il punto - Centro Studi Calamandrei

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il punto - Centro Studi Calamandrei
IL PUNTO
Le notizie di LiberaUscita
Gennaio 2014 - n° 115
SOMMARIO
ARTICOLI
3015 - Sul dialogo tra credenti e non credenti - di Graziella Sturaro
3016 - Italia: eutanasia fai da te
3017 - Il diritto al cognome della madre
3018 - La teologia di Francesco non è quella di Scalfari - di Paolo Bonetti
3919 - Unioni civili a Roma: forzatura giuridica - di Angelo Zema
3920 - Quel tempo intermedio oltre la vita - di Corrado Augias
3921 - Unioni civili e temi etici: si può fare subito – di Eugenio Mazzarella
3922 - Per il superamento del concordato in Italia - di Sergio Lariccia
3923 - Dalla fecondazione in vitro al matrimonio gay - di Paolo Bonetti
3924 - La legge 40 davanti alla Consulta - di Nicola Luci
DALL’INTERNO
3925 - Roma: lettera associazioni Coscioni e LiberaUscita al sindaco Marino
3926 - Reggio Emilia: le giornate della laicità
3927 - Guiglia: attivato il registro dei biotestamenti
DALL’ESTERO
3928 - Belgio: malato terminale cancro saluta amici con grande festa
3929 - Cina: anche i cinesi favorevoli all’eutanasia – di Wang Hongyi
3930 - New Messico: tribunale riconosce il diritto di morire con dignità
3931 - Germania: il 70% dei tedeschi è favorevole all’eutanasia
3932 - Gran Bretagna: aiutò i genitori a morire, non sarà processata
3933 - Francia: eutanasia. Decide il giudice o il medico?
PER SORRIDERE…
3934 - Le vignette di Staino – i centouno di Bersani
3935 - Le vignette di ElleKappa – Berlusconi al Nazareno
3936 - Le vignette di ElleKappa - la sera stessa sapremo chi ha vinto
LiberaUscita – associazione nazionale laica e apartitica per il diritto di morire con dignità
Tel: 366.4539907 – Fax: 06.5126950 – email: [email protected] – web: www.liberauscita.it
3015 - SUL DIALOGO TRA CREDENTI E NON CREDENTI - DI GRAZIELLA STURARO
A proposito di laicità, se dovessi fare un elenco dei libri più significativi del 2013, segnalerei
sicuramente al primo posto il singolare “Dialogo tra credenti e non credenti” di Papa
Francesco ed Eugenio Scalfari e non solo in virtù del fatto che è stato presentato
pubblicamente anche a Torino nel mese di novembre scorso grazie ad una tavola rotonda
tenuta al Circolo della Stampa su iniziativa del professore e saggista di storia contemporanea
Franco Quaglieni, noto fondatore del “Centro Pannunzio”, ma anche perché tale evento è
stato salutato dal Presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, Mario Berardi, come
momento storico per la città nell’ambito del dibattito tra laici e cattolici sottolineandone
l’attualità e la matrice cristiana da rintracciare nel pensiero del cardinale Carlo Maria Martini
ossia colui che, alcuni anni fa, aveva aperto uno spiraglio quasi profetico sulla questione.
Mentre, per quanto riguarda lo storico giornalista di “Repubblica”, si è ricordato il suo enorme
interesse relativo al dialogo tra fede e ragione e al rapporto tra cristianesimo e illuminismo.
Al dibattito hanno partecipato anche l’avvocato e giornalista Bruno Segre, Presidente onorario
dell’Associazione Nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno”, e il presbitero cattolico
diocesano Don Ermis Segatti, docente di Storia del Cristianesimo, grazie ai quali è stato
possibile avere l’apporto di due voci opposte sull’argomento: quella dell’intellettuale ateo
dichiarato e quella del teologo.
Da una parte la distinzione semantica tra terminologie apparentemente uguali come
laico/laicista e laicismo, l’importanza fondamentale del significato di ragione con il doveroso
supporto della scienza e la consapevolezza della mancanza di elementi di incontro con la
Chiesa cattolico-romana nel momento in cui si difende a spada tratta la libertà di scelta o la
disponibilità della vita rifiutandone la concezione di sacralità.
Dall’altra, una diversa visione del mondo e della vita e l’inevitabile riferimento al pensiero di
Norberto Bobbio quando parlò del passaggio dalla “civiltà dell’obbligo” o dei doveri alla “civiltà
della libertà” dei diritti politici e sociali, al suo sapere impegnato a seminare dubbi più che
consensi.
Ma è proprio nel dubbio e nel porsi domande che si annida la concezione dell’esistenza di
diverse verità e Papa Bergoglio ha saputo dimostrare la sua fiducia nell’animo umano, nel
valore della coscienza e nel suo riconoscimento anche quando il percorso non viene
illuminato dalla fede.
Lo stesso Ezio Mauro, nell’introduzione al volume, sottolinea la presenza di una “croce
innalzata non come insegna dell’autorità e della superiorità di chi possiede il Vero, ma come
gesto d’amore di chi sa piuttosto essere abbracciato dalle verità, e intende donarle agli altri:
ma intende anche riconoscere la verità negli altri…”.
Di qui ci si chiede fin dove arriverà la novità di Papa Francesco e come cambierà il confronto
tra il credente e il non credente senza dimenticare quella parte di credenti che preferiscono
dare delle risposte attraverso una linea kantiana o quella parte di non credenti che
riconoscono la figura storica di Gesù con la sua portata rivoluzionaria o ancora quella parte di
cristiani attenti alla bioetica che rappresentano “la terza via protestante”, una morale che si
distacca dai dogmi cattolici ma prende in considerazione, sebbene con riserva, il principio di
autodeterminazione dell’essere umano e il rispetto per le scelte in fase di fine vita.
Alcuni mesi fa un giornalista di grande calibro poneva delle domande ben precise al sommo
pontefice mettendo in discussione quelli che possono essere considerati elementi cardine del
cattolicesimo partendo dagli aspetti formali e contenutistici dell’enciclica Lumen Fidei,
aggiungendo una parola a favore del popolo ebraico sul Dio di Abramo per giungere alla
concezione di “peccato” e “perdono cristiano”, alla tentazione della teocrazia con la
convinzione che avviare un dialogo del genere sarebbe stato utile a tutti coloro che sono
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animati dal desiderio di conoscenza e dalla volontà di collaborazione per il bene comune
indipendentemente dalle proprie scelte confessionali o non.
D’altro canto Papa Francesco ha espresso notevole fiducia in una Chiesa che dovrà
cambiare in quanto la stessa deve sentirsi responsabile sia delle anime ma anche dei
problemi sociali ed è per questo motivo che sono molto importanti la conoscenza, l’ascolto e
l’ampiezza di vedute. La coscienza è autonoma e ciascuno deve obbedire alla propria.
Ciascuno ha una propria idea del Bene e del Male e deve vivere inseguendo il primo e
combattendo il secondo.
La corte viene definita la “lebbra del papato” mentre la Curia mantiene ancora una visione
Vaticano-centrica trascurando i problemi del mondo.
Ma essere anticlericali non vuol dire per forza essere non credenti e l’esigenza della Chiesa è
quella di un ritorno alle origini.
Una Chiesa povera che si prenda cura degli altri e non di se stessa, che non si occuperà di
politica perché le istituzioni politiche sono laiche per definizione e operano in sfere
indipendenti. Una Chiesa che non si lascerà dominare dal temporalismo.
Ma qual è la differenza tra credenti e non credenti? E’ la domanda che il teologo Vito
Mancuso nel primo contributo dell’antologia inserita nella seconda parte della pubblicazione si
pone citando le celebri parole di Bobbio il quale affermava che “La vera differenza non è tra
chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa” elogiando la lezione di laicità e il
dialogo coraggioso senza riserve mentali tra questi due giganti.
Per Umberto Veronesi il dibattito è ben lontano da essere una semplice questione intellettuale
mentre l’intesa tra credenti e non si può fondare non tanto sulla fede ma quanto sui diritti
umani.
Sussistono ancora gli scontri su tematiche come i matrimoni gay, le unioni civili, la
fecondazione assistita, la contraccezione e l’aborto, il testamento biologico e l’eutanasia ed è
su questo terreno che si può parlare di etica laica la quale, in realtà, non vuole sostituirsi a
quella cristiana ma cerca nella coscienza umana una risposta.
Hans Kung fa notare, invece, come il Vescovo di Roma nella sua opera riformatrice dovrà
affrontare tematiche che attendono soluzioni da secoli.
Infatti, al di là della decisione di riformare lo Ior e lo Stato pontificio con una politica di
trasparenza in campo finanziario, si ritroverà inevitabilmente a prendere decisioni
estremamente difficili poiché, costretto dalla “modernità”, dovrà affrontare il confronto su altre
problematiche come quella dei divorziati esclusi dai sacramenti della Chiesa a causa del
principio di “indissolubilità del matrimonio”, quella di milioni di donne messe al bando a causa
di scelte spesso dovute a violenza e sfruttamento, quella di decine di migliaia di sacerdoti
costretti a rinunciare al sacerdozio per aver contratto matrimonio contrariamente all’obbligo
sul celibato nonché arginare il conflitto teologico sul sacerdozio femminile.
E come sostiene Gustavo Zagrebelsky “il terreno per operare insieme, per fare un cammino
insieme, è aperto” ma il Papa parla di “tratto di cammino” e ci si chiede dove terminerà e chi
deciderà la fine di questo percorso comune.
Ma non solo. Da parte mia aggiungerei anche un altro quesito.
Quali saranno gli elementi sui quali non si riuscirà a trovare un accordo indipendentemente
dal discorso sul trascendente, dalle contraddizioni bibliche o filosofiche tra illuminismo di
matrice francese anticlericale e quello tedesco che ha comportato la ricerca di un’etica al di
fuori dei principi dettati dai sistemi confessionali?
E concludendo con le parole di Kant sul fascino dell’universo che ci circonda “Il cielo stellato
sopra di me e la legge morale dentro di me”, una cosa è certa. In ogni caso siamo arrivati ad
una “fase di non ritorno” ma anche di buon auspicio per gli anni a venire.
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3016 - ITALIA: EUTANASIA FAI DA TE
da: Aduc salute n° 1-2014
Uccidere per amore e per disperazione.
Lo ha fatto di recente a Milano un ex gioielliere in pensione che ha sparato alla moglie malata
nella clinica dove era ricoverata, suicidandosi con la stessa pistola subito dopo. L'uomo era
da tempo molto prostrato per le gravi condizioni della moglie, a cui era molto legato. Ma non è
certo il primo caso di eutanasia "fai da te" registrata dalle cronache e neppure la prima volta
che ciò accade in una struttura protetta.
Nel maggio 2010 teatro di un incontenibile sconforto è stata la casa di riposo Villa Serena di
Ravenna: da oltre un anno, da quando era rimasto paralizzato a causa di un ictus, Giovanni
Ielo riusciva solo a piangere; una condizione che il padre Francesco, un 85 enne con la
passione della caccia, non riusciva ad accettare, ha ucciso il figlio con un colpo di pistola al
volto e poi si é sparato alla tempia.
Motivi analoghi hanno spinto nel dicembre del 2007 una donna di 60 anni di Rivoli (Torino) a
uccidere con una coltellata alla gola la figlia di 41 anni ricoverata nell'ospedale cittadino per
gravi problemi psichici. La mamma, disperata, ha spiegato che non ce la faceva più a
sopportare la grave malattia della figlia.
Altre volte a dare la morte in ambienti destinati a salvare la vita, non sono estremi gesti
d'amore ma raptus di follia. Il primo dicembre 2007 un uomo é entrato in ospedale a Prato,
armato di pistola, e ha sparato alla moglie uccidendola.
Tragedia analoga nell'ospedale San Camillo di Roma nella primavera del 2006. Il figlio aveva
tentato il suicidio ed era ricoverato da cinque giorni in rianimazione in gravi condizioni. La
madre lo ha ucciso con due coltellate alla gola e al torace, nel letto d'ospedale, stanca di
vederlo soffrire.
A Milano nel 2003 nel reparto di pediatrica di un ospedale una neonata di tre mesi è morta
strangolata e poi affogata in un water dalla propria madre, una peruviana di 29 anni.
Drammi familiari che non risparmiano i vip. Nel 2010 è finita in manette una star della Bbc. Il
presentatore Ray Gosling in diretta Tv ha confessato di aver ucciso anni prima il proprio
partner malato terminale di Aids soffocandolo con un cuscino in un letto d'ospedale. Con
l'amato aveva stretto un patto - ha raccontato agli inquirenti: se la sofferenza di quest'ultimo
fosse diventata intollerabile lui avrebbe messo fine alla sua vita.
Commento: senza contare coloro che si sono tolti la vita in modo disumano. Gli ultimi casi
eclatanti sono stati i registi Mario Monicelli e Carlo Lizzani. Il primo, ormai minato da un
cancro alla prostata in fase terminale, la sera del 29 novembre 2010 si è gettato dal quinto
piano del reparto di urologia dell'Ospedale San Giovanni a Roma, dove era ricoverato, il
secondo si è suicidato il 5 ottobre 2013 gettandosi dal terzo piano della sua casa romana in
Via dei Gracchi, da cui ormai usciva soltanto per cicli di ricoveri ospedalieri. E senza contare
coloro che si son dovuti recare all’estero in quanto in Italia è proibito dalla legge aiutare una
persona a non soffrire più: i casi eclatanti più recenti sono stati quelli di Lucio Magri - il quale,
depresso per la scomparsa della moglie, nel novembre 2011 ha posto fine ai suoi giorni in
una clinica svizzera - e dell’ex procuratore generale di Catanzaro, Pietro D’Amico, anch’esso
afflitto da grave depressione.(G. Sestini)
3017 - IL DIRITTO AL COGNOME DELLA MADRE
da: Aduc avvertenze n° 2/2014
L'attribuzione ai figli del cognome paterno, basata esclusivamente sull'identità sessuale del
padre, è "incompatibile con il principio di non-discriminazione". Per questo motivo la Corte
europea dei diritti dell'uomo invita l'Italia a provvedere a colmare la lacuna legislativa - per
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rimediare alla violazione riscontrata -, aprendo alla possibilità che ai figli possa essere dato il
cognome materno, se i genitori decidono in tal senso.
E' questo l'epilogo del caso che da anni vede la famiglia Fazzo-Cusan battersi contro
l'ordinamento italiano. I coniugi hanno avuto una figlia nel 1999 e di comune accordo hanno
chiesto che venisse registrata con il cognome della madre, Cusan. Richiesta rifiutata all'atto
della registrazione all'anagrafe e poi a più riprese nei diversi gradi di giudizio, nonostante
diverse aperture registrate dalla Cassazione. A fine 2012, è stata autorizzata l'aggiunta del
cognome materno a quello del padre, ma non la sostituzione.
Per Strasburgo è discriminatorio non prevedere deroghe alla legge: Italia colmi vulnus
legislativo Il caso è sbarcato a Strasburgo nel 2006 e oggi arriva a conclusione (salvo ricorso,
il giudizio della Camera sarà esecutivo fra tre mesi). Secondo i giudici europei, la regola per
cui i figli legittimi assumono il cognome paterno alla nascita è deducibile da numerosi articoli
del Codice civile italiano, che tra l'altro non prevede eccezioni. Nel caso specifico sottolineano - "la scelta del cognome della figlia è stata determinata esclusivamente sulla
base del sesso del genitore, sebbene la legge preveda che il cognome dato sia quello del
padre, senza eccezione e non rispettando la scelta degli sposi. La stessa Corte
Costituzionale italiana ha riconosciuto che il sistema in vigore ha le sue radici in una
concezione patriarcale della famiglia che non è compatibile con il principio costituzionale di
uguaglianza tra uomo e donna. E' possibile - continuano i giudici di Strasburgo - che la legge
dell'attribuzione del cognome paterno sia necessaria nella pratica, e non necessariamente
incompatibile con la Convenzione, ma l'impossibilita' di derogare ad essa sarebbe
eccessivamente rigido e discriminatorio verso le donne".
Per questo si configura - a giudizio della Corte - una violazione degli articoli 8 e 14 della
Convenzione stessa, a cui va posto rimedio per via legislativa.
3018 - LA TEOLOGIA DI FRANCESCO NON È QUELLA DI SCALFARI - DI P. BONETTI
da: criticaliberale.it di lunedì 6 gennaio 2014
Nella progressiva transizione di Eugenio Scalfari dalla filosofia alla teologia (non ancora alla
fede), è comparso su Repubblica un lungo articolo del suo fondatore in cui si sostiene, sin dal
titolo, che la “rivoluzione di Francesco ha abolito il peccato”. Colpito da una affermazione così
perentoria, ho subito cercato, nel corpo dell’articolo stesso, le citazioni precise di affermazioni
papali in grado di confermare una tesi così sconvolgente. Ma francamente non ne ho trovata
neppure una.
Scalfari parte da una giusta distinzione fra la legge mosaica e la predicazione di Cristo che
inserisce in essa il tema dell’amore, ma si dimentica di aggiungere che Gesù, pur
trasvalutando la legge mosaica non la rinnega, ma la inserisce nella sua predicazione.
Quindi, non solo questo ultimo papa non è un sovvertitore dell’antica legge, ma non lo è stato
neppure Cristo e giustamente si continua a parlare di tradizione giudaico-cristiana. L’amore e
la misericordia di Cristo toccano soltanto coloro che si pentono dei loro peccati e si sforzano
di non peccare più.
Egli, tanto per fare un esempio che tutti conoscono, non dice all’adultera, dopo averla salvata
dalla lapidazione dei moralisti ipocriti, va e continua a vivere come prima, ma l’ammonisce
gravemente a non ricadere più nel peccato commesso. Nella predicazione cristiana il peccato
è ben presente e la potenza del male tenta di sedurre lo stesso Cristo, che deve combattere
contro tutte le seduzioni di questo mondo.
I grandi filosofi cristiani da Agostino a Pascal a Kierkegaard sono vissuti nel tormento del
peccato che continuamente li assediava e li poteva condurli alla perdizione. Il cristianesimo,
anche se la Chiesa cattolica, ha cercato di attenuarne la durezza per non perdere gran parte
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dei propri fedeli, ha una concezione tragica della vita e della storia che non può essere ridotta
a un banale umanitarismo.
D’altra parte, se il Dio cristiano è un Dio di perdono e di misericordia, vuol dire che il peccato
esiste, è una realtà presente nella vita di ogni uomo, altrimenti non si capirebbe che cosa
significa perdonare. Come può un papa, per quanto rivoluzionario, abolire il peccato senza
distruggere il fondamento della religione di cui è il massimo esponente? L’incarnazione
stessa sarebbe vana, la sofferenza di Cristo del tutto inutile, se potesse bastare qualche
semplice esortazione umanitaria a impedire quel male di cui anche Scalfari ammette
l’esistenza, pur ritenendolo dialetticamente congiunto al bene e da esso non separabile.
Il cristianesimo ha subito, nel corso dei secoli, un sempre più accentuato processo di
secolarizzazione, ma il giorno in cui scomparisse da esso la dottrina del peccato, del
cristianesimo non resterebbe più nulla. Un’etica completamente laicizzata, il peccato
trasformato in semplice colpa redimibile con la buona volontà umana e senza l’intervento
della grazia, è una forma di pelagianesimo (la dottrina fortemente avversata da Agostino, da
Calvino e da Pascal) e non può che essere per il cristianesimo l’inizio della fine.
E’ pur vero che l’attuale papa appartiene alla compagnia di Gesù, l’ordine religioso che ha
cercato di rendere più flessibile (il termine è adoperato dallo stesso Scalfari) la terribile
dottrina agostiniana della grazia, e papa Francesco dimostra, con alcune sue affermazioni,
tutta la sapienza pedagogica che gli viene dalla congregazione di cui è membro; ma non
esageriamo e non trasformiamolo in un antropologo affascinato dal relativismo culturale.
Scalfari sostiene che “Francesco abolisce il peccato servendosi di due strumenti:
identificando il Dio cristiano rivelato da Cristo con l’amore, la misericordia e il perdono. E poi
attribuendo alla persona umana piena libertà di coscienza”.
Ma non occorreva l’arrivo di Bergoglio al soglio pontificio, per giungere a tanto. Da sempre la
Chiesa parla di un Dio di amore e di misericordia (anche se i comportamenti della stessa
Chiesa sono stati spesso assai poco misericordiosi) e da sempre sottolinea la libertà
dell’uomo di scegliere fra il bene e il male. Non confondiamo la teologia cattolica con quella
calvinista. Ma sempre la stessa Chiesa ha ritenuto che non basta la buona volontà degli
uomini per condurli alla salvezza; occorre anche che essi siano toccati e soccorsi dalla grazia
divina e anche Bergoglio non fa eccezione a questa tesi. Il che significa che il perdono di Dio
è sempre per il credente qualcosa di problematico e di incerto, perché il peccato lo insidia fin
dal momento del suo concepimento e le sue buone opere non valgono mai a cancellare del
tutto questa insidia.
Il cristiano, diceva Croce, è sempre pavidus, vive sempre nell’ansia di non riuscire a
correggere la propria naturale imperfezione morale. E del resto lo stesso Kant, educato dalla
madre nella severa tradizione del pietismo cristiano, non parlava forse del “male radicale”,
della tendenza, connaturata in ciascun uomo, a violare la legge morale? E’ possibile, dunque,
che papa Francesco sia meno cristiano di Kant e arrivi ad abolire ogni nozione di peccato,
entrando trionfalmente nella schiera dei filosofi neo-illuministi o addirittura scientisti?
Per quanto gesuiticamente propenso a rendere accettabile a tutti la dottrina cristiana, non mi
pare proprio che da ciò che dice e che scrive si possa arrivare alla tesi che farebbe di lui il più
grande eresiarca nella storia bimillenaria della fede cristiana.
Commento. Indubbiamente papa Francesco sta dimostrando grandi aperture sul piano della
comprensione, dell’onestà, della pietà, della modestia, della sincerità. Ma come si comporterà
quando dovrà inevitabilmente pronunciarsi su temi estremamente difficili come il fine vita, la
procreazione assistita, i matrimoni omosessuali, l’obiezione di coscienza, etc? Sinora ha
lasciato parlare i suoi subalterni, e non in senso laico. Come abbiamo più volte detto, se son
rose fioriranno. Qualche dubbio l’abbiamo (Giampietro Sestini).…
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3919 - UNIONI CIVILI A ROMA: FORZATURA GIURIDICA - DI ANGELO ZEMA
Editoriale da Romasette di domenica 19 gennaio 2014
Il dado è tratto, in Campidoglio. La «battaglia» è quella sulle unioni civili. Nelle commissioni
capitoline è stata approvata una delibera per il loro riconoscimento e per l’istituzione di un
registro ad hoc. Preludio all’approdo nell’Assemblea capitolina. La proposta intende tutelare e
sostenere le unioni civili equiparandole alla famiglia fondata sul matrimonio per gli ambiti di
competenza comunale. Un elenco che va dalla casa all’occupazione, passando per sanità e
servizi sociali, scuola e altro ancora. Con il riconoscimento ai soggetti iscritti nel registro di
agevolazioni e benefici che spettano oggi ai coniugati.
Il pretesto, diremmo noi, è evitare ogni forma di discriminazione. Pretesto, sì, perché non può
sfuggire agli occhi di amministratori che dovrebbero avere a cuore il bene comune l’assurdità
di tale ragionamento. La vera discriminazione consisterebbe nel trattare in modo uguale
situazioni differenti, come sono le unioni civili e il matrimonio: nel secondo, infatti, due
soggetti assumono precisi diritti e doveri di fronte alla legge, con rilevanza negoziale pubblica.
Non si può barare con le parole. Così, finisce per rivelarsi grottesco parlare della delibera
come di «atto concreto per la lotta a ogni forma di disuguaglianza». Con il varo della delibera,
a essere discriminate sarebbero le famiglie. Distinguere non è discriminare ma rispettare:
questo dovrebbe essere chiaro. A meno che non si voglia immaginare di fornire assist a
normative nazionali - ancora inesistenti - o di preparare qualche coup de théâtre nella città del
Papa, cuore della cristianità.
Allora si può tutto. Perfino scrivere che «un consolidato rapporto coinvolge interessi meritevoli
di tutela, al pari di ciò che accade per l’istituto del matrimonio», salvo contraddirsi
riconoscendo l’iscrizione al registro delle unioni civili «senza previa richiesta di tempi minimi di
coabitazione», e ancora concedere i locali del Campidoglio adibiti alle celebrazioni dei
matrimoni civili per uno «pseudo-matrimonio» che suggelli l’iscrizione al registro, alla
presenza di un delegato del sindaco. Un tocco hollywoodiano, una concessione alla
scenografia per un’idea priva di sostanza, se si considera non solo l’inutilità giuridica di tale
strumento ma anche il flop dei registri delle unioni civili in sei Municipi romani (meno di 50
coppie iscritte in 8 anni, come dimostrato da un’inchiesta di Avvenire). Insomma, la delibera è
una forzatura giuridica, frutto di miopia politica. Di una politica che non sa guardare lontano,
che vola basso e resta al palo dibattendosi tra le emergenze irrisolte della città.
Commento. Abbiamo scritto, in occasione delle “aperture” di Papa Francesco, “se son rose
fioriranno”. A parte le innegabili dimostrazioni di carità e umiltà cristiana offerte dal papa sin
dal giorno della sua elezione, resta il fatto che sul piano della distinzione dei compiti fra Stato
e Chiesa nulla è cambiato. Il “peccato” è sempre sinonimo di “reato”. La presa di posizione di
Romasette con l’editoriale soprariportato di Angelo Zema condiviso da “Avvenire”, non è una
opinione qualsiasi, ma rappresenta la posizione della Chiesa, E non si venga a dire che papa
Francesco la pensa in modo diverso: se così fosse, attendiamo e speriamo che lo dica.
Purtroppo, dopo questo primo segnale negativo, altri ne seguiranno. Vedremo, fra non molto,
come si pronuncerà la Chiesa sulla richiesta che l’associazione Luca Coscioni e LiberaUscita
presenteranno pubblicamente al sindaco Marino di istituire, anche a Roma, il registro dei
testamenti biologici. (Giampietro Sestini)
3920 - QUEL TEMPO INTERMEDIO OLTRE LA VITA - DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di sabato 18 gennaio 2014
Caro Augias, Ariel Sharon è morto dopo otto anni inerte in un letto (già quasi una bara). Alla
morte cerebrale, seguita all'ictus del 2006, ha fatto seguito il resto del corpo. Il caso riapre
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una serie di riflessioni sullo stato vegetativo irreversibile nonostante le attenzioni dei familiari
e gli interventi dei medici.
E' vita il coma senza ritorno? Un morto che respira, grazie al respiratore artificiale, è quasi un
cadavere vivente. Definire vita quella di un povero corpo trafitto da aghi e sponde? Oggi la
tecnologia medica è arrivata a un punto che la cosiddetta morte non esiste più. Un tempo
intermedio fra la vita e la morte ove si protrae solo la vita organica di un essere umano; una
vita ridotta a "quantità" più che a "qualità". La vita biologica è vita, dicono con enfasi
dogmatica i teomoralisti. Ma oggi la paura della morte si affianca alla paura d'una vita che la
tecnica è capace di prolungare quasi a tempo indeterminato.
Non è "etica minima" credere nella libertà delle persone, ritenersi padroni di sé non significa
fare della soggettività un egoismo ma rispettare se stessi e gli altri perché la libertà di
scegliere la propria fine non arreca danno ad altri, non intacca diritti altrui ma si avvale del
proprio diritto di scegliere e decidere.
Bruno LaPiccirella - [email protected]
Risponde Corrado Augias
Si parla molto, anche se spesso inutilmente, di qualità della vita. Non si parla abbastanza di
qualità della morte un po' perché l'argomento è terrificante, un po' per vecchie superstizioni e
dogmi diventati con l'attuale tecnologia crudeli.
Come ricorda il nostro lettore - e come ricorda spesso il professor Veronesi - la tecnologia
clinica è in grado di tenere in "vita" un corpo semimorto per un tempo quasi indeterminato. In
una parte della lettera, che ho dovuto tagliare, il signor LaPiccirella scrive: Socrate poteva
scegliere tra bere la cicuta o l'esilio. Bevve la cicuta; fu autodeterminazione.
Dalla conferenza stampa tenuta da Hollande martedì scorso molti, a partire dai telegiornali
italiani, hanno preso solo i (pochi) riferimenti alla piccante storia di letto. Ma il presidente
francese ha fatto annunci molto importanti, anche sul tema di cui parliamo oggi. Senza mai
pronunciare la parola "eutanasia" ha precisato come intende mantenere una sua promessa
elettorale: una legge che "in un quadro severo" permetta a soggetti maggiorenni, malati di
malattia incurabile che provochi sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, di chiedere la
fine d'ogni terapia. In poche parole: "il diritto di chiudere la propria vita nella dignità".
Così dovrebbero agire i responsabili di governo liberi da vincoli, preoccupati solo di alleviare il
più possibile quel passo estremo verso il nulla.
3921 - UNIONI CIVILI E TEMI ETICI: SI PUÒ FARE SUBITO – DI EUGENIO MAZZARELLA
da: l’Unità di domenica 26 gennaio 2014
I temi etici, «eticamente sensibili », come si dice, hanno un disgraziato destino nel nostro
Paese. E non perché non abbiano una base sociale "matura" ben più ampia degli
schieramenti partitici. Anzi sono probabilmente gli unici temi che godono, nel Paese reale, di
"larghe intese" naturali, per soluzioni affidate al buon senso, a un diffuso sentire comune che
si è da tempo lasciato alle spalle trincee ideologiche, incapaci di vedere nuovi valori e nuove
sensibilità nelle relazioni sociali; o più propriamente il necessario aggiornamento di quel
perenne valore che è la solidarietà umana verso ciò che prova e sente il proprio simile. Anche
perché sono tra i pochi temi che una politica decente potrebbe affrontare anche in tempi di
stringenti vincoli economici, non esigendo significative coperture di spesa, o non esigendone
affatto, come invece altri indifferibili temi legislativi in materia economica o di struttura sociale.
E invece hanno un destino disgraziato, proprio per il loro alto valore simbolico, da decenni
usato dalla politica italiana a fini interni del quadro politico, e non come domande sociali cui
dar risposta in modo maturo e condiviso, come ormai, se si volesse, pur si potrebbe.
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La scorsa legislatura è stata esemplare in negativo in questo senso. Unioni civili, migranti,
«fine vita» sono stati bandierine di posizionamento politico ed elettorale tra schieramenti; e
nello stesso schieramento, e magari partito, tra questa e quella componente o fazione, per
ragioni che niente avevano a che fare con la materia a contendere. Una legislatura su questo
terreno potentemente di malafede. Persino sul «fine vita», le dichiarazioni anticipate di
trattamento, dove una cornice valoriale condivisa si andava profilando, hanno avuto la meglio
le pseudo ragioni della peggiore politica di "posizionamento".
Sarebbe davvero una novità se in questo inizio (o fine?) di legislatura i temi etici non fossero
usati alla stessa maniera strumentale, per ottenere non una loro soluzione, ma una soluzione
per altre questioni che con essi hanno poco a che fare. Ed è qualcosa, che, se si volesse, si
potrebbe fare, allargando persino nelle soluzioni legislative la maggioranza di governo.
Il problema è appunto volerlo.
Comincio dal «fine vita». Basterebbe riprendere la soluzione che aveva trovato il consenso
più largo in aula nella scorsa legislatura, affidando al dialogo al letto del malato tra familiari,
fiduciario e medici, l'interpretazione rispettosa - e non una semplice esecuzione testamentaria
- delle sue volontà espresse, per trovare una soluzione politicamente sostenibile e
socialmente condivisa.
Sulle unioni civili basterebbe riconoscere il diritto a una piena tutela giuridica delle coppie
omosessuali, senza "stressare" questa sacrosanta esigenza di diritti civili nella pretesa di
un'omologazione ideologica all'istituto del matrimonio, per poterne venire a capo senza
collidere con ragionevoli riserve a questa equiparazione che non sono solo di ispirazione
religiosa.
Chi scrive, ha potuto argomentare in questo senso già diverso tempo fa sull'Osservatore
Romano; e chi segua l'aggiornamento in atto su questa materia nelle posizioni della Chiesa
sa bene che non può usarle per far benedire la volontà (sua) di "non negoziare". I tempi dei
teocon e dei teodem sono fortunatamente finiti.
Sui migranti e sullo ius soli, già passi avanti si erano fatti nella scorsa legislatura, e
basterebbe riprenderli con il «cuore aperto», e non le frontiere semplicisticamente aperte, cui
ci sollecita Papa Francesco, per trovare soluzioni moralmente, socialmente e politicamente
sostenibili, su cui richiamare l'Europa alla sua corresponsabilità.
Insomma, se si vuole, si può fare.
Se poi non si vuol fare, o si vuol dimostrare che non si può fare con questa legislatura, allora
tanto vale non bruciare queste bandiere di civiltà nel falò delle vanità della politica. Non userò
l'espressione «gli italiani non capirebbero». Sarebbe la moralità della politica a non capire.
Per chi ovviamente è a essa interessato.
Commento. Scrive Maurizio Mori, Presidente della Consulta di Bioetica, su l’Unità del 30
gennaio: “Oggi, con molta sorpresa, apprendo che Mazzarella ritiene che il ddl Calabrò
proposto nel marzo 2009 offra una soluzione ‘socialmente condivisa’. Dimentica però che fu
presentato in fretta e furia dal governo Berlusconi per contrastare il caso Englaro, e che i
medici giudicarono quel testo del tutto inadeguato e inaccettabile (a dir poco)”.
No, caro Mazzarella, con questo Governo delle ‘larghe intese’, soggetto ai ricatti ‘cattolicisti’
sia al proprio interno che dall’opposizione, non sono possibili effettivi passi avanti sulle unioni
civili e sui temi etici (fecondazione assistita, fine vita, cellule staminali e embrionali, laicità del
Comitato nazionale di Bioetica, etc). Anzi, bisogna evitare di parlarne, in attesa che una
nuova legge elettorale consenta alle forze laiche di poter governare il Paese, senza ‘intese’
con chi identifica il ‘reato’ con il ‘peccato’ o confonde i precetti della Chiesa con le leggi dello
Stato.(Giampietro Sestini)
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3922 - PER IL SUPERAMENTO DEL CONCORDATO IN ITALIA - DI SERGIO LARICCIA (*)
da: www.adistaonline di lunedì 27 gennaio 2014
La filosofia concordataria esprime una logica di privilegio: per questa ragione coloro che
coerentemente sostengono una posizione anticoncordataria ritengono opportuno continuare a
impegnarsi per realizzare, anche nel nostro Paese, una società civile e politica priva di
concordati.
Una valutazione delle scelte politiche con le quali si è stipulato il Concordato l’11 febbraio
1929, lo si è richiamato nella Costituzione del 1948 e lo si è revisionato (melius: restaurato) il
18 febbraio 1984, consente di verificare quali conseguenze negative siano da esse derivate.
In proposito hanno esercitato un’azione di notevole importanza l’Assemblea Costituente, il
Parlamento (e i partiti politici), il governo, la pubblica amministrazione, la Corte
Costituzionale, la magistratura.
Con riferimento all'attività dell'Assemblea Costituente, è necessario considerare il voto sull'art.
7, 2° comma Cost. (I rapporti tra Stato e Chiesa cattolica «sono regolati dai Patti
lateranensi»), una disposizione – atipica e rinforzata – che continua a esercitare una pesante
eredità sull'evoluzione democratica della società italiana. La mancanza di un preciso indirizzo
politico riguardante il tema specifico dei rapporti tra Stato e confessioni religiose, se ha
ostacolato l’approvazione di riforme costituzionali riguardanti tali rapporti, non ha però
impedito che la legislazione italiana venisse profondamente mutata proprio nei settori nei
quali le relazioni tra società civile e società religiosa sono più intense: la scuola, l’assistenza,
il diritto familiare, il controllo delle nascite, i principi di libertà dei singoli e dei gruppi. Le
riforme legislative entrate in vigore con riferimento a tali aspetti della questione religiosa
inducono a valutare le relazioni tra società civile e società religiosa in una prospettiva capace
di porre in rilievo i vari aspetti legati alla dinamica sociale del fenomeno religioso, come la vita
familiare, i problemi sessuali, il controllo delle nascite, l’emancipazione femminile, il sistema
scolastico e le questioni dell’educazione, i diritti civili, i poteri e i diritti della persona, gli
orientamenti delle forze politiche sul tema della disciplina dei rapporti tra Stato e confessioni
religiose e, più in generale, sul problema religioso.
Dal 1984 esiste un nuovo Concordato, rispetto a quello del 1929, perché i rappresentanti
dello Stato (dopo la Costituzione) e della Chiesa cattolica (dopo il Concilio Vaticano II) non
hanno condiviso la tesi di chi da anni sostiene l'esigenza del superamento del regime
concordatario, ritenendo che quest'ultimo provochi un danno sia agli interessi della
confessione cattolica (la quale non dovrebbe affidare la soluzione dei propri problemi
all’ausilio del braccio secolare ma alla coscienza dei cattolici) sia quelli dello Stato (il potere
politico, rimanendo in vigore il Concordato, è indotto a contare sull'appoggio della Chiesa,
alterando il ritmo naturale della dinamica sociale).
È stato riformato il Concordato ma non il Trattato lateranense, mentre in quest'ultimo sono
contenute disposizioni per le quali, nel periodo che ha preceduto l'approvazione dell'accordo
di revisione, sono sorte molte difficoltà di interpretazione: ricordo in particolare l'art. 11 del
Trattato, che prevede l'esenzione degli enti centrali della Chiesa cattolica da ogni
«ingerenza» da parte dello Stato italiano, a proposito del quale è stato discusso il problema
della posizione giuridica dell’Istituto per le Opere Religiose (Ior) nel diritto italiano.
È stata sottolineata la configurazione dell'accordo di revisione come un patto «di libertà e di
cooperazione», ma le garanzie di libertà sono già contenute nella Costituzione repubblicana e
a tal fine il Concordato (vecchio e nuovo) è del tutto superfluo.
Ritengo ora necessaria l’approvazione di una riforma costituzionale.
Premesso che, a mio avviso, ogni riforma costituzionale potrà realizzarsi soltanto nel rigoroso
rispetto delle procedure richieste dall’art. 138 Cost., concludo auspicando l’entrata in vigore di
10
una legge di revisione costituzionale che, tenendo conto dell’esperienza, talora drammatica,
di sessantacinque anni di vita democratica, si traduca nell’approvazione dei seguenti quattro
passaggi:
- nell’art. 1 della Costituzione, dopo le parole «L’Italia è una Repubblica», viene aggiunta
l’espressione «laica e»;
- l’art. 7 della Costituzione è abrogato;
- nel secondo comma dell’art. 8 sono soppresse le parole «diverse dalla cattolica» e all’art. 8
vengono aggiunti i due commi seguenti: «La regolamentazione dei rapporti fra lo Stato e le
singole confessioni religiose non deve in ogni caso ledere la libertà religiosa, l’eguaglianza e
la pari dignità delle diverse confessioni, nonché i diritti costituzionali garantiti a tutti i cittadini».
E poi: «Le attività ecclesiastiche, in quanto afferenti a interessi diversi da quelli propriamente
spirituali, sono disciplinate dal diritto comune»;
- nell’art. 19 viene aggiunto il seguente primo comma: «La Repubblica garantisce la libertà di
coscienza».
(*) Professore emerito di Diritto amministrativo presso l’Università di Roma, “La Sapienza”.
3923 - DALLA FECONDAZIONE IN VITRO AL MATRIMONIO GAY - DI PAOLO BONETTI
da: critica liberale.it di lunedì 27 gennaio 2014
Nell’ultimo numero di “Bioetica” (n.2-3, settembre 2013), trimestrale della laica Consulta di
Bioetica (da non confondere con il Comitato Nazionale di Bioetica, organismo governativo a
prevalente partecipazione cattolica), il direttore Maurizio Mori ha scritto un editoriale in cui
ricorda la figura di Bob Edwards, lo scienziato scomparso nella primavera dello scorso anno e
che, assieme all’ostetrico Patrick Steptoe, sviluppò la biotecnologia della fecondazione in vitro
con successivo trasferimento in utero dell’embrione che consentì la nascita, il 25 luglio del
1978, di Louise Brown, il primo essere umano nato con la fecondazione assistita. Dopo
Louise, felicemente vivente e a sua volta mamma, molti altri bambini sono nati con la stessa
tecnica da coppie altrimenti sterili.
Ma la procreazione in vitro, come Mori efficacemente sottolinea, non è riservata
esclusivamente a quegli uomini e a quelle donne che hanno problemi di fertilità e, tuttavia,
vogliono esaudire un legittimo desiderio di paternità e di maternità. La nuova tecnica
procreativa infrange per sempre un modello di famiglia fondato esclusivamente sulla “natura”
e le sue presunte leggi morali oltre che biologiche, per rendere possibili, invece, nuove forme
di famiglia che si affiancano a quella tradizionale e in cui la procreazione si separa
dall’esercizio della sessualità, ma non da quello dell’affettività, che può assumere perfino un
carattere di maggiore intensità, poiché nasce dalla piena consapevolezza dell’atto che si
compie, delle sue conseguenze e delle sue responsabilità.
Si comprendono, così, il rifiuto e la condanna con cui venne accolta, in ambiente cattolico ma
non soltanto, la nascita di Louise: quella creatura, che era anch’essa la conseguenza di un
atto d’amore, venne considerata da molti teologi e uomini di cultura come il frutto avvelenato
e perverso di una violazione, da parte della scienza, della presunta sacralità della natura e
delle sue leggi. Dal loro punto di vista, quei conservatori non avevano torto: essi sentivano,
più o meno oscuramente, che un’epoca si stava chiudendo e una nuova morale, legata alla
concretezza dell’esperienza e alla conoscenza dei processi naturali e della possibilità di
modificarli mediante le nuove tecnologie, stava nascendo e si sarebbe ogni giorno di più
affermata, nonostante le molteplici e accanite opposizioni. Lo stesso Edwards dovette
attendere ben 32 anni per ottenere il riconoscimento di un meritatissimo premio Nobel per la
medicina che gli venne conferito soltanto nel 2010.
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In Italia poi, ancora nel 2004, venne approvata una legge sulla procreazione assistita, la
famigerata legge n.40, che la rendeva sostanzialmente impraticabile e che è tuttora in vigore
nonostante sia stata quasi integralmente demolita da diverse sentenze della Corte
costituzionale. Giustamente Mori osserva che la nuova tecnica vede di anno in anno crescere
il numero delle persone che ad essa fanno ricorso e c’è allora da chiedersi se, col tempo,
essa “diventerà qualcosa di analogo all’elettricità, che in pochi decenni ha sostituito le
lampade ad olio e le candele, o l’automobile che ha rimpiazzato il cavallo. Può darsi che in un
futuro non troppo lontano la riproduzione naturale sarà pratica di nicchia e residuale, proprio
come oggi lo è la cena a lume di candela o un viaggio in carrozza o in calesse”.
In questo cambiamento che non ha nulla di innaturale, perché niente c’è di più naturale
dell’intelligenza umana e della sua capacità di risolvere problemi altrimenti irrisolvibili, l’Italia
giungerà, molto probabilmente, buona ultima. Nel nostro paese, quando si discute di
matrimonio fra persone dello stesso sesso, si tira fuori, inevitabilmente, il vecchio argomento
della “naturale” e insuperabile sterilità di una coppia omosessuale.
Ma questa sterilità può facilmente essere vinta, quando si ha della famiglia una concezione
non legata alla semplice anatomia dei due coniugi. E’ curioso notare come i difensori ufficiali
della centralità dell’amore nella formazione della famiglia, lo riducano poi alla sua dimensione
più elementare, quella anatomico-fisiologica.
Intanto, mentre da noi si cerca faticosamente di riuscire finalmente a far approvare dal
Parlamento una legge sulle unioni civili che garantisca almeno alcuni diritti alle coppie
omosessuali, negli Stati Uniti – ci ricorda Maurizio Mori – la Corte Suprema il 26 giugno 2013
ha dichiarato incostituzionale parte del DOMA, il Defense Of Marriage Act ossia la legge
federale approvata nel 1996 che impediva il riconoscimento automatico del matrimonio
omosessuale celebrato in Stati in cui era permesso in altri in cui è vietato.
In Italia, perfino parlare di unioni civili è pericoloso, perché Alfano (hai detto un Prospero!) non
vuole e si rischia così di far cadere il governo Letta che sta facendo così bene nella soluzione
dei problemi economici e non ha tempo da perdere con la fisima capricciosa dei diritti civili.
Ma intanto, mentre nel pollaio di casa nostra continuano le risse fra capponi travestiti da galli
(chiedo scusa per un paragone che può sembrare, ma non è, biecamente maschilista), nel
vasto mondo la grande rivoluzione biomedica degli ultimi decenni cambia inesorabilmente i
nostri parametri morali e ci costringe a rifiutare tanti vecchi luoghi comuni.
La politica italiana procede a passo di lumaca.
3924 - LA LEGGE 40 DAVANTI ALLA CONSULTA - DI NICOLA LUCI
da: l’Unità di martedì 28 gennaio 2014
E siamo a diciannove. La legge 40 non ha vita facile. Specie sulle norme che disciplinano la
fecondazione assistita. Dal 2044 a oggi è stata oggetto di diverse sentenze e pronunciamenti:
diciannove in tutto, appunto. Ieri, I'ultima.
Il giudice Filomena Albano del Tribunale di Roma ha sollevato dubbio di legittimità
costituzionale sul divieto all'accesso alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita per
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le coppie fertili. La vicenda riguarda una coppia (fertile) portatrice di distrofia muscolare di
Beckerche, che si è rivolta ad una struttura pubblica autorizzata ad eseguire tecniche di
fecondazione assistita ma ha ricevuto il diniego all'accesso perché la legge 40 prevede il via
libera solo alle coppie infertili.
Per i legali "la decisione del Tribunale di Roma evidenzia il contrasto della legge 40 con la
Carta Costituzionale, che garantisce a tutti i cittadini garanzie e tutele quali il diritto alla salute,
all'autodeterminazione, al principio di uguaglianza che sono irrimediabilmente lesi dalla legge
4O". Il diritto della coppia ad "avere un figlio sano” e il diritto di autodeterminazione nelle
scelte procreative sono "inviolabili" e “costituzionalmente tutelati" scrive la prima sezione
civile del tribunale di Roma. "Il diritto alla procreazione sarebbe irrimediabilmente leso dalla
limitazione del ricorso alle tecniche di procreazione assistita da parte di coppie che, pur non
sterili o infertili, rischiano però concretamente di procreare figli affetti da gravi malattie, a
causa di patologie geneticamente trasmissibili, di cui sono portatori – si legge nell'ordinanza Il limite rappresenta un'ingerenza indebita nella vita di coppia".
E per tutto questo che, secondo il giudice Filomena Albano - che ha firmato I'ordinanza limitare il ricorso alla procreazione assistita ai soli casi di infertilità appare in contrasto con
I'articolo 2 della Costituzione, che tutela i diritti inviolabili. Il possibile conflitto della legge 40 è
anche con il principio costituzionale di uguaglianza, vista la "discriminazione" delle coppie
fertili portatrici di malattia geneticamente trasmissibile, rispetto a quelle sterili. E c'è anche un
problema di lesione del principio della “ragionevolezza”, nel senso di "coerenza" del nostro
ordinamento, visto che la legge 194 permette, nel caso in cui il feto risulti affetto da gravi
patologie, I'aborto terapeutico, che “ha conseguenze ben più gravi per la salute fisica e
psichica della donna rispetto alla selezione dell'embrione successiva alla diagnosi
preimpianto”.
Ipotizzabile anche il contrasto con I'articolo 32 della Costituzione, “sotto il profilo della tutela
della salute della donna, costretta per realizzare il suo desiderio di mettere al mondo un figlio,
non affetto da patologia, a una gravidanza naturale e a un eventuale aborto terapeutico, con
conseguente aumento dei rischi per la sua salute fisica”.
Infine per Tribunale di Roma la questione di costituzionalità si può porre anche in relazione al
contrasto tra la legge e gli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14
(divieto di discriminazione) della Carta europea dei diritti dell'uomo. Tra I'altro proprio su
questo punto la UE ci aveva già sanzionato.
L'accesso per le coppie fertili alla procreazione assistita e alla diagnosi preimpianto, anche se
portatrici di malattie trasmissibili geneticamente, è “l'ultimo divieto, che arriva ora all'esame
della Consulta, ancora contenuto nella legge 40 sulla procreazione assistita" dice Filomena
Gallo, legale, insieme ad Angelo Calandrini, della coppia che ha promosso il ricorso al
tribunale di Roma.
Se la decisione della Consulta “dovesse essere favorevole - rileva Gallo - la legge 40 sarà
stata definitivamente cancellata”. “È la prima volta che la legge 40 - rileva Gallo, segretario
dell’Associazione Luca Coscioni - finisce davanti alla Corte Costituzionale affinché sia
cancellato il divieto di accesso alle coppie fertili". Ora, commenta, “confidiamo nei giudici della
Corte, visto che il Parlamento è incapace di legiferare nel rispetto dei diritti di tutti i cittadini”.
Quanto ai tempi, "speriamo che i tempi tecnici ci facciano rientrare nell'udienza dell'8 aprile".
In passato, spiega Gallo, “avevamo avuto già due decisioni sul divieto all'accesso alle
tecniche di fecondazione medicalmente assistita per le coppie fertili: quella del tribunale di
Salerno del 9 gennaio 2010 e quella della Corte Europea dei diritti dell'uomo del 28 agosto
2012 che ha condannato I'Italia".
13
3925 - ROMA: LETTERA ASS.NI COSCIONI E LIBERAUSCITA AL SINDACO MARINO
Si riporta qui sotto la notizia pubblicata dalla Agenzia Informazione Sanità (AIS) sulla lettera
congiunta inviata dalle Associazioni Coscioni e LiberaUscita al sindaco di Roma, Ignazio
Marino, per l’istituzione del registro comunale per i testamenti biologici, già attivato in due
Municipi romani (ex X ed ex XI). Da: http://www.ais-sanita.it/organizzazione-e-gestionesanitaria/15863-testamento-biologico-welby-ass-coscioni-e-cattinari-libera-uscita-scrivono-asindaco-roma-per-istituzione-registro.html
(AIS) Roma, 21 gen. 2014 - Mina Welby e Maria Laura Cattinari, rispettivamente copresidente dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica e presidente
dell’Associazione Libera Uscita hanno inviato una lettera al sindaco di Roma Ignazio Marino,
al Presidente del Consiglio comunale di Roma, Mirko Coratti, e a tutti i consiglieri comunali
capitolini con oggetto: istituzione del registro dei testamenti biologici. Richiamando lo statuto
comunale che “prevede la calendarizzazione entro sei mesi dal deposito” delle delibere di
iniziativa popolare, Welby e Cattinari esortano l’assemblea romana a portare in discussione
quanto prima una Proposta di Delibera, firmata in solo due mesi da ben 8200 cittadini romani,
riguardante l'istituzione di un Registro per le Disposizioni Anticipate dei Trattamenti sanitari
(DAT) depositata al Comune di Roma circa cinque anni fa, il 24 aprile 2009.
Scrivono nella missiva:
“Riteniamo doveroso onorare la volontà di 8.200 cittadini romani, lamentando che il
precedente Sindaco non aveva mantenuto la sua promessa di chiamare a colloquio il
comitato promotore. Riponiamo fiducia nelle dichiarazioni del Presidente del Consiglio
Comunale, Mirko Coratti, che prima della Sua elezione disse: “Qualora venissi eletto
Presidente dell’aula farò rispettare alla lettera lo Statuto e il Regolamento. In questa fase
storica la partecipazione popolare e il confronto con i cittadini permettono di dare
un’immagine positiva della politica e dell’amministrazione””.
3926 - REGGIO EMILIA: LE GIORNATE DELLA LAICITÀ
Si riporta qui sotto il comunicato dell’associazione “Iniziativa laica” di Reggio Emilia.
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Giovedì 9 gennaio è stato presentato il ciclo di quattro incontri con gli studenti che avranno
luogo nei mesi di gennaio febbraio e marzo 2014: una sorta di “prologo” della Quinta
edizione “Giornate della laicità”, programmata quest’anno nei giorni 11, 12 e 13 aprile.
Il ciclo d’incontri - reso possibile dal contributo della Provincia di Reggio Emilia, della Regione
Emilia Romagna e degli altri partner delle Giornate Coopselios, Ccfs Fondazione Reggio
Tricolore, Boorea - sarà incentrato sui seguenti valori della nostra Costituzione: Educazione
alla Cittadinanza Consapevole e Bene Comune,
Democrazia e Cittadinanza attiva,
Laicità e Pluralismo,
Autodeterminazione e Dignità della Persona.
I docenti coinvolti nel progetto, già relatori alle varie edizioni delle Giornate della laicità, sono
di ottimo livello: dalla filosofa Roberta De Monticelli, alla docente di Diritto Costituzionale
Marilisa D’Amico; dal magistrato Gherardo Colombo, alla docente di Filosofia del Diritto
Patrizia Borsellino.
Gli Istituti scolastici reggiani che ospiteranno gli incontri saranno il Liceo Scientifico “Aldo
Moro”, il Liceo Artistico “Gaetano Chierici”, l’Istituto Superiore “Antonio Zanelli”, il Liceo
Magistrale “Matilde di Canossa”.
Le ragioni del progetto derivano dall’amara constatazione che la nostra Carta Costituzionale “tra le più belle del mondo”, un documento unico scritto settant’anni fa ma profondamente
ricco e attuale - è in buona parte non attuata (“Incompiuta” diceva Pietro Calamandrei già nel
1950) e che nonostante la perdurante disattenzione della politica nei confronti dell’istruzione
pubblica, è ampiamente condiviso l’assunto che l’insegnamento della cittadinanza attiva
dovrebbe essere uno dei primi compiti della scuola pubblica. E da questo punto di vista la
Costituzione, l’insieme delle leggi fondamentali del nostro Paese, che si regge sulla
consapevolezza e il consenso critico dei suoi cittadini, è uno strumento principe
d’insegnamento.
Si tratta quindi di aiutare studentesse e studenti a comprendere che la realizzazione di una
società più giusta e più libera, capace cioè di assicurare loro un futuro, dipende proprio dalla
completa attuazione del programma sociale, culturale, politico ed economico che i padri
costituenti ci hanno indicato nella Carta.
La finalità del progetto mira a coinvolgere ragazze e ragazzi in un’ampia e libera discussione,
in un rapporto privilegiato con importanti studiosi, sui valori della Costituzione, frutto di
conquiste politiche, sociali, culturali e apporti ideali che in una storia plurisecolare sono venuti
plasmando la nostra vita collettiva. Sollecitandoli nello stesso tempo a divenire consapevoli
del ruolo di “cittadini attivi” che la stessa ci assegna.
Cittadini consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri. Che rifiutano l’indifferenza e la
passività di fronte ai tanti mali che minano alla base la nostra società e pesano
inesorabilmente sul futuro delle nuove generazioni. Cittadini con senso civico in grado, al
contrario, di assumere la responsabilità individuale delle proprie scelte, di pensare con la
propria testa, di conquistare l’indipendenza e l’autonomia morale.
3927 – GUIGLIA: ATTIVATO IL REGISTRO DEI BIOTESTAMENTI – DI BEATRICE CECI
da: Modena Qui di venerdì 31 gennaio 2014
Dal primo aprile comincerà ad essere esecutivo, nel comune di Guiglia (Modena), il registro
delle dichiarazioni anticipate relative ai trattamenti sanitari. E’ questo il dato più importante
emerso dal Consiglio comunale che si è tenuto mercoledì scorso nella cittadina collinare, che
ha, all’unanimità, approvato anche il regolamento. L’istituzione del registro, ha spiegato il
sindaco Monica Amici, è la diretta conseguenza della raccolta di firme operata nei mesi scorsi
15
dallìassociazione Libera Uscita Onlus, presente al Consiglio con alcuni rappresentanti tra i
quali la Presidente Maria Laura Cattinari (omissis)
3928 - BELGIO: MALATO TERMINALE CANCRO SALUTA AMICI CON GRANDE FESTA
da: Aduc avvertenze n. 3-2014 - 8 gennaio 2014emerso dal
Aveva 95 anni, un cancro terminale allo stomaco, ma anche tanta fede. Così Emiel Pauwels,
considerato l'atleta più vecchio del Belgio perché a marzo scorso era stato capace di
conquistare il titolo di campione d'Europa sui 60 metri indoor nella categoria veterani, ha
scelto la morte assistita. Oggi si è sottoposto all'iniezione letale nella sua casa di Bruges, con
il figlio Eddy al suo fianco. Ma ieri sera ha 'celebrato' l'evento brindando a champagne
assieme ad un centinaio di parenti e amici.
I media belgi, che oggi raccontano la cerimonia d'addio, riportano che Pauwels ieri spiegava
di "non aver alcun rimpianto a partire" e di "non avere assolutamente paura della morte". "Chi
non vorrebbe finire con dello champagne insieme a tutti i suoi? - ha detto Pauwels -. Quando
il dottore arriverà con la sua iniezione, lascerò il mondo con la sensazione di aver ben
vissuto. D'altra parte, perché dovrei piangere mentre vado in paradiso a ritrovare un sacco di
amici e parenti, tra cui mia moglie?".
La scelta di Pauwels ricorda quella del chimico belga Christian de Duve, premio Nobel per la
medicina nel 1974, che si è fatto eutanasizzare nel maggio scorso alla stessa età di 95 anni.
Ma totalmente diverso l'approccio: "Sarebbe troppo dire che la morte non mi spaventa, ma
non ho alcuna paura perché non credo alla vita dopo la morte", disse lo scienziato.
Commento. Come Pauwels, chi crede nella vita eterna non ha paura della morte. Perché
dunque la Chiesa è contraria al suicidio assistito di chi non vuole continuare a “vivere” tra le
sofferenze? Per di più, contro il messaggio del Cristo, fondato sulla “pietà” verso gli altri?(GS)
3929 - CINA: ANCHE I CINESI FAVOREVOLI ALL’EUTANASIA – DI WANG HONGYI
da: China Daily di martedì 31 dicembre 2013 – Traduzione per L.U. di Alberto Bonfiglioli
Un sondaggio recente ha indicato che due terzi dei cinesi hanno un atteggiamento aperto e
tollerante verso l’eutanasia, ampiamente discussa e comunque proibita nel paese.
Il sondaggio è stato realizzato dal Centro di ricerca sull’opinione pubblica dell’Università Jiao
Tong di Shanghai mediante interviste telefoniche assistite da computer. I risultati, pubblicati
la settimana scorsa, indicano che circa il 70% degli oltre 3.400 intervistati residenti in 34 città
accettano l’idea dell’eutanasia o comunque dichiarano di non averne obiezioni. Zhong Yang,
direttore del Centro di ricerca ha dichiarato "L’eutanasia é stata oggetto di un ampio dibattito
in tutto il mondo. In Cina l’atteggiamento della gente di fronte alla morte è cambiato molto nel
tempo e oggi la maggior parte spera in una morte indolore”.
Il tema della morte é stato per lungo tempo un tabù in Cina. Nella tradizione cinese la parola
“morte” si considera di malaugurio e si evita di pronunciarla, particolarmente in giorni come i
compleanni o di festa, soprattutto se sono presenti anziani. Nella maggior parte dei casi, la
gente non risparmia sforzi per ottenere i migliori trattamenti medici che mirano a mantenere in
vita, anche per breve tempo, le persone care che si trovano in stadi terminali. Negli ultimi
anni, una serie di casi di suicidio assistito giustificati con l’idea di evitare inutili sofferenze, ha
accesso in tutto il paese il dibattito sull’eutanasia, proibita nell’attuale ordinamento legale
cinese.
Nel 2011 un contadino settantenne, Zhong Yichun, della provincia di Jiangxi é stato
condannato a due anni di carcere per negligenza criminale per aver aiutato il suo amico,
Zeng Qingxiang, a suicidarsi. Zeng, sofferente di una malattia mentale, aveva pregato diverse
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volte l’amico Zhong di aiutarlo. Quest’ultimo, secondo la polizia, ha procurato a Zeng, una
overdose di sonnifero.
A maggio 2011 un lavoratore stagionale di 41 anni della provincia di Guangzhou, Deng
Mingjian, ha confessato di aver acquistato un pesticida per rispondere alla richiesta della
madre paralizzata di porre fine alla sua vita. Originalmente, Deng aveva dichiarato alla polizia
che sua madre era morta per cause naturali.
Mentre molta gente simpatizza con il principio dell’eutanasia, l’attuale ordinamento legale la
considera come omicidio criminale. “Quando la qualità della vita di una persona é peggiore
della morte, questa ha il diritto di decidere sulla propria fine. Solo la persona malata può
conoscere il proprio dolore e la sua volontà deve essere rispettata” ha affermato la trentenne
Wang Lin, che lavora attualmente a Shanghai, ricordando: "Mio nonno ha passato i suoi ultimi
giorni con un dolore estremo, ma noi familiari abbiamo fatto di tutto per tenerlo in vita. Sarà
stata una espressione di amore, ma non era quello che voleva mio nonno”.
Yu Hai, docente di sociologia all’Università Fudan di Shanghai, ha segnalato che l’eutanasia
é una questione complessa che include fattori etici, giuridici e medici e ha dichiarato al China
Daily: "anche se molta gente s’identifica con la possibilità di avere a disposizione l’eutanasia,
non si deve concludere per questo che si sia pronti ad applicarla nella realtà", sostenendo
che per il momento il paese non è preparato per la legalizzazione di tale pratica: "oggi è
troppo presto per praticare l’eutanasia nel paese. Sembra più fattibile esplorare altre strade
per far si che la gente possa morire con dignità con minimo dolore".
Attualmente, organi di governo e organizzazioni umanitarie si sono impegnati per offrire cure
palliative ai malati terminali.
Nel 2006 é stata lanciata nella capitale Beijing (Pechino, NDR) una campagna chiamata
“Scelta di Dignità” proponendo un approccio diverso alla morte onde permettere ai propri cari
di morire con dignità anziché mantenerli inutilmente in sofferenza. Il sito web della campagna
(in cinese) é stato già visitato da circa 1 milione di volte a ad agosto 2012, oltre 10.000
persone ha registrato il loro testamento biologico specificando le loro scelte di fronte alla
morte.
Nel 2012 a Shanghai sono state annunciate diverse iniziative per garantire a ospizi e a altre
strutture cure palliative per malati terminali di cancro. Altre città del paese quali Shenzhen,
Guangzhou e Tianjin stanno prendendo iniziative simili. A differenza dei trattamenti medici
tradizionali, le cure palliative mirano a dare sollievo al dolore piuttosto che tendere alla
guarigione della malattia. Si sta cercando così di offrire ai pazienti un trattamento completo
per gli ultimi mesi della loro vita. Strutture con personale altamente specializzato offrono ai
pazienti terminali assistenza medica, spirituale ed emozionale. Si prevede che i pazienti in
queste strutture vivranno non oltre i 90 giorni.
Chen Qi, infermiera al Shanghai Linfen Community Health Service Center, ha così definito il
loro lavoro: ”noi cerchiamo di dare il massimo sollievo possibile al dolore dei pazienti in modo
che possano trascorre con dignità l’ultimo periodo della loro vita”. Il Centro, creato nel 1995, é
uno dei primi ospedali del Paese che offre servizi da ospizio per malati terminali di cancro.
3930 - NEW MESSICO: TRIBUNALE RICONOSCE IL DIRITTO DI MORIRE CON DIGNITÀ
Si riporta qui sotto il comunicato emesso da Barbara Coombs Lee, Presidente di Compassion
and Choices, associazione USA per il diritto di morire con dignità, trasmessoci il 15 gennaio
dalla Federazione mondiale WFRtDS (traduzione per LiberaUscita di Alberto Bonfiglioli)
L’opzione di fine vita è stata recentemente riconosciuta da un tribunale del Nuovo Messico.
Anche se non si può escludere che si faccia un ricorso in appello, si tratta di una grande
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vittoria per il Nuovo Messico, che diventerebbe così il 5° Stato USA a garantire, entro certi
limiti, il diritto di morire con dignità.
Nel 2012 Compassion and Choices aveva sottoposto all’attenzione di ACLU-NM (1) il caso di
due medici coraggiosi, Aroop Mangalik e Katherine Morris, che volevano alleviare la
sofferenza di alcuni loro pazienti terminali. Il giudice Nan G.Nash ha toccato i punti più
significativi dichiarando: “Questo tribunale non riesce ad individuare
un diritto più
fondamentale, più privato o più integrato alla libertà, sicurezza e felicità del cittadino del
Nuovo Messico di quello di un paziente terminale capace d’intendere e di volere che vuole
essere aiutato a morire”.
La signora Aja Riggs, di 50 anni, residente a Santa Fe, dopo essere stata informata di avere
un cancro all’utero in stato avanzato, si è aggiunta alla nostra causa in quanto le leggi dello
Stato non le consentivano di decidere sulla fine della sua vita. Appresa la decisione del
tribunale, la signora Riggs ha dichiarato: “sapere che posso scegliere per la mia fine mi da un
grande conforto e pace di spirito”.
Voglio congratularmi con Aja Riggs, con i dottori Mangalik e Morris e con tutti quelli che si
sono impegnati nel portare avanti questo caso nel Nuovo Messico. Hanno fatto un lavoro
stellare. I nostri operatori sul campo, compresi i managers della campagna e delle
comunicazioni e oltre un centinaio di volontari che hanno lavorato con i legali, medici e l’intera
comunità oggi possono celebrare insieme a tutti noi. Questa nostra vittoria indica la strada
per continuare a progredire, Stato per Stato, verso la libertà di scelta finale.
(1) ACLU-NM: American Civil Liberties Union of New Mexico (http://www.aclu-nm.org/),
fondata nel 1962, è affiliata a American Civil Liberties Union, che dagli anni 1920 è
impegnata nella difesa e nel progresso dei diritti civili e delle libertà individuali. L’ACLU
fornisce avvocati e consulenza legale oppure agisce direttamente davanti ai
tribunali. Nell’insieme, le attività della ACLU hanno avuto notevole rilevanza nella difesa dei
diritti costituzionali dei cittadini degli Stati Uniti (ndt)
3931 – GERMANIA: IL 70% DEI TEDESCHI È FAVOREVOLE ALL’EUTANASIA
Da: Aduc salute del 16 gennaio 2014
La grande maggioranza dei tedeschi è favorevole all'eutanasia nel caso di malattia incurabili.
Lo rivela un sondaggio dell'Istituto Forsa secondo il quale il 70% dei tedeschi vorrebbe avere
la possibilità, in caso di malattia incurabile, di essere assistito medicalmente per il suicidio.
Solo il 22% è assolutamente contrario. L'eutanasia cosiddetta attiva, come ad esempio
l'assunzione di una dose mortale di un farmaco, è vietata in Germania, mentre non lo è il
suicidio assistito: quindi se si procura un veleno a un malato ma non glielo si somministra non
si è perseguibili penalmente. E' invece vietato l'intervento di un medico per il suicidio di un
paziente. Oggigiorno in Europa l'eutanasia attiva è consentita solo in Belgio, Olanda e
Lussemburgo. Il sondaggio, condotto su 1008 intervistati, registra inoltre un consenso molto
alto sulla necessità che il Parlamento legiferi sulla materia: fra i 14-29enni lo richiede l'86%,
riporta online lo Spiegel.
3932 - GRAN BRETAGNA: AIUTO' I GENITORI A MORIRE, NON SARA' PROCESSATA
da: Aduc salute del 16 gennaio 2014
Non sarà processata una donna britannica che ha aiutato i due genitori anziani e malati a
togliersi la vita. Georgina Roberts, 59 anni, ha comprato una medicina letale su internet e l'ha
somministrata al padre, l'82enne David Arnold, e alla moglie Elizabeth, 85. I due di Newbury,
Inghilterra centrale, avevano deciso di suicidarsi poiché lui era costretto a letto e a lei era
stata diagnostica una grave forma di demenza. Sebbene l'assistenza al suicidio sia un reato
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penale nel Regno, il medico legale del Crown Prosecution Service ha affermato che non è
nell'interesse delle autorità incriminare la figlia, poiché il suo gesto è "genuinamente motivato
dalla compassione" per i genitori. "Amavo i miei genitori - ha detto la donna - e volevo aiutarli
quando non potevano più aiutare se stessi". Era stato il padre nel luglio 2012 a chiedere alla
figlia di preparare la medicina letale che è stata somministrata ai due in una tazza da tè.
Georgina ha atteso in cucina che facesse effetto per poi andare a controllare il polso dei due
genitori che sono morti in camera da letto, l'uno vicino all'altra. I due coniugi avevano
comunicato la loro volontà di ricorrere a questo tipo di 'eutanasia' ad amici e parenti.
3933 - FRANCIA: EUTANASIA. DECIDE IL GIUDICE O IL MEDICO?
di François Béguin e Laetitia Clavreul, da Le Monde del 18.1.1.2014 – traduzione: Aduc
Abitualmente un giudice si esprime da solo sulle questioni di arbitrio-libertà. Ma “visto il
carattere inusuale” della questione sollevata, è stato un collegio di nove magistrati che ha
esaminato la vicenda Vincent Lambert al tribunale amministrativo di Châlons-en-Champagne.
Il fatto che un tribunale imponga ad un'équipe medica di sospendere la decisione di bloccare
un trattamento di un paziente, è una primizia. Mai, fino ad oggi, un tribunale si era
pronunciato su una questione di fine vita a questo livello. Sulla materia, a posteriori, solo delle
corti d'assiste si erano pronunciate.
Il seguito avrà quindi una sua importanza. Se il Consiglio di Stato sarà chiamato in appello
confermando la decisione del tribunale, si tratterà di una sentenza che farà giurisprudenza.
Se la procedura, invece, si fermerà, questa sentenza costituirà un precedente.
La vicenda solleva il problema dell'assenza di direttive anticipate perché la volontà del
paziente sia considerata in modo preciso, oltre che diverse questioni relative alla legge
Leonetti. Il deputato UMP, lui stesso, ha detto di prendere atto “con sorpresa” della decisione
del tribunale, rilevando che la stessa “rischia di rendere fragile l'attuale legge”.
Medici o giudici, a chi la parola finale?
E' la funzione stessa del medico che sembra rimessa in discussione, con il tribunale che
sentenzia che l'ostinazione irragionevole non è stabilita, non più di tanto della volontà del
paziente di non vivere in uno stato di dipendenza. Valutazioni che rilevano, nella legge, la
competenza del corpo medico. Motivo per cui la dottoressa Véronique Fournier, del centro di
etica clinica dell'ospedale Cochin, ritiene contestabile la decisione dei giudici: “E' incredibile, e
soprattutto molto grave che un tribunale si sostituisca ai medici, e controlli le loro
prescrizioni”. Questo medico, che ha preso parte, per la moglie di Lambert, alla procedura
collegiale lanciata dal Centro Ospedaliero Universitario (CHU) di Reims vi vede “un mescolio
dei ruoli, una confusione dei poteri”. “Decidere sulla legalità è il mestiere dei giudici - dice, al
contrario Francois Vialla, professore di diritto medico - ma è chiaro che questa volta la
vicenda era nuova: non sono stati chiamati ad esprimersi non su una domanda di offerte o
altre cose, ma sulla vita di una persona”. I medici intravedono due possibili derive dopo
questa decisione: la “giudizializzazione” delle questioni del fine vita, e la prosecuzione delle
pratiche di accanimento terapeutico, su cui la legge Leonetti voleva difendere il paziente. E'
ciò che teme, per esempio, la Société française d’accompagnement et de soins palliatifs
(Società francese di accompagnamento e cure palliative). Il rischio è che in futuro, per non
complicarsi la vita, i medici siano riluttanti a fare alcune riflessioni sull'opportunità del blocco
delle cure.
Quale impatto per i pazienti in stato di coscienza-minima?
La decisione del tribunale non riguarda l'handicap in generale ma le persone che non sono in
grado di esprimere la propria volontà, e particolarmente quelli in uno stato di coscienzaminima come Vincent Lambert, o vegetativo. I magistrati hanno ritenuto che “trattandosi di un
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paziente in stato di coscienza-minima per il quale non può essere esclusa l'esistenza di una
attività emozionale al di là del semplice riflesso organico, il proseguimento delle cure e dei
trattamenti non può che avere la finalità del solo mantenimento artificiale della vita biologica”.
Cioè, quei pazienti per cui il trattamento è solo una nutrizione artificiale, non sono nell'ambito
dell'accanimento terapeutico. Un punto interessante sul piano giuridico, ma che fa discutere.
“Questa decisione rassicura le équipe mediche che si occupano di pazienti di questo tipo”,
sostiene il neurologo Xavier Ducroq, che rappresenta i genitori nella procedura collegiale.
Secondo lui , se l'équipe medica avesse vinto, tutti questi pazienti avrebbero potuto essere
giudicati in un contesto di “ostinazione irragionevole”. Per cui bisogna ricordare che le
questioni di blocco dei trattamenti non sono delle trincee in assoluto, ma sempre un caso,
ognuno specifico, per le équipe mediche.
Genitori o coniuge, chi deve essere ascoltato?
Il legislatore ha dato al medico la funzione di decidere, sì da evitare che questo peso sia
delegato ai parenti. La famiglia, però, deve essere consultata, dice la legge. Rachel Lambert,
la moglie di Vincent Lambert, aveva deciso di “lasciarlo partire”, ma non i suoi genitori, che
avevano interpellato la giustizia a maggio del 2013, ritenendo di essere stati emarginati. Ed è
questa la motivazione della prima sentenza di annullamento del blocco dei trattamenti. Il
tribunale amministrativo ha valutato che l'insieme della famiglia dovesse partecipare alla
discussione. La vicenda Lambert ha quindi lanciato un dibattito sulla questione di una
eventuale gerarchia. “La legge Leonetti del 2005 valuta l'importanza della famiglia. Ma chi è
questa famiglia? I discendenti? I genitori? Il coniuge? La legge non è precisa”, dice
l'Association pour le droit de mourir dans la dignité (associazione per il diritto a morire con
dignità). A maggio lo stesso onorevole Leonetti ha ritenuto che la legge, per la quale il dialogo
è una delle chiavi, non può prendere in considerazione ogni aspetto.
In caso di dubbio, la vita prima di tutto?
“Nella legge Leonetti, la questione più importante è quella della messa in evidenza della
realtà e della profondità della volontà del paziente. Il tribunale si è incentrato su questo
aspetto”, spiega Denys de Béchillon, professore di diritto pubblico. Ciò che i giudici hanno
detto, secondo lui, è che “il dubbio va a beneficio della vita”. La giustizia ha applicato “il
principio di precauzione”, dice l'avvocato dei genitori, Jorome Triomphe. “Dire che la vita deve
essere più importante in caso di dubbio, è un principio morale, non una regola giuridica”,
rileva Bruno Lorit, avvocato della moglie.
Quale impatto per il dibattito voluto da Francois Hollande?
“Questa decisione rende fondamentale un chiarimento della legge Leonetti sul mantenimento
artificiale della vita. Questo non può essere fatto se non con una riforma che, giustamente, è
stata annunciata”, dice Vialla. Ma la complessità del dibattito su un solo caso, nel momento in
cui le situazioni di fine vita sono fortemente diverse fra loro, mostra come sia arduo questo
compito per il governo.
Commento. La sentenza dei nove magistrati francesi può essere giustificata in quanto
esisteva un disaccordo fra la moglie di Lambert ed i suoi genitori circa la sua volontà. Tale
disaccordo, peraltro, è stato possibile in quanto l’interessato non aveva lasciato direttive
anticipate di trattamento, ossia un testamento biologico, e la legge francese dispone che in tal
caso la famiglia deve essere consultata. Dubito pertanto che il Consiglio di Stato annullerà la
sentenza del tribunale amministrativo di Châlons-en-Champagne. Ciò premesso, la Francia è
comunque all’avanguardia rispetto all’Italia, dove un Governo della Repubblica ha emanato
nel novembre 2010 una circolare contro i registri comunali dei testamenti biologici e dove è
contro la legge sospendere l’alimentazione e la respirazione artificiale di una persona da anni
in stato vegetativo permanente anche se tutti i familiari fossero d’accordo (G. Sestini).
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3934 - LE VIGNETTE DI STAINO – I CENTOUNO DI BERSANI
3935 - LE VIGNETTE DI ELLEKAPPA – BERLUSCONI AL NAZARENO
3936 - LE VIGNETTE DI ELLEKAPPA - LA SERA STESSA SAPREMO CHI HA VINTO
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