Riflessioni e previsioni per il giornalismo nel 2015,Alcune cose da

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Riflessioni e previsioni per il giornalismo nel 2015,Alcune cose da
Riflessioni e previsioni per il giornalismo
nel 2015
Nel 2015, il giornalismo sarà sempre più plasmato dalla tecnologia.
Con la realtà virtuale e aumentata, i lettori potranno presto indossare le notizie, o percepirle grazie
a strumenti indossabili; storie molto semplici potrebbero essere scritte da robot/software o curate
dagli algoritmi e la sicurezza digitale si farà sempre più sofisticata, al fine di proteggere al meglio le
fonti dei giornalisti, mentre il concetto di “possesso dei contenuti” è destinato a indebolirsi ancora
grazie all’espansione del cloud computing.
Ma non sarà solo la tecnologia a spingere le prossime modifiche del giornalismo. Lo scorso anno,
anche la politica e l’economia hanno giocato un ruolo di primo piano nell’influenzare il mercato delle
news. Il 2014 è stato infatti l’anno in cui molti giornalisti sono diventati attivisti, come è stato
soprattutto nel caso dell’Ucraina.
Le aziende mediatiche maggiori sono invece state forzate a cambiare o adattarsi ai trend digitali
come le newsroom integrate, il digital first e il trasferire la propria produzione dalla carta al digitale.
In molti contesti, soprattutto nell’Europa dell’Est, gli introiti da pubblicità sono però diminuiti a
causa delle condizioni economiche generali e, infine, il 2014 è stato anche un anno di grandi rischi
per i giornalisti: Reporters Without Borders ha registrato gli omicidi di 66 reporter negli ultimi
dodici mesi e i rapimenti di altri 119. Con un tasso di crescita del 35% rispetto all’anno precedente.
Per festeggiare il nuovo anno, l’Osservatorio europeo di giornalismo (Ejo) ha chiesto ai suoi partner
in tutta Europa di raccogliere gli highlight del 2014 nel giornalismo e qualche previsione per il 2015
appena iniziato.
Crescono investimenti e data journalism in Polonia
Per Michal Kus, editor dell’Ejo polacco e assistant professor al Department of Communication and
Journalism della University of Wroclaw, il 2014 è stato l’anno che, in Polonia, ha portato allo
sviluppo del data journalism e al consolidamento del mercato online. Per Kus, il 2015 farà registrare
ulteriori progressi in questo senso, dato che la pubblicità sta attirando anche nuovi investimenti nel
settore. Importanti player internazionali (come Mtg Group, Netflix e Amazon) potrebbero presto
investire nel mercato polacco, acquistando alcune testate messe in vendita dai propri gruppi di
riferimento, fa sapere Kus.
Le ripercussioni della crisi ucraina
Dariya Orlova, editor dell’Ejo ucraino e docente presso la Mohyla School of Journalism di Kiev,
ritiene invece che l’aspetto più interessante del 2014 per il giornalismo del suo paese sia stato il
crescente attivismo dei giornalisti ucraini, foraggiato dalla crescente peso dei media digitali e dei
social media come strumenti di libertà di espressione in Ucraina. Orlova rimane comunque scettica
per il giornalismo del suo paese: “l’economia è in declino, la nostra moneta ha perso molto del suo
valore e il mercato della pubblicità si è ristretto immensamente. Tutto questo crea molte sfide
economiche per i media indipendenti”.
La fellow dell’Ejo presso la Freie Universität di Berlino, Rachel Stern, ha invece ricordato il Diritto
all’oblio come una delle questioni chiave del 2014 e ne ha sottolineato le questioni relative al rischio
censura che ancora persistono. La sua previsione per il 2015, invece, ha a che vedere con i paywall:
la giornalista si aspetta che altre testate, specialmente su un piano regionale, cercheranno di far
pagare i propri lettori per i contenuti online, con la speranza di monetizzare.
Cresce il servizio pubblico in Lettonia
Per Liga Ozolina, editor dell’Ejo lettone e dottoranda presso il Communication Management
Program della Turiba School of Business Administration di Riga, invece, l’evento che più ha
caratterizzato il 2014 è stato senza dubbio la crisi russo-ucraina e il suo impatto sui media lettoni: “il
conflitto ha mostrato l’avanzata della propaganda di Mosca tra i media lettoni di lingua russa”, ha
dichiarato la ricercatrice, “specialmente nella regione della Letgallia, dove i media di lingua russa
sono più diffusi di quelli in lingua lettone”.
Inoltre, continua Ozolina, “questo è stato anche l’anno che ha segnato la crescita dei broadcaster
pubblici lettoni, Latvian Television, Latvian Radio e le loro propaggini Web: nuovi staff, nuovi format
e marketing più efficace, oltre a un uso migliore dei media digitali e un palinsesto rafforzato per le
persone di lingua russa”. Nel 2015, Ozolina si aspetta quindi che il servizio pubblico lettone continui
a rafforzare la sua offerta anche per i lettoni di lingua russa: “fino a qui, quanto offerto dalle aziende
private ha avuto una content strategy che si fa davvero fatica a chiamare giornalismo e che è stata a
tutti gli effetti una mera estensione dei grandi gruppi russi”.
Ozolina ha anche sottolineato il nuovo portale meduza.io, lanciato in Lettonia da Galina Timchenko,
già direttrice del russo lenta.ru licenziata in patria per aver intervistato un nazionalista ucraino di
estrema destra. Il nuovo portale vuole produrre notizie indipendenti per la Russia e altrove.
Proteggere le fonti e i whistleblower
Philip Di Salvo, editor dell’Ejo italiano e dottorando presso l’Università della Svizzera italiana, crede
invece che ci sia stata una “learning curve” dopo il caso Snowden per la quale anche la
consapevolezza dell’importanza della crittografia e della sicurezza digitale per i giornalisti sarà uno
dei trend maggiori nel 2015. Secondo il ricercatore, molte più testate adotteranno GlobaLeaks o
SecureDrop per creare piattaforme di whistleblowing digitale per sollecitare leak da parte di
whistleblower e meglio proteggerli. “Allo stesso tempo”, ha continuato Di Salvo, “servono migliori
legislazioni Foia e leggi per la protezione dei whistleblower. Spero che l’Italia riesca ad adottare
entrambe le cose nel 2015“.
Nel Regno Unito, invece, parlando al Reuters Institute for the Study of Journalism di Oxford lo
scorso novembre, Emily Bell ha sottolineato la relazione non semplice tra il giornalismo e la
tecnologia: Bell ha messo in guardia i giornalisti sulla possibilità di perdere il controllo della “sfera
pubblica” in favore della Silicon Valley. La sua previsione è piuttosto oscura per i media cartacei, ma
per la ricercatrice i giornalisti possono ancora riguadagnare terreno se si decidono a trattare della
tecnologia con la stessa verve che usano per la politica.
E il mercato svizzero?
In Svizzera, dopo anni di stallo, gli editori e l’emittente di servizio pubblico Srg si sono finalmente
accorti nel corso del 2014 di avere un interesse comune nel difendere il giornalismo di qualità dai
giganti del Web come Apple, Google e Facebook, ha dichiarato Stephan Russ-Mohl, Direttore
dell’Ejo. Inoltre, l’advisory board del governo svizzero (Medienkommission, ndr) ha fornito alcuni
suggerimenti notevoli per le policy future nel paese.
Russ-Mohl, docente di giornalismo e media management all’Università della Svizzera italiana di
Lugano, ha espresso un desiderio per il 2015, più che una previsione: “spero che il vertice del board
della Neue Zürcher Zeitung (uno dei maggiori quotidiani svizzeri, ndr), Etienne Jornod, che ha
imposto come direttore del giornale Markus Somm, un amico stretto del leader politico populista
Christoph Blocher, si dimetta e che Markus Spillmann, il precedente direttore licenziato
all’improvviso e senza alcuna motivazione convincente, possa tornare al suo posto”, ha dichiarato
Russ-Mohl.
Nel 2014, l’Ejo ha anche festeggiato il suo decimo compleanno. Il network dell’Ejo ha continuato a
crescere, grazie ai generosi contributi della Fondazione per il Corriere del Ticino, la Pressestiftung
NRZ, la Robert Bosch Foundation e il Fondo nazionale svizzero per la ricerca.
Photo credits: Sergey Galyonkin / Flick CC
Articolo tradotto dall’originale inglese
Alcune cose da imparare da Reported.ly
First Look Media, la media company fondata dal magnate di eBay Pierre Omidyar, ha lanciato il suo
secondo prodotto. Dopo The Intercept e dopo i ritardi e le polemiche sorte attorno a Matt Taibbi e
John Cook e alla testata Racket ora apparentemente congelata, è la volta di Reported.ly, un marchio
specificatamente dedicato ai social media e al reporting che è possibile realizzare a partire dagli
Ugc.
@wrightbryan3 Like my Arab Spring stuff, expect a lot of process journalism – covering the
stream – leading to orig content. #AskReportedly
— Andy Carvin (@acarvin) 9 Dicembre 2014
Come descritto da Mathew Ingram su GigaOm, Reported.ly sarà un servizio news direttamente
embeddato dentro ad ambienti social come Twitter, Facebook, Reddit e Medium che saranno
utilizzati sia come fonti dei contenuti che come canali di distribuzione per creare “giornalismo nativo
per queste piattaforme” invece di usarli come strumenti per dirottare l’attenzione dei lettori. Una
testata fatta sui social media, con i social media, per i social media e con i linguaggi dei social media.
Qualcosa ai confini tra Storyful e Bellingcat, il nuovo sito di Brown Moses/Eliot Higgins, ma mediato
dal recente Verification Handbook.
A guidare la testata, Andy Carvin, giornalista con un passato alla Npr statunitense che si è
guadagnato uno spazio importante per il suo eccellente lavoro su Twitter in occasione delle
Primavere arabe, entrato in Firt Look Media qualche tempo fa. Assieme a Carvin, lavorerà una
piccola redazione composta da altri cinque giornalisti sparsi nel mondo e in fusi orari diversi, inclusa
l’italiana Marina Petrillo, già a Radio Popolare e a sua volta grande esperta di curation degli Ugc e
Malachy Browne, già – non a caso – nella squadra di Storyful.
In questa fase iniziale, principalmente di brainstorming, Reported.ly non ha ancora un suo sito e
utilizza Medium come piattaforma. Presentandosi ai suoi futuri lettori, il team di Reported.ly ha
anche pubblicato – sempre su Medium – un testo che vuole essere una sorta di manifesto
programmatico e, per certi versi, un codice etico. Il testo è una summa di best practice per il
giornalismo fatto con gli strumenti digitali e un ritratto perfetto della cultura del giornalismo
contemporaneo, almeno della sua frangia piu aggiornata e consapevole. Reported.ly ha deciso di
parlare di se stessa ai suoi lettori, cosa già di per sé non scontata, e di farlo prima di partire: ecco
cosa faremo, come e perché.
Please be sure to read our core values document. It’s our covenant with you as journalists and
community members. https://t.co/q3esGQzVAI
— reported.ly (@reportedly) 8 Dicembre 2014
Un codice etico, si diceva. Il team guidato da Andy Carvin promette ovviamente di mantere fede a
quelli che sono i principi del giornalismo classicamente inteso, punti saldi come la fedeltà solo alla
proprià indipendenza editoriale e abnegazione ai fatti. Fin qui, regole che ogni redazione che si
rispetti dovrebbe avere ben chiare e appese alle sue pareti. Il decalogo di Reported.ly, però, guarda
oltre e mira a espandere e a portare quei principi nel contesto in cui il suo team opererà: quello della
conversazione.
Ci sono almeno tre direttrici che sembrano sorreggere le regole che la nuova testata ha deciso di
darsi nell’elencare i suoi “core values”: trasparenza, apertura e tecnologia. Alla prima fa capo, ad
esempio, l’accountability nelle scelte editorali, nel voler riconoscere, segnalare e correggere i propri
errori in modo chiaro, palese e umile: siamo giornalisti, non guru, scrive il team di Reported.ly, e
come tali facciamo errori e vi preghiamo di farceli notare. Alla dichiarata apertura fa capo la volontà
di aprire il proprio processo di creazione delle news ai propri lettori, a renderli partecipi,
collaborando al fine di fare del giornalismo migliore, a cominciare dal question time di ieri sera, dove
tramite l’hashtag #AskReportedly il team ha chiesto ai suoi lettori di fare domande sul nuovo
progetto o suggerire idee con la promessa di farlo regolarmente:
Unless there are a couple of strays, we’re gonna wrap up #AskReportedly for today. We plan to
do this regularly. Thanks for joining us! — Andy Carvin (@acarvin) 9 Dicembre 2014
Ma il richiamo all’apertura è dichiarato anche nella volontà di ripensare le fonti a disposizione
andando oltre ai soliti circuiti “degli esperti”, aprendosi – di nuovo -, con le dovute verifiche e
controlli a quanto i social media hanno da offrire: il già citato Eliot Higgings ne ha fatto un marchio
di fabbrica e si è ritagliato un posto come fonte autorevole per grandi testate internazionali. È tempo
che questo approccio diventi un modello.
Un altro punto cardine è il riferimento alla “generosità” e alla cultura di condivisione di Internet,
ancora una volta un manifesto programmatico del fare giornalismo online sfruttando al massimo le
potenzialità offerte dagli strumenti digitali, un approccio che parte dall’avere una comunità di
lettori/utenti cui offrire un servizio e con cui avere uno scambio costante. A tenere insieme il tutto, la
tecnologia: compresa nel profondo, adottata, adattata alle proprie necessità e trasformata in
linguaggio. Senza paure anacronistiche o superficialità.
In una pagina Web, Reported.ly ha riassunto questo “momento” del giornalismo, calandocisi
completamente in mezzo, rispondendo alla chiamata. A questo punto, la prova dei fatti sarà
doppiamente interessante perché sarà un banco di prova per quanto affermato
programmaticamente, ma soprattutto metterà a giudizio un’idea di giornalismo cui è finalmente ora
di provare a dare fiducia. Per il momento, per citare Andy Carvin stesso: “Come along for the ride”.
Fenomenologia del troll online
Quando gli organi di stampa si aprono ai commenti dei loro lettori, spesso non mancano le sorprese
e, una volta aperta la porta digitale, i giornali si rendono velocemente conto di come gli utenti
sappiano anche dimenticare le loro buone maniere sull’uscio. Alcuni insultano, altri sbraitano, altri
ancora fanno i prepotenti e sessismo e xenofobia spesso appaiono sulla scena come ospiti sgraditi.
Alcuni ricercatori nel campo dei media studies hanno iniziato a studiare il fenomeno
approfonditamente, ma già qualche primo risultato getta un po’ di luce sulle questioni centrali. Ecco
una review di alcuni studi pubblicati di recente su questo argomento.
Una premessa: gli organi di informazione hanno linee guida diverse e le community di lettori in
genere non si possono paragonare tra di loro perché molto eterogenee. Alcuni casi studiati negli
Stati Uniti e in Canada hanno rivelato che una percentuale variabile tra il 20 e il 50% dei commenti
nelle sezioni apposite dei giornali online è in qualche modo incivile. Ma anche un chiarimento
terminologico è necessario perché non tutti i commenti sgarbati sono da considerarsi
necessariamente “incivili”: a questo proposito, Kevin Coe e i suoi colleghi dell’Università dello Utah
e dell’Arizona identificano le inciviltà come “tratti di una conversazione che trasmettono un tono
inutilmente irrispettoso al forum di discussione, ai suoi partecipanti o ai temi”.
Alcuni risultati di ricerca recenti indicano anche che non tutti i troll sono uguali e non tutti i troll
online sono necessariamente degli hater: Erin Buckels dell’Università di Manitoba e suoi colleghi, ad
esempio, hanno analizzato le personalità dei troll online e la loro conclusione è che il 5% dei
commentatori proverebbe piacere nel dolore altrui, trattandosi quindi di “sadici della quotidianità
esemplari” che “vogliono solo divertirsi[…] e Internet è il loro parco giochi”. Un simile tentativo di
spiegare le motivazioni dei troll è stato sviluppato anche all’Indiana University, dove Pnina Shachaf e
Noriko Hara hanno esaminato il comportamento dei troll su Wikipedia e hanno scoperto che noia,
vendetta, ricerca di attenzione e piacere nel causare danni sono i fattori propellenti.
Tuttavia, non ogni troll è un trasgressore “patologico”. Coe e i suoi colleghi hanno svolto un case
study sui forum di discussione dell’Arizona Daily Star e hanno concluso che gli utenti saltuari sono
complessivamente più incivili nei loro commenti di quelli regolari. I ricercatori hanno anche indagato
se fossero fattori specifici a scatenare commenti maleducati e i risultati sono chiari: temi controversi
come politica o sport e particolari firme della testata attraggono normalmente più commenti incivili,
mentre anche il coinvolgimento di personalità importanti, come ad esempio quella di Obama, può
portare a un inasprimento dei toni.
Perciò, il contesto è importante. Chiaramente non c’è nulla di sbagliato nelle polemiche e, al
contrario, discussioni appassionate sono essenziali per la democrazia. Se però il tono della
conversazione diventa troppo aggressivo e di parte, le ramificazioni del dibattito possono essere
drastiche. I risultati delle ricerche in quest’area possono essere sintetizzati così: i dibattiti incivili
indeboliscono la fiducia e portano alcuni utenti a essere apatici. Tuttavia, d’altro canto, gli utenti
sono più inclini a partecipare ai forum di discussione se il dibattito è più controverso e aspro perché
il conflitto è un incentivo maggiore a commentare di quanto sia il consenso.
Ancora più interessanti sono i risultati della ricerca svolta dalla George Mason University e dalla
University of Wisconsin da un team guidato da Ashley Anderson, ora Assistant Professor alla
Colorado University. Per questo paper, i ricercatori hanno verificato se e in che misura i commenti
maleducati correlati a un articolo influenzino il modo in cui l’articolo stesso viene letto. per
rispondere a questa domanda gli autori hanno composto due gruppi e hanno dato a ciascuno di
questi un articolo di cronaca da leggere: il fatto trattato era scritto in modo neutrale, bilanciando i
“pro” e i “contro” di un tema controverso (la nanotecnologia, ndr). Il primo gruppo ha letto l’articolo
seguito da un alto tasso di commenti incivili, mentre nel secondo caso l’articolo in analisi aveva
commenti di tono più rispettoso. Un questionario inoltrato ai partecipanti ha poi rivelato che gli
utenti reagiscono in modo più critico alle informazioni se la discussioni nei commenti è incivile.
I ricercatori dell’Università del Texas hanno invece testato le strategie degli organi di informazione
per moderazione le discussioni e, secondo i loro risultati, il fatto che il dibattito sia moderato è
d’aiuto, specialmente se vengono poste domande specifiche ai lettori e vi sono risposte dirette ai
feedback degli utenti.
L’anonimato nei forum di discussione è una questione problematica. Alcune prime ricerche mostrano
che utenti anonimi sono più inclini ad adottare un comportamento maleducato rispetto a quelli
registrati con il loro vero nome. In uno studio comparativo di 14 quotidiani Usa, Athur Santana della
Houston University ha scoperto che più della metà dei commenti anonimi erano incivili, mentre solo
un quarto degli utenti registrati sferravano attacchi.
L’anonimato, comunque, ha anche un vantaggio: ricercatori della Rutgers University hanno fatto un
sondaggio tra i commentatori anonimi del Sacramento Bee: il 40% di loro ha dichiarato che non
commenterebbero più se fossero obbligati a registrarsi con il loro vero nome.
Articolo tradotto dall’originale inglese da Georgia Ertz. Una versione in tedesco è stata pubblicata
inizialmente per il giornale austriaco Der Standard
Photo credits: De Platypus, Flickr
L'imparzialità conta ancora nel
giornalismo online?
I media tradizionali devono adattarsi a Internet o potrebbero perdere il contatto con le loro audience
più giovani. L’accuratezza e l’imparzialità come valori del giornalismo hanno certamente ancora
importanza, ma anche il tono e l’ethos della Rete, insieme ad altri fattori, come una maggiore
trasparenza o l’essere più interattivi e open, sono divenuti a loro volta punti fondamentali.
Il panorama mediatico è mutato radicalmente con l’avvento dell’era digitale e i business model cui
eravamo abituati sono cambiati o diventati obsoleti, mentre nuove piattafome di storytelling
emergono ogni giorno. Il digitale ha cambiato il cuore di quello che fa il giornalismo e, di
conseguenza, si è dovuto fare lo stesso con gli standard editoriali.
In un paper realizzato per il Reuters Institute for the Study of Journalism ho posto
fondamentalmente due domande: quali standard giornalistici sono ancora adatti in questa nuova
epoca e quali di questi formano le basi di un nuovo tipo di giornalismo di cui alcune testate solo
online sono state pioniere?
“Accuracy, Independence and Impartiality: How legacy media and digital natives approach
standards in the digital age”, questo il titolo del mio studio, si concentra sull’analisi di tre testate
tradizionali, il Guardian, il New York Times e la Bbc e su tre digitali BuzzFeed, Quartz e Vice.
Complessivamente, l’outlook finale dello studio è promettente. L’arrivo di Internet ha dato alle
audience accesso più ampio a una vasta gamma di dati, fatti e opinioni e il Nieman Lab ha
pubblicato una buona sintesi dei risultati finali per ogni testata analizzata.
Dal punto di vista della trasparenza, testate native digitali come ProPublica, FiveThirtyEight o Vox
rivelano il modo in cui funzionano per generare fiducia presso i loro lettori. Un sito economico come
Quartz (di proprietà di The Atlantic) ha invece sistemi innovativi che i lettori possono usare per
aggiungere i propri appunti all’interno di un articolo, mentre una testata sportivo-culturale come
Grantland ha saputo dimostrare come un organo mediatico dovrebbe apportare correzioni ai propri
contenuti offrendo ai lettori anche più contesto.
Dal mio studio è emerso complessivamente che i punti di forza editoriali offerti da questa epoca
digitale sono almeno questi:
• L’uso dei link al fine di rafforzare la trasparenza e l’accuratezza
• Maggiori possibilità di contestualizzazione e puntualità per le correzioni
• La possibilità di includere più voci, con il fine di rafforzare il pluralismo
• La trasparenza in aggiunta (e non in sostituzione) dell’imparzialità
Ma esistono anche alcuni rischi:
• La velocità e la viralità possono mettere a rischio l’obiettività e l’accuratezza
• L’assenza di una struttura lineare si traduce nel fatto che i contenuti siano appiattiti. La
distinzione tra diverse tipologie di articoli è difficile per quelle testate votate all’imparzialità
• Il native advertising e il crescente uso di giornalismo PR-driven potrebbero portare le audience a
compiere scelte non correttamente informate
Tra le conclusioni del mio paper vi è l’osservazione che una terza forma di giornalismo sia emersa. Si
tratta di una formula che combina i migliori standard tradizionali con approcci innovativi per
raggiungere i nativi digitali. Questo trend è già stato riconosciuto in precedenza da Emily Bell del
Tow Center for Digital Journalism e dalla firma del Guardian Frederic Filloux in alcuni loro
interventi.
Testate native digitali come Quartz, Vox o ProPublica stanno costituendo una nuova forma di
giornalismo che combina integrità editoriale a un tono e un modo di presentare i contenuti che è
puramente “del Web”. Per le organizzazioni mediatiche tradizionali, si fa quindi sempre più
importante, da questo punto di vista, il ridefinire i propri standard. Senza adattarsi, queste rischiano
di perdere il contatto con le loro audience, le quali sceglieranno tra la vasta offerta presente online.
Per rafforzare la fiducia e l’integrità giornalistica in questa fase, le testate devono quindi dare
priorità ad alcuni aspetti fondamentali: cercare maggiore trasparenza, favorire forme aperte di
giornalismo e trovare una voce “del web”, una voce che potrebbe essere rappresentata meglio
dall’autorevolezza di singoli reporter o firme note e rispettate nel Web. L’era di Internet richiede
anche contenuti che siano altamente condivisibili sui social media, pur restando accurati. I media
dovranno adattare i loro standard abituali per renderli funzionali alle esigenze di un’era ibrida,
affinché questi rafforzino un giornalismo accurato, robusto, ma capace di far proprio il tono e l’ethos
della Rete.
Il report completo è consultabile sul sito del Reuters Institute, qui.
Photo credit: Free Press / Flickr Cc
Il giornalismo sportivo, i mondiali e i
social media
I #Mondiali2014 sul campo stanno per concludersi, ma traccia del loro passaggio rimarrà ben
ancorata nei motori di ricerca per molto tempo ancora. Oltre allo “speciale” servizio informativo di
Google, in Rete non si è mai assistito prima d’ora a una così persistente e costante copertura socialmediatica (via Twitter e altri social network) di un evento sportivo mondiale. Basti per esempio
pensare che solamente durante la fatidica partita dell’Italia con il Costa Rica sono stati postati circa
3,2 milioni di Tweet e la semifinale tra Germania e Brasile è diventato l’evento sportivo più twittato
di sempre.
With 35.6 million Tweets, #BRA v #GER is the most-discussed single sports game ever on
Twitter. #WorldCup pic.twitter.com/pRjssAZmhg
— Twitter Data (@TwitterData) 9 Luglio 2014
Questi numeri ci ricordano ancora una volta di quanto a fondo i social media siano entrati nel nostro
quotidiano, e di come il loro utilizzo – nel bene e nel male – influenzi il modo in cui apprendiamo le
notizie e di conseguenza il modo di lavorare dei giornalisti, soprattutto di quelli che trattano eventi
molto sentiti, come i mondiali di calcio.
La tecnologia dei social media e del Web 2.0 da un lato rende il mestiere del giornalista più facile,
permettendo la raccolta e la verifica di informazioni in tempo reale; da un altro, pone elevate
esigenze perché sono necessarie abilità e competenze tecniche che non tutti i giornalisti della
“vecchia scuola” possono avere. In altre parole, Twitter e i social media sono una banca dati
fenomenale e fondamentale per il lavoro di un giornalista 2.0. Tuttavia, chi non è in grado di
lavorare su più piattaforme (ossia essere “convergente”) e a mantenersi aggiornato, rischia di non
restare al passo.
Questo ambivalente ruolo dei social media emerge in modo preponderante da uno studio di Edward
Kian e Ray Murray della School of Media & Strategic Communications dell’Oklahoma State
University, sull’impatto di Twitter sul lavoro e sulla routine dei giornalisti che si occupano di sport,
pubblicato sulla rivista ufficiale dell’International Symposium on Online Journalism (#ISOJ). Lo
studio ha investigato gli atteggiamenti e le percezioni dei giornalisti sportivi nei confronti dei social
media (Twitter in particolare) e ne ha descritto le esperienze d’uso.
Sebbene sia basato su un campione piuttosto modesto di partecipanti (12 giornalisti sportivi di
quotidiani americani, aventi diffusione superiore alle 30mila copie), lo studio rivela comunque un
interessante rapporto di amore-odio tra loro e Twitter: anche se lo usano per cercare notizie e
postare i propri pezzi pubblicati su carta, si dedicano molto poco all’interazione con i propri follower
e a creare engagement.
Dal punto di vista dei contenuti, i social media sono visti con una certa diffidenza: “Twitter”, dichiara
uno degli intervistati, “ha banalizzato il giornalismo sportivo in nome della necessità di arrivare
prima e subito sulla notizia”. Questo ha anche favorito l’emergere di blog di successo – come
Deadspin, negli Usa – che minano la credibilità del lavoro del giornalista e hanno modificato
completamente il cursus honorum tradizionale della professione nell’ambito sportivo.
Il Web 2.0 quindi è visto con particolare diffidenza, almeno nello studio di Kian e Murray, risultato
che ha stupito i ricercatori stessi. Secondo alcuni degli intervistati, ad esempio, Internet avrebbe
contribuito alla rovina dell’industria dei giornali statunitensi, minando la sicurezza del lavoro del
tradizionale giornalista redazionale. Tuttavia questo ha anche fatto emergere nuove professionalità e
la necessità di essere “giornalisti 2.0”, più flessibili e migliori imprenditori di se stessi, soprattutto
per chi segue eventi sportivi.
Quanto all’apporto di Internet e dei social media sull’idea di breaking news, alcuni partecipanti allo
studio hanno dichiarato come anche arrivare primi su una notizia abbia cambiato significato e,
nonostante la crescente competizione digitale, non sia poi così importante. Un intervistato ha anche
dichiarato come, prima dell’avvento di Internet, i giornalisti avrebbero avuto l’incubo di comprare i
giornali concorrenti e di vedere una notizia non pubblicata dal proprio giornale, mentre adesso “si
viene battuti di 15 minuti, e nessuno se ne accorge davvero”.
Paradossalmente, anche se dallo studio emerge un rapporto che non è dei più felici tra giornalisti
sportivi e strumenti digitali, è bene notare come proprio i reporter sportivi siano spesso tra i
maggiori adopter delle tecnologie digitali. Ne è un ottimo esempio la Espn che, proprio in occasione
del clamoroso 1-7 di Brasile – Germania, ha visto la sua “social media war room” lavorare a pieno
regime, come racconta AdWeek: 15 persone a ritmo serrato, con aggiornamenti su ogni piattaforma
disponibile, Vine e Instagram comprese. Proprio durante la semifinale, l’emittente americana ha
anche registrato il record di like su Facebook per un suo contenuto.
Kian, E. M., & Murray, R. (2014). Curmudgeons but Yet Adapters: Impact of Web 2.0 and Twitter on
Newspaper Sports Journalists’ Jobs, Responsibilities, and Routines. # ISOJ Journal, 4(1): 61-76.
Photo credits: Crystian Cruz / Flickr CC