Così cambia l`impero del mondo

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Così cambia l`impero del mondo
Così cambia l'impero del mondo
Parte 2° - Noi, blairiti intelligenti
di Marco D'Eramo - www.ilmanifesto.it
(data di pubblicazione su www.attac.it 08 aprile 2002)
Blair è succube di Bush e degli Stati uniti? Niente affatto. E' che gli Usa stanno rimpiazzando
la Nato nell'intervento militare globale. E il mondo è più rassicurato se ad intervenire non
sono solo gli Usa, ma se li affiancano Gran Bretagna e Francia.
Intervista a David Goodhart, sostenitore di Blair e direttore della rivista «Prospects»
Progettata dall'onnipresente Norman Foster, la nuova cupola del British Museum si staglia
dalla finestra del minuscolo ufficio di Bloomsbury in cui mi riceve David Goodhart. Sotto la
quarantina, allampanato, Goodhart dirige il mensile Prospects, da lui fondato, «la rivista dei
blairiti intelligenti», l'ha definita Tariq Ali della New Left Review. I «blairiti» sono ovviamente
i seguaci del premier inglese Tony Blair, qui quegli intellettuali che «pensano» il New
Labour, sulla scia del loro mentore sociologo Anthony Giddens. L'adesione di Tony Blair
all'impero americano e alla sua politica militare è così sdraiata, che vale la pena interrogare
un «blairita intelligente» sulla ristrutturazione dell'impero nei suoi rapporti con i
sudditi/alleati, con i foederati, nei termini dell'impero romano. Anche se per lo più discutibili,
proprio per questo le affermazioni di Goodhart sono stimolanti, pur in negativo.
Blair aderisce in pieno alla politica americana, ma non è chiaro in che modo il
blairismo vede la posizione dell'America nel mondo.
Certo gli Usa sono l'unica superpotenza egemonica nel mondo. Quanto poi a sapere se sono
o meno un potere imperiale, è una questione semantica.
900 basi militari all'estero non sono semantiche. Nel suo libro «Blowback»,
Chalmers Johnson lo definisce un «impero informale» e fa un'osservazione acuta:
poiché l'impero Usa si è plasmato durante la guerra fredda, ha fatto proprie alcune
caratteristiche sovietiche, come quella di voler imporre integralmente il proprio
modello di società capitalista: persino il capitalismo giapponese sembra loro
troppo eterodosso.
No, non ci credo. Non penso che l'America stia cercando d'imporre il proprio capitalismo.
Quali sono le prove? Altri parti del mondo si sono avvicinate al capitalismo negli ultimi 15-20
anni, a cominciare dall'Inghilterra con Margaret Thatcher, sotto cui il nostro vecchio
capitalismo è diventato un po' più simile a quello americano. C'è una tendenza alla
liberalizzazione in Europa, ma non penso che sia ispirata dall'America o che benefici
particolarmente all'America. Se la liberalizzazione funziona, la nostra economia diventa più
efficiente e più competitiva rispetto a quella Usa. Certo, loro hanno un modo loro di fare le
cose, e una parte funziona bene, altre meno bene; la gente può prenderne alcuni elementi e
copiarli, può scartare altri. E' quello che facciamo tutti a ogni momento: se ci piace la mutua
tedesca, la copiamo, se non, la scartiamo. Ma non credo che siamo risucchiati in un singolo
modello.
Attraverso il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, gli Usa stanno
imponendo l'economia dei Chicago boys a tutto il mondo.
Ma i tedeschi sono molto più monetaristi degli americani. Gli Stati uniti sono keynesiani nel
gestire la propria economia, sono straordinariamente espansionisti in macroeconomia.
Questa è la grande differenza tra Europa e Stati uniti. Certo gli Usa hanno più di 900 basi
americane all'estero, ma 800 e passa stanno dove stanno perché le vogliono i paesi che le
ospitano.
Poteva magari essere vero prima degli attacchi dell'11 settembre 2001. Ma di
certo è falso dopo di allora. Gli Usa ne sono stati costretti (o ne hanno
approfittato) per ristrutturare ed espandere il proprio impero.
Quando fu eletto, Bush era un deciso unilateralista. Poi, dopo gli attacchi, per un mese
divenne multilateralista. Ma subito dopo è tornato al vecchio unilateralismo. Lo straordinario
è quanto poco l'11 settembre abbia cambiato la politica estera americana. Ma non devi
credere che sia per sempre, come fa la sinistra. Il fatto è che qualcuno ha ottenuto il potere,
per altro con la minoranza del voto popolare, ma tra due anni o tra sei qualcun altro può
riprenderlo. E l'America di Clinton era molto diversa, c'era molto più internazionalismo
liberal. L'America è un posto assai pluralista. Certo, talora l'America si comporta in modo
aggressivo, per esempio impone dazi tariffari sull'acciaio europeo. E non dovrebbe farlo. Ma
nella sinistra europea c'è una confusione. Perché una volta dice che dovremmo fare causa
comune con i liberal americani per sconfiggere insieme la destra americana, che sarebbe il
vero nemico; e un'altra volta afferma invece che è l'America è il vero nemico, perché i valori
europei e i valori americani sono così diversi, sono civiltà differenti che vanno equilibrate. In
Gran Bretagna in particolare - un po' meno nell'Europa continentale - noi condividiamo
molto con i liberal americani. Il nostro Cancelliere dello Scacchiere, Gordon Brown, è un
discepolo di Larry Summers (ex ministro del tesoro Usa al tempo di Clinton, oggi rettore di
Harvard, ndr). Il nostro modello è «lascia funzionare il mercato», certo non quanto in
America ma più che nell'Europa continentale. L'Europa sociale ha un'impostazione diversa
sullo stato sociale (anche se Berlusconi si sta avvicinando all'anglosassone): è non lasciare
mano libera al mercato, ma controllare il mercato alla fonte, nelle imprese, rendendole
socialmente più responsabili per lo stato sociale, mentre il welfare inglese è basato tutto
sullo stato, non sulle imprese, e si fonda solo sulle tasse. Ogni modello ha vantaggi e
svantaggi. Il nostro crea più posti di lavoro perché impone meno oneri sulle imprese, ma è
un po' più rude, meno sicuro, anche facilita l'integrazione degli immigrati, delle donne: per
costoro in Europa continentale proprio la sicurezza del posto costituisce una barriera
all'assunzione.
In questa situazione non sarebbe più logico per la Gran Bretagna aderire al Nafta
(il trattato di libero commercio nordamericano che lega Usa, Canada e Messico),
piuttosto che all'Unione Europea?
Per niente. Noi facciamo un sacco di commercio con l'Europa. Il punto che voglio
sottolineare è che non c'è un modello europeo, ci stanno un sacco di distinti modelli europei.
Guarda alle differenze tra Finlandia e Grecia, o tra Gran Bretagna e Austria: sono più grandi
che le differenze tra l'Europa presa come un yutto, e gli Stati uniti. Io non so cosa sono i
«valori europei», al di fuori dei valori «occidentali»: stato di diritto, diritti individuali,
democrazia, mercato, proprietà privata, forse cristianesimo (anche se in Gran Bretagna
siamo la società più laica d'Europa). Ma sono valori condivisi anche da altri paesi come il
Giappone. Perciò non penso che l'America stia cercando d'imporre - che ne so - all'Austria il
suo modello. Possiamo coesistere con un sacco di modelli diversi.
Ma gli Usa impongono al mondo quando è giusto attaccare un paese con le armi e
quando no.
Clinton ha attaccato i Balcani e Bush attacca l'Afghanistan. Ma ambedue hanno avuto
l'appoggio dei liberal perché sono i liberal che vogliono intervenire per garantire i diritti
umani in Kossovo o a Kabul e migliorare quelle società (e, sicuro, imporre certi standard
occidentali): non sono mica i conservatori. Ma c'è una buona divisione del lavoro tra
America e Europa. Per i traumi vissuti nel XX secolo, l'Europa è diventata una parte
demilitarizzata del mondo, abbiamo perso il nostro spirito marziale (con la parziale
eccezione di Gran Bretagna e Francia). Così è logico che siano gli americani a combattere anche perché non amano implicare altri nelle loro operazioni - mentre noi europei
esercitiamo il potere morbido, andiamo sul terreno dopo la battaglia, diamo i soldi,
ricostruiamo i paesi. Noi diamo più soldi per lo sviluppo. Ma se tieni conto della quantità di
immigrati che gli Stati uniti attirano, 30 milioni negli ultimi 20 anni, e delle rimesse che
costoro inviano nei propri paesi, ecco il vero contributo degli Stati uniti allo sviluppo. Un
altro è il loro massiccio deficit commerciale, che puoi vedere ancora una volta come un aiuto
alle industrie del resto del mondo.
Però gli Usa chiedono all'Europa di spendere di più nella Difesa.
Sì , ma secondo me, in alcune situazioni l'America ci terrebbe ad avere a combattere al
proprio fianco un paio di paesi, come Gran Bretagna e possibilmente Francia. Rispetto a quel
che scriveva Johnson, è vero che il blocco Usa più un paio di attori maggiori come Gran
Bretagna e Francia, sta rimpiazzando la Nato come struttura d'intervento globale. Il mondo
sarebbe molto più ansioso con la sola America a intervenire, e quindi è ancora più sicuro
avere Gran Bretagna e Francia al proprio lato, in una situazione un po' più bilanciata.
Per il momento mi pare che ci sia solo la Gran Bretagna, la Francia no. D'altronde
in tutti questi mesi era impressionante vedere quanto critici fossero i giornali
inglesi, persino quelli popolari, sulla guerra in Afghanistan, e quanto invece Blair
sia «sdraiato» su Bush.
Abbiamo un dibattito assai intenso sulla politica estera, sul sostegno o meno all'America.
Persino dentro il governo c'è una divisione profonda che è diventata ormai pubblica. Vi sono
ministri che criticano apertamente il trattamento dei prigionieri a Guantanamo o che sono
contrari a un intervento in Iraq: e 130 deputati laburisti hanno firmato un documento
contrario a un attacco contro Baghdad. La loro tesi è che puoi vincere la guerra ma perdere
la pace. Naturalmente per Blair non ha senso adottare quest'atteggiamento: se vuole
mantenere la sua qualche - anche se non grande - influenza a Washington, deve poter
presentarsi come l'alleato indefettibile.
Come mai in Gran Bretagna le voci contrarie all'intervento in Iraq sono così forti,
mentre per esempio in Italia non c'è resistenza neanche nell'opposizione di
sinistra dell'Ulivo?
Perché non è chiaro a nessuno perché dobbiamo intervenire, e perché adesso. Nessuno ama
l'Iraq, ma non ci è stata data nessuna buona ragione per invadere l'Iraq adesso. Sembra
troppo conveniente per ragioni interne agli Stati uniti, perché a ottobre ci sono le elezioni,
perché Bin Laden non è stato trovato e perché "dopo l'Afghanistan cosa?». C'è un eccessivo
peso della lobby filo-israeliana di destra che sta spostando il mirino dell'amministrazione su
Iraq e, forse, Iran, perché l'Iraq è un pericolo per Israele. Se però hanno l'appoggio del loro
popolo e l'acquiescenza del resto del mondo, possono anche invadere l'Iraq, solo che non ci
hanno spiegato perché.