Philipp Bagus La tragedia dell`Euro 2011

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Philipp Bagus La tragedia dell`Euro 2011
Economia
Philipp Bagus
La tragedia dell’Euro
2011
PERCHÉ LEGGERE QUESTO LIBRO
In questo libro il giovane economista tedesco analizza la storia dell’Euro e i motivi delle
sue crisi. Oggi il dibattito attorno all’Euro sembra polarizzato attorno a due posizioni: da
una parte vi sono coloro che sostengono che l’Euro sia indispensabile, ma che andrebbe
riformato; dall’altra vi sono coloro che considerano l’Euro utile solo alla Germania e che
chiedono il ritorno alle valute nazionali, in modo che i governi possano riprendere a fare
politiche keynesiane di spesa pubblica a deficit. Bagus giunge a una conclusioni
contrastanti con entrambe queste visioni: da un lato sostiene che l’Euro non è stato
creato per favorire la Germania ma è stato voluto in primis dalla Francia per porre fine al
dominio del Marco tedesco fra le valute europee, nonché per liberarsi dell’odiata
Bundesbank, una delle banche centrali più rigorose e anti-inflazioniste al mondo, che
attirava verso di se i capitali e costringeva i Paesi neolatini ad alzare anch’essi i tassi o a
vistose svalutazioni; dall’altro rifiuta in modo netto anche la visione di chi sostiene l’Euro:
a suo avviso infatti la fine dell’Euro non significherebbe la fine dell’Unione Europea ma la
fine della sua concezione statalista.
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PUNTI CHIAVE

La storia dell’UE è la storia di due opposte visioni dell’Europa: quella liberale,
sostenuta da Germania, Olanda e Inghilterra, e quella socialista, sostenuta dai
paesi neolatini (Francia in primis);

Prima dell’Euro i Paesi neolatini vedevano le loro spese frenate dalla Bundesbank:
tali Paesi spinsero quindi per l’Euro in modo da eliminare la banca centrale
tedesca;

La Germania aderì all’Euro sia per pressioni estere sia perché conveniente alla
classe politica e dirigente;

All’inizio la BCE doveva essere come la Bundesbank, col tempo invece risultò
molto più inflazionista;

La costruzione dell’Euro seguì interamente i principi della visione socialista
dell’Europa, ovvero una moneta fiat con banca centrale monopolista e
concorrenza valutaria eliminata;

La BCE differisce dalla FED per il finanziamento non diretto dei governi tramite il
canale bancario;

Come tutti i beni senza diritti di proprietà chiari, l’Euro rappresenta un caso di
tragedia dei beni comuni;

L’Euro produsse fin da subito un alto indebitamento estero dei Paesi neolatini e un
surplus commerciale elevato per la Germania, nonché una crescita dei debiti
pubblici stimolati dai tassi artificialmente bassi;

Allo scoppio della bolla dei debiti pubblici e privati esteri europei la BCE è
intervenuta fortemente facendosene indirettamente carico, tuttavia l’Euro
continua ancora ad essere in bilico;

Lo scenario futuro più probabile vedrà una frantumazione dell’Euro, piegato da
debiti e distorsioni economiche irreversibili.
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RIASSUNTO
La storia di due visioni contrapposte dell’Europa
Fin da principio la storia dell’Unione Europea si è caratterizzata per la contrapposizione
tra due visioni totalmente opposte dell’Europa: quella socialista e quella liberale classica.
La visione liberale dell’Europa è a favore della libera circolazione di merci, persone e
capitali nella Comunità Europea, nonché della totale abolizione di sussidi e altre forme di
interventismo economico interne all’Unione. Tale tipo di visione si oppone anche all’idea
di un unione monetaria e di un unione fiscale, in quanto limitando la concorrenza tra
valute e tra regimi fiscali dei Paesi si limita la libertà economica degli individui.
Al contrario la visione socialista dell’Europa vede come obiettivo i cosiddetti Stati Uniti
d’Europa, ossia un unico Stato/impero all’interno del quale riunire tutti i Paesi europei,
governato da tecnocrati non eletti (la Commissione UE) con politiche protezionistiche
verso l’esterno e interventiste all’interno. Tale super-Stato ovviamente significherebbe
una unione fiscale e monetaria, con la soppressione di ogni forma di concorrenza in tali
materie ed un conseguente livellamento verso l’alto della tassazione e della quantità di
moneta in circolo.
I Paesi difensori della linea liberale sono sempre stati quelli dell’Europa centrosettentrionale: Germania, Olanda e Gran Bretagna in primis. Difensori della linea
socialista sono invece i Paesi neolatini, in primis la Francia. La storia vede una iniziale
vittoria della visione liberale, sostenuta negli anni ’50 dai maggiori padri fondatori, ossia il
trattato di Roma del 1957 che creò la CEE. La situazione cambiò alla fine degli anni ’80,
quando la riunificazione tedesca fornì il pretesto per la rimonta della visione socialista.
La riunificazione tedesca infatti non poteva avvenire senza il consenso della Francia, la
quale sfruttò tale fatto per imporre alla Germania di entrare anch’essa a far parte del
progetto di unione monetaria europea. L’Euro in sostanza, è un’importante vittoria della
visione socialista, dato che nell’idea dei politici europeisti è il primo passo verso la
creazione degli Stati Uniti d’Europa. La moneta unica infatti crea problemi e crisi
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economiche che servono all’elite politica per intervenire ancor più e acquisire più
potere, fino ad arrivare all’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa.
I motivi alla base della moneta unica europea
Il progetto della moneta unica nasce negli anni ’70-‘80, su iniziativa della Francia e
dell’Italia, Paesi che avevano molto da guadagnare a livello politico dalla moneta unica, in
quanto avrebbe significato l’eliminazione del principale ostacolo alle spese a deficit dei
loro Governi, ovvero il Marco tedesco, moneta forte e sostanzialmente rigida, e la
Bundesbank, la banca centrale tedesca, la cui politica rigorosa e anti-inflazionistica
costringeva i Paesi neolatini a stampare meno moneta oppure a vedere le proprie monete
fortemente svalutate, con effetti a livello di reputazione e in ultima analisi anche di costo
del debito pubblico (poiché gli investitori, conoscendo così la vena inflazionistica di tali
Paesi, richiedevano tassi più elevati).
Ciò è apprezzabile osservando l’andamento dei tassi di interesse, sempre crescenti negli
anni ’70-’80, pagati dall’Italia e dalla Francia sul debito pubblico. Non restava quindi a tali
Paesi, se volevano continuare a spendere a deficit, alcuna possibilità se non eliminare il
marco tedesco e di introdurre al suo posto una valuta unica con la Germania, una sorta di
fusione monetaria in cui la Germania avrebbe “preso” parte dell’inflazione dei Paesi
mediterranei ed essi avrebbero invece ottenuto parte del prestigio della Bundesbank.
Ciò detto, non apparrebbe chiaro il perché la Germania avrebbe accettato l’Euro, sapendo
che in tal modo avrebbe avuto una valuta più debole e di conseguenza minor potere
d’acquisto per i propri cittadini. I motivi sono duplici. Da un lato, un motivo è legato alla
riunificazione della Germania. Per convincere il governo tedesco la Francia si dichiarò
disposta ad accettare una banca centrale europea sul modello della Bundesbank.
Dall’altro lato la classe politica tedesca vedeva anch’essa di buon occhio la fine del potere
della Bundesbank, in quanto il suo ferreo rigore impediva ai politici di fare ampie spese a
deficit. Un forte sostegno all’Euro veniva dalla lobby delle industrie esportatrici tedesche,
ovviamente favorevoli ad una valuta più debole del Marco. L’insieme di queste spinte
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portò la Germania ad aderire, nei primi anni ’90, all’Euro, realizzando così
l’obiettivo dei Paesi neolatini.
La creazione dell’Euro e i primi anni della moneta unica
Per stabilire in via definitiva i Paesi che sarebbero entrati a far parte della moneta unica a
partire dal 1 gennaio 1999, il trattato di Maastricht (1992) pose tre tetti massimi relativi a
inflazione, deficit/Pil (3%) e debito pubblico (60%), la cui osservanza sarebbe stata
obbligatoria da lì in poi. Tali criteri però si sono rivelati un completo fallimento, poiché
attualmente tutti gli Stati hanno sforato più volte il tetto deficit/ PIL e già prima della crisi
molti Paesi sforavano il limite del rapporto debito/PIL.
Il motivo di tale fallimento è che l’imposizione di tali criteri è servita solo per convincere la
Germania a entrare nell’Euro, ma non c’è mai stata nel concreto alcuna reale volontà
politica di applicarli: a dimostrazione di ciò, i governi europei si opposero sempre alla
proposta tedesca di istituire sanzioni automatiche per lo sforamento dei limiti,
preferendo che le sanzioni scattassero solo col consenso della maggioranza dei governi
dell’Eurozona. Si arrivava così al paradosso che i vari Governi avrebbero potuto accordarsi
a vicenda, come infatti è successo, per non darsi sanzioni fra di loro quando avessero
sforato.
Fin dall’introduzione dell’Euro si può osservare come i disavanzi commerciali dei Paesi del
Sud Europa siano aumentati, mentre la Germania abbia cominciato a realizzare surplus
commerciali sempre maggiori. Il motivo di tutto ciò è evidente: i Paesi mediterranei
hanno avuto di colpo a che fare con una moneta molto più forte, tuttavia i tassi
artificialmente più bassi sul debito pubblico hanno portato tali Paesi a politiche di spesa
pubblica e alti salari che hanno comportato un calo della competitività. Tali fattori hanno
aumentato le importazioni e calato le esportazioni, e di conseguenza incrementato
l’indebitamento commerciale verso i Paesi forti.
Al contempo la Germania, paese tradizionalmente esportatore e competitivo, è diventato
il creditore di tutti i Paesi mediterranei. Infine, a gonfiare ulteriormente le bolle creditizie
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in Europa, ci si è messa la politica espansiva della BCE, che, copiando quanto fatto
dalla Fed, abbassò artificialmente i tassi tra il 2002 e il 2006, spingendo gli individui verso
un ulteriore indebitamento e ponendo le basi per la crisi.
La monetizzazione indiretta dei debiti europei come esempio di tragedia dei beni
comuni
Nei fatti la BCE ha operato col passare del tempo in maniera sempre più inflazionista e
prona a monetizzare, seppur indirettamente, i debiti dei governi europei. Diversamente
dalla FED, che può acquistare i titoli del debito pubblico appena vengono emessi dai
Governi, la BCE deve finanziarli indirettamente, accettandoli come garanzia per erogare
prestiti alle banche. In questo modo le banche acquisteranno più facilmente titoli di Stato
appena emessi. Una volta fatto ciò li presentano alla BCE, la quale eroga loro un
finanziamento, tramite il quale si amplia l’offerta di moneta, in quanto poi le banche lo
usano per espandere il credito. In questo modo ciascun Paese può fare deficit di bilancio
facendo sopportare il costo di tale manovra all’intera Eurozona in forma di prezzi più
elevati (stante l’aumento di offerta di moneta).
Questo meccanismo è lo stesso alla base di tutte le c.d. tragedie di beni comuni. Tale
termine si riferisce ai beni su cui vi sono diritti di proprietà non adeguatamente definiti
e/o tutelati. In questi casi esiste per ogni individuo che abbia il possesso del bene e che
possa utilizzarlo l’incentivo a sfruttare al massimo possibile la risorsa, in quanto i costi di
tale manovra verranno sopportati da altri. L’esempio più chiaro è quello dei banchi di
pesci di proprietà pubblica invece che privata: in questo caso, poiché il banco non è di
nessuno nello specifico, ciascuno ha l’incentivo a pescare il più possibile. Il costo di tale
manovra, la carenza di pesci, verrà sopportato dai successivi pescatori.
Allo stesso modo l’Euro rappresenta una potenziale tragedia dei beni comuni, in quanto,
considerato quanto detto sopra, ciascun Paese è incentivato a indebitarsi il più possibile. I
perdenti di tale schema sono infatti coloro che si indebitano poco o tardi, e che quindi
vedono il livello dei prezzi cresciuto rispetto ai primi. L’iniziale struttura dell’Eurozona,
tuttavia, era ancora tale da limitare in parte la tragedia dei beni comuni, in quanto la BCE
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aveva messo vincoli basati sul rating ai titoli di Stato accettati. La situazione è
radicalmente peggiorata con la crisi dei debiti sovrani europei.
La crisi dei debiti sovrani e il futuro dell’Euro
Nel 2009 cominciano a manifestarsi i primi segnali di sfiducia nei confronti dell’Euro e in
particolare circa i debiti pubblici dei Paesi periferici. La Grecia finisce subito nel mirino, in
quanto nell’autunno 2009 il nuovo primo ministro greco comunica una stima del deficit
per il 2009 pari al 13% del PIL contro il 4% precedentemente annunciato. A seguito di ciò
le agenzie di rating tagliano il giudizio sulla Grecia e gli investitori iniziano a vendere in
massa titoli greci. Ciò comporta un aumento del costo del debito e sempre maggiore
difficoltà a far quadrare i conti. Le misure di austerità adottate dal governo greco, in tal
senso, non sembrano in grado di spezzare tale circolo vizioso. Alla fine di Aprile nuove
tensioni scuotono i mercati: le nuove tensioni comportano nuove vendite di titoli greci: la
situazione rischia di degenerare, considerato che ora anche Spagna e Irlanda stanno
accusando gravi problemi debitori, in questo caso relativi al settore bancario.
Lo scoppio della bolla immobiliare infatti si è abbattuto come un tornado sul loro settore
bancario, spingendo i Governi a intervenire e facendo quindi esplodere il debito pubblico.
É in questa fase che la BCE mostra la sua natura interventista: prima annuncia che non
porrà più alcun limite al rating per l’accettazione dei titoli di Stato, poi nel mese di Maggio
addirittura comunica acquisti diretti dei titoli di Stato. Viene a quel punto elaborato il c.d.
“paracadute d’emergenza”, con ben 750 miliardi di Euro che vengono così prestati a
Grecia, Spagna, Irlanda e Portogallo, altro Paese coinvolto stante il debito pubblico
enorme.
Durante la crisi dei debiti sovrani, l’Unione Monetaria Europea si è rivelata sempre di più
come una vera e propria Unione dei trasferimenti, nella quale viene veicolato
coercitivamente un flusso di risorse da Paesi risparmiatori (Germania su tutti) verso i
Paesi altamente indebitati. Le soluzioni adottate dai Paesi europei sono state, dai primi
mesi del 2010 in poi, sempre in tale direzione, per rinviare più in possibile la liquidazione
di debiti pubblici insostenibili e perciò della stessa moneta unica. L’Euro sembra in
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sostanza un dogma indiscutibile, senza il quale verrebbe meno anche l’idea stessa
di Europa. La storia invece mostra che senza una moneta unica è possibilissima una
comunità Europea; ciò che sarebbe impossibile è solo la visione socialista dell’Europa. Il
futuro dell’Euro oggi appare tutto fuorché agevole: la soluzione adottata di prestare
denaro al Sud Europa ha aumentato soltanto il livello dei debiti in loco. Presto o tardi il
problema si ripresenterà di nuovo in forma più grave, finché probabilmente la BCE e le
istituzioni non potranno più fare nulla. La fine dell’Euro insomma sembra più una
questione di “quando” che di “se”.
CITAZIONI RILEVANTI
L’Euro come strumento utile ai politici europei per accrescere il potere.
«Ma come, esattamente, la moneta unica può portare alla centralizzazione dell’Europa?
L’Euro genera un tipo di problemi economici che possono venir usati da parte dei politici
come pretesto per la centralizzazione. Senza alcun dubbio, la stessa costruzione e
impostazione dell’Euro è direttamente responsabile per tutta una serie di crisi finanziarie.
[…] Tali situazioni possono essere strumentalizzate per riuscire ad accentrare potere e
politiche fiscali; a sua volta, la centralizzazione delle politiche fiscali potrebbe venir usata
per armonizzare la tassazione ed annullare qualsiasi competizione fiscale.» (p. 18)
I vantaggi dell’eliminazione del Marco per i Paesi latini
«Prima dell’introduzione dell’Euro, la divisa tedesca costituiva lo standard di riferimento
che metteva a nudo la malagestione monetaria dei governi più irresponsabili. Come
abbiamo visto, la Bundesbank aumentava l’offerta di moneta ad un tasso di gran lunga
inferiore rispetto a quello degli altri Paesi, specialmente del Sud Europa, i quali usavano le
banche centrali come strumenti per finanziare i propri deficit. […] L’Euro costituiva quindi
uno strumento indispensabile per far cessare sia gli imbarazzanti paragoni sia le
imbarazzanti svalutazioni. In questo senso i Governi dei Paesi ad alta inflazione non
temevano affatto la nuova Banca Centrale Europea. Benché all’esterno potesse sembrare
una copia della Bundesbank, internamente si sarebbero potute esercitare le adeguate
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pressioni politiche, rendendola gradualmente una banca centrale più simile alle
banche centrali dei Paesi del Mediterraneo.» (p. 53-54).
L’Unione monetaria come incentivo a fare deficit e esternalizzarne i costi
«La vera Unione economica e monetaria consiste nell’incentivo ad avere deficit fiscali, a
finanziarli emettendo titoli di Stato e a far sopportare il costo delle politiche
irresponsabili, sotto forma di un inferiore potere d’acquisto della moneta unica, a tutto
l’Eurogruppo. Sulla base di questo incentivo i politici tendono a mantenere i deficit sui
livelli più elevati che possono permettersi. Perché pagare la spesa pubblica con tasse
impopolari? Perché non emettere semplicemente titoli che saranno finanziati con la
creazione di nuovo denaro anche se alla fine i prezzi saliranno in tutta l’unione
monetaria? Perché non esternalizzare i costi della spesa pubblica?» (p. 119).
Il Trattato di Maastricht: un nuovo Trattato di Versailles senza guerra.
«Commentando il trattato di Maastricht e l’introduzione dell’Euro, il giornale francese Le
Figaro ha rilevato il parallelo con i trasferimenti per le riparazioni di guerra. In un articolo
del 18 Settembre 1992 si poteva leggere: “La Germania pagherà, diceva la gente negli
anni ’20. Oggi sta pagando: il Trattato di Maastricht è un Trattato di Versailles senza
guerra”. In effetti anche l’accordo monetario contenuto nel Trattato di Maastricht è fonte
di forti conflittualità ed alimenta tensioni. La moneta unica di fatto istituzionalizza il
conflitto man mano che la battaglia per il controllo dell’offerta monetaria si intensifica.»
(p. 128).
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L’AUTORE
Philipp Bagus nasce a Mettingen, nella Germania nord-occidentale, nel 1981. Dopo un
Bachelor e un Master in Economia conseguiti presso l’università di Munster, in Germania,
si trasferisce a Madrid, dove ottiene un Ph.D. all’Università Rey Juan Carlos, sotto la
supervisione del professor Jesus Huerta de Soto, con una tesi sulla deflazione.
Attualmente è professore associato di Macroeconomia, Microeconomia e Metodologia
della scuola Austriaca di Economia presso tale università. Economista di scuola Austriaca,
ha pubblicato vari articoli su numerose riviste e pubblicazioni accademiche tra le quali
Journal of Business Ethics, American Journal of Economics and Sociology, Journal of
Libertarian Studies. Studia principalmente la teoria del ciclo economico, la teoria del
capitale austriaca e la teoria monetaria. Oltre a La Tragedia dell’Euro ha pubblicato nel
2011 il libro Deep Freeze: Iceland’s Economic Collapse.
NOTA BIBLIOGRAFICA
Philipp Bagus, La tragedia dell’Euro, USEMLAB, Massa, p. 224. Prefazione di Jesus Huerta
de Soto, postfazione di Francesco Carbone, traduzione di L. Baggiani, S. Fait, F. Carbone.
Titolo originale: The Tragedy of the Euro.
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