guido segre - Associazione Amideria Chiozza

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guido segre - Associazione Amideria Chiozza
GUIDO SEGRE
Nato a Torino nel 1881, Guido Segre dopo
la prematura morte del padre Vittorio
Emanuele va a studiare in Germania, e
quando torna in Piemonte, poco più che
ventenne, viene assunto prima al Credito
italiano, poi alla Fiat, dove diventa
direttore amministrativo e quindi
vicedirettore. Allo scoppio della Prima
guerra mondiale rifiuta l’esonero che gli
era dovuto per la sua carica alla Fiat e parte
per il fronte con il grado di tenente di
complemento del Genio. Combatte gli
austriaci sul fronte dell’Isonzo, colleziona
medaglie una dietro l’altra e quando
l’Impero è sconfitto l’ormai tenente
colonnello Guido Segre entra vittorioso a
Trieste al fianco del generale Carlo Petitti
di Roreto.
Nella Trieste messa in ginocchio dalla guerra, Guido occupa il posto-chiave ai vertici
all’Ufficio Affari Economici del Governatorato, nelle cui stanze passa il futuro economico
della città. Futuro non facile, visto da ex ricchissimo emporio dell’Impero, Trieste deve ora
dimostrare di poter dare un valido apporto al resto dell’Italia che tanto ha penato per averla.
Segre è l’uomo giusto al posto giusto: con abile manovra diplomatico-finanziaria realizza
un’operazione geniale, assicurando a Trieste il recupero di obbligazioni e titoli creditizi che
giacciono nelle principali banche austriache, favorendo inoltre il concordato tra la Banca
commerciale triestina e l’austriaca Credit Anstalt. Non è l’unica alleanza che conduce con
l’ex nemico di trincea: tra alcuni anni Guido sposerà proprio un’austriaca, Gabriella Anna
Metz, cattolica, conosciuta a Portorose dove la giovane gestisce una boutique.
Quando arriva il momento del congedo dall’esercito Guido non ci pensa nemmeno a tornare
a Torino. In Trieste vede straordinarie opportunità di crescita, per lui e per la città, e si butta
a capofitto nell’avventura. In poco tempo il suo nome è ovunque. È nel consiglio
d’amministrazione della Banca Commerciale Triestina, rivela le azioni dello Jutificio e del
Pastifcio Triestino, aziende che si aggiungono alla sua già lunga collezione: il Pastificio
moderno a Zara, un altro pastificio a Milano, l’Amideria Chiozza, un’altra Amideria a
Danzica, in Polonia, un catenificio a Lecco e il complesso delle Acciaierie Weissenfels a
Fusine. Nel volgere di pochi lustri Guido Segre sarà, fra l’altro, presidente della Direzione di
Borsa, delle Officine Navali Triestine, dell’Ampelea, società di distillazione e d’industrie
chimiche, dell’Arsa, la società carbonifera in Istria, del Sindacato Industrie estrattive per le
Province di Trieste e di Pola e dalla Camera di commercio italo-ungherese.
Come il fratello Arturo, nella scia della tradizione nazionalista e interventista della sua
famiglia, Guido è anche un convinto fascista della prima ora (tesserato nel ’22), e nutre,
ricambiato, enorme stima e fiducia nei riguardi di Mussolini. L’imprenditore non è certo
l’unico ebreo in Italia ad essere iscritto al partito fascista, ma sicuramente è uno dei più vicini
al duce, che gli affida incarichi delicati e importanti.
Nel 1930 Guido Segre sposa con rito cattolico Gabriella Anna Metz. A officiare il rito è il
vescovo di Trieste Luigi Fogar, che allaccia uno stretto legame di amicizia con i Segre (sarà
lui, anni dopo, a celebrare a Roma il matrimonio tra la figlia Etta e il marchese Alberto
Carignani di Novoli). E sarà proprio l’amicizia con il vescovo Fogar a procurare i primi guai
a Guido Segre. Quando nel ’34 Fogar, deciso difensore degli sloveni, viene accusato di essere
un antinazionalista e antifascista, Guido Segre scende in campo in sua difesa, attirandosi
critiche e antipatie. Quattro anni dopo, alla proclamazione delle leggi razziali, tutto ciò non
sarà dimenticato. Guido, pur essendo sempre stato esponente dell’ebraismo laico non
osservante di Trieste (a differenza ad esempio degli Stock), pur essendosi convertito al
cattolicesimo, pur avendo italianizzato il cognome della moglie Metz in Melzi, finisce nel
vortice della persecuzione razziale. In breve viene allontanato da tutto: cariche, prestigio,
potere. Invano implora di essere ”discriminato”, vale a dire - con curiosa inversione del senso
comune del termine - riottenere l’equiparazione ai cittadini italiani non-ebrei. Invano bussa
alla porta di Mussolini, che non si fa più trovare. Invano si umilia davanti al governo fascista
e ai suoi vari attaché, arrivando persino a rinunciare al suo cognome, Segre, stabilendo per
via legale che i figli Etta e Carlo portino quello della moglie, Melzi. Invano si affida alle
vecchie amicizie influenti, come quella, inossidabile, con Rino Alessi, direttore del
quotidiano ”Il Piccolo”. Guido Segre è un ebreo, e a Trieste non deve contare più nulla. Per
un nazionalista come lui, un eroe del Carso, un uomo abituato a combattere in nome
dell’Italia, ma anche a credere nella libertà dell’azione e che tanto ha fatto per Trieste e in
nome di Trieste, è un colpo fortissimo.
«Era distrutto, privato della sua identità e della sua dignità», racconta la figlia Etta Carignani
che ha dedicato al padre il libro ”Un imprenditore tra due guerre” (Edizioni Lint, a cura di
Patrizia Grandis). «Allo scoppio della guerra - continua Etta - ce ne andammo da Trieste, e
ci rifugiammo prima a Fusine, poi a Roma, con documenti e nomi falsi». Distrutto nel corpo
e nell’animo, ammalato di angina pectoris, con il falso nome di Giovanni Fabbri, Guido trova
rifugio in Vaticano, sotto la fragile protezione di Pio XII. Farà in tempo a vedere gli alleati
entrare nella Roma liberata, ma non potrà tornare a Trieste: muore il 12 aprile 1945. Fra le
truppe alleate dell’Ottava armata, che risalgono la Penisola, nelle fila della Brigata Ebraica
(quella cui si è liberamente ispirato Tarantino per il suo film ”Bastardi senza gloria”) c’è il
nipote di Guido, Vittorio Dan Segre, figlio di Arturo, che oggi vive in Israele.
Tornati nella villa di via Murat, sequestrata dalle Ss durante la guerra e semidistrutta dai
bombardamenti, Gabriella ”Ella” Melzi con i figli Etta e Carlo Emanuele riprendono le redini
di ciò che resta dell’impero di Guido Segre. Ella si dimostra una capitana d’impresa ante
litteram, e rimette in piedi quanto possibile del patrimonio e delle aziende. In particolare
con il figlio Carlo Melzi assume la direzione delle Acciaierie Weissenfels (oggi passate ad
imprenditori austriaci). Carlo in seguito affiancherà al mestiere di industriale quello di
editore acquistando i quotidiani ”Messaggero Veneto” e ”Il Piccolo”. Morirà nell’agosto del
2000 senza lasciare eredi. Oggi le memorie della saga dei Segre Melzi sono custodite e
coltivate da Etta Carignani, dal figlio Guido e dai nipoti Gabriella, Gregorio e Manfredi.