L`Università e la rigenerazione della Fiera

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L`Università e la rigenerazione della Fiera
N. 1 – gennaio/aprile 2016
L’Università e la rigenerazione della Fiera
di Fabrizio Dughiero
Pro Rettore al Trasferimento Tecnologico
e ai Rapporti con le Imprese
La trasformazione da Università di tipo humboldtiano ad Università nel e per il territorio sul
modello delle Research University americane, che fanno della ricerca di base l’asse strategico sia in
termini di “exploration”, ma anche, e talvolta primariamente, in termini di “exploitation” ovvero
della valorizzazione all’esterno delle conoscenze create e delle competenze formate (cfr. Riccardo
Varaldo - “La nuova partita dell’innovazione”), passa attraverso un percorso in cui si possono
riconoscere almeno tre fasi distinte:

la consapevolezza che il trasferimento tecnologico e di conoscenza al tessuto
imprenditoriale, culturale e del welfare, del territorio è ormai una necessità; le università devono
sempre più farsi percepire dal cittadino come parte fondamentale del territorio e un valore
aggiunto per lo stesso;

La volontà di trasformare in azione tale consapevolezza mediante la commercializzazione
dei prodotti della ricerca in modalità diverse quali le collaborazioni con le aziende del territorio, il
licensing di brevetti, ma anche lo stimolo a creare startup innovative o spin-­ off;

l’Università diventa punto di riferimento per il mondo dell’innovazione (di prodotto, di
servizio, di business model, e in tutti i settori) e della ricerca applicata.
Riteniamo che il nostro Ateneo patavino debba accelerare tale processo di trasformazione
per arrivare presto a ricoprire un ruolo proattivo e di stimolo e affinché Padova (intendendo Padova
punto focale di un’area metropolitana più vasta, con Verona, Vicenza, Treviso, Venezia, Belluno e
Rovigo e con tutte le loro Università, comprese quelle delle Regioni limitrofe) e la sua Università
diventino punto di riferimento per l’innovazione e la R&D per le piccole, medie e grandi imprese
del nostro territorio.
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N. 1 – gennaio/aprile 2016
Non vogliamo assolutamente allinearci immediatamente ai modelli con i quali è difficile
competere, anche per il contesto economico e culturale completamente diversi, come MIT,
Oxford o la stessa Università della California, ma la lettura dell’ultimo report annuale sulla ricerca
proprio di quest’ultima università è importante per comprendere come la Terza missione sia
concepita in una Università moderna.
“Research results — spurring the economy1
The immediate economic benefit of UC's research enterprise to the state of California is
significant, because the research activity itself brings money into the state, and this stimulates the
economy when it is spent.
A recent study of UC's economic impact determined that for every dollar spent by UC,
the state's economy increases by $2.10.
The $4.1 billion spent by UC on research multiplies to nearly $9 billion in statewide
economic activity, adding jobs and promoting economic growth statewide.
Research frequently leads to innovative technologies and processes that can enhance
industries, stimulate economies and even improve health and well-­­being worldwide. UC's
technology transfer offices serve as a bridge between researchers and outside entities interested
in developing and commercializing the results of academic research.”
La sottolineatura nella citazione è voluta e mette in evidenza come il trasferimento
tecnologico sia economicamente conveniente e soprattutto non sia solo prerogativa delle aree
scientifiche e tecnologiche, ma diventa fondamentale anche nella medicina e nelle scienze della
vita, nella salute e nel benessere culturale e sociale in genere.
Voglio riportare un passaggio di un nostro collega, “cervello in fuga”, Enrico Moretti che
insegna economia all’Università di Berkeley in California, nel suo libro, ormai famoso, “La nuova
geografia del lavoro”2:
“Le industrie dell’innovazione portano alle città in cui si concentrano, buoni posti di lavoro,
non solo direttamente nel settore dell’innovazione, ma anche indirettamente in altri settori,
specialmente nei servizi locali, e così incidono sull’economia locale molto più in profondità di
quanto risulti dal loro effetto immediato.
La ragione è che attrarre in una città uno scienziato o un ingegnere informatico significa
innescare un effetto moltiplicatore che va ad aumentare i posti di lavoro e i salari di chi fornisce
servizi locali.
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http://accountability.universityofcalifornia.edu/index/chapter/10
Enrico Moretti: “La Nuova Geografia del Lavoro” – Mondadori – Aprile 2014
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Specificamente, la mia ricerca dimostra che per ogni nuovo posto di lavoro ad alto
contenuto tecnologico creatosi in una città vengono a prodursi cinque nuovi posti, frutto
indiretto del settore hi-­­tech di quella città; e si tratta sia di occupazioni professionalmente
qualificate (avvocati, insegnanti, infermieri) sia di occupazioni non qualificate (camerieri,
parrucchieri, carpentieri).”
L’Università deve fungere da catalizzatore per il territorio di iniziative di trasferimento e
“ibridazione” di conoscenza e tecnologia mediante la creazione di veri e propri hub fisici
dell’innovazione dove Università, startup tecnologiche, ricercatori, studenti e imprese convivano e
lavorino insieme.
Citiamo un passo dell’introduzione del libro “La nuova partita dell’innovazione”3 di Riccardo
Varaldo della Scuola Superiore di Sant’Anna di Pisa:
“Il tipico modello di innovation hub di eccellenza è quello che genera e sostiene dal suo
interno un vitale e dinamico flusso di idee innovative, progetti imprenditoriali e start-­­up
tecnologiche per arricchire e rendere dinamico e competitivo l’ecosistema locale dell’industria e
dei servizi avanzati. E questo sapendo esercitare una forza attrattiva verso l’esterno di talenti
imprenditoriali, industrie innovative, servizi avanzati e capitali.”
Nell’ultima parte della citazione ritroviamo un altro concetto fondamentale. Gli hub
dell’innovazione e della ricerca e le città che li ospitano diventano poli di attrazione per personale
qualificato da tutto il mondo.
L’unico modo quindi per arginare il fenomeno dei “cervelli in fuga”, che di per sé non è un
fenomeno in assoluto negativo, è quello di creare le condizioni perché tali cervelli possano
ritornare, rientrare.
Ma per andare in questa direzione, per attrarre i talenti che hanno preso il volo verso mete
più attraenti, non bastano le leggi, non basta solo il clima e il Belpaese, servono azioni e iniziative
che facciano loro venire la voglia di tornare perché anche qui possono trovare quello che
cercavano quando sono partiti.
“Nei prossimi decenni la competizione globale sarà incentrata sulla capacità di attrarre
capitale umano e imprese innovativi. L’agglomerazione delle industrie nuove e del capitale umano
sarà sempre più marcata. Il numero e la forza degli hub dell’innovazione (e ricerca, aggiungo io) di
un paese ne decreteranno la fortuna o il declino.”4
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Riccardo Varaldo: “La nuova partita dell’innovazione” – Il Mulino -­­‑ 2014
Enrico Moretti: “La Nuova Geografia del Lavoro” – Mondadori – Aprile 2014
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N. 1 – gennaio/aprile 2016
La nostra Università è chiamata ad assumere un ruolo importante per la rinascita del nostro
territorio, facendosi promotrice di iniziative volte a creare un humus favorevole per far diventare
Padova “la città dell’innovazione”, per creare quell’hub dell’innovazione che funga da punto di
incontro tra ricerca e impresa e polo di attrazione per i talenti di tutto il mondo.
L’obiettivo principale è far diventare Padova un Hub dell’innovazione per tutto il Triveneto.
In questi mesi ho incontrato moltissimi rappresentanti delle associazioni di categoria,
rappresentanti delle istituzioni, colleghi delle Università venete, imprenditori, ho visitato strutture
private di ricerca in Italia e all’estero, parchi scientifici, incubatori, acceleratori etc.
Ho trovato un humus molto favorevole ad iniziative di collaborazione nell’ambito
dell’innovazione
tecnologica,
lo
sviluppo
di
startup
innovative,
il
supporto
all’internazionalizzazione delle imprese.
E’ ricorrente in tutte le persone chiave a capo di queste associazioni ed enti istituzionali
l’idea di costruire un centro di servizi alle imprese che coinvolga in primis l’Università e, se pur
individuato nella città di Padova e nella zona che ormai viene riconosciuta come la “soft city” di
Padova, funga da hub per analoghe iniziative già presenti nella nostra città e nei territori, città e
regioni limitrofe.
Il progetto, che rimane ancora con l’identità di idea, ma che giorno dopo giorno si sta
configurando sempre più con contorni ben definiti, è quello di creare uno spazio comune a libero
accesso per le imprese, gli studenti, i ricercatori e i dottorandi dentro al quale costruire ex novo o
far confluire strutture già esistenti come FabLab, spazi di coworking, incubatori di spin-­­off e
startup, acceleratori di imprese, laboratori per lo sviluppo di progetti comuni tra ricercatori e
imprese, sale convegni, spazi espositivi permanenti e/o temporanei per le imprese e le università,
etc.
Tali spazi saranno dedicati non solo alle attività di Tech Transfer classiche, derivanti dalle
applicazioni dell’ingegneria, ma anche alle attività di life science, della biomedicina, dei servizi
culturali, dei servizi turistici etc.
Soprattutto questi spazi e le persone che li popoleranno diventeranno il “think tank” e il
centro di sviluppo delle nuove tendenze, dei trend globali (IoT, Big Data, Nanomateriali, nuovi
materiali, mobilità sostenibile, ambiente ed energia, telemedicina, nuovi farmaci) che saranno alla
base della ricerca ma anche dei mercati dei prossimi anni.
Il “multilinguismo”, ovvero la coesistenza negli stessi luoghi di persone che arrivano da
mondi diversi (in termini geografici, ma soprattutto in termini di cultura e lavoro) è la condizione
necessaria per far nascere e crescere idee “disruptive”, quelle che portano veramente nuovi
mercati e nuove prospettive, con crescite a due cifre.
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Il progetto ha bisogno di un contenitore fisico, che sia localizzato in una posizione
baricentrica rispetto alle vie di comunicazione, all’Università, alle imprese e alle associazioni di
categoria.
Si sta sempre più delineando l’ipotesi della fiera di Padova, che notoriamente in crisi di
identità da qualche anno, potrebbe trovare in questa iniziativa nuova linfa vitale per crescere con
obiettivi diversi, ma importanti.
L’Università in questa iniziativa non solo dovrà esserci, e questo è stato il “leit motiv” di tutti
i nostri interlocutori, ma vuole esserci e dovrà avere un ruolo di protagonista, insieme agli altri
attori, al tavolo di discussione nelle diverse fasi di progettazione e realizzazione dell’idea.
Alla nostra Università vengono richieste soprattutto competenze, disponibilità e idee. Il
capitale umano, le risorse strumentali e umane legate ai laboratori e ricercatori, la grande capacità
dei nostri imprenditori, la collocazione geografica, la vocazione culturale e artistica del nostro
territorio completano il quadro che sembra dipinto per la comunità patavina e per il periodo che
tale comunità sta attraversando.
Se sapremo progettare e agire insieme, lasciando da parte individualismi e campanili ma
piuttosto lavorando per il bene comune con lo sguardo rivolto soprattutto alle future generazioni,
sono convinto che realizzeremo un grande progetto che porterà Padova e la sua Fiera a competere
con i migliori centri di innovazione d’Europa realizzando benessere e soprattutto creando nuovi e
qualificati posti di lavoro.
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