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Linguistica applicata PA R T E D O D I C E S I M A CONCLUSIONE: LINGUA E IDENTITÀ Lingua e identità Negli studi sull’identità, l’identità non è intesa strettamente come identità individuale, ma è in genere connessa a un gruppo (nazione, città, razza, etnia, genere, orientamento sessuale, religione, setta, scuola, club, azienda, professione, classe sociale). Le identità di gruppo sono più astratte di quelle individuali, nel senso che esse non esistono senza gli individui che le incarnano, e trovano di solito la loro manifestazione più concreta incarnandosi in un individuo simbolico o tipico. Lingua e identità Anche se le identità di gruppo (soprattutto quelle etniche) sono astrazioni fondate su divisioni arbitrarie tra popoli, e in questo senso non sono ‘reali’, il fatto stesso che, una volta stabilite, esse esistono come rappresentazioni mentali del gruppo le rende reali e direttamente osservabili e studiabili. Lingua e identità La sociolinguistica contemporanea considera l’identità come qualcosa di costruito (constructed) e non proprio dell’essenza dell’individuo (essential), e come qualcosa che viene interpretato (performed) piuttosto che posseduto – caratteristiche che il termine identità tende a mascherare, suggerendo al contrario qualcosa di oggettivo e reificato. Ciascuno di noi interpreta un repertorio di identità che cambiano costantemente, e che vengono negoziate e rinegoziate a seconda delle circostanze. Lingua e identità In altre parole, la sociolinguistica contemporanea non accetta una visione essenzialista dell’identità: “Critics have charged researchers of identity with essentialism, a theoretical position that maintains that those who occupy an identity category (such as women, Asians, the working class) are both fundamentally similar to one another and fundamentally different from members of other groups. Essentialism takes as its starting point that these groupings are inevitable and natural, and that they are separated from one another by sharp boundaries.” (Bucholtz & Hall) Lingua e identità “much work within variationist sociolinguistics assumes not only that language use is distinctive at some level but that such practices are reflective, not constitutive, of social identities. Correlational perspectives on language often emphasize the distinctiveness of group patterns at the expense of variation across individuals within the group, or even variation within a single individual. But identity inheres in actions, not in people. As the product of situated social action, identities may shift and recombine to meet new circumstances. This dynamic perspective contrasts with the traditional view of identities as unitary and enduring psychological states or social categories.” (Bucholtz & Hall) Identità sociale: una definizione Tajfel (1978: 63): “that part of an individual’s self-concept which derives from his knowledge of his membership of a social group (or groups) together with the value and emotional significance attached to that membership.” Identità sociale: una definizione 4 punti essenziali nella definizione di Tajfel: (1) l’identità sociale riguarda l’individuo più che il gruppo sociale; (2) l’identità è una questione di autoconcettualizzazione (self-concept), piuttosto che di categorie sociali predeterminate a cui un singolo si trova ad appartenere; Identità sociale: una definizione (3) quello che conta davvero è il valore che il singolo attribuisce alla propria appartenenza a un gruppo (un fattore completamente soggettivo); (4) il significato emotivo dell’appartenenza a un’identità sociale non è uguale per tutti coloro che vi appartengono. Eteroglossia e polifonia Due concetti essenziali degli studi su lingua e identità sono quelli di eteroglossia e di polifonia. Con eteroglossia si fa riferimento alla tensione tra due varietà che appartengono al repertorio (ad es. lingua ufficiale e dialetto). Con polifonia ci si riferisce all’uso, nello stesso enunciato/atto comunicativo, di due varietà diverse. Indessicalità diretta e indiretta L’indessicalità diretta (E. Ochs) è una relazione di significato che lega direttamente l’uso della lingua a un dato atto/attività/atteggiamento/relazione di potere. Ad esempio, in inglese l’uso di forme sintattiche come gli imperativi è direttamente indessicale rispetto a una relazione di potere. In altre parole, l’imperativo è associato a contesti in cui il parlante ha il potere di obbligare l’ascoltatore a compiere l’azione denotata dall’imperativo. Indessicalità diretta e indiretta L’indessicalità indiretta (E. Ochs) emerge quando la relazione sociale (ad es. la relazione di potere nel caso degli imperativi) è a sua volta legata a una categoria identitaria. Il fatto che gli imperativi siano più utilizzati dagli uomini che dalle donne potrebbe portarci a dire, ad esempio, che gli imperativi sono indessicali rispetto alla categoria identitaria della mascolinità. In realtà è più corretto dire che l’uso degli imperativi è indirettamente indessicale rispetto alla mascolinità, semplicemente perché è direttamente indessicale rispetto al potere, e il potere è detenuto dagli uomini. Indessicalità diretta e indiretta: esempi concreti Il termine“dude” nell’inglese americano è utilizzato molto frequentemente dai giovani bianchi per rivolgersi ai loro pari, ed è direttamente indessicale di una relazione di solidarietà semplice (“a friendly, but crucially not intimate, relationship with the addressee”). Dato che questa relazione di solidarietà semplice lega tra loro i giovani bianchi più che altri gruppi, dude è indirettamente indessicale rispetto alle categorie identitarie “giovane”, “bianco”, “maschio”. Indessicalità diretta e indiretta: esempi concreti In molti casi, per valutare l’indessicalità di un uso linguistico, è necessario prendere in esame un contesto più ampio. Se una donna americana utilizza un imperativo (ad es. “put on your coat”, rivolto al marito che esce di casa), possiamo dire che l’imperativo è indessicale di una relazione di potere. Però, il fatto che una risposta frequente all’uso di questo tipo di imperativi delle donne da parte degli uomini sia “yes, mother!” mostra che la relazione sociale rispetto alla quale l’imperativo delle donne è indirettamente indessicale non è genericamente una relazione di potere, ma una relazione di potere connessa alla maternità, all’interno della quale è frequente che le donne utilizzino imperativi. Indessicalità diretta e indiretta: esempi concreti L’uso degli imperativi da parte degli uomini, invece, è indessicale rispetto a una relazione di potere tout court: è molto improbabile – o comunque meno frequente – che a un uomo che dice “put on your coat!” a un’altra persona si risponda con “yes, father!” o “yes, dad!”. Questo significa che la categoria identitaria paternità, almeno in questo caso, non è direttamente rilevante ma ricade in una più ampia relazione di potere. Indessicalità diretta e indiretta: esempi concreti I modi di utilizzare forme linguistiche come strutture dotate di proprietà indessicali possono essere anche piuttosto complessi, e non essere direttamente legati all’identità dei parlanti. In uno studio basato su una conversazione tra due americani bianchi S. Kiesling ha notato che il parlato dei due interlocutori conteneva molte forme proprie dell’African American Vernacular English (AAVE), come conseguenza del fatto che essi parlavano di basket ed erano entrati in competizione su chi dei due avesse una migliore conoscenza del mondo del basket. Il fatto che utilizzassero delle forme proprie dell’AAVE non è indessicale rispetto al loro essere neri, ovviamente, ma rispetto al loro essere esperti di basket. Interpretare linguisticamente l’identità di esperto di basket implica interpretare l’identità di nero. Perché si interpreta un’identità? Il modello delle tactics of intersubjectivity (Bucholtz & Hall): “Tactics of intersubjectivity are the relations that are created through identity work. We have chosen the term tactics … to invoke the local, situated, and often improvised quality of the everyday practices through which individuals, though restricted in their freedom to act by externally imposed constraints, accomplish their social goals. Our second term, intersubjectivity, is meant to highlight the place of … interactional negotiation in the formation of identity.” Perché si interpreta un’identità? Tre “coppie” di tattiche: (1) adequation and distinction (2) authentication and denaturalization (3) authorization and illegitimation. “Each of these tactics foregrounds a different use to which identity may be put: the establishment of relations of similarity and difference, of genuineness and artifice, and of legitimacy and disempowerment vis-à-vis some reference group or individual.” Perché si interpreta un’identità? “These relations may operate singly or in tandem within particular semiotic processes. Moreover, given the frequent ambiguity and indeterminacy of interaction, the same linguistic act may be understood by speaker, hearer, or other participants as motivated by different tactics, and the tactical outcome may be negotiated by all those involved rather than established in advance.” Adequation “adequation involves the pursuit of socially recognized sameness. In this relation, potentially salient differences are set aside in favor of perceived or asserted similarities that are taken to be more situationally relevant.” Esempio concreto: uso di termini e tratti propri dell’AAVE da parte di parlanti di varia estrazione (non necessariamente afroamericani) in un forum radiofonico studiato da Bucholtz e andato in onda in occasione della rivolta di Los Angeles contro il Los Angeles Police Dept. nel 1991, in seguito al pestaggio del tassista afroamericano Rodney King da parte di agenti di polizia bianchi. Distinction “distinction is the mechanism whereby salient difference is produced. Distinction is therefore the converse of adequation, in that in this relation difference is underscored rather than erased.” Obiettivo delle tattiche di distinction è spesso la preservazione della propria identità rispetto a un’identità dominante. In Corsica, malgrado l’ampio, quasi totale bilinguismo (corsofrancese) e l’ampiezza del fenomeno del code-mixing, i corsi accentuano ideologicamente la purezza della propria lingua come reazione al predominio del francese. Adequation and distinction Normalmente le due tattiche agiscono su opposizioni binarie (“NOI” VS. “LORO”). Tuttavia non è infrequente il caso in cui un gruppo si adegui ad altri gruppi o si differenzi da altri gruppi sulla base di opposizioni non binarie. E’ il caso degli adolescenti dominicani immigrati negli USA, che appartengono al gruppo dei neri a livello di fenotipo, al gruppo ispano-americano dal punto di vista linguistico, e al gruppo anglofono rispetto ai loro parenti immigrati di prima generazione. A seconda delle circostanze, un adolescente dominicano accentuerà o mitigherà tratti della propria identità di gruppo a seconda delle circostanze comunicative. Authentication I processi di autenticazione si riscontrano spesso nei fenomeni di nazionalismo etnolinguistico. In questi casi, una élite ben individuabile “riscrive” la storia linguistica del proprio gruppo allo scopo di fare di una varietà linguistica uno standard o una lingua nazionale. Denaturalization “Much less frequently discussed, but no less frequent in occurrence, is the process whereby identities come to be severed from or separated from claims to “realness,” a process we term denaturalization because it often tends to highlight the artificiality and non-essentialism of identity.” Esempio: le drag queens afro-americane del Texas, studiate da Barrett, che si vestono e parlano come donne europee ricche, ma utilizzano tratti “stilizzati” ed “esagerati” del ‘women’ s language’, dell’AAVE, e della lingua degli omosessuali proprio per mettere in luce l’artificiosità delle ideologie legate alla sessualità, alla razza e alla classe sociale attraverso un clash fra identità tra loro incompatibili. Authorization “Authorization may involve invoking language in ways recognized by the state… The most discussed forms of authorization in linguistic anthropology, however, are those associated with linguistic standardization. The authorization of a single, often highly artificial, form of language as the standard may be central to the imposition of a homogeneous national identity in which modern elites and speakers who once held traditional authority have very different roles.” Illegitimation “Similarly, illegitimation, or the process of removing or denying power, may operate either to support or to undermine hegemonic authority. In so far as every establishment of a standard or official language strips authority from those languages or varieties classified as non-standard or non-official, such language planning is an act of illegitimation as well as authorization.” Quali risorse linguistiche abbiamo a disposizione per costruire l’identità? Finora abbiamo parlato della questione del rapporto tra lingua e identità in maniera piuttosto astratta. In termini più concreti, dobbiamo chiederci quali risorse linguistiche adoperiamo quando vogliamo costruire la nostra identità attraverso la lingua. Per costruire linguisticamente la nostra identità abbiamo a disposizione diverse strategie, che vanno dall’adozione di un codice specifico alla commutazione di codice, alla scelta di varianti all’interno di un codice. Quali risorse linguistiche abbiamo a disposizione per costruire l’identità? (1) Adozione di un codice “ereditato”: per costruire la nostra identità di appartenenti a una data comunità possiamo adottare la lingua di quella comunità. In situazioni di bilinguismo diseguale, in cui una delle varietà non gode di altrettanto prestigio dell’altra, operazioni di “rivitalizzazione” della lingua minoritaria o meno prestigiosa hanno una forte valenza identitaria, e servono a creare coesione all’interno della comunità (si vedano i casi, già discussi, del basco o del tewa). Quali risorse linguistiche abbiamo a disposizione per costruire l’identità? (2) Code-switching: il code-switching può essere una risorsa per riferirsi indessicalmente a due o più identità diverse. (3) Scelta di tratti linguistici specifici: l’uso di tratti linguistici specifici (fonetici, morfologici, ecc.), che rimandano indessicalmente a una varietà (e, in una relazione indessicale indiretta, al gruppo sociale che parla quella varietà) può rappresentare una strategia consapevole di costruzione dell’identità. Quali risorse linguistiche abbiamo a disposizione per costruire l’identità? (4) Tratti soprasegmentali: i tratti soprasegmentali (accento, intonazione) sono spesso i tratti maggiormente rivelatori dell’identità del parlante. Sebbene la loro adozione sia spesso inconsapevole, la scelta di un certo accento o di una certa intonazione può essere fatta consapevolmente per interpretare una data identità. (5) Tratti discorsivi: l’uso di tratti discorsivi specifici (strategie di saluto, di presa di turno, ecc.), che rimandano indessicalmente a una varietà (e, in una relazione indessicale indiretta, al gruppo sociale che parla quella varietà) può rappresentare una strategia consapevole di costruzione dell’identità. Un esempio concreto: L’AAVE African American Vernacular English: AAVE is a variety spoken by many African-Americans in the USA which shares a set of grammatical and other linguistic features that distinguish it from various other American dialects. Non si tratta di una forma “corrotta” di inglese americano, ma di una varietà dotata di una propria grammatica, anche se non tutte le caratteristiche grammaticali di cui parleremo sono esclusive di questa varietà (alcune si ritrovano anche in altre varietà dell’inglese americano, specialmente nelle varietà del sud). L’AAVE: caratteristiche grammaticali (i) existential it: it è spesso utilizzato come soggetto “vuoto” al posto di there (It’s some coffee in the kitchen); (ii) possibilità di omettere –s nel plurale dei nomi (four girl); (iii) possibilità di omettere ’s come marca di possesso (at my mama house); (iv) possibilità di omettere –s come desinenza della terza persona singolare (It seem like, she have three kids); (v) possibilità di omettere la copula di terza persona singolare e plurale (is/are): she in the same grade L’AAVE: caratteristiche grammaticali (vi) uso invariabile di be con significato abituale: Your phone bill be high (= “Your phone bill is usually or often high”). Molto frequente con forme in -ing come He be getting on my nerves. (vii) uso di been non accentato nel senso di has been/have been (I been playing cards since I was four); (viii) uso di been accentato in funzione di passato remoto (She BEEN tell me that = “She told me that a long time ago); (ix) uso di done come marca aspettuale che indica il completamento di un’azione (I done already finished that); L’AAVE: caratteristiche grammaticali (x) uso di be done come marca aspettuale che indica il completamento di un’azione nel futuro (future perfect: I be done did your hair before you know it = “I will have finished doing your hair before you know it”); (xi) uso di ain’t come equivalente di is not, has not, did not (He ain’t go no further than third or fourth grade); (xii) uso di negazioni multiple (I don’t want nothing, nobody can’t enjoy) e inversione dell’ordine soggetto-verbo in presenza di pronomi negativi (Can’t nobody beat them); L’AAVE: caratteristiche grammaticali (xiii) uso di had + past tense per riferirsi a un evento passato (I had slipped and fell = “I slipped and fell”); (xiv) uso di steady per segnalare la natura intensa o insistente di un’azione (Them students be steady trying to make a buck); (xv) uso di finna per indicare un’azione imminente (I’m finna get up out of here = “I’m about to leave”; probabilmente deriva da fixing to, diffuso anche nei dialetti degli stati del sud). L’AAVE: variazione interna Non tutti i parlanti di AAVE utilizzano tutti i tratti descritti; inoltre, alcuni dei tratti descritti sono variabili, il che significa che lo stesso parlante può utilizzare la variante AAVE (She my friend) in alcune occasioni e la variante standard in altre (She’s my friend). Uno dei fattori principali che influenza l’uso delle varianti AAVE è lo status socioeconomico. Wolfram (1969), studiando la popolazione di Detroit, ha riscontrato variazioni in una serie di variabili fonologiche e grammaticali correlate alla classe sociale. L’AAVE: variazione interna Le variabili grammaticali analizzate includevano la cancellazione della copula, l’uso invariabile di be, l’assenza di -s (per il plurale, il possessivo, e le forme di terza singolare). Molti di questi tratti erano evitati categoricamente dalla maggioranza dei parlanti appartenenti alla middle-class. Sul piano fonologico, le differenze riscontrate erano di natura soprattutto quantitativa. I parlanti appartenenti alla middle class tendevano a utilizzare i tratti fonologici in misura minore dei parlanti appartenenti alla working class, ma anche i parlanti della upper middle class utilizzavano, in alcune occasioni, le varianti fonologiche proprie dell’AAVE. L’AAVE: variazione interna Questo dimostra che le caratteristiche grammaticali sono in genere più salienti come elementi utili per costruire l’identità attraverso la lingua (attraverso processi di differenziazione – middle class rispetto a working class – e di assimilazione – middle class rispetto a etnia bianca). L’AAVE: variazione interna Un problema particolare per gli afro-americani della middle class è il fatto che parlare “white” può essere valutato molto negativamente all’interno della comunità afro-americana, come mostra bene la testimonianza di un teenager afro-americano in una scuola in California, che dice “Over at my school … first time they catch you talkin’ white, they’ll never let it go”. In particolare i parlanti giovani sentono un bisogno di distanziarsi dalla varietà standard per non incorrere in accuse di “infedeltà” o “slealtà” etnica. Il fatto di utilizzare tratti fonologici dell’AAVE e di “minimizzare” i tratti grammaticali può considerarsi come una strategia di “accommodation” grazie alla quale si possono eliminare i tratti più visibili dell’AAVE pur continuando a sembrare “black” dal punto di vista dell’intonazione. L’AAVE: variazione interna Un’altra questione essenziale nell’autopercezione dell’identità afroamericana ha a che fare con la determinazione dello status dei membri della comunità: la comunità afroamericana è stata, fino agli anni ’60-’70 del secolo scorso, minimamente differenziata al suo interno in termini di classi sociali. La situazione nel corso degli anni si è modificata, e si può oggi senz’altro parlare di una working class e di una middle class. L’appartenenza dei singoli a una delle due classi, però, è determinata, più che dal censo, dall’istruzione ricevuta e dalla capacità di padroneggiare lo Standard American English. In qualche modo, quindi, esiste un’ambivalenza nella determinazione dell’identità di classe all’interno della comunità, che assegna un’importanza decisiva alla conoscenza di una varietà percepita come “altra”. L’AAVE: variazione interna L’atteggiamento tipico degli esponenti della middle class afroamericana nei confronti degli afro-americani della working class e nei confronti dei bianchi della middle class è anch’esso ambivalente: se da un lato gli afro-americani della middle class cercano di assimilarsi ai membri bianchi della stessa classe, dall’altro sentono una specie di “obbligo” e “riconoscenza” nei confronti della working class afro-americana, dovuto alla loro posizione privilegiata. Inoltre, gli afro-americani della middle class spesso ritengono che la street culture è parte integrante della loro cultura e della loro vita: in altre parole, la consapevolezza razziale continua ad essere un indicatore importante di appartenenza alla comunità. Atteggiamenti nei confronti dell’AAVE: Bill Cosby Per esemplificare l’atteggiamento ambivalente di molti afro-americani, soprattutto di classe elevata, nei confronti dell’AAVE, un documento estremamente interessante è il cosiddetto Pound Cake Speech, un discorso pubblico tenuto dall’attore Bill Cosby nel maggio 2004, per commemorare il cinquantenario della sentenza della Corte Suprema nel caso Brown vs. Board of education of Topeka (1954; la sentenza invalidava le leggi che stabilivano scuole pubbliche separate per gli studenti bianchi e neri, negando ai neri pari opportunità di accesso all’educazione) Atteggiamenti nei confronti dell’AAVE: Bill Cosby “50 percent drop out rate, I’m telling you, and people in jail, and women having children by five, six different men. Under what excuse, I want somebody to love me, and as soon as you have it, you forget to parent. Grandmother, mother, and great grandmother in the same room, raising children, and the child knows nothing about love or respect of any one of the three of them. (applause) All this child knows is “gimme, gimme, gimme.” These people want to buy the friendship of a child….and the child couldn’t care less. Those of us sitting out here who have gone on to some college or whatever we’ve done, we still fear our parents. (laughter and applause) And these people are not parenting. They’re buying things for the kid.” Atteggiamenti nei confronti dell’AAVE: Bill Cosby “Everybody knows it’s important to speak English except these knuckleheads. You can’t land a plane with “why you ain’t…” You can’t be a doctor with that kind of crap coming out of your mouth. There is no Bible that has that kind of language. Where did these people get the idea that they’re moving ahead on this? Well, they know they’re not, they’re just hanging out in the same place, five or six generations sitting in the projects when you’re just supposed to stay there long enough to get a job and move out.” Il codeswitching Una definizione: “Codeswitching can be defined as an individual’s use of two or more language varieties in the same speech event or exchange … The topic of codeswitching is relevant to all speech communities that have linguistic repertoires comprising more than one “way of speaking” (i.e., all, as far as we know). Codeswitching can occur between forms recognized as distinct languages, or between dialects, registers … or styles of a single language” (K. Woolard) Un esempio: Go and get my coat aus dem Schrank da (out of the closet there). Il codeswitching Intrasentential codeswitching (o code mixing): cambiamento di codice che avviene all’interno di una stessa frase, e che coinvolge un sintagma o anche una singola parola. Intersentential codeswitching: cambiamento di codice che avviene al confine tra frasi. (1) I’m shuxi-ing with you (‘I’m joking with you’) (2) Sometimes I’ll start a sentence in English y termino en español Casi intermedi: codeswitching a livello di tags (3) It was a good performance, nae? (‘It was a good performance, wasn’t it?’) Il codeswitching In linguistica antropologica si ritiene che il codeswitching sia sempre sistematico e significativo dal punto di vista sociale. Questo punto di vista è contrario all’idea che l’uso di più varietà in uno stesso scambio comunicativo sia dovuta a scarsa padronanza della varietà alta, o a mancanza di attenzione o memoria: “codeswitches are sometimes attributed to ‘‘lexical gaps’’ in the primary language or the availability of le mot juste in the second. Such explanations stress the referential function of language, its use to talk about, rather than to act in, the world. They privilege the need for exchange of information as driving momentary recourse to a second language.” (K. Woolard) Il codeswitching Blom & Gumperz (1972): situational vs. metaphorical codeswitching Situational codeswitching: il cambio di lingua segnala un cambio nella definizione dell’evento linguistico, che implica altrettanto netti cambiamenti nella percezione che i partecipanti hanno dei loro diritti e obblighi reciproci. Esempio: in una scuola di Barcellona cambio di lingua (da catalano a spagnolo) per segnalare il passaggio da una conversazione informale tra docente e studenti alla lezione vera e propria. Tipico caso in cui le due varietà sono strettamente compartimentate. Alcuni preferiscono parlare di code selection, ed è più probabile che questo codeswitching sia intersentential che intrasentential. Il codeswitching Blom & Gumperz (1972): situational vs. metaphorical codeswitching Metaphorical switching: cambio di lingua che non segnala un cambio nella definizione dell’evento linguistico. Gli interlocutori non alterano la definizione dei loro diritti e dei loro obblighi, ma semplicemente alludono a relazioni diverse che essi intrattengono nel mondo. Questa allusione è metaforica perché l’uso di una data lingua “sta per” una relazione sociale ben precisa che è di norma associata con questa lingua. Il codeswitching Blom & Gumperz (1972): situational vs. metaphorical codeswitching Ven acá. Ven acá. Come here, you (detto da una madre ispanofona statunitense al figlio disobbediente; il passaggio all’inglese corrisponde a un tono di minaccia più forte, per via delle connotazioni autoritarie dell’inglese per molti parlanti non anglofoni negli USA). Il codeswitching Gumperz: i bilingui tendono a vedere la varietà minoritaria come un we code (associato con nozioni come la familiarità, la solidarietà, ecc.) e la varietà maggioritaria come un they code (associato con “the more formal, stiffer, and less personal outgroup relations” Gumperz 1982: 66). Il valore associato a ciascuna delle varietà (distanziamento, rabbia, autorità, ecc.) dipende dalle specifiche circostanze comunicative. Quello che importa, secondo Gumperz, è che il codeswitching istanzia sempre una contrapposizione di base tra we e they. Il codeswitching L’idea di Gumperz è stata soggetta a critiche perché tende a semplificare le dinamiche del bi- e del multi-linguismo, che possono essere molto più complesse rispetto al caso idealizzato di una comunità il cui repertorio contenga una varietà maggioritaria e una minoritaria. In realtà, data la centralità che nell’opera di Gumperz ha la nozione di “costruzione” dell’identità, non è totalmente corretto interpretare la contrapposizione we/they come una contrapposizione tra due gruppi sociali. Si tratta, più correttamente, di una distinzione che ha a che fare con la prospettiva del parlante (oggettiva/distanziante vs. soggettiva). Il codeswitching Auer: l’approccio di Gumperz pecca di macrosociologismo “There is a certain danger for the pendulum to swing too far … i.e., to treat each and every instance of language alternation as meaningful in the same ‘semantic’ way” Utilizzando lo strumento del codeswitching i partecipanti rendono rilevanti nell’interazione le loro identità soltanto in casi ben individuabili. E’ solo in questi casi che si può assegnare un valore identitario alla commutazione di codice. Il codeswitching Auer: in altri casi la funzione del codeswitching è più simile alla funzione di altre strategie discorsive, come il cambiamento del tono di voce per segnalare il cambio di topic, o l’abbassamento del tono di voce per marcare l’inizio di un commento (che rappresenta un a parte rispetto al discorso principale). In questo caso, secondo Auer, è più opportuno parlare di discourse-related codeswitching. Il codeswitching Creo que con las crónicas taurinas lo hará mucho mejor, digo yo, vamos, porque si no; Bueno! Allavorens moltissimes gràcies a tota la gent maca (I think he’ll do much better with the bullfight reports, that’s what I say, anyway, because if not, Well! So then, many thanks to all the beautiful people) Perquè ahir m’ho va contar, aquest tio té torre, eh. Ai! Me explico yo por qué ligas tú tanto, eh! (Because yesterday he told me, this guy has a house, eh? Hey! I understand how you pick up so many [women], eh!) Il codeswitching E’ importante anche considerare le attitudini nei confronti del codeswitching. Nelle comunità bilingui è frequente il caso in cui gli anziani stigmatizzano il codeswitching dei giovani, ritenendolo indice di una mancanza di rispetto nei confronti della lingua identitaria. Esistono però anche casi di attitudini positive nei confronti del codeswitching. I portoricani statunitensi, ad esempio, considerano il codeswitching la strategia comunicativa “non-marcata”.