SOSnotiziario_dic_2015

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SOSnotiziario_dic_2015
Orizzonti Africani S.O.S. – sped. in A.P. art.2 comma 20/c Legge 662/96 – D.C.I. Padova Dir. Resp. G. Zannini Reg. Trib. Padova n. 1782 del 18/02/2002
Semestrale sulla vita dell’Associazione
numero 2 – dicembre 2015
EDIZIONE
SPECIALE
DI NATALE
MIGRANTI ED ESPATRIATI
ANCORA DONNA
Sommario
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S.O.S. – ONLUS
Solidarietà Organizzazione Sviluppo
Associazione di volontariato
INSIEME AI PAESI DEL SUD
DEL MONDO
SEDE
Via Severi, 26 – 35126 PADOVA
ITALIA
EDITORIALE
Tel. e Fax +39 049 754920
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APPELLO DEGLI INTELLETTUALI
IMMIGRAZIONE
presidente
DIARIO DI VIAGGIO
Sonia Bonin
EMERGENZA CLINICA SILOE
vicepresidente
ALI MOHAMED IKRAN
Carlo Maria Suitner
GLI ESPATRIATI
segretaria
SILVANO PEDROLLO
Eva Grassmann
FISAI
L’AFRICA E L’EXPO
GUERRE DIMENTICATE D’AFRICA
responsabile di redazione
Carla Felisatti
comitato di redazione
LAUDATO SI’
Sonia Bonin
Sonia Carretta
Patrizia Corrà
Carla Felisatti
Eva Grassmann
Angela Martin
L’AGENDA 2030 PER UN MONDO SOSTENIBILE
LA S.O.S. E I SUOI RAPPORTI CON GLI ENTI
PROGETTI S.O.S.
VITA DELL’ASSOCIAZIONE
RICORDIAMO DUE CARI AMICI DELLA S.O.S.
PROSSIMI APPUNTAMENTI
BACHECA
SOSTEGNO A DISTANZA
ORARI SEDE
dal lunedì al venerdì
dalle ore 9 alle 12:30
martedì e giovedì dalle 15:30 alle 18:00
Notiziario realizzato dai volontari S.O.S.
e
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stampato gratuitamente dalla
Tipografia Grafica Veneta
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Editoriale
Bambino migrante.
NOTIZIARIO N. 1 - GIUGNO 2015
Cari amici,
da mesi l’attenzione dell’Italia e dell’Europa intera è rivolta al fenomeno dell’emigrazione, fenomeno definito epocale per le dimensioni
che sta assumendo: le reazioni che ha suscitato sono le più svariate: chi
accoglie e chi rifiuta, e questo non solo a livello di stati, ma anche all’interno degli stessi (vedi le posizioni contrastanti assunte dai vari partiti
nel nostro paese).
Che dire? Tutti ci sentiamo coinvolti a livello umano, soprattutto assistendo con dolore alle tragedie in cui vengono coinvolti i migranti,
come quelle che si verificano in mare e che hanno causato centinaia e
centinaia di morti; senza tralasciare la vista delle processioni di profughi
in cammino verso la speranza di un’esistenza migliore, spesso bloccati
anche con l’uso della forza. Tanti disperati che fuggono dalla guerra, dalle persecuzioni, dalla fame!
Guai se, davanti a tali e tanti drammi, subentrasse l’assuefazione, l’indifferenza!
Da sempre l’uomo è andato alla ricerca delle terre che gli potevano
garantire ottimali condizioni di vita; la storia passata e recente è ricca di
vicende belliche provocate dallo scontro fra i popoli invasori e quelli residenti ….., ma angoscia vedere come in un’Europa civile, democratica,
non si riesca ad affrontare, appunto in maniera civile, il problema di una
migrazione che già sappiamo destinata a durare a lungo. Certo, non è
facile, le difficoltà sono tante, ma non si può pensare di opporsi, magari
costruendo muri, barriere (come sta accadendo in Ungheria, in Slovenia e in altri paesi dell’Europa dell’est) a questo afflusso inarrestabile,
senza pensare a un progetto, ad un’organizzazione che possa garantire l’inserimento dei nuovi arrivati, che peraltro gli esperti giudicano
positivamente come linfa nuova e come apporto demografico dove la
natalità registra un netto calo.
Anche noi Italiani siamo stati emigranti e ancora adesso, specialmente i giovani, partono soprattutto per trovare il lavoro che in Italia
scarseggia; questo dovrebbe renderci più sensibili, più accoglienti.
Non mancano, comunque, esempi di grande generosità, specialmente
nelle regioni del sud, maggiormente interessate a queste vicende; basti citare il comportamento degli abitanti dell’isola di Lampedusa che
qualcuno ha proposto per il Nobel della pace.
Questa è l’occasione per fare un sincero esame di coscienza, per analizzare il comportamento degli stati europei nei confronti soprattutto
dell’Africa; diciamocelo: ciò che sta accadendo era del tutto prevedibile,
visto che lo sfruttamento operato per secoli ha grandemente contribuito alla povertà degli Stati del Sud del Mondo, visto che la colonizzazione ha pure creato le premesse delle guerre che in essi sono frequenti.
Molte sono le associazioni che da tempo hanno compreso tutto ciò;
anche noi della S.O.S. da 25 anni siamo impegnati per contribuire allo sviluppo dei paesi nei quali operiamo; sono piccole iniziative relativamente ai gravi problemi esistenti, ma sono significative, importanti, perché
costituiscono un esempio di quanto si dovrebbe fare a livello mondiale.
Seppure in dimensioni ridotte, un esempio edificante di integrazione
è costituito dagli espatriati che spesso sono venuti in Italia per studiare o per lavorare: la nostra associazione è in contatto con molti di essi
che rappresentano una vera e propria ricchezza, in quanto ci offrono la
varietà delle loro civiltà, dei loro mondi e spesso hanno molto da insegnarci con la loro saggezza e operosità.
Un proverbio dice: “Non tutto il male viene per nuocere”; ci auguriamo che il dramma che sta interessando l’Europa possa, alla fine, aprire
nuovi orizzonti, generare nu ove sensibilità.
Carla
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GLI EMIGRANTI
Questa poesia di Edmondo De Amicis fa riferimento al fenomeno, anzi al dramma, dell’emigrazione dei nostri nonni...,
ma potrebbe riguardare ai fatti che si verificano in questi giorni.
Cogli occhi spenti, con le guancie cave,
Pallidi, in atto addolorato e grave,
Sorreggendo le donne affrante e smorte,
Ascendono la nave come s’ascende il palco
de la morte.
E ognun sul petto trepido si serra
Tutto quel che possiede su la terra.
Altri un misero involto, altri un patito Bimbo,
che gli s’afferra al collo, dalle
immense acque atterrito.
Salgono in lunga fila, umili e muti,
E sopra i volti appar bruni e sparuti
Umido ancora il desolato affanno
Degli estremi saluti
Dati ai monti che più non rivedranno.
Salgono, e ognuno la pupilla mesta
Sulla ricca e gentil Genova arresta,
Intento in atto di stupor profondo,
Come sopra una festa
Fisserebbe lo sguardo un moribondo.
Ammonticchiati là come giumenti
Sulla gelida prua morsa dai venti,
Migrano a terre inospiti e lontane;
Laceri e macilenti,
Varcano i mari per cercar del pane.
Traditi da un mercante menzognero,
Vanno, oggetto di scherno allo straniero,
bestie da soma, dispregiati iloti, carne
da cimitero, vanno a campar d’angoscia in lidi ignoti.
Vanno, ignari di tutto, ove li porta
La fame, in terre ove altra gente è morta;
Come il pezzente cieco o vagabondo erra
di porta in porta, essi così vanno di mondo in mondo.
Vanno coi figli come un gran tesoro
Celando in petto una moneta d’oro,
Frutto segreto d’infiniti stonti,
E le donne con loro,
Istupidite martiri piangenti.
Pur nell’angoscia di quell’ultim’ora
Il suol che li rifiuta amano ancora;
L’amano ancora il maledetto suolo
Che i figli suoi divora,
Dove sudano mille e campa un solo.
E li han nel core in quei solenni istanti
I bei clivi di allegre acque sonanti,
E le chiesette candide, e i pacati laghi cinti di piante,
E i villaggi tranquilli ove
son nati!
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E ognuno forse sprigionando un grido,
Se lo potesse, tornerebbe al lido;
Tornerebbe a morir sopra i nativi
Monti, nel triste nido
Dove piangono i suoi vecchi malvivi.
Addio, poveri vecchi! In men d’un anno
Rosi dalla miseria e dall’affanno,
Forse morrete là senza compianto,
E i figli nol sapranno,
E andrete ignudi e soli al camposanto.
Poveri vecchi, addio! Forse a quest’ora
Dai muti clivi che il tramonto indora
La man levate i figli a benedire....
Benediteli ancora:
Tutti vanno a soffrir, molti a morire.
Ecco il naviglio maestoso e lento
Salpa, Genova gira, alita il vento.
Sul vago lido si distende un velo,
E il drappello sgomento
Solleva un grido desolato al cielo.
Chi al lido che dispar tende le braccia.
Chi nell’involto suo china la faccia,
Chi versando un’amara onda dagli occhi
La sua compagna abbraccia,
Chi supplicando Iddio piega i ginocchi.
E il naviglio s’affretta, e il giorno muore,
E un suon di pianti e d’urli di dolore
Vagamente confuso al suon dell’onda
Viene a morir nel core de la folla che guarda
da la sponda.
Addio, fratelli! Addio, turba dolente!
Vi sia pietoso il cielo e il mar clemente,
V’allieti il sole il misero viaggio;
Addio, povera gente, datevi pace e fatevi coraggio.
Stringete il nodo dei fraterni affetti.
Riparate dal freddo i fanciulletti,
Dividetevi i cenci, i soldi, il pane,
Sfidate uniti e stretti
L’imperversar de le sciagure umane.
E Iddio vi faccia rivarcar quei mari,
E tornare ai villaggi umili e cari,
E ritrovare ancor de le deserte
Case sui limitari
I vostri vecchi con le braccia aperte.
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report & news
APPELLO
DEGLI INTELLETTUALI
Il settimanale “Sette”, allegato al Corriere della Sera del 18 settembre 2015, ha accolto sotto forma di
editoriale il messaggio/appello di un gruppo di intellettuali, con la precisa richiesta di divulgare il loro
testo nella speranza di trovare consenso presso altri firmatari. Noi della S.O.S. vogliamo esprimere la
nostra piena e convinta condivisione su quanto detto nel testo che vi trasmettiamo.
Davanti alle notizie di quest’estate dal fronte immigrazione
tornano alla mente le parole
del Padre in Sei personaggi in
cerca d’autore: “Non è finzione!
È realtà, realtà, signori! Realtà!“.
Muoiono di fame, di sete, di
asfissia, o per le conseguenze
delle violenze subite nel lungo
viaggio per fuggire da guerre e
disperazione.
Una sequenza che ha visto morire padri, madri, e tantissimi
Da dove arrivano i migranti. Le nove guerre civili.
bambini. La realtà con tutto il
stanno avvelenando – spesso con il codardo contributo di
suo carico di dolore ci pressa,
uomini politici e dei mass media – l’opinione pubblica.
le decine di migliaia di siriani in fuga, e con loro le migliaia
di afghani, iracheni, africani, non sbucano dal nulla ma ci riEraldo Affinati, Riccardo Bonacina, Laura Bosio, Luca Docordano lo sciagurato coinvolgimento dell’Occidente nelle
ninelli, Maurizio Maggiani, Claudio Magris, Pino Roveredo,
guerre in Somalia, Afghanistan, Iraq, Libia, Mali, e la guerra
Antonio Scurati, Elisabetta Sgarbi, Nadia Terranova, Sandro
civile in Siria incoraggiata dai Paesi occidentali e che in quasi
Veronesi, Gianni Marussi.
cinque anni conta 200 mila morti e oltre 4 milioni di profughi. Di fronte all’incombere di tanta realtà non solo qualsiasi
voglia di muri e di filo spinato risulterebbe inefficace (si veda
IL NERO COLOR (Anonimo)
il caso Ungheria), ma ucciderebbe definitivamente ciò che
I suoi piedi doloranti
resta dell’anima che ha dato vita alla nostra civiltà: la paseppur ancora giovane,
sione per la persona umana nella sua integrità, l’amore per
nel caldo torrido di un’estate
la libertà, la capacità di solidarietà, il senso della pluralità e
con i suoi occhi neri e profondi
dell’accoglienza, la spinta all’innovazione. In questo preciè intenta a guardar i suoi figli
so momento stiamo attraversando una soglia storica. Dalla
e con lo sguardo rivolto al mare
risposta che l’Europa darà al dilemma posto dall’esodo dei
stringe a sé la sua vita
profughi dipenderà il futuro della stessa Europa. Da come
mentre le onde di grigio funesto
vorremo guardare e raccontare questa tragedia si deciderà
sembran scuotere le sue radici
il futuro della cultura europea, e quindi anche del nostro
nel buio completo
modo di vivere e di pensare, fino alle storie più personali,
sotto un cielo stellato.
fino ai sentimenti più segreti. Occorre perciò il coraggio di
Da lontano una voce,
prendere grandi decisioni: una iniziativa a livello Onu per l’adopo il tanto navigar,
pertura di nuove strutture di accoglienza nei Paesi limitrofi
l’abbraccia per la morte scampata.
a quelli da cui queste persone fuggono; una nuova politica
Il giorno dopo non più persona
europea dell’immigrazione e dell’asilo (come hanno cominma, chiusa in una gabbia,
ciato a fare Austria e Germania) che possa archiviare una
non ha più lacrime per un’umanità cieca,
stagione di scelte fallimentari; un rilancio delle politiche di
lei vestita di stracci come può far
cooperazione con il Sud del mondo; l’istituzione (ricordata
tremare governi e persone se a tremar
anche dal Presidente Mattarella) del Permesso di Soggiorno
son le sue esili e fragili gambe;
Ue; a livello italiano, un’iniziativa governativa capace quanpoi disperata guarda il cielo in cerca
tomeno di valorizzare l’accoglienza diffusa a livello di società
di un angelo che arrivi a portar un amor
civile. Ricordiamo che, se solo si dimezzasse la spesa (a carimai avuto o di quel Dio che disse
co dei contribuenti) per la sicurezza negli stadi, avremmo la
di amar il prossimo come se stessi.
possibilità di gestire in buona parte quelle emergenze che
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
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IMMIGRAZIONE
a cura di Patrizia
In tema di migranti, riportiamo alcuni stralci della lettera – pubblicata sul numero di settembre 2015 di
Le Monde Diplomatique – che Aminata Traorè indirizza ad una madre africana, il cui figlio è morto nel
Canale di Sicilia, mentre tentava di raggiungere l’Europa.
Ricordiamo che Aminata Traorè, sociologa, autrice di numerosi libri sulle condizioni economiche, sociali e ambientali dell’Africa, ex ministra della cultura del suo paese, il Mali, attivista e fondatrice del Forum
Sociale Africano, è stata ospite della S.O.S. a Padova e protagonista di un’affollata conferenza al Centro
San Gaetano nell’ottobre 2011.
Aminata Traoré: Lettera a Yayi Bayam Diouf, mia sorella
Duecento tuoi concittadini e quasi altrettanti dei miei risultano fra gli 800 morti del naufragio del 18 aprile 2015,
al largo della Sicilia. Numerosi sono quelli di cui già non si
parla più, quelli di cui non si parlerà mai, seppelliti in quelle fosse comuni che sono diventati il deserto del Sahara e
il Mediterraneo. Il tuo unico figlio un giorno è partito per
l’Europa con 89 altri giovani di Thiaroye (Senegal) a bordo
di un’imbarcazione che è stata inghiottita dal mare. Noi ci
siamo incontrate, perché nel mio paese sono stata contattata da altre madri di migranti dispersi che non vogliono
né dimenticare né arrendersi: « Non abbiamo rivisto i nostri figli né vivi né morti. Il mare li ha uccisi. Perché? ». Loro
non sanno neanche cosa sia questo mare assassino, poiché
il nostro paese, il Mali, non ha sbocchi sul mare. Io mi ricorderò sempre, coraggiosa Yayi, del momento di profondo
raccoglimento, di comunione e di scambio rappresentato
dal «circolo del silenzio», che abbiamo organizzato insieme
durante il Forum sociale mondiale (Fsm) di Dakar a febbraio 2011. Speravamo che la nostra presa di parola, le nostre
mobilitazioni, così come le nostre iniziative femminili dal
basso, nei nostri villaggi e nei nostri quartieri, avrebbero
contribuito in maniera significativa a scongiurare la sorte che la globalizzazione neoliberista infligge a così tanti
umani nel mondo. Migliaia di chilometri di muri si stanno
erigendo per separare i popoli aizzandoli gli uni contro gli
altri, mentre sarebbero capaci di vera empatia, fraternità
e solidarietà, se si sapessero schiacciati dallo stesso rullo
compressore. Ma alle vittime europee del capitalismo glo-
bale e finanziario, quelli che fanno leva sulla paura, lasciano
credere che l’Africa è stata aiutata invano. Ciò ha trasformato il paesaggio politico europeo odierno. L’estrema destra,
che affonda le sue radici su questo terreno, avanza e sfida
le altre formazioni. Le destre e, orribile a dirsi, una parte della sinistra, che non vuole lasciarsi superare nella corsa alla
«protezione» degli europei contro i «barbari», nascondono
il saccheggio delle ricchezze dell’Africa, le ingerenze e le
guerre di rapina. Si parlerà allora di «umanitarismo» per i
migranti legalmente riconoscibili come profughi, e di «fermezza» per i migranti cosiddetti economici. Questi sono
per la maggior parte subsahariani e neri….. L’Europa persiste così nel «terrore economico». Come in Grecia, così in
Mali, in Senegal e altrove in Africa, il «coraggio delle riforme
dolorose» consiste, per i dirigenti democraticamente eletti,
nell’imporre ai propri popoli misure assassine, in nome di
un debito estero contratto a loro insaputa, per spese non
conformi, la maggior parte delle volte, ai loro bisogni primari. «Fermezza» è la parola d’ordine dell’Unione europea,
tanto nella gestione della crisi greca che in quella dei flussi
migratori nel Mediterraneo. Quanti greci hanno preso il
largo negli ultimi sei mesi, e quanti saranno quelli che emigreranno nei prossimi? Quali forme di violenza bisogna
aspettarsi in quel paese la cui gioventù, contrariamente a
una parte di quella della Francia, del Belgio e del Regno
unito, non è attirata dallo jihadismo? Perché coloro i quali
pretendono di lottare contro questo fenomeno non ammettono che progetti migratori abortiti possono spingere
i giovani a radicalizzarsi? Io mi pongo la questione, Yayi,
Un barcone di migranti.
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report & news
Siamo abituati a leggere quello che viene detto e scritto
sull’immigrazione in italiano, in inglese, in francese. Meno ciò
che è popolare nei social network in arabo. Pubblichiamo una
poesia anonima sull’immigrazione.
Sarebbe stata scritta da un siriano. Non è stato possibile
verificare da fonti indipendenti se si tratti di una lettera
autentica o no. La traduzione è dei ricercatori Serena Tolino
(Zurigo) e Ashraf Hassan (Napoli, Bayreuth).
a proposito del nord del mio paese, dove chi non ha più
la possibilità di andare a lavorare in Libia diventa, a volte,
scafista, jihadista o narcotrafficante… Diawori Coulibaly
de Didiéni, che ha perso lei stessa un figlio in un naufragio,
afferma: « Fate in modo che i nostri figli possano lavorare
e vivere degnamente qui ». Quando fai presente lo stravolgimento, da cima a fondo, della vita delle comunità di
pescatori a causa del saccheggio delle acque ricche di pesce del Senegal, cosa aggiungi tu, Yayi? In passato, era sufficiente, fai notare, andare a 100 metri dalle coste per trovare pesce che vi permetteva di procurarvi dignitosamente
cibo e reddito. Ora, «accordi di pesca» squilibrati e ingiusti
consentono a navi-fabbriche di stazionare per mesi sotto al
naso dei pescatori per servirsi e mettere il pesce in scatola
prima di levare l’ancora. Cosa c’è di sorprendente se pescatori impoveriti e disperati, così come contadini senza terra
e commercianti rovinati dai prodotti sovvenzionati che
inondano i nostri mercati, o migranti umiliati, diventano
scafisti? L’offerta di questi ultimi risponde del resto a una
domanda incomprimibile, domanda di una partenza che
assomiglia in tutto e per tutto a una fuga, nella speranza
di tornare in seguito e vivere meglio in mezzo e con la propria gente. Ma tutto è bloccato, Yayi, come rammenti tu:
navi, elicotteri e aerei sorvolano le coste affinché chi non
ha più i mezzi per vivere a casa propria non abbia neanche
più i mezzi per emigrare. Al termine della nostra giornata
di riflessione, uno dei giovani partecipanti si è rivolto a te
in questi termini: « Cara madre Yayi, anche io sono figlio
unico. Asciugati le lacrime. Il mare ti ha tolto un figlio; di’ a
te stessa che noi siamo tutti tuoi figli ». Ne sono profondamente convinta, cara sorella. È per questo motivo che, assieme al Centro Amadou Mapâté Bâ di Bamako e al Foram,
abbiamo deciso di promuovere la nozione di «madre sociale». Ai valori guerrieri del capitalismo globale e finanziario,
opponiamo valori pacifisti e umanisti. Le figure femminili
– madre, zia, sorella maggiore –, che li incarnano, giocano
spesso un ruolo centrale nel preservare la coesione sociale
e la solidarietà. Il Mali ha disperatamente bisogno di questo
fondamento culturale che costituisce una forza interiore di
cambiamento e di progresso. L’Università civica che abbiamo deciso di creare all’ultimo Fsm di Tunisi, a marzo 2015,
ci offrirà il quadro di questa educazione alla cittadinanza.
Secondo Susan George, « la conoscenza è sempre un antidoto alla manipolazione e al sentimento d’impotenza.
Senza di essa, non possiamo fare nulla. La conoscenza non
è un fine in sé, ma di certo è preliminare all’azione». È così
che la pensiamo, è ciò che diciamo e ciò che dà senso al
nostro impegno e alla nostra lotta.
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
MI DISPIACE MAMMA
Mi dispiace mamma,
perché la barca è affondata e non sono riuscito a
raggiungere l’Europa.
Mi dispiace mamma,
perché non riuscirò a saldare i debiti che avevo fatto
per pagare il viaggio.
Non ti rattristare se non trovano il mio corpo,
cosa potrà mai offrirti, se non il peso delle spese di
rimpatrio e sepoltura?
Mi dispiace mamma,
perché si è scatenata questa guerra ed io, come tanti
altri uomini, sono dovuto partire.
Eppure i miei sogni non erano grandi quanto quelli
degli altri…
Lo sai, i miei sogni erano grandi quante le medicine
per il tuo colon e le spese per sistemare i tuoi denti…
A proposito… I miei denti sono diventati verdi per le
alghe. Ma nonostante tutto, restano più belli di quelli
del dittatore!
Mi dispiace amore mio,
perché sono riuscito a costruirti solo una casa fatta di
fantasia:
una bella capanna di legno, come quella che vedevamo
nei film…
una casa povera, ma lontana dai barili esplosivi, dalle
discriminazioni religiose e razziali, dai pregiudizi dei
vicini nei nostri confronti…
Mi dispiace fratello mio,
perché non posso mandarti i cinquanta euro che avevo
promesso di inviarti ogni mese per farti divertire un po’
prima della laurea…
Mi dispiace sorella mia,
perché non potrò mandarti il cellulare con l’opzione
wi-fi, come quello delle tue amiche ricche…
Mi dispiace casa mia,
perché non potrò più appendere il cappotto dietro la
porta.
Mi dispiace, sommozzatori e soccorritori che cercate i
naufraghi,
perché io non conosco il nome del mare in cui sono
finito.
E voi dell’ufficio rifugiati invece, non preoccupatevi,
perché io non sarò una croce per voi.
Ti ringrazio mare,
perché ci hai accolto senza visto né passaporto.
Vi ringrazio pesci,
che dividete il mio corpo senza chiedermi di che
religione io sia o quale sia la mia affiliazione politica.
Ringrazio i mezzi di comunicazione, che
trasmetteranno la notizia della nostra morte per cinque
minuti, ogni ora, per un paio di giorni almeno.
Ringrazio anche voi, diventati tristi al sentire la nostra
tragica notizia.
Mi dispiace se sono affondato in mare.
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report & news
DIARIO DI VIAGGIO
MONICA, RICCARDO, CARLO e RAFFAELLA nella prima metà di agosto si sono recati a Isiro (R.D.C.)
per le tanto attese operazioni relative all’installazione del laboratorio occhiali, annesso alla Clinica
Oftalmologica Siloe.
Riccardo, Suor Roseline, Monica, Raffaella e Carlo.
MONICA ROIN, che già era stata in Congo, ci racconta la
sua nuova esperienza.
14 agosto 2015: siamo finalmente ad Isiro e stamattina la
nostra prima, inevitabile tappa è la clinica Siloe.
Pochi giorni prima della partenza, abbiamo ricevuto una
mail dall’abbé Cosmas che diceva: “Con gli occhi pieni di lacrime e con tanta emozione vorrei condividere con voi una
brutta notizia: venerdì scorso verso dalle 15 alle 17 è passato
un fortissimo temporale a Isiro e la Clinica SILOE è stata colpita. Purtroppo succede! Però è più duro per noi, già con le
difficoltà che abbiamo in questo momento, capita anche un
altra situazione difficilissima! Siamo senza parole! La gente
viene senza tregua a guardare e piangere vedendo i danni e
dicendo: “ Il nostro tesoro”, “L’orgoglio di Isiro”....
La prima e devastante sensazione al nostro arrivo è “desolazione”. L’uragano del 24 luglio è stato impietoso. Non ci avrei
creduto se non avessi visto con i miei occhi. Gli sguardi attoniti dei miei compagni di viaggio, Riccardo, Carlo e Raffaella
mi confermano che l’impressione è comune.
Rivivo per un istante il giorno dell’inaugurazione, maggio
2011: gli ambienti nuovi e puliti, la grande emozione di Cosmas e dei partecipanti, la soddisfazione di Pietro e di tutte
le persone che hanno reso possibile la realizzazione di questo ospedale, l’entusiasmo di Sonia che traspariva dal suo
discorso….; ed ora osservo sgomenta ogni dettaglio.
I danni al tetto sono consistenti: le lamiere sono volate
dietro l’ospedale e la violenza dello spostamento ha fatto
crollare parte della muratura sottostante. Mi raccontano
che grazie a Dio non vi è stato alcun ferito, ma chiunque
avrebbe potuto essere vittima della violenza di quella calamità improvvisa. Tutta l’ala sinistra dello stabile, dalle stanze per la degenza fino alla lavanderia, sono assolutamente
inagibili: a causa delle piogge, acqua e calcinacci invadono
i pavimenti, i soffitti sono intrisi ed ammuffiti..., ovviamente il ricovero dei pazienti non è possibile. Anche i pannelli fotovoltaici sono in gran parte distrutti. Ne consegue la
mancanza di energia elettrica! Si attivano i generatori solo
per necessità, ma il costo del carburante per il loro funzionamento è alto.
È la stagione delle piogge. Ogni mattina si spinge fuori l’ac-
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qua dai locali: anche la sala di preparazione all’intervento,
così come il deposito della farmacia, si allagano. Ci diamo
tutti da fare. I lavori di riparazione sono iniziati da subito,
ma ci vorrà tempo e questo causa ovviamente disagi: oggi,
ad esempio, erano in programma 2 interventi di cataratta e
la degenza per la notte è stata trasferita in una casa di fronte all’ospedale di proprietà della S.O.S. Riccardo e Carlo riescono finalmente a rendere operative le
macchine per la realizzazione degli occhiali e la prima visita
e vendita sembra essere di buon auspicio: un ministro con
tanto di guardie è venuto ad acquistare un paio di “lunette”!
L’arrivo di Carlo con i suoi occhiali sembra un dono dal cielo: c’è bisogno di credere che le cose funzioneranno, che si
potranno costruire occhiali, che Siloe riprenderà ad essere
funzionante… nemmeno gli occhiali da sole bastano a nascondere le lacrime di chi crede in questo progetto e ora
non vede che macerie.
LA MIA PRIMA VOLTA IN REPUBBLICA DEMOCRATICA
DEL CONGO.
Carlo Cavalli (Ottico e optometrista), protagonista
del progetto “Laboratorio occhiali”, conclude il suo
articolo ringraziando chi ha agevolato questa sua
esperienza, che, egli dice, “gli ha fatto vivere emozioni indimenticabili”
Il mio viaggio inizia idealmente molti mesi fa, quando Sonia con il suo entusiasmo coinvolgente mi racconta della
difficoltà di recuperare occhiali e della volontà di dotare la
clinica oftalmica “Siloe” di un laboratorio ottico funzionale
e completo. Mi rendo disponibile a collaborare e a recarmi in Congo, ma confesso tutte le mie perplessità nell’affrontare da solo un viaggio di tale portata; così Sonia mi
affianca una coppia composta da Monica e Riccardo che
mi accompagneranno in questa esperienza, rivelandosi le
persone più idonee a ciò, per la loro competenza, disponibilità e gentilezza. Incontriamo molte difficoltà nel fissare
le date, nel prenotare gli aerei, ma alla fine l’1 di agosto, in
compagnia loro e di mia moglie, parto!!!.
Devo dire con rammarico che le dinamiche del viaggio, le
tipologie di aerei e le realtà con le quali veniamo a contatto
nell’incontro con le pseudo istituzioni locali e aeroportuali
non sono state delle migliori e hanno messo a dura prova
il nostro spirito di adattamento. Una volta giunti ad Isiro,
dove sorge la clinica oftalmologica, ci accoglie don Cosmas, direttore della struttura, che per tutta la durata del
nostro soggiorno sarà instancabilmente presente, seguendoci costantemente e facilitando ogni momento della nostra vita quotidiana.
Ci mettiamo subito al lavoro, nonostante le conseguenze
di una tromba d’aria abbattutasi in luglio sull’edificio creando gravissimi danni al tetto e ai muri.
Emerge subito la responsabilità di operare in condizioni
molto difficoltose, con la consapevolezza che qualsiasi
errore può essere irrimediabile; a causa di ciò, la tensione
emotiva cresce giorno dopo giorno.
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report & news
Grazie a Riccardo, riusciamo a superare situazioni che
nemmeno a casa saremmo stati in grado di affrontare; lui
pensa a tutto: rubinetti, perdite d’acqua, sistemazione dei
mobili, ecc. E, quasi miracolosamente, tutto funziona.
Suor Roseline inizia ad accendere le macchine, mentre io
fungo da supervisore; lei, con massima destrezza, ricopre
il ruolo di esperta e di ottico efficiente.
La mia felicità, però, si affievolisce poco dopo, quando mi
rendo conto che molti materiali, donati nel passato, come
montature e lenti, sono datati e deteriorati dal tempo,
tanto da non essere più utilizzabili; così mi riprometto di
provvedere al mio ritorno a casa.
Durante la nostra permanenza, abbiamo l’opportunità
di seguire tutto l’iter che la clinica compie ogni giorno,
incontrando persone bisognose di cure e verificando
personalmente la difficoltà che Cosmas incontra per retribuire le prestazioni professionali mediche e il lavoro del
personale; abbiamo potuto constatare che quest’ultimo
opera con grande impegno e abilità, garantendo il funzionamento di una clinica oftalmica in un territorio isolato
e circondato da foreste.
Don Cosmas ci invita a lasciare Isiro per due giorni, per
recarci a Wamba, a noi nota per aver assistito alla proiezione del film “Un giorno a Wamba”; il percorso si snoda
Carlo e Raffaella con gli orfani della Maison Famille.
su strade, o meglio su sentieri, di terra che percorriamo
mediante i mezzi idonei a questo tipo di ambiente caratterizzato dalla foresta equatoriale. Meriterebbero una
lunga descrizione le profonde buche, le larghe pozzanghere, ma la realtà supera di gran lunga ogni immaginazione e solo chi ne ha fatto esperienza si rende conto di
aver compiuto delle vere e proprie acrobazie. Certo, lo
scenario, la vegetazione e tutto quello che ci circonda ci
fa ammutolire davanti a realtà per noi incredibili: dai piccoli villaggi, all’opportunità di salutare costantemente i
bambini, perché loro sono i primi a sorridere e a salutare
immancabilmente.
Questo, don Cosmas lo definisce “lo stupore di vedere i
bianchi”. Giunti a destinazione, abbiamo l’onore di pranzare con il vescovo di Wamba, mons. Janvier Kataka che
con semplicità ci ospita.
Nel pomeriggio, suor Roseline, Monica e Raffaella si prodigano per le pratiche delle adozioni a distanza. Visitiamo,
poi, ospedali, scuole, progetti realizzati dalla S.O.S.
Una magnifica esperienza, che abbiamo vissuta a Wamba
e che merita di essere raccontata, è stata una messa a cui
abbiamo partecipato: entriamo in chiesa alle ore 6,30 e per
ben quattro ore si balla e si canta, si prega e si respira un’atmosfera, come quella che viene rappresentata in certi film.
Non avrei mai creduto di resistere a tante ore di celebrazio-
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
ne, invece ora, con il senno di poi, la consiglio vivamente a
coloro che vogliono vivere un momento speciale.
Al ritorno facciamo un resoconto del viaggio ad amici e parenti e non possiamo fare a meno di evidenziare dicotomia
di sensazioni: l’Africa ti coinvolge, ti stupisce, ti emoziona
sia per quanto riguarda il paesaggio, sia per la popolazione:
gli Africani ti conquistano con un sorriso, per la loro bontà e
per la loro apertura nello stabilire nuove amicizie. Le realtà
sociali, invece, con le problematiche esistenti, ti disorientano, ti sgomentano, ti inducono a riflettere sul senso della
vita, ti fanno toccare con mano le disuguaglianze presenti
nel mondo.
In conclusione, desidero rivolgere molti ringraziamenti, in
particolar modo a Sonia e a don Cosmas, per avermi fatto
vivere un’esperienza simile.
Un pensiero speciale a chi mi ha permesso di superare le insidie presentatesi, i due angeli custodi: Monica e Riccardo.
TESTIMONIANZA DI UN CAPO VILLAGGIO
DI WADIMBISA, Chef Nangaa Bambitoyobey Joseph
Le parole, i ringraziamenti di questo paziente sono la
prova concreta della grande importanza che la Clinica
oftalmologica Siloe riveste per questo territorio, anche
per la professionalità con cui in essa si opera.
Mi chiamo Nangaa Bambitoyobey, capo della collettività
Wadimbisa nel territorio di Wamba, a 75 km da Isiro.
Io sono molto felice e soddisfatto delle cure avute al Centro
Oftalmologico Siloe.
All’inizio di settembre ho avuto un grave incidente: un corpo estraneo è entrato nel mio occhio destro, un grave problema per me, perché l’altro occhio, che è stato operato in
India, è praticamente cieco. Io sono rimasto due settimane
a letto con dei dolori atroci, senza dormire e con le lacrime
che mi uscivano continuamente.
Ho cercato di frequentare un centro di salute del posto e
un altro ospedale (Nebobongo), ma senza successo; allora ho deciso di andare al Siloe. Quando sono arrivato con
il mio bagaglio ho trovato suor Chantal Musamange che
mi ha estratto facilmente e immediatamente questo corpo estraneo che mi faceva soffrire terribilmente. È stato un
grande sollievo, ho subito chiamato i miei figli che abitano
a Kinshasa per dire che finalmente stavo bene.
Quella sera ho dormito profondamente in quanto non riposavo da tempo. Per me il Siloe è stata una fortuna.
Se il Siloe non esisteva cosa avrei potuto fare? Andare a
Kinshasa? Veramente grazie alla diocesi di Wamba e agli
amici italiani che hanno pensato di costruire questo centro
in questa zona.
Chef Nangaa Bambitoyobey Joseph.
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report & news
EMERGENZA CLINICA
OFTALMOLOGICA
SILOE
Con questo messaggio l’abbé Cosmas ci informa, costernato, del violento temporale che ha
provocato danni ingenti alla Clinica Siloe.
COSMAS RINGRAZIA
Ai cari Amici e Soci dell’Associazione SOS Onlus
Padova
Carissimi amici del Congo,
Siamo dispiaciuti!
Gli occhi pieni delle lacrime e con tanta emozione vorrei
condividere con voi una brutta notizia: venerdì scorso dalle 15
alle 17 è passato un fortissimo temporale a Isiro (Repubblica
Democratica del Congo) e la Clinica SILOE è stata colpita
da questo temporale come lo vedete sulla foto. Purtroppo
succede ! Pero è più duro per noi, già con le
difficoltà che abbiamo a sto momento, capita anche un
altra situazione difficilissima! Siamo senza parola ! La gente
viene senza tregua a guardare e piangere vedendo i danni e
dicendo: “ Il nostro tesoro, l’orgoglio di Isiro”....
Grazie di pensare alla clinica Siloe. Con affetto !
Cosmas
Carissimi,
per coloro che ancora non ho incontrato, sono Cosmas, il
referente dei progetti S.O.S. nella Repubblica Democratica del
Congo. Questa volta con sorriso, gioia e soddisfazione voglio,
anche perché è così giusto, ringraziare. Il restauro del tetto di
SILOE ad opera della S.O.S. mi ha dato ancora l’opportunità di
comprendere la vostra attenzione portata ai bisognosi e alle
emergenze, l’entusiasmo e la disponibilità che anima voi tutti,
membri e soci della associazione S.O.S. Onlus Padova.
Abbiamo fatto un appello il 25 luglio 2015 e, malgrado la
crisi che, direi, porta a carità tante persone anche da voi, vi
siete impegnati e avete fatto l’impossibile per venire subito al
nostro soccorso.
Questo è per noi il segno di Solidarietà per la quale lavorate nel
mondo, anche per ridonare la vista. È l’immagine che anche ora
mi viene alla mente ricevendo la somma di 20.000 $ (Ventimila
dollari) da voi raccolta tramite tanti lavori creativi di Appello,
Sacrificio…; per l’aiuto quando morivano per l’epidemia
tanti bambini nella nostra zona, per tante altre donazione e
sacrifici, sotto forma di materiali o di soldi. Assicuratevi, rimane
nella nostra mente che la vostra associazione nel maggio
2011 ha inaugurato il Centro Oftalmologico Siloé a Isiro, nella
Repubblica Democratica del Congo… il tesoro, l’orgoglio di
Isiro. Sapete che ogni goccia del vostro lavoro è stato molto
preziosa per la clinica SILOE soprattutto per quanto riguarda
la sanità della gente. E dei ciechi in particolare : cecità, miopia,
altre patologie che impediscono loro di avere quella vista alla
quale avrebbero diritto!
Grazie di cuore e continuate nel vostro generoso impegno!
Vi abbraccio tutti ! Vi benedica Dio di Bontà
Abbé Cosmas
Abbé Cosmas BOYEKONMBO
Prêtre du Diocèse de Wamba - (R.D.Congo)
[email protected]
La S.O.S. si attiva immediatamente mandando una
somma per i primi interventi e rivolgendo un appello ai
propri soci e simpatizzanti. In seguito a ciò sono stati offerti
Euro 7.000.
SILOE, conseguenze del violento temporale.
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SILOE, ricostruzione.
www.sosonlus.org
report & news
Padova, 10 settembre 2015
Carissimi amici,
come certamente ricorderete, la nostra associazione nel
maggio 2011 ha inaugurato il Centro Oftalmologico "Siloe" a Isiro, nella Repubblica
Democratica del Congo.
La realizzazione di questo sogno, frutto di anni d’impegno, ha rappresentato un evento
per la regione dell'Alto Uelé in cui sono molto diffuse le patologie agli occhi.
L'avvio è stato faticoso e tuttora le difficoltà non mancano a causa soprattutto della
scarsa disponibilità di mezzi (la popolazione poverissima non è in grado di pagare cure
ed interventi, se non con offerte in natura!), ma, grazie all'impegno del suo
Direttore, l’abbé Cosmas, e di suor Roseline, la sua collaboratrice, i risultati erano
veramente soddisfacenti.
Purtroppo il 25 luglio l'abbé ci scrive:"Con gli occhi pieni di lacrime vorrei
condividere con voi una brutta notizia: il giorno 24 luglio una tromba d'aria ha
investito Isiro e la nostra Clinica! La gente viene senza tregua a guardare e a
piangere vedendo i danni e dicendo: "il nostro tesoro", "l'orgoglio di Isiro"...".
Il mese successivo alcuni nostri collaboratori
che si sono recati sul posto, ci
confermano sgomenti l'entità del danno:"Le lamiere del tetto sono volate dietro
l'ospedale e la violenza dello spostamento ha distrutto parte della muratura
sottostante: tutta l'ala sinistra, dalle stanze degenza alla lavanderia, è inagibile!
Anche i pannelli fotovoltaici sono stati in gran parte distrutti!".
Di fronte a questa che possiamo considerare come l'ennesima tragedia che colpisce
questo popolo, già duramente provato da guerre, malattie e povertà, ma ricco di
coraggio e dignità, stiamo organizzando una raccolta di fondi; i lavori per riparare i
gravissimi danni sono già iniziati e la S.O.S. ha provveduto ad inviare una prima
somma.
Ringraziando quanti già hanno contribuito, facciamo appello alla sensibilità e alla
generosità di tutti: tramite offerte, anche modeste, vogliamo far sentire la nostra
vicinanza e ridare fiducia a chi in questo triste momento è preso dallo sconforto.
Un grazie di cuore!
S.O.S. Solidarietà Organizzazione Sviluppo onlus C/C Postale n. 11671351
IBAN BANCA CARIGE: IT17V0343112116000000072980
IBAN BANCA ETICA: IT56E0501812101000000100641
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
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report & news
ALI MOHAMED IKRAN
Affetta da grave malformazione ossea alle gambe, che le impediva di camminare, viene a Padova per
essere curata, dando luogo ad una vera e propria gara di solidarietà.
Gentilissimo dottor Gigante,
faccio seguito alla telefonata tra noi intercorsa, ringraziandola della sua disponibilità nel concorrere a sensibilizzare le persone per
aiutare la bimba da lei operata alle gambe; nonostante l’esito positivo dell’intervento, infatti, ella avrà sicuramente bisogno di altre
costose cure che la famiglia, poverissima, non sarà in grado di affrontare. La nostra associazione, S.O.S. Onlus (Solidarietà Organizzazione Sviluppo), che opera da 25 anni a favore dei Paesi del Sud del Mondo, Tanzania e Repubblica Democratica del Congo in
primis, è venuta a conoscenza del grave problema tramite un’amica somala; in seguito a ciò, abbiamo dato inizio ad una raccolta
per offrire un primo contributo; la risposta dei nostri soci è stata immediata, ma, come dicevo, è bene continuare in questa iniziativa
per garantire un futuro a questa sfortunata bimba. Sono certa che le sue parole potranno meglio raggiungere questo scopo, essendo
in grado di fornire tanti dettagli, anche dal punto di vista medico, necessari per far meglio comprendere la situazione.
Rinnovandole i miei ringraziamenti, la saluto cordialmente.
Sonia Bonin Mansutti
Azienda Ospedaliera Università di Padova
Ortopedia e Traumatologia
U.O.S. Ortopedia Pediatrica
Responsabile: dr. Cosimo Gigante
Padova, 27 Agosto 2015
All’attenzione del Presidente Associazione S.O.S. Onlus
Oggetto: azioni di solidarietà e liberalità in favore della piccola Ali Mohamed Ikran
Gentilissima Sig.ra Sonia Bonin Mansutti,
Vorrei innanzitutto ringraziarla per tutto quanto la sua Associazione, e lei stessa in prima persona, ha fatto per sensibilizzare i molti benefattori che hanno individuato nella
vostra Onlus lo strumento più idoneo per manifestare
concreta solidarietà nei confronti della piccola Ali Mohamed Ikran. Come ben sa, questa sfortunata bambina è
portatrice di una gravissima malformazione congenita
delle ginocchia, che è relativamente più semplice trattare
nei primi mesi di vita. A causa dello stato di estrema povertà del contesto sociale e geografico di provenienza,
nonché dell’assenza di adeguate strutture sanitarie di riferimento del paese di origine, la paziente è venuta alla mia
attenzione molto tardivamente (all’età di 6 anni). Un’età
La piccola Ali Mohamed Ikran.
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in cui la malformazione è ormai molto strutturata ed il cui
inevitabile risvolto funzionale è l’assoluta incapacità della
bambina alla assunzione della stazione eretta. A quanto mi
consta non ci sono nella letteratura medica internazionale
precedenti di trattamento chirurgico di questa malformazione su bambini in età ormai così relativamente avanzata.
Nonostante le enormi difficoltà e le grandi incognite che
questo caso presentava sotto l’aspetto strettamente medico, ho voluto comunque farmi carico del problema di
questa bambina per non deludere le enormi aspettative riposte nella mia persona e nelle tante professionalità di cui
è portatrice l’Azienda Ospedaliera di Padova. È stato quindi elaborato un planning operatorio personalizzato cui si
è dato seguito circa 2 mesi addietro con risultati che, allo
stato attuale, appaiono molto incoraggianti. Ovviamente,
causa la estrema gravità della situazione iniziale, siamo
consapevoli che a quanto già fatto dovranno aggiungersi
lunghi periodi di riabilitazione e sicuramente almeno un altro intervento chirurgico. Consapevole delle tante difficoltà
economiche di questa bambina, nonostante la generosa
cordata di solidarietà di connazionali che la sosteneva, ho
cercato di aiutarla coinvolgendo Padova Ospitale. Ho inoltre chiesto all’Ufficio Stampa dell’Azienda Ospedaliera di
Padova di autorizzare un comunicato stampa che potesse
dare eco mediatico a questa straordinaria vicenda, al solo
scopo di aiutare la bambina a reperire i fondi necessari al
proseguimento delle cure. Mi scuso con lei e con l’Associazione S.O.S. Onlus se la vostra organizzazione non è stata
espressamente citata negli articoli pubblicati sulla stampa
locale e nazionale. Ci tengo a precisare che questo è avvenuto per il solo motivo che all’epoca del “confezionamento”
del comunicato stampa in oggetto io ero ancora del tutto
ignaro del grande sostegno economico e logistico che nel
frattempo l’Associazione S.O.S. Onlus stava lodevolmente offrendo a questa piccola paziente. Mi è quindi gradita
questa occasione per esprimerle apprezzamento e riconoscenza per tutto quanto avete fatto e per tutto quanto
sono sicuro continuerete a fare in favore della piccola Ikran.
Cordiali saluti
Dott. Cosimo Gigante
Responsabile U.O.S. Ortopedia Pediatrica - Azienda Ospedaliera di Padova
www.sosonlus.org
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GLI ESPATRIATI
Oggi tanto si parla del fenomeno delle migrazioni, fenomeno
che ultimamente ha assunto proporzioni gigantesche a causa, soprattutto, delle guerre che insanguinano paesi come la
Siria, ma anche delle persecuzioni e delle gravi difficoltà economiche in cui si trovano molti popoli, specialmente in Africa; tuttavia in Italia risiedono stabilmente molti ex migranti,
ormai stabilizzati nel nostro paese e integrati perfettamente. Questi ultimi, cioè gli espatriati, costituiscono una vera e
propria manna per noi Italiani, in quanto sono presenti nelle
famiglie, come badanti, collaboratori domestici, baby sitter;
svolgono lavori che i nostri giovani disdegnano di fare, integrano il calo delle nascite, ci arricchiscono con i loro usi e costumi, facendoci conoscere realtà nuove.
Asha Gutale.
LA STORIA DI ASHA
Asha, una giovane somala, lavorava al Ministero della Pianificazione nel dipartimento di Statistica a Mogadiscio fino
all’anno 1990, quando vinse una borsa di studio e si recò
in Egitto. Proprio in quel periodo il suo paese era diventato teatro di guerra, e per questo le fu precluso il rientro in
patria. Il marito riuscì a raggiungerla prendendo l’ultimo
aereo in partenza dalla Somalia. Nel 1991 le nacque una
bambina, Mariam, e, non riuscendo più a vivere senza un
lavoro, chiese aiuto ad un lontano parente per raggiungere
prima Roma e successivamente Padova. Arrivò nella nostra
città assieme ad una ex vicina di casa con la quale aveva
rapporti da sorella. Da quel momento fece molte esperienze di lavoro, ma non tutte felici. Così si rivolse all’associazione padovana “Unica Terra” dalla quale ricevette aiuto
anche per la sistemazione logistica e per svolgere attività
saltuarie. Infine, le diedero la possibilità di effettuare il ruolo
di badante assistendo una signora ammalata di Alzheimer;
all’inizio era contenta, ma, con il tempo, avendo anche la
figlia ancora piccola, la coabitazione diventò problematica. In questo periodo, inoltre, si aggiungeva l’ansia per la
situazione della sua famiglia nella Somalia in guerra da cui
non riceveva più notizie, in quanto le comunicazioni erano
interrotte e le sporadiche informazioni che poteva avere da
qualche espatriato erano particolarmente drammatiche.
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
a cura di Carla
Nel concreto, il mezzo milione di immigrati che abbiamo in
Veneto non è composto da fantasmi inconsistenti e molesti,
ma da una massa di attivi che lavora, consuma, paga le tasse ed i contributi previdenziali; molti di loro hanno raggiunto posizioni sociali e lavorative di responsabilità, questo per
dire che gli atteggiamenti razzisti, molto diffusi nella nostra
regione, sono completamente immotivati, frutto di ignoranza o di malafede.
A conferma di quanto affermiamo, presentiamo alcune figure di espatriati, 4 donne diverse per provenienza, cultura,
ma accomunate dalla personalità ricca di sensibilità, generosità, voglia di affermarsi.
L’unico conforto e aiuto in questo triste e difficile momento le venne dall’associazione “Unica Terra” che le diede sostegno concreto anche per la bambina, che ormai aveva 3
anni e che poté essere inserita in una scuola materna, permettendo ad Asha di dedicarsi al lavoro di collaboratrice
domestica; nel frattempo, infatti, aveva interrotto il difficile
rapporto con la precedente signora.
Gli anni sono passati, Mariam è cresciuta frequentando con
successo prima il liceo classico ed ora il 4° anno di medicina
presso una università in Pakistan.
Asha, pur non navigando nell’oro e pur lavorando tutta la
giornata prestando vari servizi, ha una vita serena, grazie
soprattutto al suo carattere ottimista, allegro e generoso,…
tanto generoso da dedicarsi negli ultimi mesi con grande
disponibilità ad una bimba, Ali Mohamed Ikran, somala,
giunta in Italia nel mese di giugno per essere operata alle
gambe affette da una grave e rara malformazione. Non era
sua parente, non l’aveva mai vista prima, ma, informata da
una conoscente della situazione di questa bimba, non ha
esitato a dedicare a lei ed alla mamma molto del suo tempo, aiutandole anche materialmente.
Oggi Ikran, dopo quattro operazioni praticatele dal dottor
Cosimo Gigante, presso la Clinica di Ortopedica Pediatrica
di Padova, e dopo molte cure fisiatriche, dovrà essere sottoposta ad un nuovo intervento… e Asha continuerà ad
esserle vicina con amore materno.
Grazie Asha, grazie perché il tuo comportamento rappresenta un esempio edificante per tutti noi della S.O.S. che
pure, tramite soci e simpatizzanti generosi, ha offerto un
contributo per l’assistenza alla bambina.
“MAMMA” HALIMO JAMA MOHAMED
La maggior parte delle donne aspira a diventare mamma;
questo per istinto, in quanto la maternità è parte integrante
della loro natura, come di quella di tutti gli animali di genere femminile. Quante sofferenze, allorché questa legittima
ispirazione viene negata, quanti sforzi per poter generare
un figlio!
Halimo Jama Mohamed forse non aveva mai pensato di
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diventare mamma, in quanto nella sua vita difficile, avventurosa, non si era creata l’occasione di formare una famiglia;
ma anche in lei, evidentemente, c’era questa propensione,
rafforzata dalla grande sensibilità e generosità. E poi il destino…
Halimo lascia la Somalia, ancora giovanissima; viene in
Italia accolta da un fratello per motivi di salute, essendo
affetta da una grave forma di allergia, ma, durante il suo
soggiorno, nel suo paese scoppia la guerra che le preclude
il ritorno nella sua famiglia.
Così nel 1990 arriva a Padova con l’aiuto di alcuni amici, a
loro volta emigrati in Italia.
Non conosce la lingua italiana, non ha esperienza di lavoro, ma trova appoggio nell’associazione “Unica terra” dove
inizia a studiare l’italiano guidata dalla compianta maestra
Liliana Raimondo; quest’ultima la indirizza a Sonia Bonin
che le propone di lavorare per suo padre Vittorio Bonin,
uomo generoso e industriale attivo nel campo della bicicletta. Quando, dopo circa un anno, questi viene a mancare, ormai Halimo risulta molto apprezzata dalle sorelle
Bonin, al punto tale che le stesse le consentono di restare
nella casa del padre, avvalendosi nel contempo del suo lavoro domestico.
Contemporaneamente, avendo già ottenuto la cittadinanza italiana, inizia la sua collaborazione con l’Ufficio Immigrazione del Sindacato Cisl e nel 2000 viene assunta dalla
“Serenissima Ristorazione” che fornisce i pasti all’ULSS di
Padova, due attività che tuttora svolge.
Halimo è ormai perfettamente inserita nell’ambiente padovano e viene stimata da chi la conosce per la sua serietà
e intraprendenza.
La sua famiglia aveva già iniziato a crescere, in quanto nel
1994, venuta a conoscenza che un suo fratello di 17 anni
era fuggito dalla Somalia recandosi nello Yemen, grazie
all’intervento del missionario padre Alberto Placucci (grande amico della S.O.S.), riesce a farlo venire a Padova, ospitandolo presso di sé.
“Mamma” Halimo non si ferma qui: in successione arrivano i suoi genitori, poi altri fratelli fra cui la sorella Waris;
quest’ultima usufruisce dell’intervento di padre Franco Cellana, di recente scomparso (vedi articolo a pag. 43) e riesce
a giungere in Italia per sottoporsi alle cure opportune
Nel 2008 accoglie il nipote Hamsa di soli 5 anni affetto da
sordità totale per un errore medico in Kenia e lo fa curare,
crescendolo come un figlio.
Dopo pochi mesi, in Somalia, a Bossaso, si verifica un attentato terroristico contro una scuolabus, sulla quale si
trovavano fra gli altri due nipoti di Halimo: Nasrudin e Samira Mohamed Jama di 12 e 9 anni riportano gravissime
e profonde ferite alle braccia. Disperata, Halimo cerca di
farli venire in Italia assieme ai loro genitori; in questo caso
interviene con successo, avendo superato enormi difficoltà di tipo burocratico, Sonia Mansutti, presidente della
S.O.S.; naturalmente, anche essi verranno ospitati da Halimo che nel frattempo ha una casa tutta sua acquistata
in comproprietà con un amico. Per Nasrudin, purtroppo,
non c’era nulla da fare in quanto gli era già stato amputato il braccio sinistro, per cui venne sottoposto solo a cure
mediche. Samira, invece, viene curata tramite alcuni delicatissimi interventi agli Ospedali Riuniti di Bergamo per
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“Mamma” Halimo Jama Mohamed.
poi essere trasferita a Padova dove continua la fisioterapia
riabilitativa (vedi articolo comparso sul notiziario S.O.S. del
dicembre 2009).
Amsa e Samira, che ora hanno rispettivamente 13 e 15 anni
e che hanno in gran parte risolto i loro problemi di salute,
sono a tutti gli effetti figli di Alimo che li ha adottati.
Halimo, non contenta, ha frequentato un corso per accogliere ragazzi in affidamento e così ha potuto tenere presso di sé, legalmente, suo nipote Jama, un bel ragazzo di 25
anni, ormai parte integrante di questa bella e armoniosa
famiglia guidata da “mamma” Halimo!!!!
Visitando l’Expo, ho avuto il piacere di incontrare Halimo
in una nuova veste: da maggio, infatti, ha lavorato presso il
pavillon della Somalia, inserito nel Cluster “Zone Aride”, rivelando capacità imprenditoriali. Ha accolto me e mio marito con squisita gentilezza, agevolando la nostra presenza
in ogni modo. Grazie Halimo!
IL SEGNO DELLA PROVVIDENZA
Mi chiamo JOSETTE SAIDI, vengo dalla Repubblica Democratica del Congo e sono 33 anni che vivo in Italia.
Il mio arrivo in Italia nel 1982 non fu per scelta; ero già
al secondo anno di medicina in Congo, ma purtroppo
avevamo la dittatura e, appena gli studenti osavano rivendicare il minimo dei propri diritti, il presidente chiudeva l’università e i militari con carri armati ci riportavano
ognuno a casa propria che per me era a 2000 km da dove
studiavo.
Per poter studiare senza il rischio di interrompere l’anno
accademico bisognava andare fuori dal Congo. Io non avevo nessuna speranza di poter avere una borsa di studio di
qualche governo estero e non osavo nemmeno andare
nelle ambasciate per tentare la fortuna. Ero là in attesa di
nulla senza speranza di realizzare la mia vocazione di diventare medico. Una vocazione sentita e motivata anche
da tanti morti nella mia famiglia.
Un bel giorno la provvidenza bussò alla mia porta e, come
per miracolo divino, ricevetti una lettera in cui mi si annun-
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ciava che un sacerdote mi avrebbe accolto e aiutato per
studiare in Italia. E così sono arrivata in Italia il 24 giugno
1982 senza sapere nessuna parola di italiano.
Due anni dopo il mio benefattore, Don Mario Zanin, morì,
e allora dovetti pagarmi gli studi da sola. Con molta difficoltà, soprattutto nell’ultimo anno, facendo la lavoratrice ,
la moglie , la mamma e la studentessa , riuscii a laurearmi.
L’Italia mi ha dato molto,non posso dire che qui ho trovato
il paradiso, ma ho imparato a gioire per le cose belle che
ricevo e a non scandalizzarmi per tutte le situazioni di contrasto che ho vissuto o subito in questi 33 anni.
In Italia ho capito cosa vuol dire la democrazia e cosa vuol
dire la libertà. In Italia ho scoperto e amato ancora di più
il mio continente africano; in Italia ho scoperto quanta diversità di popoli esista sulla terra; eppure, malgrado questa
grande diversità, sono molte più le cose che ci accomunano di quelle che ci oppongono.
In Italia sono riuscita comunque a realizzare il mio sogno,
quello di diventare un medico, quello di avere la possibilità
ogni giorno di offrire un sorriso, un’accoglienza, un sollievo
a chi soffre non solo fisicamente ma anche moralmente.
In Italia, per l’esperienza vissuta nel mio intimo di tutte le
cose belle e non belle, ho capito in modo profondo quanto
è importante il “sentimento”: per vederlo, ascoltarlo, assaporarlo, toccarlo bisogna percepire ciò che è invisibile in
Josette Saidi.
ogni uomo, allora ci si rende conto che è comune a tutti ed
è alla base di ogni relazione e di ogni rapporto. Si esprime
in modo diverso, ma ha la stessa intensità. La mia consapevolezza di questo fatto mi fa vivere serenamente e con
naturalezza di fronte a chiunque e la mia fede mi spinge a
dire che ogni persona che incontro è l’immagine di Colui
che è stato crocifisso per ogni uomo.
Le cose che mi hanno rattristato sono molte in questi 33
anni. Ne cito solo una, quella che mi ha amareggiato di più,
ed è stato quando dopo la mia laurea e dopo aver fatto
l’esame di stato mi hanno rifiutato l’iscrizione all’ordine dei
medici perché extracomunitaria; questa era una normativa
di legge in Italia in quell’epoca e, se in un paese così detto
civile, la discriminazione diventa legge, allora sì che a chi la
subisce fa proprio male. Per fortuna due anni dopo la mia
laurea, questa legge è stata ritirata.
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
Dopo 33 anni, a che punto siamo con l’accoglienza e
l’integrazione ?
Si parla, si è fatto e si fa ancora tanto; molte cose sono migliorate, però vi do un solo esempio: mio figlio che ha 23
anni, nato in Italia, con la cittadinanza italiana, sta cercando lavoro; aveva trovato un anno fa un piccolo lavoretto,
ma solo in prova in un call center per pubblicizzare telefonicamente un prodotto commerciale. Lui si chiama Saidi,
ma quando doveva chiamare i clienti, doveva presentarsi
come Marco Bruno, perché Saidi poteva creare diffidenza
nelle persone.
Questo per dire che si, è vero, che si fa molto per l’integrazione, ma il percorso è ancora lungo e chiede l’aiuto e la
collaborazione di tutti.
Non è facile raccontare 33 anni di vita in una sola pagina,
la vita è fatta di mille esperienze ogni giorno, ma per chi ha
fiducia nel Signore ogni attimo della sua vita è una grazia.
Io vi dico solo che ringrazio di cuore chi mi ha accettata nella sua struttura medica per prestare servizio da tanti anni
ormai senza alcun pregiudizio.
Josette
Intervista di MICHELLE FRANCINE NGONMO,
PRESIDENTE DI ASCAF, Associazione degli Studenti Camerunensi di Ferrara, e attuale direttrice della All TV
EkueFolly G. (EFG): Buongiorno, potrebbe presentarsi
e dire ai lettori chi è Michelle Francine Ngonmo?
Michelle Francine Ngonmo (MFN): Sono di origine camerunese, presidente dell’Associazione degli studenti africani
di Ferrara, lavoro nel mondo della comunicazione. Il mio
percorso universitario è atipico nel senso che sono passata
da un settore disciplinare all’altro. In triennale ho studiato
Tecnologia della comunicazione audiovisiva e multimediale, poi mi sono accorta che, per incidere nel mondo della
comunicazione, le lingue sono fondamentali. Così ho deciso di specializzarmi in lingue per il biennio, percorso che mi
ha portato a svolgere diversi stage, al Parlamento europeo,
presso il Ministero della Cultura belga e un altro anche recentemente in Camerun.
EFG: Oramai, è da parecchio che è in Italia, se la sente di
definirsi ancora “donna africana”?
MFN: Io mi definisco “donna”. Le mie origini sono parti integrante di me. Non è l’appartenenza geografica o il colore
della pelle a definire l’identità di una persona. Certo che
io sono una “donna africana” e lo sarei in qualunque parte del mondo vivessi. Lo sono soprattutto per le battaglie
che porto avanti, mi riferisco ad esempio all’analfabetismo, alla battaglia in difesa della donna in particolare, ai
bambini soldati, al terrorismo mascherato in Africa, ecc.
Tuttavia, definirmi solo come donna africana mi pare riduttivo, non vorrei sembrare immodesta, ma ambisco ad
essere una donna del mondo. Le donne africane dal nord
al sud, dall’est all’ovest hanno questa di specie di trait de
union che le unisce, e potrei citare Calixte Beyala, Wangari
Maathai, Miriam Makeba, Amina Tyler che hanno portato o
portano avanti battaglie diverse, ma collegate con un filo
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focus on
Michelle Francine Ngonmo.
conduttore comune. Sono queste donne che mi fungono
da modello.
EFG: Siccome dice di esserlo a prescindere, ci può spiegare che cosa intende concretamente per “donna africana” e perché si considera tale?
MFN: Da donna panafricana, direi intanto che provenire
dall’Africa o amare l’Africa non basta. Nel mio caso, devo
dire che cerco sempre di portarmi dietro quello che mi
hanno insegnato i miei, come mi hanno cresciuta, perché
l’educazione conta tanto. Cerco di essere sempre informata
su quanto succede in Africa. Non si tratta dunque soltanto
di usi e costumi che certe volte sono anche frutto di stereotipi. C’è da ricordare infine che la donna in Africa è il perno
del matriarcato molto diffuso sul continente.
EFG: Nella sua vita quotidiana, nota differenze tra lei e
altre donne che vivono qui in Italia?
MFN: Ah sì. Ci sono delle differenze ed è giusto che sia così.
Il mondo è bello perché è variegato. Ci sono differenze nel
modo di parlare, negli obiettivi, ecc., che sono tutte legate
alle culture. E queste differenze le ho notate anche tra le
donne della stessa Africa. Come sa, l’Africa non è un blocco
monolitico, quindi generalizzare sarebbe sbagliato. Tra le
donne africane ci sono donne camerunesi, togolesi, burundesi, ecc., che la pensano diversamente; ci sono comunque
54 paesi, quindi è giusto sentirsi diverse dalle altre.
EFG: È vero che ci sono delle differenze tra una ragazza del Togo, una ragazza del Congo o del Camerun, ma
non pensa che ci siano delle caratteristiche che contraddistinguono in generale queste donne africane
rispetto alle altre donne, sud-americane, italiane/europee o cinesi?
MFN: Sì, indubbiamente ce ne sono. Ciò sarà anche dovuto
al fatto che la maggior parte delle donne africane sono qui
per motivi di studio, a differenza per esempio delle donne
cinesi o sud americane che vengono soprattutto per motivi di lavoro o di famiglia. Insomma, ciò che maggiormente
contraddistingue la donna africana, per quello che so io,
è che la vedo nella società più consapevole di quello che
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vuole fare o di dove vuole andare. Questo sì,...ma una cosa
che un po’ mi dispiace è che sapranno anche dove vogliono andare, ma hanno però la tendenza a dimenticare da
dove vengono.
EFG: In che senso?
MFN: Nel senso che magari per affermarsi nella società
qualche volta si dimenticano della loro cultura, anzi la azzerano e abbracciano al cento per cento la cultura dei paesi di
accoglienza, che nel nostro caso è quella italiana.
EFG: Vuole riferirsi al processo di assimilazione?
MFN: Esatto.
EFG: Perché loro lo fanno?
Lo fanno essenzialmente per essere accettate dalla società.
Lo fanno anche perché in Italia il fattore “diversità” è ancora
molto sentito e di conseguenza si sentono di dover dimostrare qualcosa a qualcuno, nel senso che, siccome la donna africana e l’africano in generale sono dipinti in maniera
dispregiativa, vogliono dimostrare che sono emancipate, e
per essere emancipate credono di dovere essere conformi
alla cultura europea.
EFG: Come descriverebbe il ruolo sociale della donna
in Africa?
MFN: Come dicevo poc’anzi, l’Africa non è un blocco monolitico e generalizzare sarebbe deformare la realtà. Anche
perché l’Africa è variegata tanto sul piano culturale religioso quanto sul piano sociopolitico, soprattutto nel campo
delle donne. In Africa sub sahariana in generale, direi in
particolare in Camerun, la donna ha come ruolo quello di
educare i bambini, di curare la casa, diciamo che occupa il
ruolo dell’educatrice. Questo è grosso modo il ruolo della
donna, cioè di portare avanti la società formandone le future generazioni. .
EFG: Io osservo però che la donna rappresenta anche
in molti paesi africani il polmone delle economie locali.
Secondo lei, come la donna riesce a conciliare questo
suo ruolo di pilastro dell’educazione con questa sua
presenza molto radicata nell’economia?
MFN: Non lo so, ma le nostre donne africane sono straordinarie, perché comunque, a differenza delle altre donne,
si sentono la responsabilità del futuro sulle spalle. Come
ad esempio diceva Sankara, sono importantissime per la
società. Loro riescono a conciliare le due cose, perché tradizionalmente per loro è una cosa normale, che fa parte della
loro personalità..
EFG: Qual è allora secondo lei l’influenza delle teorie
femministe sulla donna africana odierna e sugli equilibri sociali in Africa?
MFN: In Africa, per quello che so, il vocabolo “femminismo”
assume quasi una valenza negativa per molti. C’è qualcuno
che pensa che sia contrario ai valori tradizionali africani e
qualcun altro che sia l’ennesimo strumento del neocolonialismo occidentale in Africa. Però io credo che la verità sia
tutt’altra. Cioè, le donne hanno da sempre giocato un ruolo
primordiale e fondamentale nelle società africane. La storia del continente è costellata da grandi figure eroiche (le
amazzoni del Dahomey, le regine Aminatu, Zinga, Fokou,
ecc.); furono regine, conquistatrici, guerriere, liberatrici e
hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia. Nell’Africa sub sahariana direi che questa teoria è “molto senti-
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ta”, anche perché abbiamo due capi di Stato, in Liberia e in
Repubblica Centrafricana. Le donne diventano sempre più
protagoniste, integrano il contesto politico, basta guardare
le statistiche. In Ruanda, se non mi sbaglio, il 60% del Parlamento è costituito da donne. In effetti, penso che il Ruanda
sia il primo paese al mondo con il più alto numero di donne
al parlamento. In Senegal, la percentuale è passata dal 23
al 43% nel 2010, perché è stata approvata una legge sulla
parità per tutte le istituzioni.
EFG: Vedo che sta già presentando una panoramica
della presenza femminile nell’universo politico-istituzionale sul continente. Pensa che questa situazione,
che saluto con ammirazione, sia determinata specificatamente da quelle teorie femministe “made” in America e importate in Europa dal 1968 ?
MFN: Sì, credo proprio che sia stata determinata dalle teorie femministe, anche se però debbo dire una cosa non
molto bella…
EFG: Riguardo?
MFN: Io la vedo più come un’ ipocrisia: queste donne occupano dei ruoli, ma non sono in realtà loro che decidono.
Hanno raggiunto quelle posizioni solo per rendere operative “le quote rosa”. Però vorrei dirle anche una cosa riguardo
al Black femminism negli Stati-Uniti, e che poi ha raggiunto anche l’Africa:, c’è una grandissima differenza, perché le
femministe africane si distaccano dal femminismo europeo e da quello americano, ecco mi piacerebbe poter far
capire questa cosa…
EFG: Vada pure avanti.
MFN: Citerei la femminista africana di origine maliana, per
la quale nutro tanta ammirazione, Sira Diop, che ha detto
che, se essere femminista è lottare per i diritti delle donne,
allora lei è femminista. Tuttavia, il femminismo africano
non ha nulla a che vedere con quello europeo o americano. In Africa, le donne non lottano per l’uguaglianza tra
uomini e donne, lottano per avere più diritti e un po’ più
di tempo libero. Le femministe africane si ispirano un po’
alla loro cultura, che è quella secondo cui la donna non
è inferiore all’uomo, però non è uguale, cioè lei non può
sostituirsi all’uomo così come l’uomo non può sostituirsi a
lei. Questo è il femminismo africano che è molto diverso da
quello occidentale.
EFG: Che ne dice dell’influenza delle teorie femministe sul ruolo della donna, quindi sul tessuto sociale
in Africa?
MFN: L’inserimento delle teorie femministe in Africa crea
senz’altro degli squilibri a livello sociale. Per esempio, non
sono andata a studiarmi le statistiche in profondità, ma
posso citarne alcune le quali dicono che il numero dei divorzi in Africa è in aumento. Ed è aumentato perché? Perché da un bel po’ le donne hanno iniziato a lottare per i loro
diritti, ma quei diritti su che cosa si sono basati? Sul modello europeo. Non voglio dire che tali diritti siano negativi in
sé, ma semplicemente che sono inadeguati per le società
africane. Questa influenza si nota non solo a livello lavorativo, ma anche all’interno delle mura domestiche, visto
che le donne arrivano a casa e non rispettano lo stile del
femminismo africano di cui parlavo prima, ma si mettono
a pensare che possano essere uguali al marito o addirittura
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
superiori; c’è un meccanismo complesso e perché questa
cosa? Perché, com’è risaputo, sono i media che educano le
popolazioni, solo che in Africa non ci sono ancora media
potenti, e il modello di media presente è quello europeo,
e le donne si basano su quello che viene trasmesso in TV.
EFG: Secondo lei, se la donna africana lotta soltanto
per avere più diritti, che è una cosa giusta, perché allora queste leader donne usano la stessa terminologia
“femminismo” che sappiamo avere già un’impronta
culturale molto diversa dalle culture africane. Perché
non si inventano un’altra terminologia?
MFN: Io credo che sia perché vogliono che la cosa abbia
risonanza in tutto il mondo, perché la parola “femminismo”
è molto d’impatto, quindi usarla attira l’attenzione di tutti. Se avessero inventato un’altra parola, io credo che nessuno le avrebbe seguite. Ad esempio, ci sono state quasi
contemporaneamente le stragi di Boko Haram a Baga in
Nigeria e di Charlie in Francia. Gli Africani hanno voluto fare
il movimento Je suis Nigeria oppure Je suis Cameroun, ma
nessuno li ha seguiti, ma tutti, anche nel villaggio più sperduto, dicevano Je suis Charlie. Questa debolezza mediatica
dell’Africa e questo disinteresse esterno avrebbe impedito
dunque alle donne africane di far emergere il loro concetto.
EFG: Ora, andiamo a esplorare il tema del contrasto
che esiste apparentemente in Africa stessa tra le donne
rurali e le donne urbane. Gli equilibri sociali nelle zone
rurali non sono uguali a quelli delle zone urbane. Come
spiegherebbe questa diversità e quanto incide la città
sul ruolo e il valore sociale della donna in Africa?
MFN: Per prima cosa, la città incide sull’emancipazione
della donna in generale, sia in Africa che in Europa, in Asia,
insomma ovunque nel mondo, non riguarda solo la società africana! Stare in ambiti rurali avrà i propri vantaggi, si è
un po’ più spensierati, si è a contatto con la propria terra,
ma sicuramente toglie molte opportunità sia sul piano
sociopolitico che sul piano lavorativo alla donna. La città
comunque offre secondo me maggiori opportunità, perché la donna ha la possibilità di entrare in contatto con
più tecnologie, più educazione, mentre in ambito rurale
la donna non ha tanta scelta, la scelta è o agricoltura o
commercio e poche sono quelle che riescono a emergere
in questi ambiti.
EFG: C’è un altro fenomeno che segna il percorso della
donna anche nell’Africa urbana: il tasso di abbandono
scolastico da parte delle ragazze. Ciò fa sì che si comincia sempre la scuola elementare con un alto tasso di
presenza femminile e si arriva all’università con una
loro presenza abbastanza marginale. In alcune facoltà,
addirittura non trovi neanche una ragazza ed è questo
che spiega perché i dirigenti dei paesi sono alla fine dei
maschi. Come spiega questo decremento della percentuale femminile nei circuiti dell’istruzione ?
MFN: Penso sia un fattore culturale. Le ragazze da bimbe
vogliono tutte andare a scuola, poi già a18 anni ce ne sono
che vogliono sposarsi, mettere su famiglia. C’è tuttavia anche una tendenza culturale delle famiglie che privilegiano
la scolarizzazione dei maschi a quella delle femmine, e
questo è dovuto alla mentalità secondo cui la femmina si
sposa, quindi segue un uomo estraneo alla famiglia, men-
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Donna africana.
tre l’uomo rimane e mantiene la casa. Così, più si investe su
di lui meglio è.
EFG: Quanto incide allora il fenomeno della pubertà,
che comunque coincide nella maggior parte dei sistemi educativi con gli anni delle classi superiori o universitarie, e che contribuisce anche essa a indebolire la
concentrazione delle ragazze stesse sugli studi esponendole alla “charme” dei professori, dei ragazzi e dei
propri compagni di classe?
MFN: Sicuramente anche questo fenomeno esiste e incide sulla scolarizzazione delle ragazze in Africa. Costituisce
anche l’origine delle gravidanze pletoriche che si riscontrano in tutti paesi presso le studentesse. Nondimeno, io
credo che il fenomeno ci sia perché le ragazze non sono
abbastanza educate sul tema della sessualità. Quando entrano in pubertà e si rendono conto della trasformazione
del proprio corpo, hanno addosso gli sguardi, soprattutto quelli dei maschi coetanei, ma anche degli adulti che
non smettono di corteggiarle, facendo prendere coscienza della loro bellezza. Al contempo, a casa, cosa dicono le
mamme? Che ora sono adulte, che devono pensare anche
a sposarsi e a fare figli, ma non vengono educate, e poi,
quando si trovano a dovere affrontare delle gravidanze,
vengono abbandonate.
EFG: In Ghana ad esempio, per legge, prima della maturità, le alunne devono tenere i capelli corti e non indossare indumenti che mettano eccessivamente in risalto
la loro sensualità. L’obiettivo è evitare che, al momento
della pubertà, la loro attenzione non si sposti sulla cura
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dei propri corpi, capelli, quant’altro… Ora, che si voglia
o meno, questa legge ha avuto riscontri positivi sul
tasso di istruzione o di successo nell’istruzione delle ragazze. Che cosa ne pensa? Crede sia una misura buona
che risolva il problema cruciale dell’abbandono della
scuola da parte delle ragazze adolescenti?
MFN: Anche in Camerun esiste da poco una normativa
simile. Questo comunque non impedisce alle ragazze fuori dalla scuola di restare incinte. Il problema io
credo non sia proprio quello dell’aspetto fisico. Secondo me, manca proprio l’educazione. I genitori hanno
paura delle terminologie, fino a quindici, vent’anni un
genitore non ti parlerà mai di sesso. Con i miei, io mi
ricordo, abbiamo iniziato a parlare di sesso quando
avevo 22 anni. Quindi è un fenomeno che deve essere
sradicato, perché una ragazza che è educata non cade
in certe trappole.
EFG: Riguardo alle donne africane d’Italia, quali sono a
parere suo le maggiori difficoltà che incontrano?
MFN: La maggior difficoltà della donna africana d’Italia
penso sia la stigmatizzazione. Già la donna italiana deve
combattere per essere riconosciuta competente quanto
gli uomini, figuriamoci le donne di discendenza africana,
devono combattere ancora di più. Per esempio, una volta
io ho fatto un colloquio di lavoro al telefono, ho mandato
un modello di curriculum inglese e sono stata convocata.
Quando sono arrivata, mi hanno detto che aspettavano
un’altra ragazza del mio stesso nome; ho detto che ero io
Michelle, ma chi sa per quale strano motivo hanno comun-
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que assegnato il posto ad un’altra persona. Nell’immaginario collettivo se uno vede una nera per la strada, la considera una prostituta, se vede una filippina è una badante.
EFG: Ha un altro esempio per illustrare di più la questione?
MFN: Guardi, a me è successo qualche anno fa un episodio tristissimo che non ho nemmeno potuto raccontare
ai miei. Ho avuto un professore che addirittura mi ha molestato. Dopo aver provato senza successo, mi ha cominciato a lanciare delle battute offensive, tipo “non fare la
santarellina con me, perché so cosa fai di sera”. Oppure, se
cammini per la strada tranquillamente con dei jeans e un
paio di scarpe da ginnastica, ti senti dei vecchietti che ti
suonano e ti dicono “un passaggio?”, . Hai lottato per avere
una laurea, ti presenti per fare la giornalista e ti dicono “ah
noi pensavamo che tu stessi cercando un lavoro di commessa”. Sono piccole cose, piccoli gesti che si verificano
dappertutto. Se tu ti siedi da sola in un bar e vuoi bere il
caffè e leggere il giornale, non è normale; pensano che tu
sia lì, perché stai cercando qualcuno da portarti a casa…
Se sei donna africana devi combattere contro questi atteggiamenti tutti i giorni.
EFG: Alle ragazze africane studentesse che vivono qui in
Italia che consiglio daresti di fronte a questi problemi?
MFN: Io dico sempre “non mollare mai”, perché non sono
le persone ignoranti che devono fermarci. Tu sei venuta
qua per studiare, visto che stiamo parlando di studentesse, porta a termine quello per cui sei venuta, se no avrai
“fallito”. Il tuo fallimento deve essere personale, cioè se
devi fallire, che sia perché tu non ce l’hai fatta, non perché
qualcuno ti ha portato a non farcela. Questo è il consiglio
che posso dare.
EFG: A casa, è la donna che dirige o comanda realmente. Che cosa ne pensa?
MFN: Sì, in fondo in fondo è così. Perché, nonostante si
dica che la donna a casa è sottomessa, in Africa comunque è la donna che “comanda” a casa. Perché a casa decide lei un po’ tutto: cosa cucinare, cosa deve indossare
il marito, come si devono vestire i bambini, l’educazione
all’80% dipende da lei.. E nella maggior parte dei casi, i
papà in Africa chiamano le loro mogli “mamma”. In Camerun, ad esempio, chiamare qualcuno “mamma”, è darle un
maggior peso, è come darle l’importanza di tua mamma.
Quindi io penso che siano le donne a comandare in casa
in Africa.
EFG: Pensa che di questa cosa la donna sia consapevole?
MFN: No, no, purtroppo non lo sa, perché la donna pensa
di fare quello che vuole il marito e nemmeno il marito è
consapevole di questa cosa! I mariti non si rendono conto
che a comandare a casa sono le donne, perché gli uomini
nel loro orgoglio profondo pensano di essere loro i padroni. Comunque non mi piace il termine “comanda”, preferisco il termine “dirigere”; allora sì, è la donna che dirige.
EFG: Cosa ne pensa della poligamia? Le donne africane, come la vivono? Bene o male?
MFN: Dipende da cosa uno intende per poligamia: in Africa è una pratica culturale e non credo sia un problema per
le donne, perché altrimenti non ci sarebbero tutti questi
matrimoni poligami. Oltre al fattore religioso, islamico ad
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
esempio, che autorizza e incentiva la pratica, nella cultura
africana stessa il fatto di essere poligamo è per l’uomo un
modo di affermare e di sbandierare la sua virilità al mondo,
e per le donne non è un problema. In Africa, a mio umile parere, c’è molta più sincerità e meno ipocrisia rispetto
ai paesi che combattono la poligamia; ipocrisia nel senso
che gli uomini (non tutti ovviamente) di questi paesi tradiscono le loro mogli; invece in Africa esistono meno casi
di tradimento, perché per via della poligamia gli uomini
non cercano altre donne. Non raccontiamoci barzellette,
anche in Italia in un certo senso esiste la poligamia. Io credo che la poligamia in Africa risponda anche all’esigenza
di avere più manodopera per i campi, per l’acqua, ed è anche segno di ricchezza, è per quello lo si riscontra di più
in ambienti rurali. Le donne, anche quelle “emancipate”,
iniziano a non vederlo più come un caso negativo. Con
l’introduzione in Africa del femminismo, all’inizio sono
sorte difficoltà, perché le donne avevano detto “Stop alla
poligamia”. Dopo di che, quando si sono rese conto che
permaneva una poligamia non legalizzata, si sono concentrate su altre battaglie!
EFG: Se lei fosse moglie di un poligamo, la vivrebbe
come una violazione di qualche suo diritto?
MFN: Io sono gelosa e possessiva, quindi non potrei accettare una cosa del genere.
EFG: Al di là di lei, la poligamia potrebbe essere letta
come una violazione dei diritti della donna?
MFN: Qualcuno la può vedere così, però io dico una cosa:
per fare un matrimonio poligamo c’è sempre l’accordo e la
“benedizione” della prima, della seconda, della terza moglie ...; è una scelta loro. Quindi lasciamo alle donne africane la libertà di vivere la loro poligamia come la intendono.
EFG: Michelle Francine Ngonmo, grazie per la sua disponibilità. Un messaggio alle donne africane d’Italia?
MFN: Credo che in Italia la diaspora africana in generale, e
soprattutto quella femminile, abbia molto da fare, e non
capisco perché a nessuno viene in mente di creare un movimento per portare avanti determinate iniziative, come
avviene in Francia, in Inghilterra, negli Stati-Uniti; se non lo
facciamo noi, nessun altro lo farà al posto nostro.
EFG: Come vive lei l’atteggiamento degli uomini africani d’Italia che vanno spesso ai loro paesi per cercarsi
le proprie mogli o quelli che stanno con ragazze italiane? Si tratta di una problematica di cui si parla molto
negli ambienti africani, poiché pare che a molte ragazze africane questa pratica piaccia poco.
MFN: (Risate) Io dovrei essere proprio l’ultima a parlare,
perché il mio fidanzato è italiano e quindi non me la sento
di dare giudizi a questo riguardo. Credo tuttavia che ognuno abbia le proprie motivazioni: se uno va in Africa a cercare moglie vuol dire che in una donna cerca determinate
caratteristiche e molto spesso tali caratteristiche in noi
donne africane di Europa già da un po’ non si trovano più.
È quello che mi viene da dire per spiegare la loro scelta. Per
quelli che scelgono le italiane come compagne o mogli, io
dico che l’amore non ha colore, non saprei…Sono l’ultimissima a potermi esprimere su questa questione.
EFG: La ringrazio per la sua disponibilità.
MFN: Grazie a lei.
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focus on
SILVANO PEDROLLO
INDUSTRIALE VERONESE
Il mio primo incontro.
Anno 2006: era ospite presso la mia famiglia mons. André
Masinganda, all’epoca responsabile dei progetti S.O.S. in
Congo, e proprio in quei giorni mi era stato chiesto se la
nostra associazione avesse bisogno di pompe per l’acqua
da installare in Congo (in quel periodo era in costruzione
il Centro Oftalmologico a Isiro), in quanto il sig. Pedrollo
ne aveva messe a disposizione un centinaio da offrire gratuitamente a congregazioni o associazioni che operavano in Africa.
Non ci sembrò vero di avere l’occasione per conoscere
questa persona! Partimmo pieni di speranza per San Bonifacio, paese in cui ha sede la sua azienda, e lo incontrammo. Ci rivolse alcune domande sulla S.O.S., sui problemi
della Repubblica Democratica del Congo, ricevendo
esaurienti delucidazioni da don André che è congolese.
Intuimmo subito, però, che non era a digiuno di queste
tematiche: ascoltava con attenzione e il suo ascolto rivelava un profondo coinvolgimento. Non dimenticherò mai
quell’incontro, perché è difficile incontrare persone così
spontanee e sensibili e che manifestino senza remore la
loro fede in Dio. Nacque subito fra noi una stima ed una
simpatia reciproche, tanto che proprio in quell’occasione
non ebbe esitazione ad offrire una ingente somma per
costruire una scuola professionale di cui la regione di
Wamba aveva necessità Mons. André ed io eravamo strabiliati, ci sembrava quasi di sognare. Eravamo persone a
lui sconosciute fino a quel momento e quella grande generosità ci fece rimanere senza parole.
LAUREA AD HONOREM A SILVANO PEDROLLO
dipartimento di Tecnica e gestione dei sistemi industriali per la sua attività imprenditoriale e per l’elevato profilo scientifico-tecnologico, essendo titolare di più di 150
brevetti industriali nazionali ed internazionali nel settore
delle pompe centrifughe, delle tenute meccaniche, delle
elettropompe e degli scambiatori geotermici.
Silvano Pedrollo si qualifica anche per la sua intensa attività sociale testimoniata dai numerosi gesti di solidarietà
sia in Italia che nei paesi del terzo mondo.
Tra questi ha particolare rilevanza il “progetto acqua” che
ha consentito, grazie alle pompe ad ai generatori donati
dal Gruppo Pedrollo, la realizzazione di 1000 pozzi in Africa che soddisfano il fabbisogno idrico di più di due milioni di persone.
“Gentilissimo Signor Pedrollo,
con grande piacere, a nome mio e del Consiglio Direttivo
S.O.S., Le invio le più vive congratulazioni per l’importante
riconoscimento che, meritatamente, riceverà dall’Università
di Padova, una delle più antiche e prestigiose.
È questo l’ennesimo e meritato apprezzamento per il Suo incessante lavoro, profuso con instancabile passione, non solo
per promuovere la Sua Azienda, ma anche praticando con
grande sensibilità la solidarietà verso le popolazioni del Sud
del Mondo.
Sono certa che la Laurea ad honorem che Le verrà conferita Le
sarà di ulteriore stimolo nell’operare per il bene del prossimo.
Congratulazioni di cuore.”
Sonia Bonin Mansutti
29 settembre 2015
Cerimonia di conferimento della laurea ad honorem a Silvano
Pedrollo, cavaliere del lavoro, presidente della Pedrollo spa.
Il conferimento a Pedrollo della laurea magistrale in Ingegneria dell’innovazione del prodotto è stata proposta dal
Scuola professionale “Pedrollo” a Wamba.
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IN OCCASIONE DEL VENTICINQUENNALE DELLA
S.O.S., SONIA HA NARRATO IN UN INTERESSANTE
LIBRETTO LE SUE ESPERIENZE PERSONALI E I PRINCIPALI INTERVENTI DELL’ASSOCIAZIONE A FAVORE
DI ALCUNI PAESI AFRICANI.
Al gentilissimo signor Pedrollo,
in segno di riconoscenza per aver creduto nella S.O.S. cui ha
generosamente offerto il suo sostegno per la realizzazione di
importanti progetti.
Questo libro è nato dal desiderio di far meglio conoscere la
storia dell’associazione cui ho dedicato con entusiasmo, e
talvolta anche con sacrificio, tanta parte della mia vita fin dal
lontano 1989; esso vuole essere anche un ringraziamento che,
in occasione del venticinquennale, rivolgo a tutti coloro che
hanno condiviso il mio cammino.
Grazie!
Sonia Bonin Mansutti
www.sosonlus.org
focus on
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
21
focus on
FESTIVAL DEGLI
INTELLETTUALI E
SCRITTORI AFRICANI
D’ITALIA
Dal 20 maggio al 6 giugno scorsi ha avuto luogo a Padova la
prima edizione del Festival degli Intellettuali e Scrittori Africani (FISA). Si tratta di un appuntamento unico in Italia, promosso dalle associazioni Cittadini Uniti per l’Integrazione (CUI),
Progetto Gamessou e dalla Rete della Diaspora Africana Nera
d’Italia (REDANI), con i patrocini del Comune di Padova, della
Camera di Commercio e dell’Università degli Studi di Padova,
con il sostegno di una serie di partner tra cui l’Onlus S.O.S.
L’iniziativa ha come obiettivo la promozione e la valorizzazione della produzione letteraria, imprenditoriale, scientifica e
artistica della diaspora africana d’Italia, nel tentativo di dare
risposta ad una serie di problematiche e di sfide che interessano da molti anni gli Africani d’Italia nel loro complesso e che
ruotano attorno alla tematica dell’ottimizzazione dell’utilità
della diaspora sia per l’Africa che per il paese di accoglienza,
ovvero l’Italia. Oggigiorno, la diaspora africana d’Italia ha raggiunto delle dimensioni demografiche e un livello di competenze plurime che FISA si propone di coordinare e mettere in
sinergia, con il triplice scopo di creare un punto di riferimento
di eccellenza per la comunità africana, di fornire un contributo decisivo e qualitativo per l’Italia nell’ambito delle politiche
dell’immigrazione nonché nella mediazione nei suoi rapporti
con l’Africa ed infine di promuovere nella diaspora il concetto
del ritorno in Africa (“Back to Afrika”).
Progettata per avere una cadenza annuale, FISA vuole essere
principalmente una fiera, quindi uno spazio di scoperta e di
promozione dei ricercatori, intellettuali, scrittori, opinionisti,
imprenditori e artisti africani d’Italia, indipendentemente dal
loro ambito di riferimento.
La prima edizione del Festival ha ottenuto un buon riscontro
in termini di pubblico e critica, distinguendosi per l’originalità
dei temi trattati e la profondità del livello di scambi raggiunto sia dai relatori che dal pubblico, il quale è stato valorizzato
da una forte presenza di “diasporiani” (studenti universitari
ma non solo). Quest’ultimo aspetto non è da sottovalutare,
in quanto la presenza degli Africani d’Italia ad eventi pubblici che trattano questioni inerenti il loro continente è cosa
molto rara, ad ulteriore dimostrazione di quanto FISA non
solo sia da apprezzare per le tematiche, ma anche, e forse
soprattutto, per il punto di vista dal quale parte la loro analisi, ovvero quello post-coloniale. La volontà è infatti quella
di parlare dell’Africa in maniera reale e realistica, senza stereotipi, pregiudizi, luoghi comuni e commenti eurocentrici,
dando largo spazio alla sua diaspora e agli intellettuali che
la rappresentano in Italia. Scendendo nel dettaglio del programma, il primo evento pubblico si è svolto la sera del 22
Maggio, durante il quale è stato presentato il documentario
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“Panafricanismo. Provare l’idea sulla realtà”, alla presenza del
regista italo-nigeriano Obehi Peter Ewanfoh. Alla proiezione
ha fatto seguito un interessante dibattito tra il pubblico presente in sala e i relatori intervenuti: Sonia Bonin Mansutti e
Giorgio Franceschetti, presidenti rispettivamente delle associazioni S.O.S. e Aes-CCC, lo scrittore congolese Issiya Longo
ed il sopra citato regista Ewanfoh. Il secondo evento, quello
cardine di tutto il Festival, ovvero il Salone del Libro africano,
si è svolto il 30 maggio: la mattina con il Colloquio sulla letteratura afro-italiana ed il pomeriggio con l’esposizione dei
libri degli autori africani o afro-italiani che hanno pubblicato
opere in lingua italiana. Obiettivo del Salone del Libro è infatti quello di valorizzare questo genere di letteratura, che
conta oltre 350 opere di diversa natura (autobiografie, romanzi, racconti, testi di carattere scientifico,etc.) di 150 autori
di una trentina di diverse nazionalità.
Durante il Colloquio, lo scrittore Issiya Longo è intervenuto
sulle ragioni della nascita di una letteratura migrante, Alessandra Boaretto dell’Associazione Progetto Gamessou ha
presentato il database FISA della letteratura afro-italiana, il
Professor Michele Di Cintio ha affrontato il tema dell’adattamento interculturale nel rapporto tra la scuola e la società. Infine, Frank Afrifa, titolare della Libreria Internazionale
Nexus, ha descritto la problematica della presenza del libro
africano nelle librerie. Il 2 giugno il progetto FISA è stato
ospite della rassegna Summer Student Festival, promossa
dall’Associazione degli Studenti Universitari di Padova, sul
tema delle cause endogene ed esogene dell’immigrazione
in Italia. Il dibattito è stato introdotto dalla presentazione
dell’opera “L’Africa nera deve unirsi” di Folly G. Ekue, curatore
del Festival FISA. La manifestazione si è conclusa il 6 giugno
con la conferenza “Africa sotto assedio”, sulla questione del
terrorismo in Africa. Hanno partecipato l’europarlamentare
Cecile Kyenge, il giornalista Raffaele Masto, lo scrittore Ekue
Folly ed il professore Paolo De Stefani.
L’edizione 2016 del Festival prevede la realizzazione del Salone del Libro Africano, quest’anno aperta non solo agli autori africani che hanno scritto in lingua italiana, ma anche agli
autori italiani che hanno scritto dell’Africa, la pubblicazione di
un’opera collettiva e la realizzazione di eventi marginali di carattere cultural-gastronomico.
Ulteriori informazioni sui contenuti del Festival, sul progetto
“Back To Afrika” e sulle modalità di adesione si possono avere consultando il sito www.fisaitalia.org e le pagine Facebook
“Back to Africa” e “Festival degli Intellettuali e Scrittori Africani
– FISA”.
Lo staff del Festival
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L’AFRICA NELLE
ESPOSIZIONI UNIVERSALI
Dal 1° maggio al 31 ottobre 2015 l’Italia accoglie di nuovo la prestigiosa esposizione universale, dopo
la prima del 1906 e il tentativo abortito del 1942, il quale avrebbe dovuto vedere, se non fosse stato per
la guerra, la capitale romana al centro dell’attenzione mondiale. Dal tema “Nutrire il pianeta:Energia
per la vita”, l’Expo Milano 2015 avviene in un contesto di crisi economica, alimentare ed ecologica mondiale che ha riposizionato di fatto l’Africa al centro delle brame e degli interessi delle maggiori potenze
del pianeta. Considerato senza compiacimento come “granaio del mondo”, quindi “futuro del pianeta”,
il continente africano era annunciato quale un vero protagonista di questa esposizione. Nondimeno, il
timido debutto dei paesi africani, alcuni dei quali al 1° maggio non avevano neppure i padiglioni pronti, senza contare i vari problemi incontrati dalle delegazioni africane nelle prime settimane dell’esposizione, hanno notevolmente eroso le grandi aspettative del pubblico e della diaspora africana sulla
comparsa a Milano di questo continente che molti non vedevano l’ora di scoprire. Quella della partecipazione dell’Africa, in particolare della cosiddetta Africa nera, alle esposizioni universali è una storia
straordinaria e atipica che comincia in realtà con il primissimo analogo evento nel lontano 1851.
Ideata e lanciata per la prima volta nel XIX secolo, in piena era vittoriana, l’esposizione universale appare oggi
come la più illustre manifestazione mondiale delle culture dei popoli e dell’affermazione dell’identità sociale e
politica degli Stati. Fu la Gran Bretagna che, per mostrare
al mondo lo splendore della propria industria, all’epoca
all’avanguardia, decise di organizzare quello che viene
considerato oggi il primo Expo della storia. L’evento, “The
Great Exhibition of the Works of Industry of all Nations”,
ebbe luogo a Londra al Crystal Palace in Hyde Park nel
1851 e vide la partecipazione di venticinque paesi con oltre sei milioni di visitatori. Il suo successo fu così eclatante
che diverse nazioni di Europa ne colsero subito il carattere prospettico e decisero di ospitare anch’esse delle esposizioni universali. Oggi, la ormai lunga storia delle Esposizioni universali, quelle riconosciute come tale dal Bureau
International des Expositions (BIE), annovera illustri nomi,
grandi città e stravaganti opere d’ingegno, quale l’imponente Tour Eiffel costruita nel 1889, oppure l’inimitabile
Atomium progettato dall’architetto André Waterkeyn ed
eretto a Bruxelles in occasione dell’Expo 1958.
È indubbio che con i suoi padiglioni nazionali, gestiti dai
paesi partecipanti, e tematici a cura dell’organizzazione,
l’Expo è oggigiorno la più grande manifestazione mondiale che offre agli Stati e ai popoli l’ineguagliabile possibilità di esibire il loro prestigio attraverso le loro molteplici specificità culturali, economiche e tecnologiche.
Tuttavia, l’esposizione universale è anche teatro di giochi
di potenza sulle grandi questioni di politica internazionale. Utile ricordare a questo proposito l’Expo di Bruxelles,
che registrò la partecipazione delle prime nazioni africane emancipate dal dominio coloniale (Egitto, Marocco
e Tunisia). Era un contesto internazionale segnato dalla
decolonizzazione del “Terzo mondo”. Il governo moribondo della quarta repubblica francese, tramite l’ambasciatore Pierre de Gaulle, fratello di Charles de Gaulle,
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
Halimo e Carla nell’ufficio del padiglione Somalia.
chiese al Belgio di impedire ai paesi arabi di fresca indipendenza di partecipare all’esposizione all’interno di un
unico padiglione, perché la cosa avrebbe potuto essere
vissuta come il padiglione della Ligue Arabe. Il motivo
era semplice: la Francia, scossa dalle guerre di indipendenza dell’Algeria e del Camerun, dalle rivolte anticoloniali dell’impero e dai problemi interni alla Repubblica,
avvertiva semplicemente il pericolo che un esempio di
panarabismo potesse infiammare gli aneliti di piena indipendenza di Marocco, Algeria e Tunisia. La richiesta fu
respinta dal governo belga, il quale si limitò a promettere di vegliare che all’interno del padiglione, che avrebbe accolto Arabia Saudita, Iraq, Siria, Libano e Giordania
sotto l’egida dell’Egitto, non emergesse alcun tipo di propaganda anticolonialista. Alla fine, in corso d’opera, nel
marzo del 1956, il Marocco e la Tunisia ottennero la loro
indipendenza. Ciò portò gli organizzatori a concedere
ai due paesi due padiglioni completamente autonomi,
collocati per cultura e storia in prossimità del padiglione
degli stati arabi. Tale decisione, del tutto “normale” e regolare, suscitò l’ira di Pierre de Gaulle che si oppose con
forza e ottenne alla fine che i padiglioni di Tunisia e Ma-
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rocco fossero accanto a quello della Francia “per sottolineare l’armonia e l’interdipendenza” con l’Algeria, ancora
all’interno del padiglione del sito francese.
Le Expo storiche: la fase dell’Africa senza l’Africa
Laddove le nazioni si esibiscono mettendo in gioco il
loro prestigio, si innescano meccanismi di potenza e di
competizione che vanno al di là della cultura e si focalizzano sull’immagine esterna. Di questa realtà, purtroppo l’Africa sub sahariana, che designeremo per brevità
Africa in questo articolo, ne sa qualcosa. In effetti, essa è
l’unica area culturale del mondo che, almeno per tutto il
tempo in cui durarono le cosiddette “Expo storiche” (dal
1851 fino all’Expo di San Francisco del 1939), si è vista
esibire in vesti che non solo non la rappresentavano, ma
soprattutto l’avvilivano per servire la gloria e la potenza
di altre nazioni. Giova ricordare a tale proposito che l’Expo di Londra 1851 avvenne in un periodo storico in cui i
popoli d’Africa erano ancora sottoposti alle sevizie delle
razzie, della tratta atlantica e della schiavitù nelle terre di
deportazione. L’Africa non si apparteneva, eppure essa
era presente a Londra.
La sua immagine, che coloro che all’epoca decidevano al
suo posto avevano ritenuto opportuno esibire alla faccia
del mondo, è stata quella di un’umanità africana senza
umanità: l’africano animalesco, degno di essere esibito
in gabbie. Era l’epoca dell’internazionalizzazione degli
“zoo umani” che già venivano organizzati nelle capitali
delle nazioni imperiali d’Europa. Così, a Londra (1851), a
Parigi (1867), a Vienna (1873) e a Milano (1906), l’Africa era
presente alle esposizioni “ingabbiata” e in quanto variabile di aggiustamento del prestigio delle nazioni coloniali
europee. Quella che sicuramente il mondo stenterà a dimenticare è l’Exposition internationale de Paris del 1889, in
occasione della quale furono esibiti quattrocento essere
umani deportati dalle colonie francesi e inglesi davanti a
più di 1 milione e 600 mila visitatori. Già dal 1878, i villaggi
indigeni erano presenti in tutte le esposizioni diventandone il principale elemento di divertimento dei visitatori.
A Parigi, per ben sei mesi, sono stati centinaia gli Africani
esibiti come oggetti autenticamente selvaggi nel quadro
I soci Carla, Brunello e Halimo all’EXPO.
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esotico del “village nègre” che fu, dalle tante testimonianze raccolte, la principale attrazione per i 28 milioni di visitatori. Sull’Esplanade des Invalides erano quasi quattrocento, tra cui l’ormai tristemente famoso Dinah Salifou,
re dei Nalou-Baga di Guinea, ad essere messi in mostra.
Inutile ricordare quanto la presenza del re africano a tale
esposizione abbia rafforzato il primato coloniale francese e affermato al contempo l’umiliazione dei popoli vinti.
Emblematico fu d’altronde il caso dei 18 angolani esibiti
con fierezza da Aimé Gravier nella rue Laffite. È indubbio
che il governo del presidente Carnot, lo stesso che ebbe
un alterco epistolare con il re Gbehanzin di Dahomey, sia
stato all’altezza del compito a lui assegnato dall’impero.
Diversi e impressionanti furono i padiglioni coloniali costruiti sull’intera area del Champ de Mars sotto la torre
Eiffel, nei quali venivano esposti dei neri provenienti dal
Senegal, dall’Indocina, dal Gabon, ecc. Non a caso in tutte le capitali europee è rimasta radicata nelle coscienze
sociali un’accezione meramente animalesca dell’uomo
nero. L’Africa ha avuto un’entrata tutt’altro che dignitosa
nella storia delle esposizioni universali. Fu però in quel
buio che emerse la sorprendente iniziativa di Haiti, precoce precursore della liberazione dei popoli africani dal
giogo coloniale europeo, il cui presidente, Léon Dumarsais Estimé Estimé, in un contesto nazionale di grave crisi
economica, decise di organizzare quella che andrebbe
annoverata oggi come la prima e unica esposizione universale ad opera di un paese nero.
L’avanguardismo di Haiti
Haiti non ha mancato neanche stavolta di assumere il
suo ruolo di pioniere e di indicatore delle grandi fasi della
storia dei popoli africani. Già nel 1804, sotto il comando
di Toussaint Louverture e di Jean Jacques Dessalines, la
colonia sconfisse à plate couture, contro ogni aspettativa,
il potente esercito francese, nonostante i rinforzi che gli
erano giunti da parte delle altre potenze schiaviste, restituendo così la libertà agli schiavi dell’isola e segnando
l’inizio del lungo percorso che avrebbe portato tutte le
colonie nere verso la loro indipendenza. Siamo nel 1949,
dopo la tragica guerra che ha insanguinato l’Europa e
che ha di fatto impedito a Roma di ospitare l’esposizione
del 1942. La Repubblica di Haiti, paese modesto che ancora doveva finire di saldare il proprio debito di indipendenza nei confronti della Francia e con tante difficoltà
economiche, decise di entrare nella Cour des Grands e di
ridare dignità al mondo nero, ospitando in occasione del
bicentenaire dell’indipendenza dell’isola la prima esposizione universale del dopo guerra.
L’impresa non fu facile né per Albert Mangones né per
lo stesso presidente Estimé. Al primo non servono presentazioni: Mangones è l’autore del Neg Mawon, l’imponente statua in bronzo al centro di Port-au-Prince, che
rappresenta un nero dalla muscolatura possente che
soffia in una grande conchiglia per chiamare alla rivolta i
suoi compagni ancora schiavi. Fu lui l’ispiratore e il realizzatore dell’Expo di Port-au-Prince. A chiamarlo però era
stato il presidente Estimé il cui impatto sul paese e la cui
importanza nella storia della Repubblica non sono più
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La socia Eva al padiglione Tanzania.
da ribadire: fu lui che, eletto nel 1946, avviò subito una
politica di profonde riforme a favore della parte più numerosa e più povera della popolazione. È sempre lui che,
nell’impossibilità di finanziare autonomamente il costo
delle riforme, dovuto tra l’altro al trattato del 1941 che
prevedeva uno stretto controllo americano sulla fiscalità
e il bilancio nazionali, chiese al paese sacrifici straordinari: riduzione consenziente degli stipendi dei senatori e
invio di cospicui aiuti da parte di molti cittadini abbienti.
Era in tal contesto di grande bisogno che, per la dignità,
Estimé decise di allocare ben quattro milioni di dollari
all’organizzazione dell’Expo di Port-au-Prince, inaugurata l’8 dicembre 1949.
I visitatori, che già conoscevano Port-au-Prince, non potevano che stupirsi della trasformazione di una zona acquitrinosa e miserabile in un quartiere moderno, armonioso, sistemato in un parco ricco di palme e di piante
da fiore. Se un primato spetta all’Exposition internationale
du bicentenaire d’Haiti, è proprio quello della maggiore
realizzazione nel minor tempo. Sulla rivista Time, il 17
ottobre 1949 fu pubblicato un articolo sull’Expo di Portau-Prince all’epoca ancora in allestimento, nel quale l’architetto August Ferdinand Schmiedigen, che aveva già
lavorato per la Fair di New York nel 1939-40, dichiarava di
non aver lavorato così tanto in tutta la sua vita.
Nondimeno, nonostante i sacrifici sostenuti da Haiti e
lo splendore dell’evento, ci fu una inesplicabile opera di
denigrazione sistematica, o addirittura di insabbiamento, da parte della stampa internazionale nei confronti
dell’Expo di Port-au-Prince. In effetti, quando se ne parlò, fu in termini maldicenti. Tornano spesso le presunte
lagnanze dell’architetto Schmiedigen il quale avrebbe
sofferto nel corso dei lavori il problema della mancanza
d’esprit de géométrie delle maestranze edili haitiane. Si
scrisse, ad esempio, che i muratori e i capimastri erano
semplicemente stati improvvisati, che la vera grande fati-
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
ca [dell’architetto] era di capire come mai quei “lavoratori
così volenterosi che non stanno fermi un minuto, non
vogliano, non possano capire il concetto del filo a piombo, dell’angolo retto, delle parallele che non dovrebbero incontrarsi mai, neppure all’infinito”. Ci si spinse fino
a scrivere che “lasciati soli gli operai haitiani avrebbero
inventato con qualche anticipo l’architettura organica
radicale, postmoderna, nemica di tutto ciò che è retto, linee o angoli che siano, avrebbero inventato tutto, tranne
l’onesto razionalismo internazionale che Schmiedigen
prediligeva”. L’obiettivo di non nominare i meriti di questa edizione dell’Expo fu raggiunto, e la cosa è andata
affermandosi negli anni a tal punto che oggi è diventato
normale per i giornali omettere l’Expo di Port-au-Prince
quando si parla delle esposizioni universali. Esemplificativo della questione è la seguente frase dal sito zon.
it : “Solo nel 1958, con l’evento di Bruxelles,“Bilancio di un
mondo, per un mondo più umano” vi fu la nuova era delle
Esposizioni Universali”. Quanti, in effetti, sanno oggi che
nel dopoguerra, a rilanciare ufficialmente il percorso
interrotto delle esposizioni internazionali fu uno stato
“nero”, nato dalle infami deportazioni di africani tra il XV
e il XIX secolo, il primo dove degli schiavi sono diventati
legislatori?
In ogni caso, sembra che Estimé e Mangones abbiano
raggiunto il loro obiettivo: dare maggior dignità a quell’umanità africana ridotta brutalmente allo stadio animale
ed esposta come spettacolo al mondo. Fu infatti per merito di quell’esposizione che, all’improvviso, a New York,
scoppiò una specie di mania di Haiti, nei ristoranti, nei bar,
nelle sale da ballo, a tal punto che tutto ciò che era haitiano era diventato all’improvviso divertente, alla moda.
Da Bruxelles 1958 a Milano 2015
L’Expo di Bruxelles è quella che ha segnato la transizione
verso la fine dell’era dell’esibizionismo spersonalizzante
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dell’Africa nelle esposizioni universali. Innanzitutto, lo è
perché ha preceduto di soli due anni “l’anno dell’Africa”,
il 1960, anno che vide accedere all’indipendenza ben 16
colonie africane, le quali avrebbero poi avuto il diritto ad
una rappresentanza autonoma nelle successive edizioni.
Ma, principalmente, essa fu l’esposizione che ha visto per
la prima volta sia la partecipazione inedita di un’Africa già
indipendente, ovvero i paesi del nord Africa, sia la presenza della vecchia “Africa senza l’Africa” made in Europa,
che nell’occasione fu rappresentata dalla sezione congolese ad opera del Belgio.
L’Expo 1958 fu una vera e propria vetrina del Congo, i cui
sette padiglioni occupavano ben otto ettari e comprendevano il palazzo del governo, il padiglione delle missioni cattoliche, i paradigmi dell’agricoltura, delle miniere e
delle costruzioni. L’occasione celebrativa era il cinquantenario dell’assunzione della trasformazione del Congo da
stato indipendente in colonia del Belgio. All’ingresso della sezione, era impossibile non vedere il busto di Leopoldo II, con scritto sotto in due lingue “Ho intrapreso l’opera
del Congo nell’interesse della civilizzazione” per portare la
civiltà e la pace in quel mosaico di popoli”. Ovviamente né
la dedica sul marmo né la breve storia dell’album hanno
avuto il merito di scolpire qualche parola riguardo a come
davvero le cose fossero andate. In realtà, se il Parlamento
belga ha votato il passaggio del territorio dall’Association
internationale africaine di Leopoldo II allo Stato belga,
era fondamentalmente per lo scandalo internazionale
esploso sull’opera di tale associazione, la quale non solo
sfruttava in maniera vergognosa le risorse del Congo, ma
lo faceva con mezzi non del tutto commendevoli, come
deportazioni e mutilazioni per chi non rendeva abbastanza. Tali fatti sono ben documentati nell’opera di uno
dei più celebri autori americani dell’epoca, Mark Twain.
Se tale triste realtà non ha avuto spazio nelle forme architettoniche scelte per la mostra idilliaca dell’operato belga in Africa, c’era all’interno del padiglione del Congo un
giovane trentenne, snello e con gli occhiali, che qualche
anno dopo non avrà la minima difficoltà a scandirla a chi
lo volesse sentire: il suo nome è Patrice Lumumba. Sì, il
futuro Primo ministro del Congo indipendente era bel et
bien presente nella sezione congolese per trasmettere ai
visitatori quell’aspetto dell’Africa che i designer belgi non
sono riusciti a fissare nelle loro grandi opere d’ingegno. A
differenza della esposizione precedente a Port-au-Prince
1949, l’Expo di Bruxelles fu il teatro di un’Africa nettamente più umana, nonostante il fatto che il Belgio e i suoi
funzionari coloniali non abbiano mancato di presentare
gli Africani come popoli per i quali si dava per accertata la
pratica dell’antropofagia alimentare. A Bruxelles, il mondo conosce un’Africa diversa, dove vivono uomini, si praticano pesca, lavorazione del legno, della ceramica, ecc, e
dove musica e danza riecheggiano in continuazione.
Alla successiva Expo di New York del 1964, nonostante
molte colonie avessero avuto accesso all’indipendenza,
pochi furono i paesi africani presenti. A parte il Ghana di
Nkrumah, che mise in vendita foglietti con l’immagine
dell’Unisphere, e del Congo che ritenne di dedicare la sua
serie di francobolli ai razzi spaziali, la partecipazione de-
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gli altri neo-stati era ridotta alla celebrazione della fine
del colonialismo. Bisognerà aspettare il 1967 per vedere,
per la prima volta, molti Stati dell’Africa nera illustrarsi veramente come mai prima nell’ambito di un’esposizione
universale.
Giova sottolineare subito che all’epoca, ovvero negli anni
’60, la situazione economica e nazionale della maggior
parte degli Stati africani appena usciti dal colonialismo
non era tale da permettere investimenti in fiere universali. Oltre agli innumerevoli conflitti transfrontalieri o tra
colonia e potenza coloniale che imperversavano nel continente, gli equilibri sociopolitici e economici all’interno
degli Stati erano assai precari. L’esposizione doveva fare
essa stessa un passo verso gli Stati, perché questi si impegnassero a partecipare numerosi all’evento. Qui sta il
lodevole merito della Compagnie Canadienne de l’Exposition Universelle (CCEU) di Montreal, che fece un colossale lavoro diplomatico verso l’Africa nera convincendo
i governi dei vantaggi che ne avrebbero potuto trarre
dall’illustrare davanti al mondo l’evoluzione politica del
continente africano dal 1958. Gli sforzi canadesi non furono vani, poiché tra 1965 e 1966 furono 15 neo-stati a
ratificare la Convenzione di Parigi che ha istituito il Bureau International des Expositions (BIE), organismo intergovernativo responsabile dell’organizzazione delle fiere. A
Montreal 1967, oltre ai 21 paesi africani che parteciparono all’esposizione, ci fu soprattutto la presenza alla Place
d’Afrique del Re dei Re, il Negus Hailé Selassié con il suo
inseparabile cagnolino. Tale record non sarà superato che
nel 2000 all’esposizione universale di Hannover, dove furono presenti ben 45 paesi africani su un totale di 135
paesi partecipanti. Tra Montreal e Hannover, ci sono state
le quattro esposizioni americane, San Antonio 1968, Spokane 1974, Knoxville 1982 (che vide l’Egitto secondo in
classifica nel numero di visitatori dopo la Cina), New Orleans 1984, le esposizioni di Osaka nel 1970, di Vancouver
nel 1986, di Siviglia del 1992 e di Lisbona nel 1998. Tutte
quelle esposizioni videro la partecipazione di un numero
variabile di Stati africani, i quali si faranno nuovamente
notare nelle ultime due edizioni di Hannover nel 2000 e
di Shanghai nel 2010 dal tema “Better city, better life”.
Nella metropoli cinese, città più popolata al mondo con
45 milioni di abitanti, solo 8 paesi africani, tra cui il Sudafrica, la Nigeria e l’Angola, avevano scelto di aderire con
un padiglione nazionale particolare. Gli altri paesi africani, 42 in totale, erano confinati in un unico padiglione
collettivo con un fondo cinese destinato ai paesi “in via di
sviluppo” nella quale si poteva vedere Lucy, la femmina
di ominide scoperta in Etiopia nel 1974. L’Angola, che a
Milano si è notevolmente distinta con un grande padiglione ricco di sorprese, non mancò di farsi notare anche
a Shanghai. È indubbio che fu proprio in Cina che il paese
di José Eduardo Dos Santos accumulò vantaggio sugli altri paesi africani, i quali hanno conosciuto un catastrofico
debutto all’Expo di Milano.
Milano e le sue false note
Shanghai 2010 detiene il record dell’esposizione più partecipata e più dispendiosa nella storia dell’Expo. I cinesi,
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Padiglione Tanzania.
forti dei loro investimenti in Africa e dei rapporti molto
prospettici che stanno sviluppando con i governi africani, si impegnarono per riservare alle delegazioni venute
dall’Africa un’accoglienza senza precedenti. In effetti,
molti sono i commissari africani ad aver dichiarato, criticando in filigrana l’Italia, che non si aspettavano una
così scarsa attenzione da parte degli organizzatori milanesi. Ebbene, il paese di Matteo Renzi non dispone né
dei mezzi del governo centrale cinese né della capacità
organizzativa di Beijing. Mentre a Shanghai i paesi africani furono collocati in uno spazio già adibito dall’organizzazione, a Milano è toccato a loro stessi occuparsi dello
spazio e del suo arredamento, compresi tutti i costi legati
alla sua amministrazione. In aggiunta a questi problemi,
che essi stessi dovevano risolvere, i paesi africani si sono
ritrovati capovolti nel vortice dell’improvvisazione e della disorganizzazione generale che ha contraddistinto la
preparazione dell’Expo 2015. Finalmente, con qualche
difficoltà, molti di loro sono riusciti a concludere i lavori e
ad aprire al pubblico i propri padiglioni o cluster.
Tuttavia, al di là delle difficoltà organizzative riscontrate
dagli uni e dagli altri, sembra che il maggior motivo delle lagnanze dei commissari africani a Milano sia relativo
all’irrispettoso trattamento che gli sarebbe stato riservato da parte degli organizzatori e del governo italiano:
comunicazioni importanti non trasmesse o trasmesse
con leggerezza in tempi non ragionevoli senza la minima formalità a cui si ricorre in situazioni simili, messa in
attesa per ore, anche in piedi, di alcuni commissari che
avrebbero dovuto godere, come d’altronde i commissari degli altri paesi, di un protocollo particolare, merci
da arredamento o cibi vari bloccati per giorni sulle navi
o vietati all’ingresso in Italia per motivi discriminatori in
clamorosa violazione del regolamento del BIE. Così, passata l’epoca dell’esibizionismo animalesco orchestrato
per decenni dalle nazioni europee, i paesi africani si trovano ad affrontare dei meccanismi più leggeri di diniego
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
del rispetto che però traducono vecchie reminiscenze
dei tentativi di confinarli in un gioco di ruoli stratificati
secondo gli standard dell’Europa. In realtà, non si tratta
di un fenomeno nuovo. Dopo la guerra di 1939-1945, le
prime esposizioni, in particolare quella di Montreal 1967,
registrarono scene o episodi simili.
All’apertura dell’evento, il Colonnello Edward Churchill,
direttore artistico dell’Expo, dichiarava: “La place d’Afrique presenterà l’Africa come la concepiscono e la vedono
gli Africani”. La dichiarazione procede da un principio nobile, un ideale che da sempre è stato il motto di diversi
movimenti africani o delle diaspore impegnati nella lotta
per la liberazione del continente. Era soprattutto il significato della comparsa simbolica e premonitrice di Haiti
nella storia delle esposizioni universali in un momento
storico in cui l’Europa usciva da una grande prova, e che
l’Africa si stava preparando per conoscere la prima fase
di liberazione profetizzata dal congolese Kimbangu: ammettere che l’Africa possa autodeterminarsi secondo i
suoi standard e lasciarle fare la propria strada.
Eppure, nonostante le parole di Churchill fossero così
chiare, traducendo perfettamente la comprensione da
parte dell’organizzazione del principio, agli Stati africani
l’architettura dei padiglioni fu semplicemente imposta,
non rifletteva nella minima misura i particolarismi africani. Oltre a questo fatto, giova sottolineare che nell’ambito della stessa Expo, una serie di altri incidenti ha portato
ben otto padiglioni, francofoni, sui quindici presenti sulla
Place d’Afrique, a chiudere il 17 e 18 luglio. La cosa era dovuta a tre principali ragioni. Innanzitutto, c’era il problema dei furti di pepite d’oro e di gioielli nei padiglioni del
Congo, della Costa d’Avorio, del Gabon e del Togo. Questi
paesi accusarono l’Expo di non aver garantito la sicurezza dei loro padiglioni. Inoltre, i paesi africani si erano resi
conto che i ballerini africani scelti dalla CCEU ed incaricati di intrattenere l’ambience sulla Place d’Afrique, erano in
realtà degli afro-americani vestiti con indumenti tradizionali africani. Infine, sostenevano che le autorità dell’Expo
non accoglievano le delegazioni africane secondo le dovute considerazioni.
In ogni caso, la cosa più importante è entrare nella
danza, e l’Africa nera quest’anno a Milano l’ha proprio fatto. Lungi dalle stravaganze tecnologiche delle nazioni del fuoco, l’Africa ha dimostrato di essere
ancora oggi il continente più vicino e più rispettoso della natura. Essa resta il continente più “bio” al
mondo, anche se non lo scandisce nei media o non
lo scolpisce sulla buccia dei propri frutti, dei propri
legumi, dei propri tuberi, ecc. La tigre non proclama,
in effetti, la propria “tigritudine.” Il continente dei
grandi valori, dei misteri, il continente guardiano
dei tesori nascosti dell’umanità, è pronto a riscattarla ancora una volta. Ed è giustamente per questi motivi che l’Africa viene chiamata il futuro dell’umanità
e il granaio del mondo. L’Africa è presente e lo sarà
sempre di più.
Folly Grace EKue
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attualità africa
GUERRE DIMENTICATE
D’AFRICA
L’Africa è il continente in cui si registra il maggior numero di conflitti, dei quali purtroppo molti dimenticati.
Le aree più calde sono: l’Egitto, il Mali, la Nigeria, la Repubblica Centroafricana, la Repubblica Democratica
del Congo, la Somalia, il Sudan, il Sud Sudan e la Tunisia.
Cerchiamo di dare con pochi cenni un’idea delle loro
cause e della situazione attuale.
bini e l’abuso delle donne è frequentissimo, anche di
bambine o anziane.
In Egitto, dopo la rivolta del 2011, si continua a registrare un clima di instabilità e turbolenza, che spesso sfocia in gravi disordini. Inoltre l’Isis ha definito il Sinai:”La
porta meridionale verso Israele” e spesso critica lo Stato
egiziano per le sue relazioni con questo Paese.
Nella prima metà dell’anno 2015, la Tunisia è stata
sconvolta da due efferati atti di terrorismo: uno nel
mese di marzo al Museo del Bardo e l’altro nel mese di
giugno sulla spiaggia di Sousse. In entrambi i casi sono
stati colpiti turisti innocenti e di conseguenza il settore
del turismo, che dà lavoro a un decimo della popolazione, è in grave crisi. La diminuzione di queste entrate
crea disoccupazione, crisi economica e malcontento
diffuso, elementi che creano terreno fertile per le radici
di gruppi fondamentalisti.
Il capo dello Stato Tunisino, Habib Essid, ha decretato lo
stato di emergenza, quale misura eccezionale per combattere “il terrorismo dell’Isis che è alle nostre porte”.
Il Mali ormai da 3 anni si presenta come il teatro di una
guerra civile tra 3 fazioni: il Governo di Banako (la capitale), i Tuareg e i Jihadisti vicini ad al Qaeda. L’instabilità
politica danneggia fortemente la situazione economica, rendendo il Paese uno dei più poveri al mondo.
In Nigeria continuano gli scontri tra gli affiliati al gruppo Boko Haram e le truppe governative.
Spesso i fondamentalisti islamici usano donne o bambine, precedentemente rapite, come bombe umane fatte
saltare in luoghi particolarmente affollati.
Nella Repubblica Democratica del Congo il crimine
organizzato e il commercio illegale di risorse naturali
continua ad alimentare il conflitto e l’instabilità nell’Est
del Paese, specialmente nel Nord e Sud Kivu e nel Katanga. Circa il 98% dell’utile netto derivato dallo sfruttamento delle risorse naturali finisce nelle mani delle reti
di organizzazioni criminali che operano dentro e fuori
dal Paese.
Nella Repubblica Centroafricana continua la guerra
civile a sfondo settario e religioso. Le due parti avverse
sono i Seleka, comunità prevalentemente mussulmana,
e gli Anti-Balaka, che contano nelle loro fila estremisti
cristiani e animisti.
La Somalia è un Paese in guerra da più di 25 anni. La
guerra civile e le ripetute carestie fanno sì che la sua
diaspora sia quella con i numeri più alti di tutta l’Africa.
Dall’indipendenza in poi in Sudan ci sono stati diversi
tentativi di proporre una costituzione islamica; tuttavia
l’islamizzazione ha sempre provocato il sorgere di correnti separatiste. Questa guerra civile provoca un numero enorme di morti, profughi e rifugiati.
Il Sud Sudan è teatro di sanguinosi scontri tra le forze governative (Dinka) e i ribelli legati all’ex Presidente
Riek Machar (Nuer). Ne deriva una situazione di precarietà e violenza: la fame provoca molti morti tra i bam-
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Un discorso a parte e un po’ più esaustivo merita la situazione in Libia, non solo per la sua contiguità al nostro paese, ma anche per la sua complessità e per gli
influssi internazionali, che inevitabilmente ad essa sono
legati.
Allo stato attuale l’Est è prevalentemente controllato
dalle truppe del governo di Tobruk. Tuttavia alcune aree
di Bengasi, la città più importante della regione, sono
nelle mani di varie milizie, alcune molto vicine ad al Qaeda e allo Stato Islamico.
Anche la città di Derna, nel Nord est del paese, è sotto il
controllo di gruppi di jihadisti legati all’Isis.
Nell’Ovest predominano i ribelli di Alba Libica, un mix di
islamisti e milizie varie.
Per quanto riguarda il Sud, i due antagonisti storici,
Tuareg e Tubu, due dei principali gruppi tribali dell’area, sfruttando il vuoto di potere, cercano con frequenti
scontri di imporre il proprio controllo sul territorio.
La Comunità Internazionale, dopo mesi di negoziati infruttuosi, tramite il delegato Onu Bernardino Lion, ha
proposto un accordo che dovrà essere firmato entro il
19 ottobre dal Parlamento di Tobruk e dal Congresso
Nazionale di Tripoli, che dovrebbe dare vita a un governo di unità nazionale, guidato da Fayaz Serraj, imprenditore tripolino.
Purtroppo i risultati non sono affatto scontati, essendo
il Parlamento stesso diviso tra favorevoli e contrari.
Sonia C.
www.sosonlus.org
enciclica
“LAUDATO SI’ ”
Papa Francesco ci rivolge “Un invito urgente ad un nuovo dialogo su come costruire il futuro del pianeta”.
In questa enciclica sull’ecologia Francesco chiede a tutti, credenti e non credenti, di cambiare, di attuare una
vera e propria rivoluzione dei comportamenti, mentre
denuncia “Un sistema di relazioni commerciali e di proprietà strutturalmente perverso”.
L’umanità ha la responsabilità del degrado ambientale generalizzato in quanto permette al sistema economico dominante di distruggere il pianeta, “La nostra casa comune”.
Viene sviluppato il concetto di “Ecologia integrata”: la crisi ambientale è in primo luogo una crisi morale, frutto di
un’economia che vede da un lato l’enorme concentrazione delle ricchezze e dall’altro il peso di un debito sempre
più insostenibile.
Tutto nel mondo è intimamente connesso: vi è un’intima relazione fra poveri e fragilità del pianeta, povertàesclusione e cultura dello scarto, alienazione consumista
e riduzione della biodiversità.
“Un vero approccio ecologico si trasforma sempre in un
approccio sociale”
Occorre rifondare l’economia e cercare nuovi stili di vita;
qui la politica sia internazionale che locale ha gravi responsabilità: occorre “Una nuova etica delle relazioni internazionali” ed una “Solidarietà universale”.
Nell’Enciclica l’esame delle criticità ambientali è completo e puntuale: riportiamo di seguito i punti principali.
• Inquinamento dell’aria connesso al problema dell’au-
mento e dello smaltimento dei rifiuti ed alle alterazioni climatiche derivanti dal riscaldamento del pianeta
(conseguenze quali aumento del livello degli oceani e
desertificazione che ricadono sui più poveri, quelli che
vivono delle risorse naturali);
• progressiva scarsità di acqua pulita e potabile: “L’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale…perché determina la sopravvivenza delle persone e per questo è condizione per l’esercizio degli altri
diritti umani”;
• perdita di biodiversità: distruzione delle foreste, distruzione delle risorse ittiche, distruzione della barriera corallina;
• deterioramento della qualità della vita urbana e degrado sociale: contesti urbani congestionati e invivibili, disoccupazione ed esclusione sociale, narcotraffico,
violenza;
• inquinamento ambientale = inquinamento sociale = inquinamento mentale;
• debolezza della reazione politica internazionale, sottomessa alla tecnologia e alla finanza: “Qualunque cosa
che sia fragile come l’ambiente rimane indifesa rispetto
agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regole assolute”.
In tale contesto la prospettiva di nuove guerre è inevitabile: “Pace, giustizia e salvaguardia del creato sono tre
questioni del tutto connesse”.
I problemi ambientali non si possono risolvere solo con
la tecnologia, occorrono “Soluzioni integrali che considerino le interazioni dei sistemi naturali fra loro e con i
sistemi sociali”.
Occorre un “approccio integrale per combattere la povertà, restituire la dignità agli esclusi e prendersi cura
della natura”.
Si parla anche di Ecologia Culturale: “Contro l’appiattimento della visione consumistica e dell’economia globalizzata, salvaguardare l’immensa varietà culturale che è
un tesoro dell’umanità” e ancora:
“La scomparsa di una cultura può essere grave come
o più della scomparsa di una specie vegetale o animale”.
Papa Francesco in Africa.
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
Non mancano severe critiche alle Autorità ed agli Organismi Mondiali, in quanto inerti e inconcludenti.
Concludiamo con una citazione sul futuro: “L’ambiente
si situa nella logica del ricevere. È un prestito che ogni
generazione riceve e deve trasmettere alla generazione
successiva”.
Patrizia
29
report & news
L’AGENDA 2030
PER UN MONDO
SOSTENIBILE
Con 17 Obiettivi l’Onu si prefigge entro il prossimo quindicennio di trasformare il pianeta, favorendo uno
sviluppo sostenibile per tutti e ovunque e sradicando la povertà in tutte le sue forme e dimensioni. Ma è
veramente possibile?
Dopo oltre tre anni di intensi negoziati, è stata approvata lo
scorso 2 agosto l’Agenda 2030 per uno Sviluppo Sostenibile, in vigore dal 1° gennaio 2016. Si tratta a tutti gli effetti
di un accordo di portata storica - ufficializzato dai Capi di
Stato e di Governo al Quartiere Generale delle Nazioni Unite, New York, il 25-27 settembre - che va a incrementare e
migliorare i precedenti Obiettivi di Sviluppo del Millennio e
a sottoporre un quadro di riferimento globale nell’ambito
delle iniziative – sia nazionali che internazionali – volte allo
sviluppo sostenibile e alla lotta contro la povertà.
Il fine propulsore di questa Agenda ingloba propositi articolati e ambiziosi: contribuire allo sviluppo sociale ed economico, promuovere il benessere delle persone, la sostenibilità ecologica, la pace e la sicurezza, lo Stato di diritto
e il buongoverno. La validità universale di questo accordo
prevede che ciascun Paese debba concorrere al raggiungimento degli obiettivi in base alla propria capacità, attivandosi affinché anche attori non statali facciano altrettanto.
Potrebbe essere proprio questo aspetto partecipativo diffuso - che andrà a coinvolgere la società civile, la comunità
scientifica e il settore privato - a rafforzare il piano d’azione
per il miglioramento del benessere e delle relazioni tra le
persone, a salvaguardia del pianeta e con la diffusione della prosperità anche nei Paesi più poveri.
Elencando gli OSS
La nuova Agenda è guidata dagli scopi e propositi della
Carta delle Nazioni Unite, nel pieno rispetto della legge
internazionale. Si fonda sulla Dichiarazione Universale dei
Diritti dell’Uomo, sui trattati internazionali dei diritti umani,
sulla Dichiarazione del Millennio, sul documento redatto
dal World Summit 2005 e comprende i principali indicatori sociali definiti dall’ONU in occasione della conferenza
Rio+20.
Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS/SDGs, Sustainable Development Goals) sono 17 e includono 169 sottoobiettivi riferiti all’ambito sociale, economico, alimentare,
ambientale, sanitario, della pace, della sicurezza, dell’accesso alle risorse, della giustizia sociale. Nella lettura dei vari
punti emerge la consapevolezza di quanto il raggiungimento di uno sviluppo globale non possa essere possibile
senza lo sradicamento della povertà e della fame, la pace, il
rispetto della dignità e dell’uguaglianza di tutti e la costruzione di stili di vita e ambienti più salutari. La protezione
del pianeta passa in particolare attraverso la produzione e
30
il consumo sostenibile, la gestione sostenibile delle risorse
naturali e l’adozione di azioni urgenti per contrastare i cambiamenti climatici, così da preservare la terra alle esigenze
della presente e delle future generazioni.
1.Sradicare la povertà in tutte le sue forme e ovunque
nel mondo.
2.
Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare l’alimentazione e promuovere l’agricoltura sostenibile.
3.
Garantire una vita sana e promuovere il benessere di
tutti a tutte le età.
4.
Garantire un’istruzione di qualità inclusiva ed equa e
promuovere opportunità di apprendimento continuo
per tutti.
5.
Raggiungere l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e bambine.
6.
Garantire la disponibilità e la gestione sostenibile di
acqua e servizi igienici per tutti.
7.
Garantire l’accesso all’energia a prezzo accessibile, affidabile, sostenibile e moderna per tutti.
8.
Promuovere una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, la piena occupazione e il lavoro dignitoso per tutti.
9.
Costruire un’infrastruttura resiliente, promuovere l’industrializzazione inclusiva e sostenibile e sostenere
l’innovazione.
10. Ridurre le disuguaglianze all’interno dei e fra i Paesi.
11.Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili.
12. Garantire modelli di consumo e produzione sostenibili.
13.Adottare misure urgenti per combattere i cambiamenti climatici e le loro conseguenze.
14.Conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i
mari e le risorse marine.
15.Proteggere, ripristinare e promuovere l’uso sostenibile
degli ecosistemi terrestri, gestire in modo sostenibile
le foreste, contrastare la desertificazione, arrestare e
invertire il degrado dei suoli e fermare la perdita di biodiversità.
16.Promuovere società pacifiche e inclusive orientate allo
sviluppo sostenibile, garantire a tutti l’accesso alla giustizia e costruire istituzioni efficaci, responsabili e inclusive a tutti i livelli.
www.sosonlus.org
17. Rafforzare le modalità di attuazione e rilanciare il partenariato globale per lo sviluppo sostenibile.
Un’attenzione al genere, all’empowerment, alla fame e
alla vulnerabilità
Agire a favore dell’eguaglianza di genere e dell’empowerment delle donne e delle bambine rappresenta un contributo cruciale al progresso e al conseguimento di tutti gli
obiettivi prefissati dall’ONU. Non è infatti possibile raggiungere la piena potenzialità umana e lo sviluppo sostenibile
se a una metà dell’umanità continuano a essere negati diritti e opportunità. Il genere femminile deve poter godere
di un eguale accesso a un’educazione di qualità, alle risorse
economiche, alla partecipazione politica e alle stesse opportunità concesse a uomini e ragazzi nel settore dell’impiego, della leadership e della capacità decisionale a tutti
i livelli. L’impegno dell’Agenda è di apportare un significativo incremento agli investimenti volti a eliminare il gap di
genere e a sostenere le istituzioni che operano - a livello
globale, nazionale e regionale – a favore dell’eguaglianza di
genere, dell’empowerment e della lotta a tutte le forme di
discriminazione e di violenza su donne e bambine. L’occhio
di riguardo si estende a tutte le categorie di persone vulnerabili: bambini, giovani, soggetti con disabilità (dei quali più
dell’80% vive in condizioni di povertà), persone affette da
HIV/AIDS, anziani, popolazioni indigene, rifugiati, internati e profughi, persone che vivono in aree caratterizzate da
complesse emergenze umanitarie e esposte al terrorismo.
Un obiettivo saliente riguarda un’istruzione di qualità, inclusiva ed equa nonché opportunità di apprendimento
continuo per tutti, indipendentemente dal genere, dall’età,
dalla razza, dall’etnia e da altre condizioni di vulnerabilità.
Per porre fine entro il 2030 alla povertà in tutte le sue forme e dimensioni, inclusa la povertà estrema, verranno destinate risorse per favorire lo sviluppo sostenibile delle aree
rurali, dell’agricoltura e della pesca, sostenendo i piccoli
proprietari terrieri, in particolare le donne, dei paesi meno
sviluppati.
Immigrati come risorsa
L’Agenda 2030 riconosce il contributo positivo dei migranti
alla crescita inclusiva e allo sviluppo sostenibile. Le migrazioni internazionali rappresentano infatti una realtà multidimensionale di enorme rilevanza per lo sviluppo dei paesi
di origine, transito e destinazione, che richiedono pertanto
risposte coerenti e adeguate. La premessa è di cooperare
a livello internazionale per assicurare sicurezza, ordine e
regolarità alle migrazioni, nel pieno rispetto dei diritti umani e di trattamenti dignitosi. Una cooperazione di questo
tipo servirebbe a rafforzare la resilienza delle comunità che
ospitano i rifugiati, in particolare nei Paesi in difficoltà di
sviluppo. Lo sforzo va inoltre diretto alla promozione di una
comprensione interculturale, della tolleranza, del mutuo rispetto e di un’etica di cittadinanza globale e di responsabilità condivisa. Nella consapevolezza che le diversità naturali
e culturali abbiano pari dignità e che tutti gli esseri umani
concorrano assieme alla realizzazione dell’obiettivo comune, ovvero lo sviluppo sostenibile.
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
Salute e impatto ambientale
Tra gli obiettivi riferiti alla promozione della salute e del
benessere per tutti e a tutte le età figura quello di ridurre entro il 2030 la mortalità materna, neonatale e infantile
ancora alta nei paesi più poveri, e porre fine a piaghe come
l’Aids, la tubercolosi, la malaria, le malattie tropicali trascurate. Importante puntare sulla prevenzione, facilitando l’accesso ai servizi medico-sanitari, promuovendo campagne
di informazione e sensibilizzazione, supportando la ricerca
scientifica.
Per il contrasto dei cambiamenti climatici e gli impatti negativi sull’ambiente occorre invece adottare azioni urgenti nelle politiche, strategie e pianificazioni. Tra i principali
obiettivi, spicca la conservazione e l’utilizzo sostenibile
delle risorse oceanografiche e marine e la protezione, il ripristino e la promozione di un uso sostenibile degli ecosistemi terrestri per salvaguardare le foreste, combattere la
desertificazione e fermare la degradazione della terra e la
perdita della biodiversità.
“Let’s take the oss”: una radio che “trasmette”
Ad approfondire i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile ci ha
pensato Radio Cooperativa (92.700 FM), con un ciclo di dieci puntate in diretta. a cadenza settimanale dal 7 settembre
al 9 novembre scorsi. Il programma “Let’s take the OSS” ha
coinvolto numerosi ospiti in studio o in collegamento da
remoto e tutte le puntate potranno essere riascoltate grazie ai podcast inseriti nel sito della radio (www.radiocooperativa.org). L’iniziativa rientra in un progetto che Francesca Peroni e Federico Fassina hanno presentato e vinto al
Concorso “Gioventù e Migrazioni. Insieme per un pianeta
sostenibile e solidale”, organizzato da Gao Cooperazione
Internazionale e Tavola Valdese, e che l’Associazione Immigrati di Padova ha promosso e appoggiato insieme a
Radio Cooperativa. A ruotarsi nella conduzione delle puntate e dello Speciale “Fame, sicurezza alimentare e agricoltura sostenibile”, che ha ospitato una riflessione critica alla
rassegna Expo 2015 appena conclusa, i redattori Michele
Fassina, Francesca Peroni, Federico Tewelde Fassina, Clara
Montalbano Bedendo, Cadigia Hassan.
Un impegno e una vittoria per tutti
Universale, corale, programmatica, ambiziosa: così si presenta la nuova Agenda 2030 che nell’arco di un quindicennio si prefigge di raggiungere obiettivi che a un’istantanea
riflessione risultano essere impossibili. Basteranno tre soli
lustri a coronare questi importantissimi traguardi di salvaguardia del pianeta e sostenibilità per tutti? Se - come dice
l’adagio - “chi ben comincia è a metà dell’opera”, il grande
ottimismo e l’entusiasmo che i capi di Stato e di Governo
fanno trasparire tra le righe di questa importante dichiarazione potrebbero servire a chiamarci tutti in causa, rendendoci consapevoli, responsabili e partecipativi in questa
corsa comune. Il tempo stringe, gli ostacoli sembrano insuperabili, ma la motivazione è forte. Non è in gioco solo la
qualità della vita, ma la vita stessa: nostra, delle generazioni
future e del nostro pianeta!
Cadigia Hassan
È nata a Padova da padre somalo e madre italiana. Giornalista e scrittrice, è impegnata nel sociale a promuovere l’interculturalità e la pace
tra i popoli.
31
report & news
La S.O.S.
e i suoi rapporti con gli
enti del territorio
CSV – Centro del Volontariato di Padova e Provincia
Il CSV è una istituzione fondamentale per le associazioni di
volontariato. Offre servizi di consulenza nel campo amministrativo – legale, organizza corsi di formazione e dà la possibilità ai vari gruppi di partecipare alla Festa annuale. Anche
quest’anno la S.O.S. ha aderito con un banchetto informativo alla Festa del Volontariato che si è svolta domenica 27
settembre nelle Piazze di Padova.
Comune di Ponte San Nicolò
Da anni la S.O.S. intrattiene contatti con questo Comune attivissimo, anche nel campo della Solidarietà.
Grazie alla sensibilità del sindaco Enrico Rinuncini e della sua
giunta, è stato concesso diverse volte il partenariato per progetti presentati dalla S.O.S. alla Regione Veneto.
Questa volta la S.O.S. ha chiesto e ottenuto il patrocinio e la
concessione gratuita della sala civica “Unione Europea” per
la proiezione del docufilm, girato dalla S.O.S. nella R.D.C., “Un
giorno a Wamba” ; l’evento ha avuto luogo il 30 ottobre 2015.
Ringraziamo il Comune per la sua disponibilità.
Eva
Università
Attualmente l’interazione della S.O.S. con il territorio padovano si è concretizzata in particolar modo nello spazio
aperto ai giovani per periodi di stage o volontariato, dando
loro modo di condividere e scambiare buone pratiche ed
esperienze sulla cooperazione allo sviluppo e sulle relazioni
internazionali. È molto importante per la nostra realtà avere
l’occasione di relazionarsi con studenti interessati a collaborare con noi, perché così anche la nostra associazione può
aggiornarsi, migliorare e dare spazio a nuove idee che si rivelano spesso positive. A tale scopo, già dal 2008, la S.O.S. ha
avviato una proficua collaborazione con l’Università di Padova. Grazie al Servizio Stage e Career Service abbiamo fatto
conoscere la nostra realtà ad un’ampia platea, ricevendo in
breve tempo numerose richieste di tirocinio da parte di studenti e laureati interessati al mondo della cooperazione allo
sviluppo e delle relazioni internazionali. Attualmente una
stagista, Federica, ha appena terminato il suo stage, mentre
Andrea l’ha appena iniziato; ve le presentiamo.
Angela
Federica, stagista S.O.S.
Quando studi, a volte è come se si creasse una bolla tra te e il
mondo reale. Io in quella bolla un po’ ci ero finita. Mi chiamo
Federica Marcucci e sono una studentessa di Politica Internazionale e Diplomazia all’Università di Padova. Nel corso
dei miei studi ho seguito un percorso che non mi avrebbe
necessariamente condotta alla cooperazione allo sviluppo.
Ad essere onesti, di Africa ne sapevo proprio poco. Sono arrivata nella S.O.S. un po’ per caso: dopo aver condotto una
ricerca sul Congo, ho incontrato questa associazione che mi
ha incuriosita.
Posta elettronica
Invitiamo i nostri soci e simpatizzanti a farci
pervenire l’indirizzo e-mail per avere la possibilità
di comunicare con loro velocemente e in modo
economico.
Basta inviare una mail a [email protected]
scrivendo “registrami” nell’oggetto della mail
32
Sono partita da zero, dal non sapere quasi neanche dove l’Africa fosse. Mi ricordo bene come mi sentissi un po’ spaesata,
la prima volta che sono entrata nella sede. Mi ricordo anche
che avevo voglia di impegnarmi per qualcosa e che mi aveva
colpita il fermento che avevo trovato al mio arrivo.
Nei miei mesi di permanenza nella S.O.S. sono rimasta spesso sorpresa: ho scoperto una realtà nuova, di cui conoscevo poco o niente. Ho scoperto cosa c’è dietro le adozioni a
distanza, le borse di studio, tutto il lavoro che questo comporta e che, dal di fuori, non si immaginerebbe mai. Ho scoperto una serie di progetti e di iniziative che, sei mesi fa, mi
sarebbero sembrati troppo grandi per un’associazione come
la S.O.S.. I mesi che ho trascorso in questo ambiente mi hanno fatto capire che ci sono delle persone che sono in grado
di impegnarsi nel trovare il tempo, le risorse e le energie per
realizzare dei progetti incredibili.
Da questa esperienza ho tratto tanti insegnamenti: credo
che ci siamo abituati ad essere disillusi verso tutto quello
che ci accade intorno. Per questo, la cosa che porterò sempre con me è la meraviglia nel vedere con quanta generosità
e tenacia alcune persone che s’impegnino per cambiare lo
stato delle cose e per offrire opportunità a chi non ne solo
per il fatto di essere nato in una condizione diversa.
Federica Marcucci
Andrea Soncina
Ciao! Sono Andrea Soncina, ho 22 anni e sono laureanda in
Scienze Politiche, Relazioni Internazionali, Diritti Umani, corso di laurea triennale dell’Università di Padova.
Nel mio percorso di studi è previsto uno stage formativo di
80 ore, ed è per questo che trascorrerò i prossimi mesi presso
l’associazione S.O.S. come stagista.
Ho scelto di entrare in questa associazione, perché ero curiosa di approfondire le tematiche che riguardano i Paesi che
sono ora in via di sviluppo e sono inoltre rimasta molto colpita dai numerosi progetti di solidarietà di cui si fa portatrice
la S.O.S. Sono anche iscritta al Conservatorio “C. Pollini” di Padova, dove frequento il triennio accademico in canto lirico
ed avrò il mio debutto ufficiale il prossimo 30 novembre, con
l’opera “La finta semplice” di W. A, Mozart al Teatro Sociale di
Rovigo.
Nel mio tempo libero, il canto e la musica sono parte fondamentale, tant’è che da due anni dirigo un coro gospel, Gospel Time Choir a cui sono molto legata e che mi dà grandi
soddisfazioni.
Andrea
Andrea Soncina.
indirizzi sito
e posta elettronica
il nostro sito lo trovate all’indirizzo
www.sosonlus.org
mentre l’indirizzo e-mail è
[email protected]
www.sosonlus.org
progetti S.O.S
Zanzibar
Zanzibar
La progettazione, l’avvio e l’organizzazione dei lavori
del resort a Makunduchi hanno comportato notevoli
difficoltà, ma ora, come ci dice Malaika, tutto sta procedendo per il meglio.
In 25 anni di cooperazione la S.O.S. non ha mai perso di
vista l’obiettivo ultimo dell’associazione: mettere al centro di tutte le sue opere l’ ESSERCI, inteso come impegno,
tempo, attenzione, ascolto, condivisione e responsabilità.
Ed è così che son nati i vari e numerosi progetti: è il luogo
che dice cosa fare e come farlo. Le persone che si incontrano aiutano a capire, attraverso l’ascolto e la reciproca
conoscenza, che strada prendere e come attivarsi per crescere tutti insieme.
Ed è proprio così che ad un certo punto del cammino è
nata l’idea e l’esigenza di
sviluppare un progetto che diversificasse le fonti di entrata dei finanziamenti per il sostentamento dei progetti
stessi. Attualmente queste sono assicurate soltanto dalle
donazioni private provenienti dall’Italia, che per loro stessa natura sono soggette a fluttuazioni incompatibili con
le necessità a lungo termine di progetti di assistenza.
Si rende quindi necessaria la creazione e lo sviluppo di linee produttive che parallelamente assicurino gli adeguati introiti e soprattutto consentano l’autosostenibilità dei
progetti. Ciò consentirebbe inoltre agli operatori locali di
emanciparsi dagli aiuti, diventando padroni del proprio
destino. L’idea è stata quindi quella di attivare e mantenere un processo di produzione volto alla creazione di reddito indipendente dagli aiuti esterni.
Senza andare troppo nei dettagli, il tessuto economico
tanzaniano è, come ovvio per un paese in via di sviluppo,
profondamente compromesso. La Tanzania è un paese
povero e la sua economia dipende fortemente dall’agricoltura. L’UNDP ha stimato che il 41% della popolazione
totale vive al di sotto della soglia della povertà nazionale.
Il paese è al 126° posto dei 173 paesi considerati secondo
gli Human Development Indicators.
In tutto ciò, se da un lato riduce notevolmente le possibilità di investimento, appunto, nel settore agricolo e dell’industria, dall’altro, in settori come quello turistico, offre
notevoli prospettive di sviluppo. È infatti marcata la tendenza dei viaggiatori occidentali, costretti a vivere in “opprimenti metropoli”, a prediligere mete turistiche in paesi
in cui è possibile visitare i cosiddetti “paradisi tropicali”. La
Tanzania possiede un impressionate patrimonio naturalistico incontaminato, una ricchezza geografica e culturale
che si prestano non poco ad interessanti opportunità di
investimento. Lungi dalla malsana idea di implementare
il turismo di massa, vantaggioso solo ai grandi tour operator, dannoso per l’enorme impatto provocato sull’ambiente, per l’uso eccessivo e non equo delle risorse, il
progetto “Ujamaa Beach resort” ha invece l’obiettivo di
promuovere una tipologia di turismo definita “responsabile” a sostegno dei progetti S.O.S. in Tanzania. Il turismo
inteso in tal senso può essere una componente importante nello sviluppo sostenibile di molte comunità locali
a patto che la stessa sia attivamente coinvolta in esso, che
i benefici economici siano equamente distribuiti, che sia
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
Zanzibar quasi pronto il ristorante di Makunduchi.
compatibile con la biodiversità e la mantenga, che utilizzi
le risorse naturali in modo sostenibile minimizzando l’inquinamento e gli sprechi, rispetti le culture del luogo ed i
siti storici e scientifici, ed infine abbia un valore informativo ed educativo. L’attuazione del progetto consiste nella
creazione di un “villaggio ecocompatibile ed ecosostenibile” a Makunduchi –Zanzibar- in una zona avente caratteristiche compatibili con i dettami del turismo responsabile. Esso fungerà, oltre che da villaggio turistico in loco,
anche da base logistico-operativa, per l’organizzazione e
gestione di viaggi di turismo responsabile comprendenti
eventualmente anche la visita dei centri costruiti e sostenuti dalla S.O.S.
L’ Ujamaa Beach resort si trova a Makunduchi, il piccolo
villaggio di pescatori situato nella zona sud-est dell’isola
di Unguja (normalmente chiamata Zanzibar, nome che
in realtà definisce tutto l’arcipelago) dove si trova la sede
S.O.S. Zanzibar.
Sorge sul mare, in un giardino tropicale ricco di piante
e fiori d’ogni tipo, e si sta costruendo nel pieno rispetto
dell’ambiente circostante e della cultura del luogo.
Comprenderà 12 bungalow e un grande ristorante-bar
sulla spiaggia. Si inserisce con discrezione nel paesaggio
locale e ne rispetta forme, spazi e dimensioni: durante i
lavori di costruzione non sono stati abbattuti gli alberi
circostanti e le costruzioni rispettano pienamente lo stile
della tradizione locale, caratterizzata dall’imponente tetto
di makuti (telaio in legno e intrecci di foglie di palma da
cocco) e i muri di pietra corallina.
Agli ospiti della struttura verrà proposta un’esperienza di
turismo responsabile e solidale:
Responsabile, perché nelle attività proposte verranno accompagnati ad entrare in contatto diretto e discreto con
la cultura e la comunità locale, prendendo coscienza e rispettandone tradizioni e abitudini, visitando i villaggi e la
gente attraverso la guida di un mediatore locale.
Solidale, perché il viaggio s’inserirà nel contesto di S.O.S.
Onlus: gli ospiti saranno guidati a visitare all’interno del
villaggio un’esposizione di foto, notiziari, filmati per illustrare i progetti, le attività dell’associazione, spiegando
che il ricavato della loro permanenza alla struttura andrà
a diretto sostegno delle iniziative realizzate in Tanzania.
33
progetti S.O.S
I lavori di costruzione, ad oggi, sono a circa tre quarti del totale e, se non ci saranno imprevisti, speriamo di inaugurare
il villaggio a febbraio 2016!!!
Sarete, ovviamente, tutti invitati a partecipare alla grande
festa di apertura.
Malaika Giovannini
Responsabile Progetto Makunduchi
Pole pole – Piano piano
Il progetto di allevamento avicolo avviato dalla S.O.S. a
Makalala (Mafinga) a favore dei ragazzi usciti dall’Orfanotrofio di Tosa (Iringa) in Tanzania e per aiutare i bambini
ospiti della Casa di Makalala, si avvia PIANO PIANO verso
l’ autonomia gestionale ed economica.
Durante l’ultimo sopralluogo che ho effettuato nel mese
di giugno, ho potuto constatare che i ragazzi sono ben
guidati da Vasto, uno di loro che ha assunto il ruolo di coordinatore e responsabile del progetto; Severin si è rivelato un gran lavoratore e si occupa delle incombenze quotidiane dell’impianto nonché di tutta la parte commerciale
e infine Angelo, responsabile del settore agricolo con la
cura degli orti e dei campi di mais annessi all’allevamento,
ha organizzato la prima mietitura e commercializzazione
del mais prodotto.
La produzione di polli da carne e di uova procede regolarmente e a luglio si sono potute ampliare le strutture
con la costruzione di un nuovo piccolo edificio destinato
a ufficio, infermeria e magazzino e così si sono ottenuti 2
nuovi box per l’allevamento dei capi.
È stato anche comperato un camioncino Suzuki che con-
Perù
Perù
Un incontro in Perù. Due volontari del Progetto Mottin si sono voluti recare in Perù, per vedere di persona
i risultati della generosità di tante persone come loro.
È raro in un viaggio intrapreso per turismo avere l’opportunità di entrare in contatto in modo più approfondito
con la realtà di un Paese, ben diversa da quella che si può
cogliere normalmente, per quanto se ne sia attratti e lo si
osservi con affettuosa curiosità. Ma non sempre nei nostri
Laura e Nello a Huaraz.
34
Zanzibar
Zanzibar
Ufficio SOS del progetto avicolo a Makalala.
sente ai ragazzi di effettuare le consegne di polli e uova ai
clienti di Mafinga.
La commercializzazione dei prodotti, pur con fasi alterne,
si sta consolidando e la vendita al mercato di Mafinga del
mais prodotto nei campi ha contribuito a sostenere parte
delle spese gestionali della struttura.
Attualmente il progetto non ha del tutto raggiunto la
completa autonomia economica e necessita ancora di un
aiuto da parte della S.O.S..
Tale aiuto consiste oggi in circa 500 € al mese, però l’impegno e gli sforzi che i ragazzi stanno facendo per ottimizzare i risultati del loro lavoro ci permettono di attribuire
loro fiducia e prevedere un graduale incremento dei loro
incassi per arrivare “POLE POLE” alla completa autonomia
gestionale.
Carlo Suitner
viaggi, anche volendolo, si trova il tempo e soprattutto
l’occasione e l’“aggancio” per farlo.
Quest’anno, invece, nel nostro viaggio in Perù, lo scorso
agosto, grazie al nostro amico Carlo Suitner, ciò è accaduto: abbiamo avuto la possibilità di incontrare Dorita - responsabile del progetto che la S.O.S. sta portando avanti
nell’ambito del progetto Mottin - e le giovani che ne sono
coinvolte, scelte in base alla loro volontà e predisposizione allo studio e ovviamente alla loro condizione economica e sociale.
Il 19 agosto, al nostro arrivo a Huaraz, dopo un viaggio
notturno in bus da Trujllo, veniamo subito contattati da
Dorita e concordiamo di vederci nel primo pomeriggio,
perché il nostro programma prevede solo due giorni di
permanenza e noi abbiamo il desiderio di incontrare tutte
le ragazze, come anche Dorita ritiene importante.
L’incontro avviene nella Plaza de Armas. Ci riconosciamo
subito, o meglio è lei che ci riconosce per il nostro inconfondibile aspetto di turisti europei. La simpatia che ci ispira è immediata, a dispetto della difficoltà di dialogo per la
nostra scarsa conoscenza della lingua spagnola.
Raggiungiamo in taxi la scuola frequentata dalla “nostra”
Yessenia, nella prima periferia di Huaraz, attraverso lo scenario urbano tipico di una città del terzo mondo, a cui fa
da contraltare la splendida corona delle montagne della
Sierra Blanca. Ai nostri occhi la scuola, grande, appare bella, ben tenuta e ben organizzata, con aule ampie e luminose e un campo sportivo per il calcio e la pallacanestro.
In attesa davanti alla scuola, ci viene incontro con un bellis-
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progetti S.O.S
Perù
Perù
Villaggio di Huaraz.
simo sorriso e una timidezza quasi adolescenziale la mamma di Yessenia, che sembra una fanciulla con la sua gonna
corta e arricciata e il tipico cappellino peruviano sulle ventitrè. È l’ora dell’uscita dei ragazzi dalla scuola e finalmente
vediamo in carne ed ossa Yessenia, ancor più carina che in
foto. Ma colpisce ancora di più la sua dolcezza e il garbo
con cui si rivolge a noi. In compagnia sua e di Nancy, altra
ragazza inserita nel programma Mottin, con un taxi “collettivo” ci dirigiamo verso la casa di Nancy (costruita in adobe
– mattoni di fango seccato al sole - e lamiere), non vicina
alla scuola, che poi raggiungiamo attraverso una ripida
salita campestre (non ultima della giornata) in equilibrio
precario e con il nostro ormai abituale fiatone. Qui ci attende la madre, che però preferisce rimanere a conversare sullo spiazzo esterno, forse per l’imbarazzo di mostrare
un interno troppo povero. Dalla porta fa capolino la faccia
simpatica e sorridente della sorellina di Nancy, che invece
non sembra molto in forma: forse ha un po’ di febbre, forse
è intimidita dalla nostra presenza.
Ora via con un altro taxi per raggiungere la casa di Yessenia, un po’ più lontana e isolata in campagna. Qui ad accoglierci ci sono le sue tre sorelle e il fratello, tutti giovanissimi. La casa, raggiungibile anch’essa attraverso una ripida
scarpata, è ancora più piccola della precedente. È davvero
molto povera: si compone di appena due stanze per sei
persone, con il pavimento in terra battuta, ed è destinata
sia ad abitazione che a deposito dei pochi prodotti agricoli di cui la famiglia dispone. L’insieme evidenza il gran
contrasto tra le condizioni di estrema indigenza dei suoi
abitanti e il loro dignitoso atteggiamento. Confessiamo
di esserci sentiti in imbarazzo, colti da pudore per essere
considerati dei benefattori per il poco che facciamo, e di
fronte alla penosa difficoltà del loro vivere quotidiano.
Una delle figlie è ancora una bambina di circa sei anni, con
un faccino dolce e simpatico. I ragazzi ci parlano dei loro
studi e dei loro progetti per il futuro. Tutti dicono di avere
intenzione e desiderio di continuarli: il ragazzo vorrebbe
studiare architettura, Yessenia vorrebbe fare l’infermiera.
La madre, la più silenziosa, segue la conversazione con un
dolce sorriso, sembra orgogliosa dei suoi quattro ragazzi.
Yessenia continua ad alzarsi per versarci un buon succo
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
di un frutto a noi sconosciuto. Percepiamo con commozione l’affetto e la gratitudine che ci porta, l’importanza
che ha per lei il nostro incontro: le abbiamo dato un segnale importante per il fatto che siamo giunti fin da lei,
da così lontano, più ancora del contributo economico ai
suoi studi. Non eravamo più un’entità astratta, ma persone che le vogliono così bene da essere arrivati a casa sua
per abbracciarla. Ci spiazzano regalandoci dei berretti di
lana tipici del Perù; uscendo Yessenia ci prende per mano
guidandoci per la ripida discesa fino alla strada.
Pensiamo sempre a questa deliziosa dodicenne fiduciosa nonostante tutto nell’avvenire e speriamo con tutto
il cuore che possa realizzare i suoi sogni, avere una vita
migliore: è come se avessimo una seconda figlia e siamo
sorpresi di quanto questo breve incontro ci abbia colpito.
Abbiamo poi conosciuto Jasmin e la sorella Yesi. Quest’ultima ha già completato il programma e ora è subentrata
la più piccola. Dobbiamo dire che le condizioni della loro
casa, di mattoni e lamiera in un punto difficilmente accessibile lungo il fianco scosceso di un’altura che guarda
Huaraz, sono le peggiori che abbiamo potuto vedere. La
madre è sola e lavora come e quanto può per mantenere
le figlie. Yesi è brava, matura e consapevole e l’aiuta pur
continuando negli studi. L’unico bene presente nell’angusta abitazione è rappresentato da una popolazione di
cuy (porcellini d’India, apprezzati nella cucina peruviana).
Davvero desolante.
Infine, abbiamo incontrato, ma più brevemente e non a
casa loro, Lise e Susy, anch’esse deliziose e ferme nello
sforzo evidente di costruirsi un futuro.
A cena nel nostro hotel Dorita ci racconta di sé, del suo
lavoro e dei suoi studi: vita dura anche per lei, che pure
aiuta gli altri con un affetto, uno slancio e un’attenzione
vigilante sulle sue protette, che davvero commuovono.
Vale la pena di proseguire i nostri sforzi e se possibile aumentarli. Sarebbe auspicabile ampliare il numero dei partecipanti al progetto Mottin, ma dobbiamo anche essere
consapevoli che Dorita da sola non potrebbe seguire più
ragazze, quindi si presenta il problema di affiancarle qualcuno che le sia di aiuto.
Laura e Nello
35
progetti S.O.S
Congo
Congo
Progetto CHARLES -LWANGA BANDIMA
I Progetti della S.O.S. non consistono unicamente nella
costruzione di scuole, ospedali, ecc., ma anche nel contribuire alla formazione di medici e infermieri, preziosi
per la sanità del Congo
Charles Bandima, un ragazzo di Isiro nella Repubblica Democratica del Congo che abbiamo sostenuto negli studi
universitari fino alla sua laurea in medicina, anche con l’aiuto del Condominio Bonfadini di Padova, sta ora frequentando brillantemente i corsi di specializzazione in pediatria
presso l’Università di Dakar in Senegal.
Nella sua ultima lettera del 19 agosto 2015 ci scrive che i
suoi studi sono molto impegnativi, ma che continua con
tanto entusiasmo e ottimi risultati per vedere realizzato il
suo sogno e poter ritornare nel suo paese dove i pediatri
mancano quasi completamente.
La S.O.S. e il Condominio Bonfadini continuano a sostenerlo in vista di questo traguardo importante.
Sonia B.
Le 10/08/2015, Charles-Lwanga BANDIMA ([email protected]) a écrit:
Bonsoir à tous,
Je me porte assez bien et espère qu’il en est de même pour
vous tous. Cela reste mon souhait le plus ardent pour chacun
de vous. J’ai été un peu absent de la communication depuis
plusieurs jours. Cela s’explique par le poids et la lourdeur de la
charge que je porte pour ma formation. Elle
évolue certes bien.
Nous venons de passer une série d’examens musclés de la
version écrite et orale depuis une semaine. Mon résultat est
sanctionné par la mention distinction (79%). C’est qui m’ouvre
la porte pour la deuxième année de ma spécialisation. Actuellement, je poursuis mon stage et commence les vacances en
début octobre pour 45jours.
Merci de votre accompagnement et assistance durant cette
première année de ma formation.
Puisse Dieu vous bénir et vous le rendre au centuple.
Union de prière.
Dr Charles
Scuola Primaria a Wamba
Dopo avere assistito al film: “Un giorno a Wamba”, un nostro socio e benefattore, sig. Ercolin Adriano, colpito dalla
carenza di strutture scolastiche in Congo e nel contempo
dal desiderio di tanti bambini di potersi istruire, si è dichiarato disponibile a finanziare la realizzazione di una nuova
aula; questa sarà edificata nella già esistente struttura che
ospita la scuola materna Santa Lucia fatta costruire dalla
S.O.S. ancora nel 2006. Le suore si sono trovate nella necessità di ingrandire questo edificio in quanto i bambini da
loro preparati, al loro ingresso nella scuola primaria statale,
si trovavano a disagio, perché la scuola pubblica non era
all’altezza del loro livello.
Con questa aula il ciclo è quasi completo, venendo a mancare solo l’aula per la VI°e ultima classe.
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Suor Roseline nel laboratorio di occhiali.
Laboratorio occhiali
Suor Roseline ci scrive:
Il nuovo progetto per la realizzazione di un Laboratorio
occhiali presso il Centro oftalmologico Siloe di Isiro ha
avuto inizio il giorno 07/08/2015 con l’arrivo dell’ottico di
Padova sig. Carlo Cavalli e di sua moglie Raffaella, accompagnati da Riccardo e Monica (soci della S.O.S.), venuti
dall’Italia per l’installazione delle attrezzature ottiche, attività importante per il centro oftalmologico e per la popolazione dell’Alto Uelé.
Se noi torniamo un po’ indietro nella storia, questo servizio è nato da un’idea di “mamma” Sonia con la collaborazione e il contributo materiale dell’associazione Federottici di Padova.
Nell’anno 2013, quando l’abbé Cosmas Boyekombo (direttore generale del centro oftalmologico di Isiro) ed io ci
siamo recati in Italia per iniziativa di Sonia, abbiamo incontrato l’associazione degli ottici di Padova per riflettere
sulla possibilità di dare inizio ad un centro ottico al Siloe.
In conclusione questa idea è stata accolta dai partecipanti
con il proposito di farmi tornare in Italia per la necessaria
formazione, previo accordo con il vescovo della diocesi
di Wamba e della madre Generale della Nostra Famiglia
Religiosa.
Sei mesi dopo questa idea è stata realizzata ed ha avuto
un successo al 100% con il contributo di molte persone
che voglio citare in questo scritto:
Mamma Sonia che si è interessata per i documenti di soggiorno e il pagamento delle spese del mio viaggio, poi la
Congregazione delle suore Dimesse che hanno accettato,
previa richiesta di don Gianfranco, direttore della Caritas
di Padova, di darmi alloggio e integrarmi condividendo
la loro vita.
Infine tutti quelli che mi hanno aiutato con il loro insegnamento: Cavalli, Colombo, Micaglio, Mario, Sara, Nicoletta.
Molte altri amici della S.O.S. mi hanno donato il loro tempo assicurandomi i trasporti giornalieri.
Ora finalmente il laboratorio ha iniziato la sua attività, grazie all’ottico Carlo Cavalli che è venuto personalmente a
installare le apparecchiature fatte giungere dall’Italia.
Suor Roseline
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vita dell’associazione
vita
dell’associazione
Gita a Ferrara.
Ormai da alcuni anni, la S.O.S.
organizza una gita socio-culturale molto apprezzata da tutti i
soci e simpatizzanti.
La notizia che la destinazione della ormai tradizionale
gita annuale della S.O.S. sarebbe stata Ferrara mi ha reso
felice, per diverse ragioni: sono di complete ascendenze
ferraresi; ho frequentato le scuole medie a Ferrara presso
il Collegio Salesiano ‘San Benedetto’ (con l’amico Brunello
Ghidini, che il destino mi ha fatto incontrare nuovamente
– questa volta in Veneto e dopo tanti anni- per condividere interessi e passioni di vario genere)….Oddio, ci sarebbe poi il conflitto di interessi, dovuto al fatto di aver
vissuto prima infanzia e gioventù in territorio bolognese
e allora bolognesi e ferraresi erano come cane e gatto; …
Il gruppo di alcuni partecipanti alla gita.
il poemetto “La secchia rapita” (ancorché riferito alle controversie tra Bologna e Modena) docet. Tanto, per dire che
in passato il campanilismo in Emilia era molto più accentuato di quello tra le città del Veneto. Ma questa è un’altra
storia…
Il programma di visita guidata a Ferrara si è svolto grosso
modo secondo i tempi pianificati e con piena soddisfazione di tutti i 41 partecipanti. Il merito va sicuramente
alle organizzatrici della gita (Carla ed Eva), unitamente
alle due signore e amiche che ci hanno fatto da guida con
estrema competenza e professionalità: Anna Maria Di Giglio e Maria Alberta Faggioli, alle quali va il nostro grazie
più sentito.
La visita al Castello Estense (per ovvie ragioni, il pezzo
forte dell’intera gita) ha impegnato tutta la mattinata;
peccato che il terremoto del 2012 abbia lasciato momentaneamente inagibili molte sale e costretto i curatori a
diluire i tempi di visita, con la conseguenza di dilatare i
tempi di attesa tra gruppi di visitatori.
Il Castello fu fatto erigere da Niccolò II nella seconda metà
del 1300 a nord della città, adiacente alla ‘via della Giovenca’ (ora via Giovecca) che delimitava la parte più antica
della città, ed ha la forma di un quadrilatero caratterizzato
da quattro imponenti torri. L’edificio è contornato da un
fossato,.pertanto, vi si poteva accedere solo attraverso un
ponte levatoio. Queste fortificazioni avevano il compito
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
di difendere i nobili proprietari da attacchi esterni, ma anche …senti, senti!!.. da sommosse interne (pare proprio
che l’inizio della costruzione coincida con una di queste,
dovuta alle troppe tasse imposte alla popolazione. La storia si ripete sempre!!).
Il percorso culturale ci ha permesso di ammirare (e cito in
ordine sparso) il cortile interno, con i due pozzi, tra i quali
leggenda vuole che siano stati decapitati, per adulterio,
Ugo d’Este e l’amante Parisina Malatesta, rispettivamente figlio e moglie del duca Niccolò III (la storia spesso si
ripete e torna subito in mente l’episodio –più noto- di Paolo e Francesca, descritto nell’Inferno di Dante); al piano
nobile, le sale affrescate dal Bastianino, la Sala dei giochi,
la Cappella di Renata di Francia, il Giardino pensile “degli
aranci” con vista sulla città, la Sala dell’Aurora (camera da
letto di Alfonso II), le antiche cucine con i lavabi in pietra
e i camini, etc.
Menzione a parte meriterebbe la mostra d’arte, ospitata
in alcune sale del Castello, di opere di due sommi artisti
ferraresi moderni, quali Giovanni Boldini e Filippo De Pisis,. È stata davvero una fortuna per i turisti trovarsi nelle condizioni di poter ammirare una concentrazione di
capolavori, altrimenti dispersi in altri musei o collezioni
private.
Il tour è proseguito con la visita alla sola facciata del Duomo (l’interno è ancora inagibile a causa dei danni sismici),
esempio prestigioso di stile cosiddetto romanico-padano, ad opera dell’architetto-scultore Nicholaus, in marmo
bianco, divisa in tre sezioni verticali. Aspetto semplicemente strepitoso !!
Per arrivare alla trattoria “I bassotti”, scelta per la pausa
gastronomica, il gruppo ha percorso via Mazzini, che costeggia il lato sud del Duomo e penetra nel “Ghetto”, la
parte più antica dell’originario nucleo abitativo ferrarese.
Seduti a tavola, ho dovuto sostenere una tenzone con
una delle adorabili guide, che ha rischiato di sfociare nel
sangue; motivo del contendere: la professoressa Maria Alberta Faggioli, ferrarese doc – e pertanto esperta di ‘cappelletti’- pretendeva di insegnare a me -bolognese doc- e
pertanto esperto di ‘tortellini’, la ricetta originale di questi
ultimi. Scontro culturalgastronomico che si è concluso –
ovviamente senza vincitori, né vinti- con le gambe sotto il
tavolo, a gustare gli immancabili tortelloni di zucca.
La passeggiata è poi proseguita in pullman, per costeggiare una parte delle celebri mura, seconde per perimetro
solo a quelle di Lucca.
Scesi dal pullman, il gruppo si è incamminato di nuovo
verso il Castello, attraversando la celebre ‘Addizione Erculea’, che non è - si badi bene - una operazione matematica di grandi dimensioni, bensì la realizzazione di un PRG
(Piano regolatore generale) edilizio dell’epoca -fine del
‘400- della parte nord di Ferrara, ideato da Ercole I d’Este,
che ha permesso di raddoppiare l’estensione della città,
con risultati ammirati e apprezzati in tutto il mondo, culminato nella costruzione di palazzi prestigiosi, tra i quali
spicca il ‘palazzo dei Diamanti’.
Chissà se tale realizzazione sia stata caratterizzata dalle
ruberie e dalla corruzione, così comuni ai giorni nostri !?!?
Augusto Pellegatti
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vita dell’associazione
Consiglio direttivo
2015/2018
L’assemblea annuale della S.O.S. quest’anno rivestiva
una particolare importanza, in quanto, oltre alla consueta e doverosa approvazione del bilancio consuntivo, era
prevista la nomina dei nuovi consiglieri che sarebbero
andati a far parte del Direttivo in carica dal 2015 al 2018.
Purtroppo, anche quest’anno la partecipazione dei soci
è stata scarsa, mentre sarebbe importante essere presenti almeno in questa occasione per meglio comprendere il funzionamento dell’associazione di cui si fa parte.
Altro aspetto negativo, rilevato più volte, la difficoltà a
reperire persone disponibili a ricoprire il ruolo di membro del Direttivo, organo ispiratore di tutta l’attività della
S.O.S.; certo, si sa che tutti siamo molto impegnati nel lavoro e nella famiglia, ma credo che, volendo, si può trovare il modo di offrire un po’ del proprio tempo agli altri.
Le operazioni di voto si sono svolte regolarmente e alla
fine sono risultati eletti i seguenti candidati.
Bonin Daniela, Bonin Sonia (Presidente), Carretta Sonia,
Ekue Folly Grace, Felisatti Carla, Grassmann Eva (segretaria), Gusso Mayra, Lamparelli Ruggero, Suitner Carlo
(vicepresidente).
Il Direttivo si riunisce di solito una volta al mese (in caso
di urgenza ha luogo un incontro straordinario), per discutere sui temi all’ordine del giorno che vengono proposti dagli stessi consiglieri e che riguardano le varie
iniziative, i progetti da realizzare, le spese da affrontare, insomma tutti gli aspetti che riguardano la vita della
S.O.S..
Al momento di organizzare le attività, i consiglieri risultano, ovviamente, in prima linea, anche se si cerca sempre di coinvolgere altre persone che risultano preziose
per il loro contributo, come accade per la Festa sui colli,
per la Castagnata, per il mercatino di Natale, la Festa del
Volontariato, ecc.
Insomma, i nuovi consiglieri chiedono sostegno, collaborazione, disponibilità; sono, inoltre, pronti ad accettare, consigli, proposte e, all’occorrenza, critiche!!!
Carla
Festa sui Colli Euganei
con la S.O.S.
Domenica 7 giugno, una rappresentanza dell’Associazione Tumaini - Un ponte di Solidarietà ONLUS - ha partecipato al tradizionale incontro che organizza la S.O.S.
( Solidarietà Organizzazione Sviluppo) per i suoi soci,
amici e sostenitori. La delegazione di Tumaini era composta dal presidente, da componenti del direttivo e da
altri soci e amici, tra i quali Célestin Tuyisenge, di origine
congolese, che vive in Italia da due anni.
Dopo la messa celebrata da don Coulidaly Sidoin, la
presidente della S.O.S., Sonia Bonin Mansutti, ha fatto il
38
punto sulle attività della sua associazione in Tanzania e
nella Repubblica Democratica del Congo. In questi paesi, la S.O.S. si occupa di adozioni a distanza e ha realizzato molti progetti fra cui una clinica oculistica a Isiro
(R.D.C.) presso cui di recente sta realizzando un laboratorio occhiali.
Sonia ha illustrato le difficoltà che la S.O.S. incontra
nell’inviare in questo paese materiale e denaro per mancanza di servizi postali, banche e vie di comunicazione.
La tenacia di questa associazione è stata di stimolo per
Tumaini che da alcuni anni è presente nella provincia del
Nord Kivu (R.D.C.) con progetti di sostegno scolastico
(adozioni a distanza), di borse di studio per universitari
e, recentemente, con l’avvio di un progetto di apicoltura
nell’area di Masisi.
A seguito dell’intervento della signora Monica Roin, che
ha fatto un’esperienza di volontariato a Isiro, si è consolidata nei presenti l’ammirazione per le donne congolesi
che, malgrado le condizioni difficili, sono determinate a
lavorare per migliorare la vita delle loro famiglie e della
comunità.
I relatori durante la festa sui colli.
Il Dottor Grace Folly Ekue, coordinatore nazionale della
diaspora togolese d’Italia e conoscitore delle problematiche africane, ha evidenziato l’approccio con cui la
S.O.S. interviene in Africa: coinvolgere le comunità locali
nelle attività dello sviluppo. Questo aspetto è molto importante e manca spesso negli interventi di tante ONG.
La serie degli interventi si è conclusa con la testimonianza di Célestin Tuyisenge che ha parlato della sua esperienza di migrazione. Ha spiegato che la migrazione degli Africani in Europa non è dovuta solo alla ricerca di un
benessere economico - difficilmente raggiungibile poi
nella realtà - ma spesso è legata alla fuga dalle persecuzioni di poteri iniqui e corrotti che operano in modo
poco chiaro, mossi da interessi politici ed economici,
poteri generatori di guerre, portatori di distruzione e disgregazione, e non di unità e sviluppo. La guerra nella
Repubblica Democratica del Congo è un esempio eloquente di questa triste realtà.
L’afa del caldo pomeriggio estivo è stata attenuata dal
verde lussureggiante di villa Mansutti e da una piacevole cena che si è conclusa con una ricca lotteria.
Congratulazioni alla S.O.S.
Célestin Tuyisenge
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vita dell’associazione
Congo week
Lo stand S.O.S. alla festa del volontariato.
Festa del volontariato
Un evento a cui la S.O.S. ha sempre partecipato con entusiasmo, come risulta dalla testimonianza di Angela
Il Centro Servizi Volontariato della provincia di Padova,
promotore della consueta festa delle associazioni, ci ha
fatto vivere ancora una volta la città patavina sotto un’altra prospettiva.
Domenica 27 settembre ci siamo ritrovati, come ogni
anno, nel centro storico di Padova per una giornata dedicata interamente al volontariato, all’associazionismo e
al sociale.
Il tema della festa quest’anno è stato “GNAM: Generare
Nutrimento Al Mondo”, un chiaro messaggio ed invito a
tutte le associazioni presenti e ai tanti volontari per generare nuova speranza: un seme di vita e di nuova energia
per il nostro territorio.
Il sole quest’anno non è mancato e non son mancate
nemmeno le tante persone che son venute a conoscerci
e a vivere assieme a noi questo momento di condivisione. Un via vai interminabile di persone che, con il sorriso
e la curiosità stampata in volto, passavano, ci scrutavano
e magari si fermavano per chiedere di noi…delle nostre
attività…della S.O.S..
Ci siamo sentiti dei privilegiati, noi con il nostro stand proprio davanti al Bo’!
Al mattino Giovanni, Ruggero e Sonia, hanno pensato
all’allestimento del nostro stand, mentre poi Federica,
Manuela, Daniela, Sara, Eva, Carla e Carlo, sono solo alcuni
dei volontari che hanno presieduto il banchetto durante
l’intera festa. La novità di quest’anno è stata il piacevole
intervento dell’esuberante Federica, la nostra stagista,
che nel pomeriggio ha allietato i passanti con un racconto
animato di una favola africana.
Queste giornate non devono mai mancare, perché per noi
volontari, per i nostri sostenitori e per le persone che ci
conoscono e sostengono da molto tempo sono di grande
conforto e alimentano gli animi di nuova energia e solidarietà…per generare quindi nuovo nutrimento al mondo!
Mi sento quindi in queste poche righe di ringraziare tutti
coloro che hanno donato un po’ del proprio tempo, affinché questa festa avesse luogo, a chi anche solo per qualche momento è passato a salutarci e soprattutto al Centro
Servizi Volontariato di Padova che ancora una volta ci ha
dimostrato la sua volontà di essere al fianco delle nostre
associazioni e di condividere con noi la nostra missione.
Angela
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
Venerdì 23 ottobre ci siamo trovati con molti amici congolesi e italiani al Centro Giovanile Antonianum di Padova per
un incontro organizzato nell’ambito della settimana mondiale per il Congo (Congo Week), che si svolge ogni anno
nella seconda metà di ottobre.
La settimana aveva il consueto slogan: Rompere il silenzio
sul Congo, un obiettivo sul quale le quattro associazioni
organizzatrici (Tumaini, S.O.S., Incontro fra i Popoli, Amici
dei Popoli) sono impegnate da tempo.
Il Congo è da oltre 20 anni teatro di guerre e conflitti senza
fine, milioni di civili ammazzati, violenza brutale su centinaia di migliaia di donne e bambine, ragazzi costretti a lavorare in condizioni inumane nelle miniere o obbligati ad
imbracciare le armi e ad uccidere.
Eppure il Congo è un paese molto ricco: di foreste, di minerali, di terra. Le sue risorse potrebbero garantire il benessere del popolo e procurare cibo al continente intero. Ma fin
da quando i primi esploratori misero piede in quelle terre,
non è la ricerca del bene del popolo che guida il destino del
Paese, ma gli interessi di corrotte élite locali e di governi e
aziende straniere.
Tutto ciò ci tocca molto da vicino, perché la tecnologia che
ci circonda, a cominciare dai sempre presenti cellulari e
smartphone, si fonda proprio sull’uso di quei minerali che
hanno rappresentato finora una condanna senza appello
per il futuro del popolo congolese.
Iniziative come quella di Congo Week cercano di aprire
una breccia nel silenzio che circonda tutto questo, in collaborazione con gruppi, Università e istituzioni di tutto il
mondo.
Moltissimo rimane da fare. In particolare è importante che
non manchi il supporto nei prossimi mesi alla società civile
congolese, in modo che le prossime elezioni presidenziali
possano avvenire in un clima di libertà e che l’attuale presidente Kabila non modifichi la costituzione e non impedisca o ritardi lo svolgimento delle elezioni.
Proprio di questi temi si è parlato nell’incontro di venerdì
23, che è iniziato alle 19:30 con un benvenuto musicale a
opera di G. e D. Muyumba e M. Kanyangue e con un rinfresco con cibi congolesi preparati e offerti da alcune signore
presenti alla serata. Si è mangiato e ballato insieme, contribuendo a creare così occasioni di nuovi incontri, in un
clima di amicizia e condivisione.
Alle 21 si è poi confluiti nell’auditorium dove, con il primo
intervento, Daniele Gobbin ha brevemente ripercorso le
vicende del Congo dai tempi della colonizzazione, con
l’ausilio di un filmato in bianco e nero contenente riprese
di notevole interesse storico. È stato quindi proiettato un
videomessaggio dall’europarlamentare Cecilie Kyenge, appositamente registrato per l’incontro, che ci ha poi riportati ai giorni nostri, sottolineando il valore delle iniziative di
sensibilizzazione come la Congo Week in questo momento
critico per il futuro del Paese. Faustin Gahima ha approfondito le vicende recenti che hanno visto protagonisti i popoli burundese e congolese nel difendere, anche a costo della
vita, la democrazia nel loro paese.
39
vita dell’associazione
Ha poi preso la parola J.B. Sourou per presentare la relazione centrale della serata che ha illustrato, a partire da vicende del proprio vissuto personale, diversi questioni che
giocano un ruolo importante per il futuro dell’Africa.
È stato quindi letto un messaggio arrivato da Monsignor
André Masinganda, vice-presidente della Conferenza Episcopale Congolese, in cui si auspica che possano rafforzarsi, con il contributo di tutti, i piccoli segnali positivi che
oggi si intravedono, pur nell’incertezza e nelle difficoltà
del momento.
L’incontro si è infine concluso con un dibattito, a tratti vivace, che ha coinvolto in particolare i diversi amici di origine congolese presenti, fra cui il presidente di Tumaini.
Ci siamo quindi lasciati con l’impegno di mantenerci in
contatto e di creare altre occasioni per sostenere la lotta e
la speranza del popolo congolese, nella convinzione che,
come sostenuto recentemente da Thabo Mbeki, ex-Presidente del Sud Africa, “... non può esserci una nuova Africa
senza un nuovo Congo”.
Faustin Gahima
Proiezione di
“Un giorno a Wamba”
Venerdì 30 ottobre 2015 si è tenuta, nella magnifica cornice della sala civica Unione Europea di Ponte San Nicolò,
la presentazione del docufilm “Un giorno a Wamba” di
Francesco Mansutti, Vinicio Stefanello e Daniele Gobbin;
questa proiezione è stata preceduta da quella di un breve, ma significativo, filmato dedicato alla Clinica Oftalmologica Siloe, realizzato da Francesco Mansutti. L’evento,
che ha goduto del patrocinio del Comune di Ponte San
Nicolò e che ha visto la gradita partecipazione di Alessia
Gasparin, assessore ai Diritti dei cittadini e alla Solidarietà
internazionale, è stato organizzato da S.O.S. – Solidarietà,
Organizzazione e Sviluppo Onlus e condotto dalla Presidentessa dell’associazione, Sonia Bonin.
Alla serata hanno, inoltre, partecipato i componenti
dell’equipe che si sono recati in Congo per girare i filmati;
essi hanno condiviso con il pubblico presente le proprie
emozioni e le esperienze vissute durante il viaggio e le riprese a Isiro.
Con l’abilità e la sapienza di chi opera nelle zone più disagiate della Repubblica Democratica del Congo da più
di 14 anni, Sonia Bonin, insieme al prezioso aiuto di amici
e collaboratori di S.O.S. Onlus, ha dato vita a una vera e
propria gara di solidarietà a favore della clinica di recente
danneggiata da una tromba d’aria alla quale hanno partecipato con entusiasmo numerose persone animate dagli stessi nobili ideali.
L’evento del 30 ottobre scorso, in particolar modo, ha avuto come obiettivo quello di sensibilizzare i presenti nei
confronti del Centro Oftalmologico di Isiro, città situata
nella parte nord-orientale della Repubblica Democratica del Congo. Infatti, grazie a questo progetto, numerosi adulti e bambini hanno avuto la possibilità di essere
curati e, grazie al recupero della vista, di vivere una vita
dignitosa e autonoma, diventando così una risorsa per le
proprie famiglie e per la società nel suo complesso.
Si ringraziano, dunque, tutti coloro i quali hanno partecipato e fornito un aiuto fondamentale alla realizzazione di
questo progetto.
Insieme con i Paesi del Sud del Mondo!
Paun Romica
Ex stagista S.O.S.
“Un giorno a Wamba” Sala Civica Unione Europea a Ponte San Nicolò. Angela con alcuni collaboratori S.O.S.
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vita dell’associazione
“Un giorno a Wamba”
Premiato il 16.11.2015 al “Festival del Cinema
dei diritti umani” di Napoli
“Un giorno a Wamba”, il film di Francesco Mansutti, Vinicio
Stefanello, prodotto dalla S.O.S.Onlus, Solidarietà Organizzazione Sviluppo, è stato premiato all’ottava edizione del
Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli.
La Giuria Giovani del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli ha premiato come miglior lungometraggio
in concorso “Un giorno a Wamba”, il documentario girato
nella foresta equatoriale della Repubblica Democratica
del Congo da Francesco Mansutti, Vinicio Stefanello e Daniele Gobbin per la Onlus padovana S.O.S. Solidarietà Organizzazione Sviluppo che in quei territori africani opera
da 15 anni.
Questa la motivazione che la Giuria Giovani, coordinata da
Alessia La Montagna e composta da 54 giovani studenti
universitari, delle scuole superiori di Napoli e dell’Accademia di Belle Arti, ha dedicato a “Un giorno a Wamba” per
l’assegnazione del Premio:
“UN GIORNO A WAMBA” di Francesco Mansutti e Vinicio
Stefanello va oltre la cronaca dell’ordinario, conducendoci,
attraverso un itinerario umano, nel quotidiano, bilanciando
abilmente i ritmi e i tempi. Un’esperienza altruista, esemplare e potente. Un’opera sullo splendore del mondo e sull’irragionevolezza umana che rischia di demolire l’essenza
dell’ambiente e del suo popolo.
Il Festival dei diritti umani di Napoli è un’iniziativa che promuove la cultura e l’uguaglianza dell’uomo e delle donne e dei loro diritti. Il Festival è stato occasione di molti
incontri e di prime di film. Da ricordare la partecipazione
della regista americana e attivista di Greenpeace, Iara Lee,
che ha presentato il suo film “K2, the invisible footmen”, e
quella di un grande regista come Jorge Dentie con la proiezione del suo intenso e bel film “La Huella del dr. Guevara”, su Ernesto Guevara prima che per tutti diventasse
il “Che”.
Infine è da ricordare il prezioso incontro con Renzo Rossellini (figlio del maestro del cinema Roberto) che ha
suggellato il Festival con una frase da tenere a mente in
questi tempi: “La semplicità, la non violenza, l’innocenza
sono armi strapotenti, l’innocenza confonderà sempre
il malvagio, di questo sono assolutamente convinto e in
quest’epoca possiamo dire di averne avuto un esempio
clamoroso nel gandhismo. Questa è una delle grandi rivoluzioni che si sono compiute in questo secolo usando
l’arma della non violenza dell’innocenza, del candore.”
Resterebbe da dire del grande cuore di Napoli e della
umanità intensa, incredibile, aperta, e insieme contraddittoria, che pulsa nelle sue vene…
Sì, forse è proprio vero, come dicono gli organizzatori del
Festival: “Questo è il posto giusto per parlare dei diritti
umani”.
Vinicio Stefanello
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
Castagnata 2015. Sagrato della chiesa di S. Rita, Padova.
Castagnata S.O.S.
dell’8 novembre
Le previsioni davano bel tempo e così è stato. Una tipica
giornata di estate di San Martino!
Di mattina si è svolta la tradizionale vendita dei dolci, generosamente offerti dai nostri soci e simpatizzanti, dopo
le S. Messe; è stato come sempre un grande successo, grazie anche alla sensibilità dei parrocchiani, che rispondono
sempre alle iniziative di raccolta fondi, questa volta per la
ricostruzione della clinica oftalmologica ad Isiro in Congo,
gravemente danneggiata a fine luglio da un tornado.
Alle 14.30 si sono visti arrivare i nostri ormai espertissimi
fochisti, Gigi, Carlo, Yuri e Anatoli, addetti alla cottura delle
castagne. Non è mancato neppure Mario con il suo vin
brulé, mentre Graziella aveva mandato la sua deliziosa
cioccolata calda.
Carla, Adele, Lella, Daniela e Sonia C., nel frattempo, avevano allestito il banco per la vendita delle castagne, dei
dolci e delle marmellate: i primi acquirenti erano già in
fila. La festa poteva cominciare!
Si prepara sul “palco” il Gruppo Gospel “Walk together Gospel Choir”, una novità per la nostra festa. Sono stati una
vera rivelazione, sia per i canti gospel, in parte sconosciuti, sia per la qualità della direzione e delle voci dei giovani
cantanti. La gente si siede sulle panche e ascolta con molta attenzione e entusiasmo.
Nel frattempo si organizza il gruppo di danze popolari “El
Filò” che tutti gli anni animano gratuitamente la castagnata, facendoci ascoltare musiche popolari con strumenti
originali e, soprattutto, coinvolgendo le persone presenti
nei balli di gruppo, che creano una atmosfera festosa, allegra, di amicizia.
La Castagnata è sempre un’occasione di incontro, di socializzazione, di sensibilizzazione ed anche di sostegno ai
nostri progetti e alle varie emergenze che non mancano
mai. L’introito complessivo è stato di circa 1400 Euro.
Grazie a tutti coloro che hanno contribuito alla ottima riuscita di questa iniziativa annuale, in primis a Don Romeo
che ci permette sempre di usufruire del sagrato della Parrocchia. Arrivederci all’anno prossimo!
Eva
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report & news
RICORDIAMO DUE CARI
AMICI DELLA S.O.S.
Don Enea
Quando la redazione di “Orizzonti africani” mi ha proposto
di scrivere un ricordo di Don Enea, ho accettato davvero di
buon grado.
Don Enea, anzi Mons. Enea Vanin (1925-2015), è stato parroco di Santa Rita a Padova dal 1967 (anno di fondazione
della chiesa) al 2003, allorché - per raggiunti limiti di età - ha
lasciato l’incarico.
Non inganni, però, questo esordio formale, scritto ad uso
di chi non ha avuto la gioia di conoscerlo: don Enea è stato
ed è rimasto il nostro caro, amato parroco. È stato l’anima
di Santa Rita. Nella mia mente e soprattutto nel mio cuore
si affollano tanti ricordi.
Ma ora, passato l’entusiasmo iniziale, mi chiedo quanto
della mia esperienza personale possa avere valore anche
per gli altri, quale possa essere il denominatore comune
tra le mie memorie e quelle di chi mi leggerà, come posso
presentare la figura di Don Enea ed arrivare al nocciolo della sua testimonianza di cristiano, di sacerdote, di padre, di
fratello e di amico. Sono approdata a Santa Rita nel gennaio del 1972, diciassettenne un po’ riottosa e ribelle. Non ho
subito risposto all’invito del mio nuovo parroco, ma lui mi
ha fatto intuire che la porta sarebbe stata sempre aperta.
E così un giorno ho bussato. Gesù lascia sempre la porta
aperta, accoglie.
Don Enea ha accompagnato la nostre vite di adolescenti e
di giovani sposi, ha battezzato i nostri figli e ha camminato
con noi mentre i nostri bambini crescevano e diventavano
a loro volta ragazzi, ha seguito nell’ultimo tratto di strada
i nostri vecchi e li ha benedetti prima dell’estremo addio.
Gesù cammina con noi, ci sostiene, è padre e fratello.
«Amo questa mia parrocchia»: così esordiva Don Enea in una
delle sue ultime “Lettere alle famiglie”. E più avanti ricordava quello che aveva scritto in occasione dell’inaugurazione
della chiesa il 21 maggio 1967: «Sogno la parrocchia come
una famiglia. Ogni famiglia ha una casa: la nostra chiesa,
che faremo sempre più bella, nella quale celebreremo i nostri
momenti cristiani. Ma anche la canonica deve essere la casa
di tutti: tutti vi possono entrare con quella libertà e con quella
gioia con cui si entra in casa propria» E, riferendosi al presente, continuava: «In ogni famiglia c’è un padre: noi siamo figli
dello stesso Padre Celeste, che tutti ci abbraccia con lo stesso
amore, i giusti al pari dei peccatori. Ma c’è anche un padre in
carne ed ossa che lo rappresenta: gli è affidata una responsabilità più grave di quanto le sue spalle possano portare e per
questo talora lo assale la paura di non riuscire ad assolvere il
suo compito e di deludere quelle anime di cui è responsabile
davanti a Dio».
La chiesa negli anni è diventata più bella grazie alla nuova più elegante pavimentazione, grazie alla cappella per le
messe dei giorni feriali e a quella dedicata a Santa Rita, e
per molti anni a Natale -allestita con i pannelli amorevolmente costruiti da numerosi parrocchiani- si trasformava
essa stessa in un Presepe. La canonica è diventata la casa
per tutti coloro che volevano entrare, e il patronato - sistemato e risistemato - ha ospitato le nostre feste per la ricorrenza della Santa patrona, i pranzi offerti dal gruppo Caritas
e i mercatini della S.O.S. organizzati per Natale. Don Enea
ha sostenuto in silenzio il peso di quella grave responsabilità che tanto lo preoccupava, ma le sue spalle non sono state affatto troppo fragili per farlo. Don Enea ci ha accolti con
il sorriso e il suo abbraccio affettuoso, ha rappresentato per
noi tutti l’abbraccio del Padre misericordioso. E se negli ultimi tempi quel sorriso era diventato un po’ più stanco e un
po’ più malinconico, era pur sempre un accogliente sorriso.
Don Enea non ha mai deluso né abbandonato le anime di
cui era responsabile davanti a Dio, e le ha tenute nel cuore
anche dopo, fino all’ultimo respiro e oltre.
Marina Pasqui
Don Enea Vanin con il socio Pierluigi Sandon a Gerusalemme.
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report & news
Padre Cellana
1985: in quell’anno feci il mio primo viaggio in Tanzania e
padre Franco Cellana, missionario della Consolata, in quel
tempo era superiore regionale a Iringa: qui lo conobbi,
qui mi accolse come ospite.
Mi colpì la sua affettuosa accoglienza e la sua genuina
semplicità. I suoi occhi azzurri, sempre sorridenti, trasmettevano pace, simpatia e forza. Da allora ebbi molte
occasioni di incontrarlo e sentirlo.
Nei miei viaggi in Tanzania lo avevo visto lavorare accanto
agli ultimi con la tenacia da montanaro, con saggezza e
creatività. La sua attenzione, il suo amore verso i poveri
erano a dir poco straordinari; scriveva agli amici a Natale
che l’esperienza più forte è quella della “povertà” .
Fu un grande conoscitore dell’Africa, dei suoi mali, delle
sue bellezze e della sua ricchezza umana.
Purtroppo, circa un anno fa, colpito da una grave malattia, fu costretto a ritornare in Italia per curarsi, ma lui era
convinto di sconfiggere questo male e nelle sue lettere
scriveva: “..spero di debellare questa “brutta bestia”. Devo
vincere!”
Combattivo fino all’ultimo, malgrado le gravissime condizioni di salute, padre Franco aveva continuato il suo lavoro silenzioso a favore delle popolazioni di Wamba, e lo
scorso luglio era riuscito a realizzare il sogno di tornare
per tre settimane in Kenia per verificare l’andamento delle opere iniziate, dare le consegne al suo successore, ma
soprattutto per salutare la sua gente.
Chi lo ha accompagnato in Kenia è rimasto commosso nel
vedere il modo in cui è stato accolto questo missionario,
sofferente e debilitato dalle continue cure di chemioterapia: scene bellissime e commoventi, un villaggio intero ad
abbracciarlo.
Fino all’ultimo ha combattuto accanto agli ultimi infondendo positività; nella lettera di Natale così scriveva:
“Sentire il calore che viene dal cuore.
Allora sentiremo il bisogno di partecipare alle funzioni e alle Messe per ricevere e capire il Mistero annunciato del Bambino Gesù fatto uomo per salvarci
e liberarci tutti dal male, senza lo sfarzo di pellicce e
vestiti rari.
Grazie a tutti voi che in questo tempo mi sostenete
con il vostro affetto, con la vostra umile e costante
preghiera che non cessa mai.
Farà Dio questo miracolo di guarigione? Io spero
sempre…
Offro a Lui ogni giorno la mia sofferenza, la forza della mia fede e speranza incolmabile.
Padre Cellana.
Trentino, della Val di Ledro, aveva trascorso 35 anni della sua
vita in giro per il mondo: 10 in Spagna dove studiò anche
all’Università, quattordici in Tanzania, alcuni anni a Roma
come superiore della Consolata e quindici in Kenia dove
divenne generale della Consolata per il Kenia e l’Uganda.
Alcune volte venne ai nostri incontri S.O.S., lo sostenemmo
in alcuni progetti, ma purtroppo, e di ciò mi rammarico,
non siamo mai andati a visitare la sua missione, cosa a cui
teneva tanto!
A Nairobi, lavorò in una baraccopoli e successivamente a
Wamba (non in Congo, ma in Kenia) nel territorio Samburu.
L’Africa l’aveva nel sangue, la sua vocazione fu una scelta
convinta; persona brillante e trascinatore nell’animazione
missionaria, era attento anche alle piccole cose, ai “segni”
capaci di suscitare emozioni e interrogativi.
NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
In questo contesto, auguro a tutti col mio ricordo
e affetto un felice e Santo Natale e tanti auguri per
l’Anno nuovo 2015!
Chino il capo davanti a Te Piccolo Bambino.
Rendimi sereno in modo che abbia la dolcezza nel
cuore.
Togli dal mio animo ogni asprezza, gelosia o invidia.
Possa il mattino di Natale sentirmi fratello o sorella e
amico di tutti.
Piangiamo ora la sua scomparsa avvenuta il 24 settembre;
egli resterà sempre nei nostri cuori, perché il suo carisma,
la sua grande fede, il suo coraggio e il suo entusiasmo hanno conquistato chi ha avuto il privilegio di conoscerlo.
Sonia B.
43
vita dell’associazione
prossimi appuntamenti
da sabato 5 a domenica 13 dicembre 2015
Mercatino di Natale
Nell’ospitale ambiente dell’ex farmacia, di fronte alla chiesa di Santa Rita (gentilmente e generosamente concessaci anche
quest’anno dalla proprietaria), saremo presenti con molti e interessanti oggetti in gran parte confezionati dalle signore del
gruppo lavoro. Vi sarà offerta l’occasione per acquistare i regali natalizi e, nel contempo, per compiere un’opera di bene.
Orari: Sabato, domenica e 8 dicembre: mattino dalle 9,30 alle 12,30 - pomeriggio dalle 15,30 alle 18,30
Giorni feriali: solo al pomeriggio (orario dei festivi)
venerdì 19 febbraio 2016 alle ore 20:45
“Un giorno a Wamba”
Nella sala Fronte del Porto, per gentile concessione del Comune di Padova, verrà nuovamente proiettato il docufilm
“Un giorno a Wamba”.
Il film di Francesco Mansutti e Vinicio Stefanello, prodotto dall’associazione S.O.S. Onlus, Solidarietà Organizzazione
Sviluppo, il 16 novembre 2015 è stato premiato all’ottava edizione del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli.
Questa la motivazione che la Giuria Giovani composta da 54 studenti ha motivato l’assegnazione del premio:
“Un giorno a Wamba” va oltre la cronaca dell’ordinario, conducendoci, attraverso un itinerario umano, bilanciando i ritmi e i
tempi. Un’esperienza altruista, esemplare e potente. Un’opera sullo splendore del mondo e sull’irragionevolezza umana che
rischia di demolire l’essenza dell’ambiente e del suo popolo”.
Riportiamo le congratulazioni del Coordinatore del Festival:
Caro Francesco, caro Vinicio,
sono particolarmente felice di annunciarvi che il vostro film ha
vinto la Menzione della Giuria Giovani del nostro Festival, per
la categoria lungometraggi.
La motivazione è stata “Il film va oltre la cronaca dell’ordinario,
conducendoci, attraverso un itinerario umano, nel quotidiano,
bilanciando abilmente i ritmi e i tempi. Un’esperienza altruista,
esemplare e potente. Un’opera sullo splendore del mondo e
sull’irragionevolezza umana che rischia di demolire l’essenza
dell’ambiente e del suo popolo”
Mi sembra un bel riconoscimento perchè la Giuria Giovani
era particolarmente numerosa e attenta e anche libera da
condizionamenti legati ai nomi, alle amicizie, ai precedenti
professionali, insomma ha potuto esprimersi con grande
autonomia. Anche tra di noi il film h riscosso un’ottima
impressione e sono certo che sarà proposto a scuole, università
e cineforum, com’è nel costume della nostra organizzazione.
Mi auguro che abbiate trascorso qualche giorno a Napoli
in serenità e che abbiate perdonato qualche sfilacciatura
organizzativa che inevitabilmente ci accompagna. Spero
insomma che, alla fine, vi resti un buon ricordo di noi e che ci
si riveda presto, sulla frontiera dell’attivismo e del cinema di
testimonianza e resistenza.
Con i migliori auguri per il vostro futuro e le cogratulazioni di
tutta l’organizzazione.
Maurizio del Bufalo
Coodinatore del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli
www.cinenapolidiritti.it mob. +39 329 43 93 933
Il ricavato di queste iniziative sarà devoluto alla Clinica Oftalmologica Siloe
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copyright.
dio-due.com
FRANCESCO MANSUTTI E VINICIO STEFANELLO
IGNACE BATANGA E EUPHRASIE KARAMBURA
PRODUZIONE ESECUTIVA COSMAS BOYEKOMBO
ORGANIZZAZIONE GENERALE SONIA BONIN
FOTOGRAFIA FRANCESCO MANSUTTI E DANIELE GOBBIN
MUSICHE ORIGINALI DANIELE ZANON E ANDREA CECCHETTO
MIX E SOUND DESIGN CRISTIANO ZATTA - SKILLMEDIA POSTPRO
MONTAGGIO FRANCESCO MANSUTTI
POSTPRODUZIONE VIDEO STUDIO DUE
UN FILM DI
CON
PRESENTA
un giorno a wamba
di Francesco Mansutti e Vinicio Stefanello
Wamba è un grande villaggio perso nell'immensa foresta pluviale africana,
nel Nord-est della Repubblica Democratica del Congo. Un'area martoriata,
prima dalla colonizzazione belga, poi da guerre e ribellioni senza fine.
L'isolamento è quasi totale. Economia, istruzione, sanità e tutta l'esistenza rispecchiano le enormi difficoltà e contraddizioni di uno dei paesi tra i
più poveri del mondo, eppure tra i più ricchi di risorse naturali. In questo
avamposto dimenticato, ben oltre i confini più estremi della globalizzazione, vivono Euphrasie e Ignace, due adolescenti. Il film documenta un giorno
qualunque della loro vita, dall'alba al tramonto. Un tempo che scorre con
una “normalità” che può sembrare impossibile. E una vita che appare senza
futuro se non nella speranza di questi ragazzini e di quanti, laggiù, in
quel grande villaggio di capanne in mezzo alla foresta, lottano per un
domani migliore.
Il film è stato voluto e prodotto dalla S.O.S – Solidarietà Organizzazione
Sviluppo, associazione onlus che opera da 14 anni nell'area di Wamba.
S.O.S. Solidarietà Organizzazione Sviluppo - ONLUS è un’associazione di
volontariato, laica, nata a Padova nel 1989 e divenuta ONLUS nel 1998.
Si ispira ai principi della solidarietà, dei diritti umani, della pace e
opera a favore dei Paesi del Sud del Mondo. Crede che le popolazioni di
questi paesi debbano essere prima ascoltate e poi aiutate: i progetti che
valutano e finanziano provengono direttamente dalle loro proposte e dalle
loro esigenze. L’obiettivo della S.O.S. è di sostenerne e favorirne l’autosviluppo, realizzando insieme progetti ben mirati e concreti, nel rispetto
della loro cultura.
la sede centrale dell’associazione è in:
Via Severi 26 35126 – Padova – tel/fax 049.754920 cell. 335.371285
www.sosonlus.org - [email protected]
formato
16/9
presentato in 2,35 aspect ratio
durata: 70 min.
lingua originale: francese - kishwaili - kibudu
sottotitoli: italiano
La proiezione di questo DVD è riservata al solo utilizo privato. Sono assolutamente vietati e sono punibili a norma di legge la duplicazione
e l’utilizzo per la visione in pubblico e la diffusione via cavo/etere in quanto costituiscono violazione dei diritti copyright.
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NOTIZIARIO N. 2 - DICEMBRE 2015
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Wamba è un grande villaggio
perso nell’immensa foresta
PRESENTA
pluviale africana, nel Nord-est della Repubblica Democratica
del Congo. Un’area martoriata, prima dalla colonizzazione
belga, poi da guerre e ribellioni senza fine.
L’isolamento è quasi totale. Economia, istruzione, sanità e tutta
l’esistenza rispecchiano le enormi difficoltà e contraddizioni di
uno dei paesi tra i più poveri del mondo, eppure tra i più ricchi
di risorse naturali. In questo avamposto dimenticato, ben oltre
i confini più estremi della globalizzazione, vivono Euphrasie e
Ignace, due adolescenti. Il film documenta un giorno qualunque
della loro vita, dall’alba al tramonto. Un tempo che scorre con
una “normalità” che può sembrare impossibile. E una vita che
appare senza futuro se non nella speranza di questi ragazzini e
di quanti, laggiù, in quel grande villaggio di capanne in mezzo
alla foresta, lottano per un domani migliore.
Prodotto da S.O.S. - Solidarietà Organizzazione Sviluppo,
associazione onlus che opera da 14 anni nell’area di Wamba.
Al DVD è allegato il diario di viaggio di Vinicio Stefanello.
Per informazioni e prenotazioni:
Via Severi 26 35126 - Padova
tel/fax 049.754920 cell. 335.371285
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bacheca
Laboratori degli Istituti Professionali
di Tanzania e Repubblica
Democratica del Congo
CONGO/TANZANIA – professioni
Attrezzature per le scuole professionali di falegnameria, meccanica, settore elettrico, sartoria.
Offerta libera
Libri
scolastici
CONGO/TANZANIA – formazione
L’acquisto di un libro scolastico è la scelta giusta per
difendere il diritto allo studio e sostenere l’impegno
della S.O.S. nell’ambito dell’istruzione.
Il costo di un testo varia dai 10 e 15 euro.
ABC
donna
CONGO/TANZANIA – formazione
Aiuto alle donne: cammina anche tu a fianco di una
donna che vuole imparare a leggere e scrivere: con
10 euro al mese le cambierai la vita!
Arredi
Scuola
CONGO/TANZANIA – formazione
Molte scuole da noi costruite sono carenti
nell’arredamento. Possiamo donare una sedia a 20
euro, un banco a 50 euro, una cattedra a 60 euro.
Emergenza
malnutriti
CONGO – sanità
Malnutrizione: un aiuto ai piccoli malnutriti. Con 50
euro puoi finanziare l’acquisto di una capra da latte
e garantire un sostegno alimentare importante per
la loro crescita!
Per ulteriori informazioni sui progetti aperti e per un aggiornamento sugli sviluppi
o sulle modalità di finanziamento, è sufficiente chiamare in sede allo
049 754920 o scrivere a [email protected]
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TEGNO A DISTANZA
Per sostegno a distanza (SAD) si intende un atto di solidarietà che si concretizza in un contributo economico periodico con il quale
associazioni, ONLUS e ONG, provvedono alla sussistenza, frequenza scolastica, assistenza sanitaria o allo sviluppo economico di
una persona o di un gruppo di persone. Qui di seguito sono indicate le forme di sostegno più comuni suggerite dalla S.O.S.;
per altri tipi di interventi, rivolgersi direttamente alla segreteria (dal lunedì al venerdì ore 9:00 - 12:30).
quota annua per materiale scolastico e divisa
scuola materna
170 euro
scuola primaria
220 euro
quota annua comprensiva di un pasto giornaliero
sostegno di un bimbo per la frequenza annuale
e assistenza sanitaria
scuola secondaria 350 euro
generalmente gli studenti sono a convitto nella scuola e
si provvede all’acquisto di un sacco di mais, fagioli, riso ecc.
Il primo anno vengono acquistati, oltre all’occorrente
scolastico, anche il materasso, il secchio per l’acqua, le
lenzuola.
sostegno universitario
800 1200
uota annua da
q
a
euro
(dipende dalla facoltà e dalla sistemazione dello studente)
A chi aderisce a questo tipo di iniziative saranno inviati la
foto, i dati personali ed una breve storia dello studente che
saranno integrati da aggiornamenti ogni qualvolta ce ne
sarà la possibilità.
L’associazione S.O.S. ha attivato questi sostegni in Tanzania,
Perù, Uganda e Repubblica Democratica del Congo.
sostegno di un insegnante
500
quota annua
euro per un docente nel Nord-Est
della Repubblica Democratica del Congo, nei luoghi dove
gli insegnanti non percepiscono alcuno stipendio dal
governo.
EMERGENZA ALIMENTARE
Nel Nord-est della Repubblica Democratica del Congo
la S.O.S. da anni lotta contro la malnutrizione tramite la
realizzazione di 2 Centri nutrizionali (Mama Kahenga di
Wamba e Gajen di Isiro) e il sostegno di altri due Centri
(Matari e Ibambi) per mezzo dei quali vengono garantiti
ai bambini pasti equilibrati con controlli sanitari periodici
e cure; si provvede anche alla formazione delle mamme.
La percentuale di guarigione dei bambini malnutriti è
notevolmente aumentata.
Sostegno di un malnutrito
200 euro
Con l’aiuto economico e la dedizione amorevole di suor
Marie Noel, congolese, della congregazione “La Sante
Famille”, ogni bambino potrà crescere e vivere la sua
infanzia, purtroppo negata a tanti bambini nel mondo.
SOSTEGNO ALLE
STRUTTURE SANITARIE
Questa iniziativa è rivolta al reparto di Pediatria
dell’Ospedale di Neisu (R.D.C.) e al “Centro Oftalmologico
Siloe di Isiro” (R.D.C.). L’adozione di un letto negli ospedali
copre le spese di ricovero e cura per tutti i bambini che ne
avranno bisogno:
impegno semestrale impegno annuale sostegno di un infermiere
80 euro
160 euro
130 euro
Il pagamento delle quote relative ai sostegni a distanza può essere effettuato anche tramite R.I.D – Rimessa
Interbancaria Diretta. È sufficiente recarsi nella propria banca e dare l’incarico di accreditare sul conto
dell’associazione l’importo, anche in rate mensili o semestrali.
La S.O.S. da 25 anni mantiene inalterate le quote dei vari tipi di sostegno, ma in molti casi esse non sono sufficienti a
coprire le spese relative, per cui le varie offerte assumono la forma di contributo che viene integrato dall’associazione.
S.O.S. Solidarietà Organizzazione Sviluppo – ONLUS – Insieme ai Paesi del Sud del Mondo
35126 Padova – Via Severi, 26 – Tel e Fax 049 754920 – Codice Fiscale 92064320283
www.sosonlus.org – [email protected]
Conto Corrente Postale n. 11671351
Banca CARIGE IT17 V034 3112 1160 0000 0072 980
Banca Etica IT56 E050 1812 1010 0000 0100 641
Semestrale di informazione e cultura africana – grafica: Daniele Gobbin – Fotografie: Daniele Gobbin, archivio S.O.S. – Stampa: Grafica Veneta
mini borsa di studio 70 euro
È NATALE
È NATALE OGNI VOLTA CHE SORRIDI
A UN FRATELLO E GLI TENDI LA MANO.
È NATALE OGNI VOLTA CHE RIMANI
IN SILENZIO PER ASCOLTARE L’ALTRO.
È NATALE OGNI VOLTA CHE
NON ACCETTI QUEI PRINCIPI
CHE RELEGANO GLI OPPRESSI
AI MARGINI DELLA SOCIETÀ.
È NATALE PER TUTTI VOI,
AMICI DELLA S.O.S.,
PERCHÉ CON LA VOSTRA GENEROSITÀ
ANCHE QUEST’ANNO SIETE RIUSCITI
A FAR FELICI MOLTI NOSTRI FRATELLI LONTANI,
PERMETTENDO A TANTI BAMBINI
DI FREQUENTARE LA SCUOLA
E CONTRIBUENDO ALLA REALIZZAZIONE
DEI NOSTRI PROGETTI.
UN CALOROSO
BUON NATALE
E FELICE ANNO NUOVO!!
DALLA S.O.S.