Quarta settimana: conversione degli OCCHI (un nuovo modo di

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Quarta settimana: conversione degli OCCHI (un nuovo modo di
Quarta settimana: conversione degli OCCHI (un nuovo modo
di guardare)
Lunedì
Angolo della Misericordia
La voce del Perdono è il “Sugo della Storia”
Nei Promessi Sposi la misericordia ha voce di donna. Ma è anche la voce del padre, che sarebbe altrimenti il grande
assente dal capolavoro di Alessandro Manzoni. Fateci caso: non ha padre Lucia non ha padre Renzo, non è padre
veramente il padre che obbliga Gertrude a farsi monaca. Per fortuna, però, altri personaggi esercitano una paternità
eminentemente spirituale, ma non per questo meno efficace. Il primo e più importante è Fra Cristoforo, che alla
misericordia fa appello già durante il colloquio con don Rodrigo al capitolo VI. Prima che la conversazione degeneri e
sia suggellata dal memorabile “Verrà un giorno…”, il frate presenta infatti la sua visita come “un tratto di misericordia”
che Dio adopera per rimettere sulla buona strada il signorotto. E poco più tardi, al capitolo VIII, quando al termine della
“notte degli imbrogli” Lucia e Renzo sono costretti alla fuga, è ancora fra Cristoforo a includere don Rodrigo nella
preghiera di commiato: se così non facessimo, proclama, “noi saremmo indegni della vostra misericordia”. E’ l'annuncio
dell'appello che fra Cristoforo, sempre lui, rivolgerà a Renzo quasi al termine del romanzo, al capitolo XXXV, quando si
ritroveranno nel lazzaretto di Milano e il giovane vedrà davanti a sè l’avversario ridotto in fin di vita dalla peste.
L'alternativa è semplice e terribile: “Può esser gastigo, può esser misericordia”, spiega il religioso indicando l’agonizzante
don Rodrigo e ricordando a Renzo che “il sentimento che tu proverai ora per quest'uomo che ti ha offeso, sì; lo stesso
sentimento, il Dio, che tu pure hai offeso, avrà per te in quel giorno” (che è poi il giorno del giudizio, lo stesso preconizzato
a don Rodrigo).
Renzo fa fatica ad accettare la prospettiva del Perdono e così, dopo la voce del padre, è quella di Lucia farsi sentire. “Il
Signore non vuole che facciamo del male, per far Lui misericordia - dice la ragazza. Lasciate fare a Lui, per questo; noi,
il nostro dovere è di pregarlo” (capitolo XXXVI). Lasciar fare a Dio, lasciargli spazio: Manzoni non sarà mai più chiaro
di così nella sua riflessione sulla misericordia che, essendo adesione dell'uomo all'agire della provvidenza, non può
manifestarsi se non come presenza quieta, come accettazione tanto consapevole da sfociare in una dimensione mistica.
Per questo, appunto, la misericordia è dote paterna nel senso indicato dalla parabola del padre misericordioso (Luca 15,1131), ed è dote femminile, quindi prerogativa della “bella baggiana” che l'Innominato fa rapire per andare incontro alla
richiesta del solito don Rodrigo. Anche dal punto di vista della frequenza, “misericordia” è la parola che più di ogni altra
caratterizza i capitoli dal XX al XXIV, tra l'imprigionamento la liberazione di Lucia. La frase decisiva è, com'è noto, quel
“Dio perdona tante cose, per un'opera di misericordia!”, che risuonerà, completa di punto esclamativo, nella mente
dell'Innominato durante la notte insonne che precede la conversione (un consiglio: recuperate sul web l'interpretazione di
Salvo Randone nei Promessi Sposi televisivi diretti del 1967 da Sandro Bolchi). L’insistenza di Lucia - che a quella
parola, “misericordia”, si era già appellata nello scambio di battute con il Nibbio - riesce a produrre il miracolo, ma è pur
sempre un insistenza calma, di chi ha scelto di affidarsi.
Anche nella “cantafavola” manzoniana, in ogni caso, qualcuno che non arriva a intendere la lezione c'è comunque. Per il
povero don Abbondio e per la sua fidata Perpetua, per esempio, “Misericordia!” (il punto esclamativo c’è anche qui) non
è altro che un’interiezione, in modo un modo per tirarsi da parte illudendosi che tanto basti, agli occhi di Dio e degli
uomini, per mettersi in salvo.
di Alessandro Zaccuri
tratto da Avvenire, “la portAperta - il mensile del giubileo”, Dicembre 2015
Martedì
Una globalizzazione dell’indifferenza
“Si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare
compassione dinanzi al grido di dolore degli altri,[…] né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una
responsabilità a noi estranea che non ci compete.”
(Papa Francesco, Evangelii Gaudium 24 novembre 2013)
È martedì mattina. Come al solito sto entrando a scuola/lavoro. Passando dall’ingresso vedo Luca. Se ne sta lì da solo, in
disparte. Nessuno si cura mai di lui, se non per prenderlo in giro e farsi quattro risate. Questi atteggiamenti mi fanno
venire una rabbia! Prendersela con i più deboli.. che cosa da vigliacchi!
Ho deciso, mi avvicino per salutarlo e chiedergli come sta. Vorrei provare a farlo sentire un po’ meno solo.
Cavolo però, sta arrivando Marco, e il suo gruppo! Non oso immaginare cosa mi direbbero se mi vedessero parlare con
Luca. Verrei certamente etichettato come “l’amico dello sfigato”. E di sicuro mi prenderebbero in giro!
No no, faccio finta di niente e resto qui che è meglio!
Quante volte capita di comportarsi in questo modo. Tirare dritto con indifferenza, facendo finta di non vedere il bisogno
dell’altro. Dal collega/compagno di classe, fino al senza tetto per le vie del centro. Qualche volta ci prende un vago senso
di rimorso, ma il timore di mettersi in gioco, di fallire e di essere presi in giro è troppo forte e allora... meglio fare finta di
non vedere e rimanere in disparte. E poi in fondo che cosa posso fare io per modificare le cose?
Gesù ci scuote e ci chiede di modificare il nostro sguardo, di avere cura dell’altro e andare oltre l’indifferenza.
È rischioso? Senza dubbio! Tuffarsi e mettersi in gioco è certamente più faticoso, ma potrai essere certo di aver vissuto
davvero!
E io come mi comporto? Com’è il mio sguardo verso l’altro? Faccio finta di non vedere e metto a tacere la mia coscienza?
Mi metto in gioco oppure gioco al ribasso cercando di scamparla senza mai rischiare?
Mercoledì
Film: Dietro la maschera (Mask, USA 1985 – 91 minuti)
di Peter Bogdanovich; con Cher, Eric Stoltz, Sam Elliott, Richard Dysart, Laura Dern
Il sedicenne Rocky Dennis è affetto da leontiasi, una mostruosa deformazione del cranio, ma è dotato di intelligenza
vivace e di molta saggezza, più di sua madre Florence, che si è rifugiata nella droga e conduce un'esistenza non certo
esemplare. Ma il loro rapporto è fecondo, così come quello con la "vivace" banda dei loro amici motociclisti e con Diana,
una ragazza non vedente conosciuta in un campeggio. La sorte di Rocky, però, è segnata dall’inesorabilità di questa rara
malattia, nonostante la quale lui non rinuncia mai alla vita. Tratto da una storia vera
Vincitore dell’Oscar per il “miglior trucco”. In concorso al 38° Festival di Cannes dove riceve il premio per la “miglior
interpretazione femminile” alla cantante Cher.
Tre domande alla protagonista:
1. Cara Diana, che cosa significa per te non vedere?
È una domanda difficile cui rispondere perché non ho mai sperimentato cosa significhi “vedere” nel modo con cui lo
intendi tu, quello tradizionale. Io sono in grado di vedere, ma non con gli occhi. Gli altri sensi mi aiutano a “vedere” la
realtà in un modo singolare che non riusciresti a capire. Rocky invece l’ha capito e mi ha aiutata a non smettere mai di
contemplare il bello che c’è intorno a noi.
2. Gli altri sono ripugnati dall’aspetto di Rocky, per te invece è più semplice stare con lui, no?
Non credo che la mia cecità sia un “aiuto” per stare con Rocky e per amarlo come lo amo io. Sua mamma, i suoi amici
centauri, i suoi compagni di scuola sono vedenti eppure non hanno paura di lui ma gli vogliono bene di un amore sincero.
È il suo cuore a essere bello e purissimo, se uno riesce a guardare con occhi nuovi ciò che ha davanti non può non vedere
quanto Rocky sia bello!
3. Qual è il dono più prezioso che ti ha fatto?
Ha dato “colore” e “calore” alla mia vita. Non potrò mai dimenticarlo.
Giovedì
Dal Primo Libro di Samuele (1 Samuele 16,7)
Il Signore replicò a Samuele: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta
quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore».
7
Racconta la Bibbia che un giorno Samuele è inviato da Dio a Betlemme per ungere il re che il Signore ha scelto per il
Suo popolo. Entra nella casa di Isai e rimane colpito dalla prestanza fisica e dalla bellezza del primogenito, Eliab. Samuele
è convinto di aver trovato la persona che cercava, ma il Signore va oltre l'apparenza. Guarda dritto al cuore e sceglie
Davide, il più piccolo tra i fratelli.
Questo brano, nella sua apparente semplicità, ci aiuta a riflettere sul valore che diamo allo sguardo, all'apparenza e alla
prima impressione. Frequentemente, per abitudine, per comodità o per mancanza di tempo giudichiamo una persona
dall'aspetto esteriore, dal modo di vestirsi o di parlare. L'impressione che si crea in questo modo è spesso necessariamente
superficiale. Altre volte noi stessi ci impegniamo affinché l'immagine che diamo agli altri sia di un certo tipo, ad esempio
vestendo in un determinato modo, ecc.
Con questo brano il Signore ci invita ad andare oltre. Ci invita a non fermarci all'esteriorità, al taglio di capelli o al paio
di scarpe indossate. Col brano di oggi siamo invitati ad andare dritti al cuore. Proprio come scrive Antoine De Saint
Exupery ne Il Piccolo Principe: "l'essenziale è invisibile agli occhi".
E io? Mi fermo ai pregiudizi o mi sforzo di "guardare oltre"?
Curo la mia interiorità o per me avere una buona immagine/reputazione è tutto ciò che conta?
Oggi sono invitato a rendere il mio sguardo un po' più simile a quello di Dio. Oggi guardo al cuore.
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riflettere sul tema dello sguardo che va oltre l’apparenza.