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n° 365 - giugno 2014
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Divino, diabolico,
inafferrabile: il gatto
Il complesso e contraddittorio rapporto tra l’uomo e il più piccolo
dei felini e i pregiudizi che, nei secoli, l’arte ha contribuito a sfatare
sopra Momenti di vita felina, bestiario - Oxford, Bodleian Library
a lato Statua egizia rappresentante la dea Bastet - Parigi, Louvre
Nel corso della storia gli animali sono
sempre stati sotto attenta osservazione e, quando scolpiti, intagliati o
disegnati, anche tra i soggetti maggiormente raffigurati. Creature da
temere o da cacciare, esprimevano
una forza misteriosa divisa fra l’utile
e il sacro. Inizialmente, la realtà riprodotta aveva esclusivi fini religiosi
e tali creature, entrando spesso a far
parte dei riti propiziatori, diventavano un soggetto privilegiato. Da
sempre, perciò, gli animali costituiscono uno stimolo per la creatività,
e anzi si possono considerare un punto
di partenza per l’arte e quindi per la
sua storia.
Il gatto non è tra i primi animali che
l’uomo abbia raffigurato. Anche se
la prima traccia del piccolo felino risale a circa novemila anni fa, sembra
che il suo addomesticamento sia
avvenuto da non più di tre-quattromila anni. Pur trovando le sue impronte nelle varie forme artistiche di
tutte le epoche, in misura e frequenza
comunque inferiori rispetto ad altri
animali, il rapporto con l’uomo è com-
plesso e contraddittorio.
Grazie alla divinizzazione da parte
degli egizi (la dea Bastet ha l’aspetto
di un gatto) il felino fa il suo ingresso
nella storia dell’arte; ovviamente per
la sacralità delle raffigurazioni si privilegiano atteggiamenti ieratici e celebrativi, e solo successivamente sarà
riprodotto con maggior realismo. I
Greci, invece, non avendo una gran
considerazione del gatto, preferiscono
rappresentare felini di dimensioni
più imponenti che sentono maggiormente vicine alle loro divinità. Mentre nella Roma Imperiale, in virtù
del suo carattere indipendente e predatorio, il gatto è raffigurato su scudi
e stendardi, oltre a essere considerato
un apprezzato cacciatore di topi. Nel
Medioevo, l’uomo diffida del suo atteggiamento misterioso e lo vede avvolto da un’aura demoniaca. La Chiesa
stabilisce la divisione tra bene e male
che coinvolge qualsiasi essere terreno
e tra gli animali gatti, lupi e serpenti
finiscono inderogabilmente nel regno del Maligno. Bestiari dell’epoca
attribuiscono al gatto facoltà di ne-
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dall’alto a sinistra in senso orario
Albrecht Durer: Adamo ed Eva
Los Angeles County Museum of Art
Jacopo Bassano: Ultima cena - Roma, Galleria Borghese
Francisco Goya: Don Manuel Osorio Manrique
de Zuniga - Metropolitan Museum of Art
Dosso Dossi: Sacra Famiglia con San Giovannino, un
gatto e due donatori - Philadelphia, Museum of Art
Lorenzo Lotto: Annunciazione - Recanati, Museo civico
Villa Colloredo Mels
gromante e stregone: vede nel buio
ed è attivo di notte, momento della
giornata nel quale ogni “buon cristiano deve dormire” e chi non dorme
è sicuramente indaffarato in attività
malefiche. Perciò, è facile comprendere come la sua immagine cada sempre più in basso fino a precipitare nel
calderone degli eretici, finendo col
subire vere e proprie persecuzioni.
Bisogna aspettare la fine del Medioevo
per veder risalire la reputazione del
gatto e probabilmente “ringraziare”
la peste nera del 1346: è in quel momento, infatti, che si apprezza il
valore dei gatti nella caccia ai topi,
determinanti nella diffusione del
morbo.
Nel Rinascimento, Leonardo definisce il gatto “un capolavoro” e lo stu-
dia con metodo, disegnandolo nei
suoi atteggiamenti tipici, mentre
la sua presenza nelle raffigurazioni è
sempre più frequente sia con valore
positivo che negativo. La fama di traditore e maligno, infatti, anche se con
toni più sfumati, non l’abbandonerà
mai e nell’iconografia si alternerà all’altra creatura, quella elegante e domestica.
In queste valenze è frequente nelle
figurazioni di episodi biblici, dall’affiancare Adamo ed Eva nel Paradiso,
in probabile associazione col serpente
nella tentazione (Albrecht Dürer),
all’apparire in scene di un vita quotidiana. Accucciato vicino a Giuda
come emblema di tradimento (Jacopo Bassano), oppure accanto alla
Vergine nel momento dell’Annun-
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Édouard Manet: Olympia (part. con il gatto)
Parigi, Musée d’Orsay
Auguste Renoir: Julie Manet o la bambina con il
gatto - Parigi, Musée d’Orsay
ciazione (Lorenzo Lotto) o ancora, in
compagnia del Bambino (Giulio Romano) e nelle immagini della Sacra
Famiglia (Dosso Dossi).
Nel XVII secolo il felino appare sempre più spesso in scene di vita quotidiana (Le Nain, Jordaens, Velasquez),
anche se non proprio “celebrato” dagli artisti: fino al Settecento, infatti,
rappresenta generalmente un elemento decorativo o simbolico.
Sono i romantici che, nella ricerca di
un passato medievale e alla scoperta
delle meraviglie della natura, offrono
al gatto un posto di maggior rilievo,
spalancando le porte al suo ingresso
in scena. Pur restando nell’immaginario collettivo una creatura di cui
diffidare, furba, ladra, egoista, e profondamente indifferente, la sua presenza sulle tele assume un aspetto di
altro spessore: ecco così che Goya dispone tre attenti e infidi gatti alle
spalle del piccolo Don Manuel Osorio De Zuniga a insidiare la gazza con
cui è intento a giocare; figure, non
più simboliche, rappresentate nella
loro naturalità istintiva.
Nel configurarsi come un animale
della notte, il gatto è da sempre collegato all’universo femminile, e in
particolare al lato oscuro, notturno e
misterioso della vita. Inoltre, la passionalità intensa che caratterizza la
sua vita amorosa ha fornito buoni
spunti per gli artisti che spesso lo
hanno accostato alla sensualità delle
modelle. Non è casuale, quindi, la
presenza di un gatto ai piedi di Olympia di Manet o quella di altrettanti
felini accanto a nudi femminili come
nelle tele di Vallotton, Bonnard o
Balthus. I gatti accompagnano la sensualità delle donne oppure, al contrario, ne esaltano il candore, allungandosi pacifici tra le loro braccia
come accade a quelli di Renoir, che
languidamente si lasciano coccolare.
Il felino si è liberato dal pregiudizio e si coglie una sensibilità diversa,
più attenta e delicata. Théophile Alexandre Steinlein, autore della celebre insegna del famoso cabaret di
Montmartre, Chat Noir, è chiamato
“l’uomo dei centomila gatti” perché
li protegge, e li dipinge come sono
nel quotidiano. Quelli di Gauguin,
invece, si muovono indifferenti tra
le figure rese immobili dal peso dei
pensieri esistenziali. Paul Klee, nell’intento di rendere visibili le visioni
segrete, ne raffigura uno con un uccellino sulla fronte, ma non è il pennuto reale che raffigura, bensì quello
che sta nella mente del gatto. Franz
Marc, il “pittore degli animali”, ricerca la purezza nella loro grazia e li
dipinge blu, gialli, rossi, sereni e sognanti. Picasso, invece, vede il felino
come è sempre pronto a passare dallo
stato di carezzevole quiete a quello
selvatico e crudele. Il gatto è una presenza privilegiata nelle opere di Balthus, in lui il pittore francese arriva
Felix Vallotton: donna accovacciata
Collezione privata
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Paul Klee: Gatto e uccello - New York, Museum of
Modern Art
a identificarsi per appropriarsi del
suo modo di essere e del suo istinto
di libertà (Il Re dei gatti) fino a rappresentare se stesso con le sembianze
di gatto (Le chat de la Méditerranée).
E nemmeno Andy Warhol sfugge
al loro fascino quando, oltre a ritrarli,
pubblica un libro interamente dedicato a loro (Venticinque gatti di nome
Sam e uno di nome Blue Pussy).
Il piccolo felino ha rivestito svariati
Pablo Picasso: Gatto che uccide un uccello
Parigi, Musée Picasso
e contraddittori ruoli nella storia vissuta accanto all’uomo. Immaginato
come una divinità o come essere demoniaco è divenuto oggi, anche grazie alla sensibilità degli artisti che ne
hanno esaltato le caratteristiche positive, un apprezzato animale da compagnia, anche se la sua indipendenza
e inafferrabilità non hanno mai cancellato l’antico alone di mistero.
francesca bardi
Balthus: Le chat de la Méditerranée
Collezione privata