprenditoria edile. ARI – Associazione Restauratori d’Italia