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RIFORMA DEL
CONDOMINIO
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AVV. ALESSANDRO RE
ART. 1117 C.C.
PARTI COMUNI DELL’EDIFICIO
CONCETTO DI CONDOMINIO (v. Cass. Sez. Unite 31.01.2006, n. 2046 “Posto che il
regime del condominio degli edifici si instaura per legge nel fabbricato, nel quale esistono
più piani o porzioni di piano che appartengono in proprietà esclusiva a persone diverse, ai
quali è legato dalla relazione di accessorietà un certo numero di cose, impianti e servizi
comuni, l'esistenza del condominio e l'applicabilità della norma in materia non dipende dal
numero di persone che ad esso partecipano.)
NASCITA DEL CONDOMINIO (v. Cass. Sez. II, 04.10.2004, n. 19829 “Il condominio di
edifici sorge "ipso iure et facto", senza bisogno di apposite manifestazioni di volontà o altre
esternazioni, nel momento in cui l'originario costruttore di un edificio diviso per piani o
porzioni di piano aliena a terzi la prima unità immobiliare suscettibile di utilizzazione
autonoma e separata, così perdendo, in quello stesso momento, la qualità di proprietario
esclusivo delle pertinenze e delle cose e dei servizi comuni dell'edificio, tra i quali rientra, in
mancanza di titolo diverso, il cortile; ne consegue che, una volta costituito il condominio,
l'originario costruttore non può disporre come proprietario unico di detti beni, divenuti
comuni, nè concedere o creare su di essi diritti reali limitati come le servitù, neppure per
destinazione del padre di famiglia ai sensi dell'art. 1062 cod. civ., stante la carenza, all'atto
della divisione del fondo (preteso) dominante da quello (preteso) servente, della
appartenenza di essi allo stesso soggetto.)
a)
b)
IDENTIFICAZIONE DELLE PARTI COMUNI:
“tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune” (presunzione di condominialità) - art.
1117 n. 1;
elencazione non esaustiva “di parti utili” – art. 1117 n. 2 ;
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ART. 1117 PARTI COMUNI DELL’EDIFICIO
c) sono introdotti riferimenti espliciti a:
pilastri e travi portanti;
facciate (manca qualsiasi riferimento ai balconi);
sottotetti destinati all’uso comune (v. Cass. Civ. Sez. II, 20.06.2002, n. 8968 “Il
sottotetto di un edificio può considerarsi pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo
piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere
l'appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall'umidità, tramite la creazione di
una camera d'aria e non anche quando abbia dimensioni e caratteristiche strutturali
tali da consentirne l'utilizzazione come vano autonomo. In tale ultima ipotesi,
l'appartenenza del bene va determinata in base al titolo, in mancanza o nel silenzio
del quale, non essendo il sottotetto compreso nel novero delle parti comuni dell'edificio
essenziali per la sua esistenza o necessarie all'uso comune, la presunzione di
comunione ex art. 1117 n. 1 c.c. è applicabile solo nel caso in cui il vano, per le sue
caratteristiche strutturali e funzionali, risulti oggettivamente destinato, sia pure in
via potenziale, all'uso comune oppure all'esercizio di un servizio di interesse
condominiale.”)
d)Parti comuni definibili come impianti tecnici (“sistemi centralizzati di distribuzione e
trasmissione … e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di
proprietà individuale dei singoli condomini”).
e) Godimento periodico (multiproprietà) - v. artt. 69 e ss. D.lgs. n. 206/205 (Codice del
Consumo) e successive modificazioni (v. Cass. Civ. Sez. II, 16.03.2010, n. 6352 “La
partecipazione di ciascun comproprietario al godimento dell'unità immobiliare in
multiproprietà, in quanto riconducibile alla comunione e, limitatamente alle parti ed
ai servizi in comune a tutti i multiproprietari, al condominio, può essere espressa
soltanto dalla individuazione della quota di pertinenza di ciascun comproprietario.”).
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ART. 1117 BIS C.C.
AMBITO DI APPLICABILITÀ
Si estende l’applicazione dell’art. 1117 c.c. al così
detto “supercondominio”; la norma ripropone quanto
la giurisprudenza già aveva più volte indicato
costituire, appunto, “supercondominio” (v. Cass. n.
17332/2011 “Al pari del condominio negli edifici,
regolato dagli artt. 1117 e segg. cod. civ., anche il c.d.
supercondominio, viene in essere "ipso iure et facto", se
il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno
d'apposite manifestazioni di volontà o altre
esternazioni e tanto meno d'approvazioni assembleari,
sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti
condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e
servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e
principale, con gli edifici medesimi e per ciò
appartenenti, "pro quota", ai proprietari delle singole
unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati. Rigetta, App. Venezia, 23/09/2009)
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ART. 1117 TER C.C.
MODIFICAZIONE DELLE
DESTINAZIONI D’USO
SIGNIFICATO DI MODIFICA DELLA DESTINAZIONE D’USO :
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DIRITTO AMMINISTRATIVO: il cambio di destinazione d’uso può essere funzionale,
cioè senza opere edilizie, oppure con opere edilizie (v. art. 10 D.P.R. 380/2001 T.U.
dell’edilizia); l’autorizzazione comunale varrà solo nei rapporti tra condominio
e
amministrazione comunale, con salvezza dei diritti dei terzi, quali i singoli condomini.
DIRITTO CIVILE: la giurisprudenza ha da tempo affermato che devono considerarsi
“innovazioni” (già disciplinate dagli artt. 1120 e 1121 c.c.) non solo le “nuove opere”, ma
anche il mutamento di destinazione originaria del bene (v. Cass. n.11936/1999 “In tema di
condominio negli edifici, la distinzione tra modifica ed innovazione si ricollega all'entità e
qualità dell'incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa
comune, nel senso che per innovazione in senso tecnico-giuridico deve intendersi non
qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella
modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione
originaria, mentre le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il
godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in
modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi
innovazioni nel senso suddetto. - La S.C. ha così escluso che costituisse "innovazione" vietata
il restringimento di un viale di accesso pedonale, considerato che esso non integrava una
sostanziale alterazione della destinazione e della funzionalità della cosa comune, non la
rendeva inservibile o scarsamente utilizzabile per uno o più condomini, ma si limitava a
ridurre in misura modesta la sua funzione di supporto al transito pedonale, restando
immutata la destinazione originaria).”
Comunque il regolamento condominiale può contenere norme circa l’uso delle cose comuni e
delle proprietà singole, fermo restando che le norme del regolamento condominiale non
possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti
d’acquisto e dalle pattuizioni contrattuali.
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La nuova norma non si limita a riproporre i risultati già raggiunti dalla
giurisprudenza, ma consente in modo esplicito le modificazioni della
destinazione d’uso delle parti comuni.
Si potrebbe quindi desumere che un bene/impianto comune possa subire
una trasformazione tale da consentire un uso totalmente diverso rispetto
alla destinazione originaria.
Tale interpretazione è avvalorata dal fatto che la nuova norma, a stretto
rigore, impone una maggioranza più elevata di
quella prevista sino ad
ora nel caso di innovazioni che non costituissero opera nuova ma il mero
“mutamento della destinazione originaria” del bene (l’art. 1120 c.c. in
relazione all’art. 1136 c.c. prevedeva la maggioranza dei due terzi del
valore e la maggioranza dei partecipanti al condominio).
La nuova norma impone una maggioranza superiore pari ai quattro quinti
dei
partecipanti al condominio ed i quattro quinti del valore
dell’edificio.
2) Prescrizioni in ordine alla convocazione a pena di nullità (v. art. 1117 ter
terzo e quarto comma c.c.).
3) Modificazione delle destinazioni d’uso vietate (v. art. 1117 ter ultimo comma
c.c.).
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ART. 1117 QUATER C.C.
TUTELA DELLE DESTINAZIONI
D’USO
Il singolo condomino può diffidare l’esecutore di attività compiute da
uno o più condomini “che incidono negativamente e in modo
sostanziale sulle destinazioni d’uso delle parti comuni”.
La tutela è azionabile anche da parte del singolo che “può chiedere la
convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione, anche
mediante azioni giudiziarie”(v. tra molte Cass. Civ. Sez. II,
23.05.2012, n. 8173 “In tema di azioni a tutela delle parti comuni in
condominio occorre distinguere tra domande tendenti a esercitare atti
conservativi di difesa dei beni comuni e domande di natura
risarcitoria. Nelle prime sussiste la legittimazione attiva del singolo
condomino, atteso che essendo il condominio un ente di gestione
sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti,
l'esistenza dell'amministratore non esclude che ciascun condomino
possa provvedere direttamente ad agire per la tutela dei diritti inerenti
alle parti comuni. Le seconde, invece, tendono a soddisfare esigenze
soltanto collettive della gestione di un servizio comune, senza - quindi attinenza diretta all'interesse esclusivo dei singoli partecipanti, con la
conseguenza che in tali controversie la legittimazione attiva spetta in
via esclusiva all'amministratore del condominio.”)
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ART. 1118 C.C.
DIRITTO DEI PARTECIPANTI SULLE
COSE COMUNI
La nuova norma ripropone sostanzialmente quanto già affermava il vecchio testo dell’art.
1118 c.c. (salva la precisazione che la mancata contribuzione alle spese per la conservazione
delle parti comuni non può avvenire “neanche modificando la destinazione d’uso
della propria unità immobiliare” – v. art. 1118, 3 comma c.c.).
La parte più rilevante della nuova disposizione è contenuta nel quarto ed ultimo comma
che, peraltro, si limita a disporre per legge principi, già assolutamente consolidati dalla
giurisprudenza di merito e legittimità, che consentivano da tempo al singolo condomino la
rinuncia al riscaldamento centralizzato senza alcuna autorizzazione preventiva del
condominio (v. per tutte Cass. n. 15079/2006 “Il distacco dall'impianto centralizzato di
riscaldamento deve ritenersi vietato ove incida negativamente sulla destinazione obiettiva
della cosa comune determinando uno squilibrio termico ed un aggravio di spese per i
condomini che continuano a servirsi dell'impianto, e consentito, invece, quando è
autorizzato da una norma del regolamento contrattuale di condominio o dalla unanimità
dei partecipanti alla comunione ovvero anche quando venga fornita la prova che dal
distacco non può derivare alcuno dei predetti inconvenienti.” e Cass. n. 5331/2012 “Il
condomino può legittimamente rinunziare all'uso del riscaldamento centralizzato e
distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall'impianto termico comune, senza
necessità di autorizzazione od approvazione degli altri condomini, e, fermo il suo obbligo di
pagamento delle spese per la conservazione dell'impianto, è tenuto a partecipare a quelle di
gestione, se e nei limiti in cui il suo distacco non si risolve in una diminuzione degli oneri
del servizio di cui continuano a godere gli altri condomini; ne consegue che la delibera
assembleare che, pur in presenza di tali condizioni, respinga la richiesta di autorizzazione
al distacco è nulla per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune”).
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ART. 1118 C.C.
DIRITTO DEI PARTECIPANTI SULLE
COSE COMUNI
Anzi la Corte di Cassazione ha precisato che il regolamento
condominiale non può ledere questo diritto assoluto del
condomino (v. Cass. n. 19893/2011 “In tema di condominio
negli edifici, poiché tra le spese indicate dall'art. 1104 cod. civ.,
soltanto quelle per la conservazione della cosa comune
costituiscono "obligationes propter rem", è legittima la rinuncia
di un condomino all'uso dell'impianto centralizzato di
riscaldamento - anche senza necessità di autorizzazione o
approvazione da parte degli altri condomini - purché
l'impianto non ne sia pregiudicato, con il conseguente esonero,
in applicazione del principio contenuto nell'art. 1123, secondo
comma, cod. civ., dall'obbligo di sostenere le spese per l'uso del
servizio centralizzato; in tal caso, egli è tenuto solo a pagare le
spese di conservazione dell'impianto stesso. Né può rilevare, in
senso impediente, la disposizione eventualmente contraria
contenuta nel regolamento di condominio, anche se
contrattuale, essendo quest'ultimo un contratto atipico
meritevole di tutela solo in presenza di un interesse generale
dell'ordinamento - Cassa con rinvio, App. Trieste,
13/04/2005”).
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ART. 1119 C.C.
INDIVISIBILITA’
La norma ribadisce il principio precedentemente espresso dal vecchio
testo dell’art. 1119 c.c. della indivisibilità delle parti comuni (anche
perché verrebbe meno in tal caso lo stesso condominio).
E’ stato aggiunto l’inciso, rafforzativo, del “consenso di tutti i
partecipanti al condominio” per l’eventuale divisione.
Il principio è pacifico anche in giurisprudenza (v. Cass. n. 867/12 “In
tema di condominio di edifici, poiché l'uso delle cose comuni è in
funzione del godimento delle parti di proprietà esclusiva, la maggiore
o minore comodità di uso, cui fa riferimento l'art. 1119 cod. civ. ai fini
della divisibilità delle cose stesse, va valutata, oltre che con riferimento
all'originaria consistenza ed estimazione della cosa comune,
considerata nella sua funzionalità piuttosto che nella sua materialità,
anche attraverso il raffronto fra le utilità che i singoli condomini
ritraevano da esse e le utilità che ne ricaverebbero dopo la divisione.
(Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha
confermato la sentenza di merito la quale, con motivazione ritenuta
congrua, aveva disposto lo scioglimento del condominio relativamente
al giardino circostante l'edificio, alla soffitta ed allo scantinato della
casa, e deciso di non procedere, invece, alla divisione della terrazza
comune). Rigetta, App. Trieste, 04/01/2005”).
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ART. 1120 C.C.
INNOVAZIONI
Il primo comma è rimasto inalterato così come l’ultimo.
La nuova norma ha stabilito che “con la maggioranza
indicata dal secondo comma dell’art. 1136” (cioè
maggioranza degli intervenuti in assemblea che
rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio) possono
essere disposti gli interventi specificati ai n. 1, 2 e 3 del
secondo comma dell’articolo in esame, cioè le così dette
“innovazioni sociali”.
Peraltro, va subito notato che la riforma è penalizzante
proprio nel caso dell’eliminazione delle barriere
architettoniche; infatti con la precedente legge n. 13/1989
erano previste maggioranze inferiori per l’installazione di
servo scale e/o di ascensori a tutela dei disabili.
La richiesta di convocazione dell’assemblea prevista dal
nuovo terzo comma può essere avanzata anche da un solo
condomino “interessato all’adozione delle deliberazioni di
cui al precedente comma”.
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ART. 1122 C.C.
OPERE SU PARTI DI PROPRIETÀ O
USO INDIVIDUALE
La norma riafferma il divieto al condomino di
eseguire “opere che rechino danno alle parti
comuni ovvero determinino pregiudizio alla
stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico
dell’edificio”.
Se è chiaro che il divieto vale per le opere che il
condomino intende eseguire “nella unità
immobiliare di sua proprietà”, maggiori
perplessità desta il riferimento alle “parti
normalmente destinate all’uso comune, che siano
state attribuite in proprietà esclusiva o destinate
all’uso individuale”.
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ART. 1122 BIS C.C.
Il successivo articolo 1122 bis regola l’installazione di
“impianti non centralizzati di ricezione radio
televisiva e di produzione di energia da fonti
rinnovabili”.
In questo caso l’assemblea può prescrivere con la
maggioranza dell’art. 1136 quinto comma c.c.
“adeguate modalità alternative di esecuzione o
imporre cautele a salvaguardia della stabilità della
sicurezza o del decoro architettonico dell’edificio”.
E’ previsto infine che l’esecuzione dei lavori possa
essere subordinata al rilascio di idonea garanzia per
gli eventuali danni.
L’ultimo comma appare norma inutile e addirittura
lesiva dei diritti del singolo.
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ART. 1122 TER C.C.
IMPIANTI DI VIDEOSORVEGLIANZA SULLE
PARTI COMUNI
La norma precisa che le delibere per
l’installazione sulle parti comuni di “impianti
volti a consentire la videosorveglianza su di esse
sono
approvate
dall’assemblea
con
la
maggioranza di cui al secondo comma dell’art.
1136 c.c.” (quindi con maggioranza degli
intervenuti e metà del valore dell’edificio).
Rimangono invariati tutti gli obblighi già
attualmente in vigore in base alla Legge sulla
Privacy
ed ai successivi provvedimenti del
Garante.
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ART. 1124 C.C.
MANUTENZIONE E SOSTITUZIONE
DELLE SCALE E DEGLI ASCENSORI
La norma ha opportunamente inserito anche gli ascensori
(seppure non vi fosse alcun dubbio che la ripartizione della
spesa dovesse avvenire con lo stesso criterio delle scale) (v.
tra molte Cass. 17.02.2005, n. 3264 “In mancanza di criteri
convenzionali che deroghino a quelli stabiliti dalla legge, è
legittimo il criterio di ripartizione delle spese di
conservazione e manutenzione dell'ascensore, approvato
dall'assemblea in conformità a quanto stabilito dall'art.
1124 c.c. per la ripartizione delle spese relative alle scale,
norma applicabile in via analogica alla fattispecie avente
per oggetto ''ascensore, per la cui disciplina manca una
specifica norma. -Caso relativo ad ascensore installato
successivamente alla costruzione dell'edificio, con il
consenso di tutti i condomini, sia pure con il contributo
finanziario differenziato degli stessi”).
Ancora una volta è, viceversa, da rilevare la scarsa
precisione terminologica in quanto si fa riferimento alle
“unità immobiliari a cui servono”.
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