Vai... - CULIRAPID
Transcript
Vai... - CULIRAPID
Leone Tarozzi Due ruote per la Francia 2009 Agosto 2009 Internet, sito”Evans Cycles“ Offerta per Specialized Globe Centrum, 280 Pounds. Una folgorazione. E’ la bici che cerco da tempo per uso cittadino: cambio al mozzo, freni a disco, pedali tondi per non rovinare le scarpe. E fascino Specialized. Prezzo pari a circa la metà di quello che si trova in Italia. Cè un problema: la vendono a Londra. Non proprio dietro l’angolo. Nessuna spedizione internazionale. Telefono. Non ci sono problemi a fermarla con Carta di Credito. Ma poi bisogna ritirarla sul posto. Internet, sito Ryan Air. Offerta speciale per voli in ottobre e novembre Bologna-Londra 1 euro, tasse incluse. Mmmm. Vado, compro la bici e la spedisco indietro. Già ma come la imballo? No. Vado in aereo senza bagaglio e torno sulla bici. Già meglio. Intanto compro il biglietto. Per un euro si può fare. Male che vada lo butto. Anna, un giorno qualunque davanti al monitor che mostra le… offerte imperdibili. -“La bici da città l’hai già. E ti piace”. “E io non voglio in regalo una bici. Non ho nessuna intenzione di passare le mie giornate con la tensione che mi rubino la una bici nuova parcheggiata in strada”. Non fa una piega -“Smettila con le scuse: spedisci la tua bici e ti fai un giro tornando a casa”. Conclude la concertatrice. Ha detto davvero così? Mah? E’ importante? Forse no. Comunque verso metà agosto ho in tasca il biglietto solo andata per Londra cui aggiungo, qualche giorno dopo, il passaggio per una bici. La mia Basso Viper. Con la fine di agosto lascio scadere l’offerta super per la bici. Inizio una lunga raccolta di scatoloni giganti, gomma piuma, altro materiale da imballo per completare l’impacchettamento del velocipede. Consigli su come imballare, quanto e cosa smontare, come far passare utensili necessari ad un viaggio del genere al controllo aereoportuale. Un leggero portapacchi. Una borsa parzialmente resistente all’acqua. Un paio di borracce e di camere d’aria di riserva. Una cerata. Un cambio di vestiti in grado di asciugarsi in poche ore, insufficienti a farmi scambiare per un ciclista “serio”, ma abbastanza per fornirmi, ogni mattina, un cambio pulito. Più o meno. Per un paio di settimane studio il percorso su Google Earth. Impensabile portarsi dietro cartine sufficientemente dettagliate di mezza europa. E poi viaggiare in sé è l’obiettivo. Devo andare verso sud, ma le strade possono cambiare a seconda di.. come tira il vento (e sarà letteralmente così). Registro alcuni tracciati di massima e scarico le mappe per il mio Garmin portatile. In qualche modo la strada si trova sempre. E l’indefinitezza sarà parte essenziale dell’esperienza. Dieci giorni in cui seguirò l’istinto e i desideri del momento. Senza rispettare orari o impegni. Bene. A fine settembre sono pronto a cominciare. Giorno 1 70 km 3 ore 32 media in moto 19.9 media complessiva 17.8 1 ottobre 2009 Londra-Gravesend All’aereoporto col Nonno Pippo. Agitato, come nelle ultime 48 ore. Molto traffico, ma si arriva. Spedisco la bici e parto io. In orario. A Stansted vedo scaricare il grande scatolone. Lo troverò mezz’ora dopo abbandonato su un nastro per oggetti ingombranti. In un angolo vicino ad un collettore del rusco rimonto la bici e butto cartoni e imballi. Litigo con un inserviente che deve svuotare il collettore. Non ho pazienza e l’agitazione cresce finchè… parto. Vento dietro, le gambe girano bene: iniziare il viaggio e rilassarsi è tutt’uno. Per un po’ di giorni dimenticherò la tensione. A tenere la sinistra ci si abitua subito, ma con le rotonde (infestanti, anche qui) è un altro paio di maniche. Primi 25 km bellissimi: stradine tranquille, poche macchine, cavalli, conigli e scoiattoli. Non incrocio quasi nessuno e il GPS funziona bene a tracciare la rotta. Avvicinandomi a Londra (zona orientale) il traffico aumenta. O forse aumenta perché c’è da attraversare il Tamigi. In effetti sembra un imbuto che porta al ponte Queen Elisabeth per Dartford: è l’unico passaggio sul Tamigi. Difficile capire come attraversarlo in mezzo a svincoli autostradali. Fermo un ciclista dal look “serio” (casco, zainetto e Trek fiammante). Mi spiega come raggiungere lo “shuttle”, navetta di salvataggio per il ciclista. Trattasi di jeep con sostegno posteriore per appendere la bici. Mi porta sull’altra sponda, gratis e incolume dal traffico a 4-5 corsie del ponte. L’autista prova anche una conversazione. Impossibile, non capisco nulla. Ma dove siamo? Non distinguo neppure una parola nello sproloquio dell’autista. Sorrido, vago. Potrebbe essere un sì, un no, forse. Dopo un po’ lui tace: il sorriso funziona fino ad un certo punto. Lasciandomi l’autista autoctono mi indica (rigorosamente a gesti, accompagnati da suoni inintelleggibili) una striscia che dovrebbe essere una ciclabile in grado di portarmi fuori dagli ulteriori svincoli. Procedo. Ci sono anche colline, traffico sempre più intenso delle 17. Alla ricerca di brevi ciclabili imbocco una strada di fianco al Tamigi. Bingo! E’quella dei camion che caricano le navi sul fiume, data l’ora, ormai pressochè vuota. Per il momento sono salvo dal traffico “a rovescio”. Seguendo il Tamigi entro in Gravesend. Cerco un alloggio dalle Sisters of Mercy: di carità ne è rimasta poca, vengo respinto con decisione; forse il completo da ciclista non è indifferente. Mi va meglio alla Guest House Shamrock, tenuta da serbi che mi consentono anche di nascondere la bici in garage; nascondere perché il portone non si chiude, così lego la bici ad una sedia di legno… quasi quasi uso lo spago, il catenone pare fuori luogo. Camera piccola e sulla strada, ma con bagno e colazione abbondante già messa in frigo la sera; sufficiente anche per una cena quasi completa. Infine giro in paese, Kebab, un negozio di bici (quello che offriva la bici per cui avevo ideato questo viaggio). Centro con molti negozi e poco da vdere. Insomma periferia industriale. Entusiasmo ben contenuto, vado a letto presto. Dormo qualche ora nell’impazienza del primo tappone e traghetto per il continente. hotel 28 pounds cibo 2.6 + 5.5 pounds tot 36 pounds o 45 euro Giorno 2 119 km tot 188 6 ore 34 mm 18 mc 16.2 2 ottobre Gravesend-Calais Sveglia alle 4 inglesi (già le 5 per me). Resisto a letto perché temo il buio nelle strade inglesi. Finisco il muesli e parto alle 6.30 che già albeggia… maledizione è vero che non ho regolato l’orologio e fa luce un’ora prima del previsto. Per un’ora poco traffico (è venerdì). Rochester bella col suo castello. Incontro il primo ciclista con borse: accenno un saluto e lui scatta sulla sua Sirrus. Continuo da solo (Sono Pazzi Questi Inglesi). Il traffico intensifica. Le salite anche. Un su e giù continuo. Muovo verso Canterbury lungo il lato orientale dell’isola. Pedalo tra semafori, centri abitati, scolari. Non si prende il ritmo. Sembra di essere sempre in città. C’e’ una sola strada verso la costa e siamo tutti lì. Finisco persino su una superstrada: la corsia d’emergenza è la ciclabile! Pericolosissimo. Ma almeno pedalo costante per10 km. Arrivo a Canterbury alle10.45. Sosta di 1 h 30 per vedere il centro, le mura e la cattedrale. Tutto bello con centro chiuso alle macchine. Molta gente in visita. La piacevole giornata di sole e il clima tiepido tiene il morale alto. Per Dover sarebbero solo 25 km… sulla superstrada. Per evitarla spengo il GPS e seguo qualche cartello che indica il percorso ciclopedonale per Dover (forse è l’inizio della Francigena?). All’inizio sbaglio più volte e mi ritrovo ancora sulla superstrada... anche se assieme a due conigli. Inifine trovo la via ciclabile che con un percorso alternativo di 45 km mi porta a Dover lungo stradini tranquilli e visitati solo da animali (uno scoiattolo mi fa quasi cadere balzando davanti alla ruota). Non ci sono macchine ma il fondo è quasi sterrato, comincio a temere per i copertoncini (che invece mi porteranno non solo fino a casa ma anche per un altro migliaio di chilometri di allenamento autunnale a Bologna). Una cavallerizza ha una maglia con stampata la richiesta di “superarla lentamente”. E’ un altro mondo. Sono a Dover per le 13.20. Cerco le bianche scogliere. Trovo il parco (entrata gratuita in bici) dal quale uscirò stremato 90 minuti dopo. Le bianche scogliere le intuisco più che vederle (le scorgerò poi dalla nave), ci sono salite durissime, sterrate che portano a incantevoli punti panoramici. Il porto è subito sotto, chiedo ad un addetto se posso evitarmi il ritorno in città e scendere direttamente: mi indica un sentierino. Sarà un dramma. Rischiando più volte di precipitare arrivo fino al muro di cinta del porto, in mezzo a cespugli sempre più fitti, scoprendo di dover risalire al punto di partenza. Al secondo tentativo azzecco il sentiero giusto che mi porta al labirinto successivo: i Docks. Il biglietto per Calais lo faccio subito, poi seguo una linea rossa per ciclisti e completo diversi giri “dell’Oca” (alla fine saranno 5 km percorsi tra “scorciatoia e Docks) fino a raggiungere la fila giusta. Dopo 111 km crollo su un divanetto di una nave semivuota e approfittando di un mare liscio come l’olio dormo pure un’oretta. Alle 18, ora del continente, sbarco a Calais. Decido che è tardi e cerco subito il Formula 1. L’idea per i prossimi giorni è di passare da un motel all’altro di questa catena economica e ben diffusa. Per non perdere tempo nella ricerca del riparo notturno. Mi lasciano portare la bici in camera (fattore decisivo). Un Big Mac (Le Grand Royal…) e poi a letto. pranzo 2 pounds merenda 10 pounds traghetto Dover-Calais 14 pounds notte F1 Calais 40 euro cena 11 euro tot 54 euro +26 pounds tot 2 giorni 145 euro Giorno 3 80 km tot 268 5 ore 01 (vento!!) mm 15.9 mc 10.2 3 ottobre Calais-Amiens-Beauvais Brutto tempo! Vento fortissimo da Sud Ovest (la direzione lungo cui dovrei scendere la Normandia) e nubi che più nere non si può. Provo comunque a partire verso Boulogne ma dopo 10 km a 8 km/h cambio idea: troppo forte il vento e la pioggia più che un rischio è una certezza. Così torno alla stazione di Calais senza alcuno sforzo sospinto da un vento che non dà tregua. Sorpresa: il treno per Treport (che sarebbe a 30 km da Dieppe, la meta della giornata) è incerto. Servono infatti tre cambi e nell’ultimo probabilmente non si può neppure caricare la bici. Nuovo cambio di programma e muovo all’interno verso Amiens. Anche qui due treni, ma i 90 minuti di sosta a Boulogne mi consentono una visita alla città vecchia, in alto e fortificata. Dalle mura osservo il fortunale in arrivo lungo la costa. Sceso riparo in Piazza della Resistenza e scatto una foto al n. 6: ma è Boulogne o Bologna? Riprendo il treno per Amiens dove vedo subito svettare il campanile di un’abbazia che si rivela imponente e bellissima. Davvero impressionante per altezza e dimensioni. C’è pure un funerale (di stato a giudicare dalle auto blu presenti). Qualche ciclabile per uscire dalla città poi strade poco trafficate per Bouvais. Il pomeriggio trascorrerebbe tranquillamente: poche macchine, belle strade appena ondulate, campi a perdita d’occhio. Ma il vento si sente anche qui e già tenere i 15km/h è un’impresa. Pale di impianti eolici e casette di legno trasformate in fermate di bus fanno pensare che sia spesso così. Almeno non piove, ma che freddo! Sono costretto a togliere il giubbotto per ridurre la resistenza al vento, abbasso il manubrio e mi avvolgo una cerata attorno al busto. E’ comunque dura. Raggiungo Beauvais verso il tramonto. Il F1 è in mezzo ad un quartiere commerciale; ne approfitto per comprare pile per il GPS e barrette di cereali, la cui scorta è stata depauperata dalla giornata ventosa. Telefono a Frédric, l’amico hockeista parigino che mi aspetta per domani… vento permettendo. L’impatto con la Francia è buono. Le strade della Picardie sono più tranquille di quelle inglesi; e ci sono meno paesi. A Beauvais trovo la più bella ciclabile cittadina che abbia mai visto: dal centro all’università per 3.5km, due metri di larghezza, ben segnata e protetta da paletti o marciapiedi. Rispetto a me tutto ok: ancora nessun dolore particolare. Notte F1 Beauvais 39 Treno Calais-Amien 23 Pranzo 3 Cena 6.5 Pile 11.5 Tot 83 Tot 3 giorni 228 Giorno 4 73 km tot 341 4 ore mm18.5 4 ottobre Beauvais- Parigi Vento diagonale. Più colline, più alberi, dopo la piatta di ieri. Ma soprattutto vento più debole. Riprendo a pedalare quasi normalmente. Niente sole, freddino (sui 15 gradi), ma, ben coperto, non ho problemi. La strada si snoda tra foreste fitte e colline (fino a 230 metri di altezza). Pochissime macchine, ma è anche domenica mattina. Molti ciclisti in allenamento, segno che il percorso piace. L’arrivo sulla Senna a Pontoise è un’emozione. Subito però un’auto suona il clacson più volte per avere strada: mi pare Bologna e vorrei subito mandare a quel paese i parigini. Sono ancora sereno e non reagisco, magari stupito di scorgere pure due bambini sulla macchina strombazzante. Per evitare le superstrade che portano alla metropoli mi perdo per le Banlieu settentrionali, complice anche la mancanza di una cartina (lo schermo del GPS è troppo piccolo per farsi un’idea della zona da attraversare). Finisco in un campo nomadi, poi inseguito da un cane, infine in un mercato delle pulci che devo attraversare bici alla mano. Ma quando arrivo ad Argenteuil spunta il sole sulla Senna. Asnier è lì vicino e trovare la casa di Fréd non è un problema. Il sole porta il morale alle stelle! Fréd e compagna (incinta) sono gentilissimi. Prima approfittiamo di sole e vento e mi lavano tutti i vestiti: non che siano tanti (qualche capo tecnico), ma dopo quattro giorni almeno eliminiamo un po’ di fango e sudore. Poi mi aiutano a cercare la strada per attraversare Parigi l’indomani: un intrico di piste ciclabili che sembra portino però dappertutto, magari in condivisione con qualche bus. Infine mi accompagnano in un piacevole pomeriggio in giro per Parigi, non senza avermi rivestito dato che i miei indumenti sono stesi al sole del loro terrazzo ad asciugare. Da Place de Volges a Les Halles, dal Pompidour all’Arc de Triomphe. Pomeriggio di assoluto relax con un delizioso vino (Brouilly) in un localino di Place de Volges. Col vino anche il mio francese, per ora alquanto stentato, comincia a sciogliersi e riesco persino a discorrere con Alexandra, che di italiano ne mastica pochino. Chissà cosa dico…? Maccheroni per cena (ci volevano!!) e telefonate a casa e ai genitori. Un comodo letto chiude la giornata. carta telefonica 7.5 tot 4 giorni 235 Giorno 5 75 km tot 416 4 ore 07 mm 18.1 mc 15.6 5 ottobre Parigi Auxerre Piove che dio la manda! Per fortuna notte tempo Anna Caterina, ex compagna di scuola, ora cantante lirica parigina d’adozione, risponde al mio sms: appuntamento in mattinata e scusa per non mettersi in bici sotto l’acquazzone. Fréd e Alexandra mi lasciano a casa anche se loro escono alle 8. Studio il percorso per raggiungere casa di AC nella zona nord est e poi gli orari dei treni per il sud: alle 14.20 ne trovo uno ideale da Paris-Bercy. Ma devo comunque attraversare Parigi da nordovest, casa di Fréd, a sudest dove si trova la stazione di Bercy, passando per la zona nordest dove abita AC. Il traffico del lunedì mattina sotto l’acqua non è peggio di quello di Bologna, ma trovo provvidenziali ciclabili larghe e ben protette; e soprattutto continue. Trovo casa di AC: molto bella, vista su un parco e con governante russa che non può che chiamarsi Lijuba, sembra finta tanto è perfetta. Non sono neppure entrato che l’efficientissima Lijuba ha già sistemato tutte le coperture anti acqua su uno stendino fronte-termo, le scarpe in bagno e i miei piedi in comode pantofole di pelo: altra categoria. AC è in gran forma e vorrebbe parlare solo di bici: del mio viaggio, delle sue gite estive in Puglia. Chiede consigli su una bici da viaggio e infine parla un po’ del suo lavoro, tutto sommato la cosa più interessante ancorchè relagato in seconda posizione dietro alle bici in questa giornata un po’ surreale. Pranziamo assieme. Evito i suoi piatti Bio (a base di alghe, semi e altre fantasticherie) e mi dedico a più affidabili maccheroncini al pomodoro fresco. Dopo 45 anni di conoscenza siamo rimasti 3 vecchi compagni (con l’Elena), amici da sempre e per sempre anche se non ti vedi per 15 anni. Ci salutiamo promettendoci di organizzare un viaggio in bici, che non si farà mai. L’amicizia resta, anche con un po’ di fantasia. Volo alla stazione perdendomi per Parigi. Riesco ad arrivare 5’ prima della partenza del treno. Dopo un’ora scendo a Seins e.. esce il sole. Per fortuna!! Dopo 24 oredi chiacchere e amici fatico a ritrovare la dimensione solitaria del viaggiatore. Per non parlare del pedalare che non viene più facile. E il terzo giorno consecutivo di vento contrario non aiuta. Lascio una trafficata statale lungo il fiume Yonne per risalire le boscose colline della Borgogna. Forse il meglio fino ad ora. E pian piano la mente rientra nel viaggio. Le medie sono basse e arrivo alle 18.30 al F1 di Auxerre. E’ un motel di fianco all’autostrada. Fuori il nulla. D’istinto avevo comprato una pizza poco prima. Bello rivedere amici per il mondo. Dopo averne ospitati tanti, tocca a me andare in visita. Dimensione nuova ma interessante. Tornare soli però è dura. Per un po’. notte F1 Auxerre 33 treno Paris-Sens 17 cena 5 tot 55 tot 5 giorni 290 Giorno 6 165km tot 581 9 ore mm 18.5 mc 16.1 1950 mt di ascesa 6 ottobre Auxerre-Dijon Come fare 165 km in bici senza sentirsi morire? Forse pensare di trascorrere una giornata con la bici e, a sera, guardare quanti chilometri sono stati percorsi. Oggi, più o meno, è andata così. Partenza alle 7.10, ancora buio. Mi addentro tra le colline della Borgogna. Boschi, campi, vigne, odore di mosto mi accompagnano. Incontro due daini poco dopo l’alba. Il solito vento da Sud rende tutto più difficile, ma oggi le colline formano un buon riparo. Reperire cibo non è scontato. Entro in un bar di un paesino fatiscente e non hanno nulla… solo un succo d’arancia e un consiglio per un ristorante a 20 chilometri! Ma è troppo presto ed è ancora chiuso. Resisto e trovo una boulangerie più avanti. Solo baguette, dovrà bastare. Lungo il Canal Breton c’è una bella ciclabile; peccato sia sterrata; preferisco risparmiare i copertoncini. Arriverebbe fino a Dijon, ma in effetti anche sulla strada non passa quasi nessuno. Riposo dopo 95 km a Montard dove trovo un supermarket in cui comprare salame e ripararsi dalla pioggia. Mi attardo un po’ più a lungo tra i corridoi semi vuoti nella vana speranza che la pioggia cessi. Almeno anche oggi è caldo, direi sopra i 20 gradi, pure se il sole non si vede. Riparto sotto una pioggerellina fine, fastidiosa ma non bagna. Dopo 10 minuti un cartello mi indica Alise: non è che sia l’Alesia di Asterix? Be’ al centro c’è un monumento a Vercingetorix. Sì, deve essere lei, la collina della battaglia in cui Cesare sconfisse definitivamente i Galli costringendo il giovane capo a consegnare le armi ai (o sui) suoi piedi... O almeno così leggevo sui fumetti di Asterix. Comunque sia una bella salita. Breve se non altro. Comincio a parlare ad alta voce e mi accorgo solo del TGV che corre di fianco alla strada per parecchi chilometri. Dopo 120 km attacco una salita che mi porta a 600 metri esaurendo le ultime energie. Ora piove forte. Mi sdraio in vetta, mangio quanto avanzato della baguette e inizio una lunga discesa che mi porta a Dijon. La città è talmente bella che mi riprendo e passo un’ora a girare e guardare le sue strette vie medioevali e le sue chiese altissime. Rientro, sfinito, al solito F1. Poche energie per la serata. Prima di lasciare il centro di Dijon mi ero rifornito di panini e pasticcini: di uscire per cercare cibo, neppure ci penso. Mangio qualche panino e vado a letto. notte F1 Dijon 37 pranzo 5 cena 7 tot 49 tot 6 giorni 339 Giorno 7 136 km tot 716 7 ore 36 mm 17.8 mc 14.8 vento terribile 7 ottobre Dijon-Macon Questa mattina il fisico mi sorprende. Dopo il tappone di ieri mi aspettavo una giornata difficile, qualche postumo. Invece per le prime 3 ore (senza vento, non ci posso credere) pedalo senza fatica. Nessun problema e col piacere di pedalare e fermarsi per foto o visite ai paesi. Prima i vigneti, una delle zone più belle del viaggio. Poi Beaune col suo antico ospedale per indigenti al centro di una zona chiusa al traffico veicolare (ormai è una costante). Poi Chalon sur Saone, che quasi trascuro finchè da un ponte scorgo un campanile e decido di andare a cercarlo. Scopro la piazzetta più bella del tour: chiusa tra basse casine dalle caratteristiche travi di legno e la facciata della consueta splendida chiesa in fronte ad una moderna fontana. Con tanti piccoli bar i cui tavolini riempono la piazza. Da solo mi accontento di guardare e mandare un MMS ad Anna: ogni giorno a casa ricevono un’immagine della giornata. Verso mezzogiorno si alza l’immancabile vento contrario. Oggi forte più che mai. Soste ogni 30-40 minuti con indolenzimenti diffusi. Pausa più lunga dietro la chiesa di Sennecey. Riparto ma il vento continua e decido di riparare nell’abbazia di Tournus, grande e interessante, anche se meno conosciuta di quella della vicina Cluny. Abbazia enorme, molto semplice, con pochi ornamenti. Mi intrattengo al suo interno. Il vento mi aspetta all’uscita. Mancano ancora 25 km a Macon, quando ricompare la salita. Bene perchè tra gli alberi non c’è vento, anche se la pendenza non scherza. Transito da Chardonay e la pensione del paese mi tenta. Al solito, da solo non ha senso. Proseguo. Nuovi vigneti e cavalli dal fisico possente. Decisamente le colline sono più belle delle valli. Ventissimo fino all’ultimo metro del F1 dove arrivo provato. Così a cena mi concedo il primo ristorante del viaggio. Pago 12 euro all’ingresso e non capisco cosa devo fare: mi riempo due piatti di porcate al buffet (pasta fredda scotta con strani vegetali, i consueti patè francesi, pizza rossa, contorni gialli…) e sto già per andarmene sconsolato quando una bionda cameriera mi chiede di ordinare….dunque tutto sbagliato e mi ritrovo a ricominciare la cena con bisteccone e patate fritte. In conclusione cena pessima, ma certo abbondante. La giornata è stata splendida e vado a letto arrossato dal sole. Peccato questo maledetto vento. Però siamo ancora a 25 gradi e giro in canotta. notte F1 Macon 36 pranzo 5 merenda 3.5 cena 12 tot 56.5 tot 7 giorni 396 Giorno 8 101km tot 818 6 ore 17 mm 18.4 mc 16.1 600 mt di ascesa pioggia!! 8 ottobre Macon-Lyon in bici; Lyon-Chambery-Modane in treno Mi sveglio presto. Ancora non ho deciso che fare. Le previsioni per la giornata sono orrende: si aspettano nubifragi tutto il giorno. Allora, treno? Bici? Alle 6 non piove e quindi….bici! Questa volta la partenza è davvero al buoi pesto. Molto pericoloso perché non vedo buche e sassi. Spero le macchine mi vedano con le mie lucette lampeggianti e giacca gialla. Ma non sono a mio agio. Neanche in viaggio da un quarto d’ora che inizia a piovere e decido subito per cerata, soprascarpe e telo sulla borsa bagaglio. Almeno l’attraversamento di Macon è illuminato dai lampioni cittadini e dopo qualche chilometro per strade piccolissime nel bosco arriva la luce. Fino alle 8 sgocciola senza bagnare. Poi la pioggia aumenta di brutto ed è tempesta fino a Lyon. La prima parte del percorso è molto piacevole tra pascoli e grandi cavalli. Un cane mi insegue per un centinaio di metri. E’ la terza volta e solo una ne ho incocciati tre assieme e sono dovuto scendere dalla bici per difendermi. L’umido fa uscire il mal di schiena e sono costretto a frequenti fermate giustificate da visite a castelli, chiese di cui non memorizzo i nomi dato che ogni paese ne ha una. Dopo 40 km finisco su una strda trafficata anche da camion. Sotto l’acqua non mi arrischio a cercare vie alternative; seguiamo assieme la piena fino a Lyon. E la pioggia cresce di intensità. Quando passa un camion è un’ondata che mi investe e mi sposta. I camionisti sono gli unici a non spostarsi sulla corsia di sinistra per sorpassare, in questo del tutto simili agli autisti italiani. Molto pericolo. Vedo sempre meno. La cerata da barca tiene, le scarpe nel favoloso GoreTex XCR, un po’ meno e dopo 3 ore e mezza cedono di schianto allagandosi. Sono pochi chilometri per Lyon (75) ma così è… poco piacevole. Nonostante tutto ho ancora un’ispirazione: seguo un cartello per una stazioncina locale. Mi riparo qualche minuto studiando gli orari per Modane, che sarebbe l’obiettivo di domani, ma con quest’acqua…. La pioggia modifica i piani: impensabile fare il passo di Mont Cenis di notte (che sognavo come conclusione del mio viaggio), e inutile pedalare fino a Chambery sotto un’acqua del genere (le previsioni parlano di tre giorni di temporali). Opto per un treno Lyon-Modane. Ho un’ora per girare Lyon, senza gusto perché, se possibile, la pioggia cresce ancora di intensità. Cambio ancora idea e prendo al volo un treno fino a Chambery dove dovrò cambiare e aspettare 2 ore la coincidenza per Modane. Intanto sto al caldo (e ne avevo bisogno) e approffittando della poca gente sulla vettura, mi spoglio completamente e metto tutto ad asciugare. Le scarpe prima di tutto, procacciandomi cascate di tovagliolini di carta dai due gabinetti più vicini. Asciutto va decisamente meglio. Posso sostare due ore a Chambery in attesa della coincidenza e, vedendo che la pioggia ha ridotto l’intensità, ne approfitto per girare il centro storico, come al solito chiuso alle macchine, seguendo la fitta rete di ciclabili. Non manco la visita al castello dei Savoia. Città bella ed elegante, Chambery. Riprendo il treno per Modane dove mi reco immediatamente all’ufficio turistico per farmi indicare un hotel economico e chiedere le previsioni meteo. Pare che oggi non sia piovuto quassù. Mi indicano due alberghi e perdo mezz’ora per andare dall’uno all’altro nell’incertezza della scelta. Alla fine ci azzecco e mi accaso in una pensioncina familiare di costo vicino ai 30 euro dei F1 e in cui ottengo pure una cena fatta in casa ottima e abbondante. A sera passeggiata lunghissima. Pure troppo. Dopo gli svincoli autostradali e le aree commerciali dei F1 ne sentivo proprio la mancanza. Il cielo è stellato… chissà magari scampo la pioggia sul Moint Cenis, ultimo ostacolo per rientrare in Italia. notte hotel Modane 36 pranzo 4 merenda 2 cena 13 treno Lyon-Modane 22 tot 90 tot 8 giorni 486 Giorno 9 120 km tot 940 5 ore 41 mm 21.2 mc 18.5 1280 mt di ascesa 2100 Mont Cenis: cima Coppi. 9 ottobre Modane-Torino-Bologna Sveglia alle 6. Ancora non mi rendo conto che è l’ultimo giorno. La mente è tutta per il Mont Cenis da scollinare e, ancor più, per le nubi e la pioggia sempre più vicine. Apro la finestra: nel buio le montagne sono coperte da nuvoloni cupi. Almeno non piove. Ancora. Preparo la mia borsa e già sento rumori al pian terreno. Mi avevano detto che il bar avrebbe aperto dopo le 7, ma alle 6.30 i coniugi gestori dell’albergo sono già al lavoro. Ne approfitto e scendo subito a liberare la bici custodita notte tempo in cantina. Saluti e auguri dai padroni, molto compresi per il mio viaggio. Quasi paterni. Dai loro sguardi danno per scontato che prenderò un diluvio. Scappo. In paese il fornaio è già aperto: tre salate (due divorate sul posto) e l’ultima baguette, di sicurezza. Sento che oggi difficilmente mi fermerò e i 120 km per Torino sono anche un problema fisico con gli oltre 2000 metri del passo di Mont Cenis. Albeggia in fretta e nei primi 25 km non piove e, sorpresa sorpresa, non è tutta salita come paventavo. Quella vera è negli ultimi 10 in cui si sale da 1400 a 2100. Proprio quando arrivo al bivio per lo strappo finale comincia a piovere. Scelgo però di svestirmi e di indossare solo la maglietta: alla fine in salita si suda comunque. Nei primi cinque km vado su regolare, ai 10 km/h, alternando strappi sui pedali per rilassare la schiena che fa ancora male. Sosta al km sei sui seggiolini di una seggiovia ferma. Sono al coperto e ne approfitto per far fuori l’ultimo croissant. Alla ripartenza la pioggia cade più intensa e la fatica si fa sentire con la quota. A due km dalla vetta sono costretto ad indossare la cerata. Sembra ormai fatta, ma superato il limite degli alberi arriva… il vento. Naturalmente contro. Così anche l’ultimo chilometro è sofferto. Persino un cane da pastore che mi trovo all’improvviso a venti centimetri dal polpaccio non mi smuove. Sotto il cappuccio della cerata vedo solo la ruota anteriore. Tolgo gli occhiali, perennemente bagnati, inutili. Il valico coincide con un ristorante dall’originale nome Mont Cenis. Un po’ deludente, ma piove e non ci rimugino troppo: una foto e via di nuovo sempre sotto l’acqua. Davanti un altopiano con un grande lago che appare e scompare tra le nuvole. Sulla sponda opposta l’Italia. Bianche nuvole galleggiano nelle valli sottostanti, ma il tempo parrebbe migliore sul lato italico. Illuso. La discesa, tanto attesa, si dimostra pericolosissima alla prova dei fatti, per via della strda resa sdrucciolevole da pioggia, fango, foglie, Per non parlare dei sassi, portati sulla carreggiata dalla pioggia. E intorno al lago va ancora bene. Alla ex dogana, ora edificio abbandonato, mi fermo, già infreddolito, e indosso tutto quello che ho in borsa: dai sopra scarpe ai sopra guanti, dai panta calza ai panta vento, sopra maglia con maniche lunghe, giacca e cerata. Con cappuccio in assetto da discesa, ovvero talmente stretto sul berretto che la visiera si appoggia sugli occhiali (rimessi per la discesa) consentendo la visione solo della strada in discesa. Ma ci sono trenta km in cui scendere di 1600 metri e va bene così. Tempo di rivestirmi e sono dentro una nuvola. Visibilità 5-6 metri. E quel che vedo non è rassicurante: fango, rivoli d’acqua, rami, qualche frutto schiacciato. Deve aver fatto bufera sta notte. Massima attenzione. Non posso toccare il freno posteriore o la ruota, alleggerita dalla discesa, ma anche resa viscida da fango e acqua (nonché dai 1000 km percorsi da Londra), pattina di brutto. Cerco di non prendere velocità, ma la pendenza mi tiene comunque sui 50 km/h. Raggiungo persino una macchina. Due tre volte mi fermo a riposare braccia e dita e a ritrovare la concentrazione. Vabbè doveva essere il momento più divertente del viaggio e invece diventa la parte epica. Anche se non mancano i colpi di scena divertenti; per esempio quando siamo fermati (io e cinque macchine) da un enorme gregge che occupa tutta la carreggiata. Sembra di essere in Sardegna, ma qui le pecore sono migliaia. Mai viste così tante. Con due pastori e cinque cani. Dopo un quarto d’ora a passo… di pecora, le fanno spostare su un campo a lato. Già ma ora devo superare i cani, esaltati dal loro compito di sospingere le pecore, non vorrei sospingessero anche me… Supero i primi tre cani cercando riparo a lato di un furgoncino. Il van è troppo veloce e resto scoperto proprio davanti al maremmano che mi guarda male. Per fortuna si limita allo sguardo di disapprovazione. L’ultimo cane ha la museruola. Procedo. Piombo su Susa ormai gelato e non mi soffermo, cominciando anzi a pedalare come un forsennato per scaldarmi. Servono dieci km ad oltre i 30 km/h per sentire la voglia di togliersi qualche strato. Smette di piovere, compro un pezzo di crescenta e riparto. Svestito. Finalmente pianure senza vento! Mi sembra di volare oltre i 30 km/h, un piccolo assaggio di quello che avrebbe potuto essere il viaggio senza il vento contrario. Ma, del resto, era poi vento di Sud, quindi caldo. Meglio così. Arrivo a Torino prima del previsto e l’impatto è orribile: dove sono le ciclabili che in tutte le città francesi, grandi o piccole, guidano il ciclista negli ultimi 4-5 chilometri verso il centro? Qui un vialone immenso, tre corsie per lato più una per i posteggi. E il primo cartello che vedo per le bici è un divieto di transito nei viali. Però non possono passare neppure carretti a mano o trainati dai cavalli… Lo fotografo, sono rientrato in Italia. Mi ritrovo davanti alla stazione quasi all’improvviso; non un segnale, non una indicazione. Il GPS mi mostra la bandierina a scacchi… sarà Porta Nuova. Dunque è finita. Mi concedo un attimo di malinconia. Guardo la bici infangata come non mai. Persino la catena cigola ad ogni giro. Ma mi ha portato fino in fondo senza un solo problema. Sono un giorno in anticipo sulla tabella di marcia; con tutta la pioggia era inutile continuare. E’ meglio finire qui. Difficile pensare di chiudere in un luogo più triste e più appropriato di Torino. colazione 3 pranzo 5.5 treno 21 tot29 TOTALE 515 SCHEDA Tipologia di viaggio: in bicicletta, in solitaria Partenza: Londra (Stanstead airport) 1 ottobre Arrivo: Torino (quindi Bologna in treno) 9 ottobre Percorso: Londra - Gravesend, Canterbury, Dover, Calais, Amiens, Beauvaix, Parigi, Sens, Auxerre, Dijon, Macon, Lyon, Chambery, Modane, Mont Cenis, Susa, Torino. Km percorsi: in bici 940 Media giornaliera: 104 km (max 165, min 70) Tratte in treno o nave: Dover - Calais (traghetto 1h30') Calais- Amiens (2h con scalo a Boulogne) Paris-Sens (30') Lyon-Modane (3h con scalo a Chambery) Torino-Bologna (4h) Bici: telaio da corsa Basso con copertoncini (23) e manubrio tipo mountain bike con appendici. Portapacchi leggero fissato sul telaio Bagaglio: Una borsa (40x30) 6 kg, 2 completi da ciclista, 1 tuta, cerata e abbigliamento antiacqua, GPS con percorsi per strade secondarie già registrati, coltellino e chiavi per bici. Alloggi: - 1^ e ultima notte in pensione A Parigi (da un amico) tutte le altre notti in Formule 1 (30-35 per notte) Vitto: colazione a bouffet unico punto fermo, per il resto mangio tutto il giorno tra panini, focacce, cereali, frutta (meno di 10€ al giorno). Suggerimenti Con la bici è utile pianificare l'itinerario di massima scegliendo strade secondarie. Il sito Michelin offre l'opzione “bici”, ma solo per percorsi infeirori ai 200 km (serve pazienza per costruirli). In GB si puo' andare sulle superstrade (sconsigliatissimo) e ci sono molte strade secondarie a traffico quasi nullo. Il fondo è tremendo con sassi e vetri sul margine della carreggiata. In Francia i paesi/città sono molto distanti uno dall'altro (esclusa l’Ile de France-Parigi), facile trovare strade a traffico ridotto. Non amo le ciclabili fuori città (un po' come lo Zoo Safari), preferisco le starde minori che, con traffico ridotto, conducono di paese in paese. L'attraversamento di quasi tutte le città francesi è però facilitato dalla presenza di piste ciclabili chiare e larghe (e rispettate....) studiate per andare da un lato all'altro degli agglomerati urbani passando per il centro. Impressioni sull’Inghilterra Traffico senza mezze misure: o scoiattoli o il caos totale Sulle strade conigli come da noi troviamo gatti Scoiattoli Negozi di cibo da tutto il mondo ovunque Strade tenute malissimo: buche e un tappeto di vetri Ciclabili peggio che in Italia Biciclette bellissime e ciclisti col casco Tempo soleggiato e gradevole Molto bene. Impressioni sulla Francia Ridotta densità abitativa e spazi ampi Centri di città e paesi ben tenuti e solitamente pedonalizzati Lontano dai principali centri urbani traffico modesto Strade mediamente meglio tenute che in Inghilterra e larghe Ciclabili che guidano ingresso e uscita da città grandi e piccole Rispetto per i ciclisti (es.: sorpassi nell’altra corsia) … ma pochi ciclisti Tempo ventoso e nuvoloso… ma è ottobre Benissimo Commenti finali TOT 940 km Media 104 km giorno 51 h e 48 min Media 5 ore e 45 min giorno Treni 106 (4 treni e 1 nave) Notti 253 Cibo 110 Aereo 36 T O T A L E 551 Media 56 euro al giorno Viaggiare Attraversare un paese vedendolo. Questa è stata la novità. In treno non rimane nulla dei luoghi attraversati. In macchina mi stresso ad ogni ingresso in città. In bici ho tempo per assaporare. Anche quando sono stanco. E’ stupefacente di quanti luoghi riesco a ricordare il nome e le sensazioni che mi hanno dato, nonostante il lungo cammino percorso. Ma ognuno di essi è stato conquistato con una lunga marcia, accompagnata da odori, pensieri, prima durante e dopo. Viaggiare in bici mi fa entrare in una dimensione diversa. E nel contempo spostarsi di 100 chilometri al giorno è viaggiare. In più l’orgia di endorfine. La sensazione di benessere che mi ha accompagnato alla fine di ogni giornata. La totale assenza di tensione, se non per pericoli reali come una discesa sotto la pioggia. Persino arrivare al Formula 1, specie di ambulatorio sempre uguale dovunque ti trovi, offre una sensazione di casa e di riparo. Sicurezza del luogo dove dormire e delle sue condizioni tolgono ulteriore ansia. Anche se con essa se ne va un po’ di avventura e di sorpresa. In più nelle aree commerciali manca il dopocena. Ma con tutti quei chilometri quotidiani dove sarei andato la sera? La prima e l’ultima notte trascorse in pensioni dentro le città testimoniano che al massimo avevo voglia di fare due passi. Non so da quanto tempo passavo dieci giorni senza preoccuparmi, senza organizzare, rispettare tempi. Ho fatto sempre quello che mi pareva giusto al momento, assumendo su di me e me solo le conseguenze, positive o negative che fossero. Solo Pro e contro. Fare sempre quello che vuoi è bello. Di solito mi è difficile. Decidere sul momento se visitare quel paese, se fare altri trenta chilometri, se andare a letto presto o se, già sveglio alle cinque di mattina, partire ancora col buio. Non lo sottovaluterei. Certo in gruppo è più divertente, ma soli sono più liberi. Con Anna e le Bimbe sarebbe perfetto, ma verrebbero per tanti giorni? Le visite rompono la quotidiana solitudine e sono ancora più gradite. Anche se poi servono un paio di giorni per ritrovare l’equilibrio solitario. Non ho mai avuto problemi a stare da solo, figuriamoci facendo quello che mi piace. Sforzo Onestamente non pensavo di poter pedalare tanto. Almeno non con tanta facilità. Ero pronto a prove strenue. A resistere a polpacci svuotati o inguine dolorante. Il vento costantemente contrario avrebbe dovuto costituire una barriera difficile da superare. E invece la fatica è andata calando per tutti i 9 giorni. Anche se le gambe erano dure alla fine di ogni tappa (o, talora anche a metà…), la mattina successiva riuscivo a ripartire ancora più forte. E senza strascichi dai giorni precedenti. Bella sensazione sentire che le gambe girano meglio ad ogni tappa e che rispondono davanti ad ogni salita. Sono sempre andato piano, ma i 18-20 km/h di media erano l’obiettivo che mi ero ragionevolmente prefissato all’inizio. Solo la schiena ha dato talora fastidio, per altro ad inizio tappa e in presenza di forte umidità. Sopportabile. Bici Che dire? Adoro la Viper. E’ perfetta. Non ho mai forato nei fuoristrada né nei tappeti di vetri inglesi. Nelle visite ai centri delle città, un giro di pedale è sufficiente a percorrere metri e la visita scorre in assoluto relax. Leggera da portare su e giù dai treni o dentro gli hotel. Ha retto il peso del bagaglio (alla fine una decina di chilogrammi), senza che le ruote si imbarcassero anche saltellando su e giù dai marcia piedi. E poi la scorrevolezza nei tratti in piano o in leggerissima discesa. Le discese le ho fatte tutte senza pedalare e alla fine del viaggio sono decine di chilometri risparmiati. Ancora, la capacità di rispondere in salita. Ecco, qui aggiungerei un paio di moltipliche più leggere, da turista (il 21 attuale è un po’ duro anche con la corona del 34). Comoda la posizione di guida con le appendici imbottite la cui inclinazione cambiavo a seconda del vento. Mai avuto male alla zona inguinale, sia per la sella più imbottita che avevo scelto, sia per la posizione dolcemene inclinata in avanti. Che spettacolo di bici, molta parte del divertimento è dovuta a lei e al risparmio di energie che mi ha consentito. Da rifare? Non so. E’ stato molto bello, ma mi sono mancate Anna e le Bimbe sia per la quotidianità bolognese sia nel viaggio in sé che con loro sarebbe stato ancora più completo. Mi piacerebbe unire le due cose. Magari con meno chilometri e bici veloci per tutti. Intanto mi godo questo viaggio. In futuro vedremo. Cosa è mancato Forse una macchina fotografica più completa (ho sempre usato il telefono). Ma la Nikon dopo qualche acquazzone sarebbe stata da buttare. E in fondo le foto del telefono si sono poi rivelate abbastanza piene di dettagli da poter essere migliorate al computer.