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Linguistica applicata
PA R T E D O D I C E S I M A
CONCLUSIONE:
LINGUA E IDENTITÀ
Lingua e identità
Negli studi sull’identità, l’identità non è intesa
strettamente come identità individuale, ma è in
genere connessa a un gruppo (nazione, città, razza,
etnia, genere, orientamento sessuale, religione, setta,
scuola, club, azienda, professione, classe sociale). Le
identità di gruppo sono più astratte di quelle
individuali, nel senso che esse non esistono senza gli
individui che le incarnano, e trovano di solito la loro
manifestazione più concreta incarnandosi in un
individuo simbolico o tipico.
Lingua e identità
Anche se le identità di gruppo (soprattutto
quelle etniche) sono astrazioni fondate su
divisioni arbitrarie tra popoli, e in questo
senso non sono ‘reali’, il fatto stesso che, una
volta stabilite, esse esistono come
rappresentazioni mentali del gruppo le rende
reali e direttamente osservabili e studiabili.
Lingua e identità
La sociolinguistica contemporanea considera l’identità
come qualcosa di costruito (constructed) e non proprio
dell’essenza dell’individuo (essential), e come qualcosa
che viene interpretato (performed) piuttosto che
posseduto – caratteristiche che il termine identità tende
a mascherare, suggerendo al contrario qualcosa di
oggettivo e reificato. Ciascuno di noi interpreta un
repertorio di identità che cambiano costantemente, e
che vengono negoziate e rinegoziate a seconda delle
circostanze.
Lingua e identità
In altre parole, la sociolinguistica contemporanea non accetta
una visione essenzialista dell’identità:
“Critics have charged researchers of identity with
essentialism, a theoretical position that maintains that those
who occupy an identity category (such as women, Asians, the
working class) are both fundamentally similar to one another
and fundamentally different from members of other groups.
Essentialism takes as its starting point that these groupings
are inevitable and natural, and that they are separated from
one another by sharp boundaries.” (Bucholtz & Hall)
Lingua e identità
“much work within variationist sociolinguistics assumes not only
that language use is distinctive at some level but that such practices
are reflective, not constitutive, of social identities. Correlational
perspectives on language often emphasize the distinctiveness of
group patterns at the expense of variation across individuals within
the group, or even variation within a single individual. But identity
inheres in actions, not in people. As the product of situated social
action, identities may shift and recombine to meet new
circumstances. This dynamic perspective contrasts with the
traditional view of identities as unitary and enduring psychological
states or social categories.” (Bucholtz & Hall)
Identità sociale: una definizione
Tajfel (1978: 63):
“that part of an individual’s self-concept
which derives from his knowledge of his
membership of a social group (or groups)
together with the value and emotional
significance attached to that membership.”
Identità sociale: una definizione
4 punti essenziali nella definizione di Tajfel:
(1) l’identità sociale riguarda l’individuo più che il
gruppo sociale;
(2) l’identità è una questione di autoconcettualizzazione (self-concept), piuttosto che di
categorie sociali predeterminate a cui un singolo si
trova ad appartenere;
Identità sociale: una definizione
(3) quello che conta davvero è il valore che il
singolo attribuisce alla propria appartenenza
a un gruppo (un fattore completamente
soggettivo);
(4) il significato emotivo dell’appartenenza a
un’identità sociale non è uguale per tutti
coloro che vi appartengono.
Eteroglossia e polifonia
Due concetti essenziali degli studi su lingua e
identità sono quelli di eteroglossia e di polifonia.
Con eteroglossia si fa riferimento alla tensione tra
due varietà che appartengono al repertorio (ad es.
lingua ufficiale e dialetto).
Con polifonia ci si riferisce all’uso, nello stesso
enunciato/atto comunicativo, di due varietà diverse.
Indessicalità diretta e indiretta
L’indessicalità diretta (E. Ochs) è una relazione di
significato che lega direttamente l’uso della lingua a
un dato atto/attività/atteggiamento/relazione di
potere. Ad esempio, in inglese l’uso di forme
sintattiche come gli imperativi è direttamente
indessicale rispetto a una relazione di potere. In altre
parole, l’imperativo è associato a contesti in cui il
parlante ha il potere di obbligare l’ascoltatore a
compiere l’azione denotata dall’imperativo.
Indessicalità diretta e indiretta
L’indessicalità indiretta (E. Ochs) emerge quando la relazione
sociale (ad es. la relazione di potere nel caso degli imperativi) è a
sua volta legata a una categoria identitaria. Il fatto che gli
imperativi siano più utilizzati dagli uomini che dalle donne
potrebbe portarci a dire, ad esempio, che gli imperativi sono
indessicali rispetto alla categoria identitaria della mascolinità. In
realtà è più corretto dire che l’uso degli imperativi è
indirettamente indessicale rispetto alla mascolinità,
semplicemente perché è direttamente indessicale rispetto al
potere, e il potere è detenuto dagli uomini.
Indessicalità diretta e indiretta: esempi concreti
Il termine“dude” nell’inglese americano è utilizzato
molto frequentemente dai giovani bianchi per
rivolgersi ai loro pari, ed è direttamente indessicale di
una relazione di solidarietà semplice (“a friendly, but
crucially not intimate, relationship with the
addressee”). Dato che questa relazione di solidarietà
semplice lega tra loro i giovani bianchi più che altri
gruppi, dude è indirettamente indessicale rispetto alle
categorie identitarie “giovane”, “bianco”, “maschio”.
Indessicalità diretta e indiretta: esempi concreti
In molti casi, per valutare l’indessicalità di un uso linguistico, è
necessario prendere in esame un contesto più ampio. Se una donna
americana utilizza un imperativo (ad es. “put on your coat”, rivolto
al marito che esce di casa), possiamo dire che l’imperativo è
indessicale di una relazione di potere. Però, il fatto che una risposta
frequente all’uso di questo tipo di imperativi delle donne da parte
degli uomini sia “yes, mother!” mostra che la relazione sociale
rispetto alla quale l’imperativo delle donne è indirettamente
indessicale non è genericamente una relazione di potere, ma una
relazione di potere connessa alla maternità, all’interno della quale
è frequente che le donne utilizzino imperativi.
Indessicalità diretta e indiretta: esempi concreti
L’uso degli imperativi da parte degli uomini, invece,
è indessicale rispetto a una relazione di potere tout
court: è molto improbabile – o comunque meno
frequente – che a un uomo che dice “put on your
coat!” a un’altra persona si risponda con “yes,
father!” o “yes, dad!”. Questo significa che la
categoria identitaria paternità, almeno in questo
caso, non è direttamente rilevante ma ricade in una
più ampia relazione di potere.
Indessicalità diretta e indiretta: esempi concreti
I modi di utilizzare forme linguistiche come strutture dotate di
proprietà indessicali possono essere anche piuttosto complessi, e
non essere direttamente legati all’identità dei parlanti. In uno studio
basato su una conversazione tra due americani bianchi S. Kiesling
ha notato che il parlato dei due interlocutori conteneva molte forme
proprie dell’African American Vernacular English (AAVE), come
conseguenza del fatto che essi parlavano di basket ed erano entrati
in competizione su chi dei due avesse una migliore conoscenza del
mondo del basket. Il fatto che utilizzassero delle forme proprie
dell’AAVE non è indessicale rispetto al loro essere neri,
ovviamente, ma rispetto al loro essere esperti di basket. Interpretare
linguisticamente l’identità di esperto di basket implica interpretare
l’identità di nero.
Perché si interpreta un’identità?
Il modello delle tactics of intersubjectivity (Bucholtz & Hall):
“Tactics of intersubjectivity are the relations that are created
through identity work. We have chosen the term tactics … to
invoke the local, situated, and often improvised quality of the
everyday practices through which individuals, though
restricted in their freedom to act by externally imposed
constraints, accomplish their social goals. Our second term,
intersubjectivity, is meant to highlight the place of …
interactional negotiation in the formation of identity.”
Perché si interpreta un’identità?
Tre “coppie” di tattiche:
(1) adequation and distinction
(2) authentication and denaturalization
(3) authorization and illegitimation.
“Each of these tactics foregrounds a different use to which
identity may be put: the establishment of relations of similarity
and difference, of genuineness and artifice, and of legitimacy
and disempowerment vis-à-vis some reference group or
individual.”
Perché si interpreta un’identità?
“These relations may operate singly or in tandem
within particular semiotic processes. Moreover,
given the frequent ambiguity and indeterminacy
of interaction, the same linguistic act may be
understood by speaker, hearer, or other
participants as motivated by different tactics, and
the tactical outcome may be negotiated by all
those involved rather than established in
advance.”
Adequation
“adequation involves the pursuit of socially recognized
sameness. In this relation, potentially salient differences are
set aside in favor of perceived or asserted similarities that are
taken to be more situationally relevant.”
Esempio concreto: uso di termini e tratti propri dell’AAVE da
parte di parlanti di varia estrazione (non necessariamente afroamericani) in un forum radiofonico studiato da Bucholtz e
andato in onda in occasione della rivolta di Los Angeles
contro il Los Angeles Police Dept. nel 1991, in seguito al
pestaggio del tassista afroamericano Rodney King da parte di
agenti di polizia bianchi.
Distinction
“distinction is the mechanism whereby salient difference is
produced. Distinction is therefore the converse of adequation,
in that in this relation difference is underscored rather than
erased.”
Obiettivo delle tattiche di distinction è spesso la preservazione
della propria identità rispetto a un’identità dominante. In
Corsica, malgrado l’ampio, quasi totale bilinguismo (corsofrancese) e l’ampiezza del fenomeno del code-mixing, i corsi
accentuano ideologicamente la purezza della propria lingua
come reazione al predominio del francese.
Adequation and distinction
Normalmente le due tattiche agiscono su opposizioni binarie
(“NOI” VS. “LORO”). Tuttavia non è infrequente il caso in
cui un gruppo si adegui ad altri gruppi o si differenzi da altri
gruppi sulla base di opposizioni non binarie.
E’ il caso degli adolescenti dominicani immigrati negli USA,
che appartengono al gruppo dei neri a livello di fenotipo, al
gruppo ispano-americano dal punto di vista linguistico, e al
gruppo anglofono rispetto ai loro parenti immigrati di prima
generazione. A seconda delle circostanze, un adolescente
dominicano accentuerà o mitigherà tratti della propria identità
di gruppo a seconda delle circostanze comunicative.
Authentication
I processi di autenticazione si riscontrano
spesso nei fenomeni di nazionalismo etnolinguistico. In questi casi, una élite ben
individuabile “riscrive” la storia linguistica
del proprio gruppo allo scopo di fare di una
varietà linguistica uno standard o una lingua
nazionale.
Denaturalization
“Much less frequently discussed, but no less frequent in occurrence, is
the process whereby identities come to be severed from or separated
from claims to “realness,” a process we term denaturalization because
it often tends to highlight the artificiality and non-essentialism of
identity.”
Esempio: le drag queens afro-americane del Texas, studiate da Barrett,
che si vestono e parlano come donne europee ricche, ma utilizzano
tratti “stilizzati” ed “esagerati” del ‘women’ s language’, dell’AAVE, e
della lingua degli omosessuali proprio per mettere in luce l’artificiosità
delle ideologie legate alla sessualità, alla razza e alla classe sociale
attraverso un clash fra identità tra loro incompatibili.
Authorization
“Authorization may involve invoking language in ways
recognized by the state… The most discussed forms of
authorization in linguistic anthropology, however, are
those associated with linguistic standardization. The
authorization of a single, often highly artificial, form of
language as the standard may be central to the
imposition of a homogeneous national identity in which
modern elites and speakers who once held traditional
authority have very different roles.”
Illegitimation
“Similarly, illegitimation, or the process of removing or
denying power, may operate either to support or to
undermine hegemonic authority. In so far as every
establishment of a standard or official language strips
authority from those languages or varieties classified
as non-standard or non-official, such language
planning is an act of illegitimation as well as
authorization.”
Quali risorse linguistiche abbiamo a disposizione per
costruire l’identità?
Finora abbiamo parlato della questione del rapporto tra
lingua e identità in maniera piuttosto astratta. In termini
più concreti, dobbiamo chiederci quali risorse
linguistiche adoperiamo quando vogliamo costruire la
nostra identità attraverso la lingua.
Per costruire linguisticamente la nostra identità
abbiamo a disposizione diverse strategie, che vanno
dall’adozione di un codice specifico alla commutazione
di codice, alla scelta di varianti all’interno di un codice.
Quali risorse linguistiche abbiamo a disposizione per
costruire l’identità?
(1) Adozione di un codice “ereditato”: per costruire
la nostra identità di appartenenti a una data comunità
possiamo adottare la lingua di quella comunità. In
situazioni di bilinguismo diseguale, in cui una delle
varietà non gode di altrettanto prestigio dell’altra,
operazioni di “rivitalizzazione” della lingua minoritaria
o meno prestigiosa hanno una forte valenza identitaria,
e servono a creare coesione all’interno della comunità
(si vedano i casi, già discussi, del basco o del tewa).
Quali risorse linguistiche abbiamo a disposizione per
costruire l’identità?
(2) Code-switching: il code-switching può essere una
risorsa per riferirsi indessicalmente a due o più identità
diverse.
(3) Scelta di tratti linguistici specifici: l’uso di tratti
linguistici specifici (fonetici, morfologici, ecc.), che
rimandano indessicalmente a una varietà (e, in una
relazione indessicale indiretta, al gruppo sociale che
parla quella varietà) può rappresentare una strategia
consapevole di costruzione dell’identità.
Quali risorse linguistiche abbiamo a disposizione per
costruire l’identità?
(4) Tratti soprasegmentali: i tratti soprasegmentali (accento,
intonazione) sono spesso i tratti maggiormente rivelatori
dell’identità del parlante. Sebbene la loro adozione sia spesso
inconsapevole, la scelta di un certo accento o di una certa
intonazione può essere fatta consapevolmente per interpretare
una data identità.
(5) Tratti discorsivi: l’uso di tratti discorsivi specifici (strategie
di saluto, di presa di turno, ecc.), che rimandano indessicalmente
a una varietà (e, in una relazione indessicale indiretta, al gruppo
sociale che parla quella varietà) può rappresentare una strategia
consapevole di costruzione dell’identità.
Un esempio concreto: L’AAVE
African American Vernacular English:
AAVE is a variety spoken by many African-Americans in the USA
which shares a set of grammatical and other linguistic features that
distinguish it from various other American dialects.
Non si tratta di una forma “corrotta” di inglese americano, ma di
una varietà dotata di una propria grammatica, anche se non tutte le
caratteristiche grammaticali di cui parleremo sono esclusive di
questa varietà (alcune si ritrovano anche in altre varietà dell’inglese
americano, specialmente nelle varietà del sud).
L’AAVE: caratteristiche grammaticali
(i) existential it: it è spesso utilizzato come soggetto “vuoto” al
posto di there (It’s some coffee in the kitchen);
(ii) possibilità di omettere –s nel plurale dei nomi (four girl);
(iii) possibilità di omettere ’s come marca di possesso (at my
mama house);
(iv) possibilità di omettere –s come desinenza della terza
persona singolare (It seem like, she have three kids);
(v) possibilità di omettere la copula di terza persona singolare e
plurale (is/are): she in the same grade
L’AAVE: caratteristiche grammaticali
(vi) uso invariabile di be con significato abituale: Your phone bill
be high (= “Your phone bill is usually or often high”). Molto
frequente con forme in -ing come He be getting on my nerves.
(vii) uso di been non accentato nel senso di has been/have been (I
been playing cards since I was four);
(viii) uso di been accentato in funzione di passato remoto (She
BEEN tell me that = “She told me that a long time ago);
(ix) uso di done come marca aspettuale che indica il
completamento di un’azione (I done already finished that);
L’AAVE: caratteristiche grammaticali
(x) uso di be done come marca aspettuale che indica il
completamento di un’azione nel futuro (future perfect: I be done
did your hair before you know it = “I will have finished doing your
hair before you know it”);
(xi) uso di ain’t come equivalente di is not, has not, did not (He
ain’t go no further than third or fourth grade);
(xii) uso di negazioni multiple (I don’t want nothing, nobody can’t
enjoy) e inversione dell’ordine soggetto-verbo in presenza di
pronomi negativi (Can’t nobody beat them);
L’AAVE: caratteristiche grammaticali
(xiii) uso di had + past tense per riferirsi a un evento
passato (I had slipped and fell = “I slipped and fell”);
(xiv) uso di steady per segnalare la natura intensa o
insistente di un’azione (Them students be steady trying
to make a buck);
(xv) uso di finna per indicare un’azione imminente
(I’m finna get up out of here = “I’m about to leave”;
probabilmente deriva da fixing to, diffuso anche nei
dialetti degli stati del sud).
L’AAVE: variazione interna
Non tutti i parlanti di AAVE utilizzano tutti i tratti descritti;
inoltre, alcuni dei tratti descritti sono variabili, il che
significa che lo stesso parlante può utilizzare la variante
AAVE (She my friend) in alcune occasioni e la variante
standard in altre (She’s my friend).
Uno dei fattori principali che influenza l’uso delle varianti
AAVE è lo status socioeconomico. Wolfram (1969),
studiando la popolazione di Detroit, ha riscontrato
variazioni in una serie di variabili fonologiche e
grammaticali correlate alla classe sociale.
L’AAVE: variazione interna
Le variabili grammaticali analizzate includevano la
cancellazione della copula, l’uso invariabile di be, l’assenza di
-s (per il plurale, il possessivo, e le forme di terza singolare).
Molti di questi tratti erano evitati categoricamente dalla
maggioranza dei parlanti appartenenti alla middle-class.
Sul piano fonologico, le differenze riscontrate erano di natura
soprattutto quantitativa. I parlanti appartenenti alla middle
class tendevano a utilizzare i tratti fonologici in misura minore
dei parlanti appartenenti alla working class, ma anche i
parlanti della upper middle class utilizzavano, in alcune
occasioni, le varianti fonologiche proprie dell’AAVE.
L’AAVE: variazione interna
Questo dimostra che le caratteristiche
grammaticali sono in genere più salienti
come elementi utili per costruire l’identità
attraverso la lingua (attraverso processi di
differenziazione – middle class rispetto a
working class – e di assimilazione – middle
class rispetto a etnia bianca).
L’AAVE: variazione interna
Un problema particolare per gli afro-americani della middle class è
il fatto che parlare “white” può essere valutato molto negativamente
all’interno della comunità afro-americana, come mostra bene la
testimonianza di un teenager afro-americano in una scuola in
California, che dice “Over at my school … first time they catch you
talkin’ white, they’ll never let it go”. In particolare i parlanti giovani
sentono un bisogno di distanziarsi dalla varietà standard per non
incorrere in accuse di “infedeltà” o “slealtà” etnica. Il fatto di
utilizzare tratti fonologici dell’AAVE e di “minimizzare” i tratti
grammaticali può considerarsi come una strategia di
“accommodation” grazie alla quale si possono eliminare i tratti più
visibili dell’AAVE pur continuando a sembrare “black” dal punto di
vista dell’intonazione.
L’AAVE: variazione interna
Un’altra questione essenziale nell’autopercezione dell’identità afroamericana ha a che fare con la determinazione dello status dei
membri della comunità: la comunità afroamericana è stata, fino agli
anni ’60-’70 del secolo scorso, minimamente differenziata al suo
interno in termini di classi sociali. La situazione nel corso degli anni
si è modificata, e si può oggi senz’altro parlare di una working class
e di una middle class. L’appartenenza dei singoli a una delle due
classi, però, è determinata, più che dal censo, dall’istruzione
ricevuta e dalla capacità di padroneggiare lo Standard American
English. In qualche modo, quindi, esiste un’ambivalenza nella
determinazione dell’identità di classe all’interno della comunità, che
assegna un’importanza decisiva alla conoscenza di una varietà
percepita come “altra”.
L’AAVE: variazione interna
L’atteggiamento tipico degli esponenti della middle class afroamericana nei confronti degli afro-americani della working class e
nei confronti dei bianchi della middle class è anch’esso
ambivalente: se da un lato gli afro-americani della middle class
cercano di assimilarsi ai membri bianchi della stessa classe,
dall’altro sentono una specie di “obbligo” e “riconoscenza” nei
confronti della working class afro-americana, dovuto alla loro
posizione privilegiata.
Inoltre, gli afro-americani della middle class spesso ritengono che la
street culture è parte integrante della loro cultura e della loro vita: in
altre parole, la consapevolezza razziale continua ad essere un
indicatore importante di appartenenza alla comunità.
Atteggiamenti nei confronti dell’AAVE: Bill Cosby
Per esemplificare l’atteggiamento ambivalente di
molti afro-americani, soprattutto di classe elevata,
nei confronti dell’AAVE, un documento
estremamente interessante è il cosiddetto Pound
Cake Speech, un discorso pubblico tenuto
dall’attore Bill Cosby nel maggio 2004, per
commemorare il cinquantenario della sentenza
della Corte Suprema nel caso Brown vs. Board of
education of Topeka (1954; la sentenza invalidava
le leggi che stabilivano scuole pubbliche separate
per gli studenti bianchi e neri, negando ai neri pari
opportunità di accesso all’educazione)
Atteggiamenti nei confronti dell’AAVE: Bill Cosby
“50 percent drop out rate, I’m telling you, and people in jail, and
women having children by five, six different men. Under what
excuse, I want somebody to love me, and as soon as you have it, you
forget to parent. Grandmother, mother, and great grandmother in
the same room, raising children, and the child knows nothing about
love or respect of any one of the three of them. (applause) All this
child knows is “gimme, gimme, gimme.” These people want to buy
the friendship of a child….and the child couldn’t care less. Those of
us sitting out here who have gone on to some college or whatever
we’ve done, we still fear our parents. (laughter and applause) And
these people are not parenting. They’re buying things for the kid.”
Atteggiamenti nei confronti dell’AAVE: Bill Cosby
“Everybody knows it’s important to speak English except these
knuckleheads. You can’t land a plane with “why you ain’t…” You
can’t be a doctor with that kind of crap coming out of your
mouth. There is no Bible that has that kind of language. Where
did these people get the idea that they’re moving ahead on this?
Well, they know they’re not, they’re just hanging out in the same
place, five or six generations sitting in the projects when you’re
just supposed to stay there long enough to get a job and move
out.”
Il codeswitching
Una definizione:
“Codeswitching can be defined as an individual’s use of two or more
language varieties in the same speech event or exchange … The topic
of codeswitching is relevant to all speech communities that have
linguistic repertoires comprising more than one “way of speaking”
(i.e., all, as far as we know). Codeswitching can occur between forms
recognized as distinct languages, or between dialects, registers … or
styles of a single language” (K. Woolard)
Un esempio:
Go and get my coat aus dem Schrank da (out of the closet there).
Il codeswitching
Intrasentential codeswitching (o code mixing): cambiamento di
codice che avviene all’interno di una stessa frase, e che coinvolge un
sintagma o anche una singola parola.
Intersentential codeswitching: cambiamento di codice che avviene al
confine tra frasi.
(1) I’m shuxi-ing with you (‘I’m joking with you’)
(2) Sometimes I’ll start a sentence in English y termino en español
Casi intermedi: codeswitching a livello di tags
(3) It was a good performance, nae? (‘It was a good performance,
wasn’t it?’)
Il codeswitching
In linguistica antropologica si ritiene che il codeswitching sia sempre
sistematico e significativo dal punto di vista sociale. Questo punto di vista
è contrario all’idea che l’uso di più varietà in uno stesso scambio
comunicativo sia dovuta a scarsa padronanza della varietà alta, o a
mancanza di attenzione o memoria:
“codeswitches are sometimes attributed to ‘‘lexical gaps’’ in the primary
language or the availability of le mot juste in the second. Such
explanations stress the referential function of language, its use to talk
about, rather than to act in, the world. They privilege the need for
exchange of information as driving momentary recourse to a second
language.” (K. Woolard)
Il codeswitching
Blom & Gumperz (1972): situational vs. metaphorical codeswitching
Situational codeswitching: il cambio di lingua segnala un cambio nella
definizione dell’evento linguistico, che implica altrettanto netti
cambiamenti nella percezione che i partecipanti hanno dei loro diritti e
obblighi reciproci.
Esempio: in una scuola di Barcellona cambio di lingua (da catalano a
spagnolo) per segnalare il passaggio da una conversazione informale
tra docente e studenti alla lezione vera e propria. Tipico caso in cui le
due varietà sono strettamente compartimentate. Alcuni preferiscono
parlare di code selection, ed è più probabile che questo codeswitching
sia intersentential che intrasentential.
Il codeswitching
Blom & Gumperz (1972): situational vs. metaphorical
codeswitching
Metaphorical switching: cambio di lingua che non segnala
un cambio nella definizione dell’evento linguistico. Gli
interlocutori non alterano la definizione dei loro diritti e dei
loro obblighi, ma semplicemente alludono a relazioni
diverse che essi intrattengono nel mondo. Questa allusione
è metaforica perché l’uso di una data lingua “sta per” una
relazione sociale ben precisa che è di norma associata con
questa lingua.
Il codeswitching
Blom & Gumperz (1972): situational vs.
metaphorical codeswitching
Ven acá. Ven acá. Come here, you (detto da una
madre ispanofona statunitense al figlio disobbediente;
il passaggio all’inglese corrisponde a un tono di
minaccia più forte, per via delle connotazioni
autoritarie dell’inglese per molti parlanti non
anglofoni negli USA).
Il codeswitching
Gumperz: i bilingui tendono a vedere la varietà minoritaria
come un we code (associato con nozioni come la familiarità, la
solidarietà, ecc.) e la varietà maggioritaria come un they code
(associato con “the more formal, stiffer, and less personal outgroup relations” Gumperz 1982: 66).
Il valore associato a ciascuna delle varietà (distanziamento,
rabbia, autorità, ecc.) dipende dalle specifiche circostanze
comunicative. Quello che importa, secondo Gumperz, è che il
codeswitching istanzia sempre una contrapposizione di base
tra we e they.
Il codeswitching
L’idea di Gumperz è stata soggetta a critiche perché tende a
semplificare le dinamiche del bi- e del multi-linguismo, che
possono essere molto più complesse rispetto al caso idealizzato
di una comunità il cui repertorio contenga una varietà
maggioritaria e una minoritaria.
In realtà, data la centralità che nell’opera di Gumperz ha la
nozione di “costruzione” dell’identità, non è totalmente corretto
interpretare la contrapposizione we/they come una
contrapposizione tra due gruppi sociali. Si tratta, più
correttamente, di una distinzione che ha a che fare con la
prospettiva del parlante (oggettiva/distanziante vs. soggettiva).
Il codeswitching
Auer: l’approccio di Gumperz pecca di
macrosociologismo
“There is a certain danger for the pendulum to swing too
far … i.e., to treat each and every instance of language
alternation as meaningful in the same ‘semantic’ way”
Utilizzando lo strumento del codeswitching i
partecipanti rendono rilevanti nell’interazione le loro
identità soltanto in casi ben individuabili. E’ solo in
questi casi che si può assegnare un valore identitario alla
commutazione di codice.
Il codeswitching
Auer: in altri casi la funzione del codeswitching è
più simile alla funzione di altre strategie discorsive,
come il cambiamento del tono di voce per segnalare
il cambio di topic, o l’abbassamento del tono di
voce per marcare l’inizio di un commento (che
rappresenta un a parte rispetto al discorso
principale). In questo caso, secondo Auer, è più
opportuno parlare di discourse-related
codeswitching.
Il codeswitching
Creo que con las crónicas taurinas lo hará mucho mejor, digo
yo, vamos, porque si no; Bueno! Allavorens moltissimes
gràcies a tota la gent maca
(I think he’ll do much better with the bullfight reports, that’s
what I say, anyway, because if not, Well! So then, many
thanks to all the beautiful people)
Perquè ahir m’ho va contar, aquest tio té torre, eh. Ai! Me
explico yo por qué ligas tú tanto, eh!
(Because yesterday he told me, this guy has a house, eh? Hey!
I understand how you pick up so many [women], eh!)
Il codeswitching
E’ importante anche considerare le attitudini nei
confronti del codeswitching. Nelle comunità bilingui è
frequente il caso in cui gli anziani stigmatizzano il
codeswitching dei giovani, ritenendolo indice di una
mancanza di rispetto nei confronti della lingua
identitaria. Esistono però anche casi di attitudini
positive nei confronti del codeswitching. I portoricani
statunitensi, ad esempio, considerano il codeswitching
la strategia comunicativa “non-marcata”.