Indagine sul settore delle biotecnologie nelle

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Indagine sul settore delle biotecnologie nelle
Indagine sul settore delle
biotecnologie nelle Marche
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LE BIOTECNOLOGIE
SCENARIO ATTUALE ED EVOLUZIONE DEL CONCETTO
BIOTECNOLOGIA: SIGNIFICATO DEL TERMINE
OGM: SALUTE E CAMPI DI APPLICAZIONE
ETICHETTATURA DEI PRODOTTI
AGRICOLTURA SOSTENIBILE E CONSERVAZIONE DELLE BIODIVERSITÀ
BIOTECNOLOGIE E BREVETTI
CONVENZIONE UPOV
CONSIDERAZIONI SULL’UTILIZZO DELLE BIOTECNOLOGIE
MANIPOLAZIONI GENETICHE IN AGRICOLTURA: PROBLEMI APERTI E
POSSIBILI VIE DI USCITA
IL SETTORE DELLE BIOTECNOLOGIE IN ITALIA
SALVAGUARDIA E TUTELA DELLE BIODIVERSITÀ
EVOLUZIONE DEL SETTORE IN ITALIA
ORIENTAMENTO DELLA POLITICA ITALIANA
ECCELLENZE
IMPEGNO PER LA RICERCA FUTURA
CONCLUSIONI
BIOTECNOLOGIE E SETTORE AGROALIMENTARE
LE AGROBIOTECNOLOGIE NEL CONTESTO INTERNAZIONALE
SITUAZIONE EUROPEA
SETTORE AGROALIMENTARE: REGOLAMENTAZIONE NELL’UNIONE
SETTORE AGROALIMENTARE IN ITALIA
REGOLAMENTAZIONE ITALIANA
IL SETTORE AGROALIMENTARE: CARATTERISTICHE E TENDENZE
PUNTI DI FORZA E PUNTI DI DEBOLEZZA DELL’AGROALIMENTARE ITALIANO
RICERCA SCIENTIFICA E TECNOLOGICA
PROMOZIONE DEI PRODOTTI DELL'AGROALIMENTARE ITALIANO
MANIFESTAZIONI RILEVANTI PER IL SETTORE AGROALIMENTARE
LE MARCHE
SOGGETTI COINVOLTI NEL SETTORE AGROALIMENTARE
IL PSR
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LE BIOTECNOLOGIE
SCENARIO ATTUALE ED EVOLUZIONE DEL CONCETTO
Il tema delle biotecnologie ed in particolar modo quelle applicate in agricoltura, è caratterizzato da
dibattiti sempre molto accesi tra chi vede queste tecniche come interessanti opportunità di sviluppo
economico e sociale e chi le considera insicure o addirittura pericolose. Quest’ultimo filone di
pensiero accomuna la maggioranza delle persone, soprattutto consumatori, che seguono molto
spesso con difficoltà i dibattiti pubblici organizzati a riguardo di temi “caldi”, come l’ambiente, la
sicurezza alimentare, il costo e la qualità della vita. Troppo spesso questi argomenti sono spiegati
dagli esperti attraverso linguaggi molto specifici e per molti incomprensibili. L’informazione risulta
essere quindi poco chiara e molto confusa.
Pertanto, è bene conoscere, innanzitutto la storia, l’evoluzione e il ruolo che le biotecnologie e gli
studi ad esse correlate hanno avuto nel corso del tempo.
La principale fonte che ha permesso di avere chiarezza nei riguardi del tema è il libro
“Biotecnologie in agricoltura. Realtà, sicurezza e futuro” pubblicato da Assobiotec, l’Associazione
Nazionale per lo Sviluppo delle biotecnologie, facente parte del Gruppo Federchimica e redatto dal
Prof. Massimo Delledonne, docente di biotecnologie agrarie e il Dr. Nicola Borzi, giornalista del
Sole 24 Ore.
E’ importante sottolineare subito che, descrivendo le biotecnologie come l’insieme di tecniche che
permettono di produrre beni e servizi mediante organismi viventi, cellule e loro costituenti, esse
sono state inconsciamente utilizzate da millenni per la produzione del vino, del formaggio, del pane,
dello yogurt e di tutti i prodotti fermentati in generale.
Negli anni ’50, con la scoperta degli antibiotici e dei processi produttivi mediante fermentazione di
determinati microrganismi, nasce la moderna biotecnologia, che inizia però ad assumere una
importanza straordinaria solo negli anni ’80, quando gli scienziati cominciano a comprendere le
enormi possibilità applicative offerte dai progressi della biologia cellulare e molecolare e della
genetica molecolare, grazie alla scoperta del DNA, del codice genetico e della tecnica del DNA
ricombinante.
Successivamente mediante ulteriori sviluppi biologici di carattere ingegneristico e chimico sono
nate le biotecnologie avanzate che offrono numerose opportunità di grande interesse per l’uomo.
Attualmente è molto acceso il dibattito sulle applicazioni biotecnologiche nel settore
agroalimentare, infatti per molti esperti di tutto il mondo esse rappresentano una interessante
opportunità di sviluppo e di progresso sociale, che incontra però numerosi dubbi nell’opinione
pubblica caratterizzata da una informazione spesso scarsa e distorta.
BIOTECNOLOGIA: SIGNIFICATO DEL TERMINE
Per dare un’immagine più chiara di ciò che si intende con il temine “biotecnologia”, occorre in
primo luogo, sapere che nel mondo scientifico la biotecnologia è considerata come l’insieme di tutte
le tecnologie che utilizzano organismi viventi (batteri, lieviti, cellule vegetali o animali ecc…) o
loro componenti per sviluppare nuovi prodotti o processi; la biotecnologia tradizionale comporta
l’utilizzo delle attività fermentative dei microrganismi e le attività innovative che fanno ricorso alle
tecniche dell’ingegneria genetica, prima fra tutte quella del DNA ricombinante, tecnica che
permette di estrarre il DNA dalla cellula di un organismo, isolarne i geni che interessano e inserirli
(eventualmente dopo averli modificati) in cellule di organismi diversi. Con questo procedimento è
possibile modificare la parte genetica di un organismo e quindi trasferirgli delle caratteristiche di
cui era privo.
I prodotti ottenuti mediante la tecnica del DNA ricombinante vengono definiti OGM, Organismi
Geneticamente Modificati. Più precisamente, il termine OGM va applicato agli organismi nel cui
DNA sono state provocate variazioni mediante processi diversi da incroci o ricombinazione
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genetica. La legge stabilisce anche che non sono considerati OGM gli organismi ottenuti fondendo
in laboratorio cellule appartenenti a specie diverse, o il cui DNA sia stato modificato impiegando
prodotti chimici oppure fisici (come raggi X e raggi gamma) che causano mutazioni genetiche. In
sintesi, ciò che identifica un OGM è solo la “tecnica” con la quale è stata effettuata la
modificazione: due piante identiche possono essere l’una OGM e l’altra “naturale”, non OGM, solo
perché ottenute con metodiche diverse.
OGM: SALUTE E CAMPI DI APPLICAZIONE
Strettamente legato al tema delle agrobiotecnologie vi è quello della tutela alla salute, infatti il
timore che gli OGM possano essere dannosi per la salute è in qualche modo collegato a fatti come
la vicenda dei “polli alla diossina”, la malattia della “mucca pazza, BSE”o l’epidemia di afta
epizootica, che però non hanno nulla a che vedere con le modifiche genetiche. Il dibattito sulla
sicurezza delle piante transegiche come fonte di materie prime o per il diretto consumo alimentare è
ancora in pieno svolgimento.
Vi è un’informazione carente, basata soprattutto su sensazioni che non su notizie oggettive volte a
chiarire quali siano i reali rischi e potenzialità delle biotecnologie. Il gap che separa la comunità
scientifica ed il pubblico è divenuto sempre più ampio portando all’insorgere di un clima di
diffidenza del consumatore verso questo tipo di prodotto.
Mancano, attualmente, quadri normativi chiari e tali da garantire la sicurezza dei prodotti
biotecnologici, con conseguente sfiducia dei consumatori e danno alle industrie impegnate nello
sviluppo delle biotecnologie che effettuano investimenti a basso ritorno economico.
Per quanto riguarda i rischi accertati relativamente alla salute umana, questi potrebbero essere
sintetizzati in fenomeni allergici e abbassamento delle difese immunitarie, ma poiché molti geni
introdotti negli OGM a uso alimentare non sono mai stati consumati dagli animali o dall’uomo
(es.gene di scorpione nelle patate, batterio nel mais), non è prevedibile la reazione dell’organismo
che li consuma.
Il Dipartimento economico e sociale della FAO, l’Organizzazione per l’alimentazione e
l’agricoltura dell’ONU, ha confermato invece, che tutte le sperimentazioni effettuate nel campo
delle biotecnologie non hanno rilevato alcun grado di tossicità degli OGM vegetali in commercio.
Negli Stati Uniti, questi prodotti sono entrati nella catena alimentare diversi anni fa e non si è
riscontrato nessun aumento dell’incidenza di malattie tra i consumatori, rispetto ai valori riscontrati
in Europa, dove invece le piante geneticamente modificate non sono ancora coltivate.
ETICHETTATURA DEI PRODOTTI
Il problema ulteriore deriva dal fatto che, non esistendo neppure un quadro normativo che preveda
l’etichettatura del prodotto frutto delle biotecnologie, il consumatore non ha neppure la possibilità
di scegliere se acquistare o meno cibi derivati o contenenti prodotti transgenici.
Numerose aziende italiane stanno a tale scopo lanciando linee di prodotti marcati non solamente
come "non contenenti organismi geneticamente modificati", ma anche come "non derivanti da
manipolazioni
genetiche”.
Poiché alcune nazioni (tra cui gli Stati Uniti) hanno già immesso sul mercato una notevole quantità
di prodotti transgenici, esiste il rischio che alcuni prodotti vengano marcati come "tradizionali"
sebbene transgenici oppure che vi siano contaminazioni delle derrate alimentari date da alimenti
geneticamente manipolati. Data tale situazione, è necessario poter disporre di strumenti che
consentano di monitorare eventuali "contaminazioni" delle derrate alimentari. Il termine
"contaminazione" non deve essere inteso come una connotazione negativa per il prodotto
transgenico in sè, ma esso indica semplicemente che i prodotti transgenici devono essere totalmente
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(e realmente) assenti in quei mercati in cui vengano richiesti esclusivamente cibi non contenenti e
non derivanti da organismi geneticamente modificati.
AGRICOLTURA SOSTENIBILE E CONSERVAZIONE DELLE
BIODIVERSITÀ
Secondo gli scienziati esperti in questo settore e positivi nel possibile utilizzo delle manipolazioni
genetiche in agricoltura, le agrobiotecnologie rappresentano una risorsa di eccezionale importanza
per migliorare la qualità e il valore nutrizionale degli alimenti. Solo mediante una corretta politica
di sviluppo degli studi nel campo si può garantire all’agricoltura un futuro di sostenibilità
ambientale, obiettivo molto importante per tutta la società, definito con il termine “agricoltura
sostenibile”, che rimanendo comunque intensiva riesce a ridurre l’impatto ambientale provocato
dalle sostanze chimiche utilizzate contro le erbe infestanti e come fertilizzanti.
L’ingegneria genetica offre la possibilità di adattare le piante all’ambiente nel quale sono coltivate,
mentre la tradizionale agricoltura procede tentando, con le sostanze chimiche, di adattare l’ambiente
alla pianta.
Molte persone però, trovano le biotecnologie pericolose perché, dicono, minacciano la
conservazione del patrimonio naturale del nostro pianeta, la cosiddetta “biodiversità”, cioè l’intero
patrimonio di diversità biologica che esiste sulla Terra che è fondamentale per garantire
l’adattamento delle specie al progressivo mutamento delle condizioni di vita, infatti, la perdita della
biodiversità è un serio problema per la sopravvivenza delle specie viventi.
Lo sviluppo delle tecniche agricole che ha portato a selezionare solo le piante di maggiore interesse
produttivo, ha realmente ridotto la variabilità genetica, che una volta perduta non è più possibile
ricreare e proprio per questo motivo, oggi il tema della biodiversità è cosi acceso.
Entra ora in gioco la variabile genetica, infatti secondo gli scienziati di cui sopra, la possibilità di
creare piante geneticamente modificate dipende dal “serbatoio di geni” a disposizione,
rappresentato dalla diversità genetica. Le biotecnologie hanno quindi bisogno della preservazione
della biodiversità, che viene così salvaguardata, in quanto fonte di geni, invece di essere
potenzialmente eliminata perché obsoleta o non più commercialmente conveniente. Da qui
l’esistenza di centri specializzati per la conservazione dei geni vegetali che, mediante determinate
“banche delle sementi e dei geni” situate in molte città europee, lavorano per evitare la scomparsa
di varietà vegetali non più coltivate, perché non convenienti.
Attraverso l’utilizzo delle tecniche agrobiotecnologiche, si riesce, inoltre, ad incrementare la
produttività delle colture, grazie ad una migliore adattabilità a condizioni ambientali e climatiche
sfavorevoli, alla resistenza a malattie che potrebbero normalmente ridurre la resa delle colture o ad
una maggiore capacità di combattere le piante infestanti. Ciò dovrebbe assicurare di conseguenza
costi sostenuti per l’acquisto del cibo e aspetto non meno importante garantire la sicurezza ed il
rispetto delle norme e dei controlli scientifici nelle produzioni agricole.
A proposito di biodiversità è importante ricordare che la regolamentazione internazionale di
suddette tecnologie è attualmente molto scarna, in parte perché molti governi sembrano più
preoccupati della crescita economica che le biotecnologie possono offrire, che della sicurezza di
ambiente e consumatori. Per quanto riguarda la tutela della biodiversità da eventuali rischi,
l’introduzione del Protocollo di Cartagena rappresenta un importante passo avanti, che riconosce la
legittimità del Principio di Precauzione, ma lascia aperta la porta alla possibilità che il WTO
sanzioni governi che vogliano imporre restrizioni sulle importazioni di materiale transgenico. Esso
tuttavia riguarda solo l’importazione/esportazione di un ristretto numero di organismi modificati
destinati all’introduzione nell’ambiente.
BIOTECNOLOGIE E BREVETTI
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Altro tema ampiamente dibattuto dagli esperti del settore è quello riguardante i brevetti, attribuiti
alle scoperte legate proprio al campo delle biotecnologie.
Il brevetto ha, come noto, lo scopo di garantire all’inventore i diritti che derivano dall’aver
inventato un nuovo processo produttivo o addirittura un nuovo prodotto.
Il rilascio di un brevetto è competenza di organismi pubblici, gli Uffici Brevetti, che dopo aver
effettuato la verifica legale della regolarità dell’invenzione e dei suoi requisiti, la ufficializzano,
iscrivendola tra quelle tutelate.
Per essere brevettabile, l’invenzione deve avere tre caratteristiche:
1. la novità, non deve essere quindi stata già realizzata da altri;
2. la non ovvietà;
3. l’utilizzo produttivo.
Il riconoscimento della “proprietà intellettuale” di un determinato bene non coincide con la
proprietà intesa in senso tradizionale, infatti ad esempio, nel settore delle biotecnologie, brevettare
una nuova pianta geneticamente modificata, non attribuisce il diritto esclusivo di produrre o vendere
questa varietà vegetale, ma semplicemente quello di impedire ad altri di farlo senza avere
legalmente ottenuto l’autorizzazione dell’inventore. I brevetti sono da questo punto di vista, molto
simili ai “diritti d’autore” in campo letterario o musicale.
In Europa, la protezione della proprietà intellettuale relativamente al materiale biologico è regolata
dalla Convenzione Upov, che nel 1991 è stata adeguata alle innovazioni biotecnologiche. Queste
norme consentono di rivendicare la proprietà intellettuale attraverso l’identificazione, la separazione
e l’impiego di informazioni genetiche, ottenute con mezzi tecnici originali.
La maggior parte dei brevetti concessi nel mondo per l’uso o la realizzazione di OGM fanno
riferimento ad applicazioni come “sequenza nucleotidica” (cioè gene) che, introdotta in un
opportuno vettore di espressione permette la produzione di sostanze utili oppure determina nuove e
interessanti proprietà del vettore stesso. L’espressione “brevettare geni” è quindi sostanzialmente
errata, infatti un gene può essere oggetto di un brevetto solo se l’inventore è stato capace di
separarlo, identificarne la funzione e impiegarlo in un processo innovativo utile a fini produttivi.
CONVENZIONE UPOV
La Convenzione Upov, recepita nella legislazione italiana dal Decreto legislativo 3 novembre 1998,
n.455 prescrive come elemento distintivo, affinché una nuova varietà vegetale possa essere tutelata
da brevetto, una serie di requisiti del tutto analoghi a quanto richiesto dalle norme generali sui
brevetti già elencate. Il Regolamento 2100/94, adottato dal Consiglio Europeo nel luglio 1994, ha
provveduto ad armonizzare i regimi di proprietà intellettuale e industriale per le varietà vegetali dei
Paesi dell’Unione Europea, tenendo debito conto dell’evoluzione delle tecniche di selezione
varietale, incluse quelle proprie delle biotecnologie. Tutti i regolamenti prevedono che da una
varietà vegetale possano essere ottenute varietà derivate con l’uso di tecniche di ingegneria genetica
che ricadono nel diritto di proprietà intellettuale della varietà vegetale originale.
La Convenzione di Rio sulla biodiversità pone molta attenzione allo sviluppo dei diritti di
protezione della proprietà intellettuale per quanto riguarda i Paesi in via di sviluppo.
In mancanza di un quadro legislativo specificamente dedicato, le invenzioni biotecnologiche
oggetto di brevetto sono state spesso al centro di polemiche e contestazioni, che hanno reso
necessaria un’azione di armonizzazione giuridica a livello di Unione Europea.
Con la Direttiva 98/44/CE del 1998 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche,
l’UE attribuisce particolare importanza alle preoccupazioni di carattere etico, definendo gli
strumenti di protezione della dignità umana e degli interessi degli utilizzatori di prodotti coperti da
brevetti contro ogni indebito monopolio o privilegio.
Il Decreto legislativo del 3 novembre 1998, n 455, adegua la legislazione italiana a quanto previsto
dalla riforma del 1991 della Convenzione Upov sui vegetali. La Direttiva 98/44/CE è legalmente
operativa in tutti i Paesi membri dell’Unione Europea dal 30 luglio 2000, ma non è ancora stata
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recepita nella legislazione italiana. L’atto formale del recepimento sancirebbe il rinnovato impegno
del Paese nell’innovazione biotecnologica e contribuirebbe a creare le condizioni perché l’Italia
possa competere sul piano internazionale.
CONSIDERAZIONI SULL’UTILIZZO DELLE BIOTECNOLOGIE
L’intera materia, relativa all’utilizzo delle biotecnologie nel mercato, è affrontata a livello
mondiale, in sede di rinegoziazione dei trattati della WTO, World Trade Organization, con il fine di
stabilire regole definitive ed efficaci capaci di orientare l’applicazione delle biotecnologie verso
obiettivi di equilibrio produttivo, territoriale e sociale che tengano conto dei problemi etici,
ambientali, sanitari ed economici collegati a questa nuova frontiera della ricerca scientifica.
Uno dei primi e principali problemi emersi da questo delicato argomento ha origine etica, infatti le
sperimentazioni e l’uso delle biotecnologie comportano la creazione di nuove specie viventi non
presenti in natura.
Occorre, innanzitutto, porre un limite invalicabile che comporti la tutela dell’integrità della persona
umana.
L’Unesco, affermando che “il materiale genetico di ogni essere umano è patrimonio comune
dell’umanità e non deve produrre alcun guadagno economico”, promuove le innovazioni
tecnologiche solo a condizione di favorire un miglioramento della qualità della vita e che quindi si
pongano al servizio dell’uomo.
Altri problemi connessi all’utilizzo delle biotecnologie sono caratterizzati dall’incertezza relativa
alla tutela ambientale, infatti, è molto difficile ipotizzare gli effetti, sia immediati che a lungo
termine, conseguenti all’immissione nell’ambiente di organismi geneticamente modificati. Per
questo motivo è importante impegnarsi con rigore nel monitoraggio dei processi evolutivi
successivi.
La manipolazione genetica è solo un aspetto di un più generale tentativo delle multinazionali di
brevettare ogni materiale vivente (anche quelli già esistenti in natura) e impadronirsi della ricerca
medica e del mercato mondiale dell’alimentazione. Ciò è inaccettabile, perché l’eredità biologica è
patrimonio comune dell’umanità e nessuno ha il diritto di appropriarsene in esclusiva. Inoltre, una
volta ammessa la sua legittimità, la porta è spalancata per brevettare un intero essere umano al quale
sia stato cambiato anche un solo gene.
Per questa ragione chiediamo l’approvazione di leggi che impongano la chiara etichettatura di cibi e
farmaci, che consenta di sapere se contengono OGM, la moratoria sulla commercializzazione di
OGM in Europa e limiti legali alla brevettazione della materia vivente.
MANIPOLAZIONI GENETICHE IN AGRICOLTURA: PROBLEMI APERTI E
POSSIBILI VIE DI USCITA
Nonostante i timori esistenti nei confronti del tema delle agrobiotecnologie, la pressione sul settore
biotecnologico, sta in ogni caso crescendo, anche grazie alle richieste dell’opinione pubblica e ad
una parte del mondo scientifico.
Attualmente si può solamente pensare che l’introduzione di biotecnologie di proprietà di grandi
compagnie, avrà come conseguenza l’accentramento della produzione nelle mani di agricoltori più
ricchi e la dipendenza della sicurezza alimentare di molti paesi dalle esportazioni di pacchetti
tecnologici semente-sostanza chimica.
Grazie alla normativa internazionale sulla proprietà intellettuale (TRIPS), esiste la concreta
possibilità che un crescente numero di agricoltori diventi dipendente dalla tecnologia offerta e
posseduta in esclusiva da poche compagnie. Industrie biotecnologiche possono anche appropriarsi
di varietà tradizionali adattate ad un certo ambiente inserendovi qualche nuovo gene e brevettandole
come nuovi organismi. Anche ammettendo una qualche limitata forma di brevettabilità, come nel
caso della produzione di nuove varietà non transgeniche, appare ingiusto che le industrie si
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approprino di un processo di miglioramento e adattamento che è solo culminato con l'aggiunta di
qualche gene, ma che è basato su processi di evoluzione naturale e miglioramento pre-esistenti. La
brevettabilità in questi casi appare molto discutibile. Più in generale meccanismi per compensare gli
agricoltori e i paesi che hanno sviluppato una certa varietà debbono essere messi a punto e il
concetto di brevettabilità ridiscusso, se si vuole trovare un compromesso accettabile tra esigenze di
recuperare investimenti, e giustizia. Molte associazioni non governative chiedono il bando totale
della brevettabilità di materia vivente, per lo meno per i paesi in via di sviluppo visto il suo
contrasto con la Convenzione sulla Biodiversità.
Occorre sottolineare, inoltre, che la tecnologia transgenica viene quasi sempre valutata nel contesto
del modello agro-chimico-industriale di agricoltura che vige in molti paesi.
Per esempio, rispetto ad un sistema che richiede uso intenso di pesticidi, e' possibile che
l'introduzione di piante resistenti ai loro parassiti e/o ad erbicidi, produca riduzioni, almeno
temporanee, dell'uso di queste sostanze (i dati sono comunque controversi), anche se si può
prevedere, in pochi anni, l'evoluzione di organismi resistenti che rendono le modificazioni
genetiche inutili.
Sarebbe importante valutare anche le alternative, e cioè lo sviluppo di un modello di agricoltura
sostenibile, che richiede un riorientamento del sostegno pubblico e della ricerca. Il modello di
agricoltura industrializzata, infatti, non è sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale. Il suo
avvento si è realizzato nel dopo guerra anche grazie al contributo e alle pressioni dell'industria
chimica che si sta ora riconvertendo in industria biotecnologica.
Negli Usa questo modello ha prodotto un paesaggio agrario che somiglia molto ad una steppa ed un
notevole aumento delle dimensioni delle aziende. Anche in Europa l'agricoltura del dopo guerra è
stata ed è responsabile di notevole degrado paesaggistico ed ambientale.
Tuttavia, la Politica Agricola Comunitaria ha agito in parte da scudo per i piccoli agricoltori, da un
mercato sempre più globale, che altrimenti tenderebbe alla loro marginalizzazione, come sta
accadendo in paesi in via di sviluppo. Una decisa riconversione Politica Agricola Comunitaria
potrebbe contribuire al miglioramento della situazione, con abbandono del sostegno alla pura
produzione, l'introduzione di sostegni all'agricoltura biologica e schemi di gestione ambientale, che
vedano gli agricoltori come partners a gli aiutino a ritrasformare gli agro-ecosistemi in sistemi
sostenibili. Un impulso alla ricerca su metodi ecologici per un agricoltura sostenibile e' un
corollario essenziale.
Si deve considerare anche che gli scienziati possono comunicare fatti ed incertezza, ma non
possono imporre valori etici, quindi essi devono comunicare con la società per cercare di risolvere il
dibattito tenendo in considerazione anche i valori sociali e non esclusivamente la pura scienza. Si
potrà dunque pervenire ad un consenso sociale riguardo alle tecnologie genetiche, solo quando tutta
la società si sentirà consultata debitamente.
In diversi Paesi sono già state organizzate conferenze con risultati positivi e raccomandazione
pratiche sul consenso nei riguardi degli OGM. Questo metodo può essere considerato positivo e
praticabile in tutti i Paesi interessati nella materia degli organismi geneticamente modificati, infatti
si può pensare ad un confronto lungo più giorni e continuativo nel tempo tra gruppi di agricoltori e
gruppi di esperti di settore per raggiungere una informazione maggiore ed uno scambio di opinioni
e consigli pratici che possano influenzare la linea di condotta dei decisori.
IL SETTORE DELLE BIOTECNOLOGIE IN ITALIA
L’Italia, come noto, si presenta come un Paese caratterizzato da produzioni regionali di qualità,
pertanto vi è il rischio che l’inserimento di piante geneticamente modificate e quindi coltivabili
dovunque, risulti molto pericoloso per le regioni stesse perché andrebbe a ridurre irrimediabilmente
il valore delle specificità produttive locali.
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Non vanno sottovalutati neppure gli effetti che la commercializzazione di prodotti modificati può
avere sul gusto ed in generale sulle proprietà organolettiche di ciascun alimento, aggiunti ai rischi
già descritti per quanto riguarda la salute umana. Va compiuto ogni sforzo per migliorare le
conoscenze in materia, è indispensabile affermare nel modo più rigoroso il diritto dei consumatori
ad essere informati con completezza e correttezza sulla presenza nei prodotti in commercio di
organismi geneticamente modificati.
Le considerazioni che interessano maggiormente gli operatori del settore sono, però, quelle di
carattere economico. Questo aspetto risulta essere di particolare complessità ed investe
trasversalmente tutti i problemi sviluppati nel presente rapporto.
E’ bene comunque ricordare che in Italia, la competitività nel settore agroalimentare è legata in
modo particolare alla valorizzazione dei caratteri di tipicità.
La concentrazione del “know-how” della ricerca biotecnologica nelle mani di pochi, grandi gruppi
industriali tende a limitare l’autonomia degli agricoltori, a ridurne la capacità di scelta e il potere
contrattuale. Questo pericolo è chiaramente visibile nelle clausole decisamente vessatorie dei
contratti imposti agli agricoltori dei Paesi dove si stanno diffondendo le coltivazioni transgeniche
(possibilità per l’agricoltore di piantare un unico raccolto e responsabilità in caso di suo utilizzo per
uno qualunque degli usi proibiti dal contratto, diritto di ispezione della società sul suolo coltivato
per un periodo di tre anni anche in assenza dell’agricoltore).
Si può quindi concludere che la produzione di OGM conviene economicamente alle multinazionali
come Monsanto, Novartis, Dupont che producono e vendono OGM anche per far aumentare il
consumo di altri loro prodotti, come fertilizzanti, pesticidi e integratori alimentari. Inoltre le sementi
OGM progettate per produrre piante sterili costringono ogni anno i contadini a ricomprare i semi
dalla multinazionale, che ne controlla e impone il prezzo. E’ risaputo che le multinazionali
esercitano pressioni sugli scienziati, sui mezzi di informazione e addirittura sui governi, perché i
loro prodotti con OGM vengano immessi sul mercato.
SALVAGUARDIA E TUTELA DELLE BIODIVERSITÀ
Nella Convenzione sulla biodiversità (CBD), ratificata con legge 14 febbraio 1994, n.124, si
evidenzia la necessità per ogni Paese contraente di elaborare strategie, piani e programmi nazionali
nei riguardi della conservazione e dell’utilizzazione della diversità biologica.
Il Decreto legislativo 4 giugno 1997, n.143, concernente il “Conferimento alle regioni delle funzioni
amministrative in materia di agricoltura e pesca e riorganizzazione dell’Amministrazione centrale”
sopprime il Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali ed istituisce il “Ministero per le
Politiche Agricole (Mi.P.A), che costituisce centro di riferimento degli interessi nazionali in materia
di politiche agricole, forestali ed agroalimentari”. Il Mi.P.A. di intesa con la Conferenza permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, svolge compiti
di elaborazione e coordinamento delle linee di politica agricola, agroindustriale e forestale, in
coerenza con quella comunitaria. Inoltre svolge funzioni di rappresentanza degli interessi nazionali
nelle apposite sedi comunitarie, di cura delle inerenti relazioni internazionali (ferme restando le
generali competenze di altri organi) di esecuzione degli obblighi comunitari ed internazionali
riferibili a livello statale, di proposta in materia di funzioni governative di coordinamento nonché di
indirizzo in diverse materie indicate nell’articolo 2, paragrafo 2 del citato decreto 4 giugno, n.143
tra cui la “salvaguardia e tutela delle biodiversità vegetali ed animali e dei rispettivi patrimoni
genetici”.
EVOLUZIONE DEL SETTORE IN ITALIA
Un settore dell'industria alimentare nel quale le biotecnologie avanzate sono state applicate con
successo, e che permette di prevedere ulteriori interessanti risultati, è quello delle tecniche di
controllo della qualità e dello stato di conservazione degli alimenti.
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La combinazione tra progresso tecnologico ed aumento del coinvolgimento dei consumatori in
materia di sicurezza alimentare sta creando un crescente mercato per i test diagnostici specifici per
alimenti. Batteri, muffe, tossine microbiche e residui di pesticidi e di farmaci sono tra i
contaminanti che più seriamente preoccupano produttori di alimenti, consumatori ed organismi
preposti alla regolamentazione e al controllo del settore. Tradizionalmente i test di controllo
risultano essere molto laboriosi e piuttosto lunghi da eseguire, mentre una soluzione più rapida ed
efficace consiste nello sviluppo di particolari biosensori che, opportunamente progettati, consentono
l’identificazione e la quantificazione delle entità (sostanze singole o microrganismi) di cui si voglia
determinare la presenza. Con questi nuovi metodi si riesce ad individuare la presenza di un
microrganismo patogeno (Listeria, Salmonella, ecc…) in un arco di tempo che va dai tre ai sei
giorni, mentre utilizzando i tradizionali metodi occorrono circa 14 giorni.
Le biotecnologie hanno conquistato una posizione prioritaria tra gli obiettivi strategici dell'Unione
Europea. Questa consapevolezza, espressa chiaramente da tutti i Paesi membri, ha tra i suoi effetti
concreti, oltre a ricadute positive di maggiore integrazione transnazionale a livello della ricerca, lo
sviluppo di una rinnovata competizione per una evoluzione dell’aspetto economico delle
biotecnologie che coinvolge i singoli Paesi membri e li pone a confronto in materia di offerta ai
potenziali investitori.
A questa competizione, non possono rimanere estranee le singole realtà nazionali, infatti ogni Paese
membro tende ad entrare nel mercato del settore biotecnologico offrendo la propria peculiarità
territoriale, amministrativa, legislativa, o fiscale allo scopo di attirare investimenti e know-how
tecnologico.
ORIENTAMENTO DELLA POLITICA ITALIANA
L'Italia, malgrado un livello di sviluppo della bioindustria in ritardo rispetto agli altri grandi Paesi,
possiede oggi concrete possibilità di recupero ed anche grandi risorse scientifiche, umane e culturali
da sfruttare ancora ampiamente, rispetto agli altri Paesi europei di rilevanza economica complessiva
analoga. Il serbatoio di conoscenze e talenti a disposizione, ed in attesa di sfruttamento, è, infatti,
tale da offrire oggi più di un vantaggio, per chi intenda investire nello sviluppo imprenditoriale delle
biotecnologie. I vantaggi potenziali dell’investire nelle biotecnologie in Italia, sono rappresentati sia
in termini di capitale di rischio, sia di insediamento di realtà produttive proprie, sia nella formazione
di joint-ventures e collaborazioni con il nascente tessuto di imprese biotecnologiche nazionali.
Inoltre, le attività italiane nel settore sono caratterizzate da una relativamente bassa intensità di
capitale, soprattutto nella fase iniziale, per questo il tessuto industriale italiano, costituito da piccole
e medie imprese flessibili raggruppate in distretti produttivi specifici, viene visto positivamente
nella politica di sviluppo dell’imprenditoria biotecnologica.
Il settore delle biotecnologie è caratterizzato in parte da importanti fenomeni di acquisizione,
fusione, di concentrazione delle imprese operanti nei settori produttivi considerati interessanti, ed in
parte dalla diffusa creazione di nuove piccole realtà imprenditoriali prettamente specialistiche.
E’ bene, inoltre, ricordare che l’Italia è caratterizzata da una elevata qualità della ricerca di base,
notevoli capacità di trasferimento tecnologico ed infine, risulta essere molto importante l’esistenza
in tutto il territorio di un patrimonio particolarmente ricco e variegato in termini di biodiversità,
materia prima delle biotecnologie, come già spiegato in precedenza. L’Italia offre pertanto un
potenziale inestimabile in termini di capacità naturali, culturali e scientifiche, di tutela, studio,
elaborazione ed arricchimento mirato di un’ampia gamma di risorse genetiche in una varietà di
condizioni climatiche ed ambientali difficilmente riscontrabile altrove, nel mondo sviluppato.
ECCELLENZE
10
I notevoli contributi che le realtà di ricerca del Paese hanno già dato all’innovazione biotecnologia
sono solamente i primi segnali di una attività di ricerca intensa e diffusa.
Il terreno culturale italiano è da sempre riconosciuto incline alla ricerca biologica ed ha affermato
alcune importanti realtà imprenditoriali, in termini di eccellenza assoluta in ambito internazionale,
in particolare nel campo dei vaccini e dei diagnostici (Iris di Siena, in Toscana e Diasorin di
Saluggia, in Piemonte).
In campo agronomico i ricercatori italiani sono tra i primi ad aver concentrato l’attenzione sulla
protezione dell’agrobiodiversità e sulla qualità dei prodotti: si pongono sicuramente all’avanguardia
le ricerche di Università e Istituti Sperimentali per la terapia genica delle patologie più ostiche (le
virosi) che minacciano specie ad elevato valore aggiunto tipiche della tradizione agricola nazionale,
quali certe produzioni orticole di qualità (carciofo, pomodoro San Marzano, melanzana o vitigni
pregiati).
La maggior parte degli esempi di eccellenza provengono dal mondo della ricerca pubblica e
rappresentano la politica attuata nel nostro Paese nel corso degli anni Ottanta, molto propensa ad
investire in ricerca biotecnologica. In quel periodo, inoltre, non vi era alcun prodotto biotecnologico
sul mercato internazionale e l’Italia si poneva in una posizione di avanguardia in questo settore.
Proprio grazie a queste ragioni, il nostro Paese è riuscito mantenere una vera e propria “cultura
biotecnologica”, nonostante il disimpegno del governo e dell’industria nazionale caratterizzante il
decennio successivo. Attualmente, il clima politico nazionale sta finalmente riconcentrando le sue
forze nella ricerca dell’innovazione biotecnologica, soprattutto in ambito medico.
Nell’ultimo periodo, il Ministero della Salute ha preso decisioni favorevoli per quanto riguarda la
semplificazione delle norme di accesso alla sperimentazione clinica e l’eliminazione del pesante
ritardo nelle autorizzazioni all’immissione in commercio dei nuovi farmaci.
IMPEGNO PER LA RICERCA FUTURA
Una politica di innovazione produttiva, per essere efficace deve essere esplicita, in modo da essere
percepita come impegno stabile da coloro, individui o istituzioni, che possano essere liberamente
disposti ad impegnarsi nello studio, nella R&S, nel rischio imprenditoriale ed in quello finanziario.
In questo settore, come in tutti i settori le cui attività di ricerca risultano fondamentali, è importante
valorizzare le specificità di ciascun territorio e assicurare l’esistenza di adeguate infrastrutture locali
ed attrezzature idonee.
Esiste una certa difficoltà nel ritrovare una unitaria politica nazionale in materia, anche perché
l’evidente specializzazione delle produzioni, spingono nella direzione di una valorizzazione
“locale” delle infrastrutture e delle peculiarità tecnologiche e di mercato esistenti nelle diverse
regioni del Paese.
Da questo punto di vista l’Italia, pur non essendo un Paese federale, si va sempre più
caratterizzando per una spiccata tendenza alla diversificazione delle iniziative, seguendo politiche
territoriali in qualche modo analoghe ai Paesi con strutture fortemente orientate all’autonomia
regionale, o comunque dotati di marcato decentramento amministrativo in materia di innovazione.
Esistono pertanto nel nostro Paese regioni in cui lo sviluppo delle biotecnologie viene
esplicitamente indicato tra le priorità strategiche, e tali "orientamenti regionali" hanno già
influenzato in maniera non indifferente la dislocazione della nascente bioindustria italiana, grazie
soprattutto all'istituzione dei Parchi Scientifici e Tecnologici, volti ad aggregare ed interconnettere
le risorse esistenti e a fungere da catalizzatori per la creazione e l'attrazione di nuovi investimenti.
Tali "poli", sebbene ancora di dimensioni ridotte rispetto ai distretti biotecnologici di altri Paesi
dell'UE (ad eccezione della Lombardia), rappresentano dei sicuri nuclei di sviluppo per la
bioindustria: essi non nascono su astratte iniziative, bensì dalle esigenze mostrate da parte del
tessuto economico e culturale delle aree interessate, dimostrando concrete possibilità di crescita.
11
Il successo e l'effettivo sviluppo di un tessuto imprenditoriale significativo dipende ovviamente, in
ultima istanza, dalla loro effettiva capacità di attrarre la fiducia degli operatori economici.
Inoltre, la volontà e gli sforzi espressi dalle regioni in cui tali aree si trovano, testimoniano in
maniera concreta l'impegno "politico" a favore di uno sviluppo economico basato sulle attività
biotecnologiche, rese possibili dalla valorizzazione dei propri specifici tessuti di risorse scientifiche
e tecnologiche.
E' indubbio che le regioni sono portate a rivendicare e difendere tali opzioni anche a fronte di un
Governo nazionale che, nel recente passato, è apparso molto meno sensibile di altri all'importanza
strategica dell’innovazione biotecnologica.
Date le competenze da sempre riconosciute dalla Costituzione italiana alle regioni, ulteriormente
rafforzate dalla recente riforma costituzionale, le istituzioni locali sono sicuramente dotate di
strumenti incisivi per tutelare e difendere in modo proattivo le proprie opzioni strategiche. Sono
perciò destinate ad assumere un ruolo ed una preminenza sempre maggiore nella determinazione dei
fattori discriminanti nel favorire ed attrarre investimenti nell'ambito delle biotecnologie innovative.
CONCLUSIONI
In conclusione, si può dire che nei confronti delle biotecnologie occorre tenere un atteggiamento
consapevole, critico ma non pregiudiziale di chiusura, visti gli effetti positivi che tale filone di
ricerca può portare sia nel campo medico farmaceutico che in quello agroalimentare. Al tempo
stesso, è necessario fissare limiti e vincoli chiari alle applicazioni biotecnologiche, in particolare
escludendo da ogni possibilità di sfruttamento economico l’uso del patrimonio genetico dell’uomo e
vietando impieghi eticamente inaccettabili a cominciare da quelli militari.
Quanto all’utilizzo delle biotecnologie nel settore agro-alimentare, resta la necessità di anteporre ad
ogni prospettiva di sfruttamento economico di organismi modificati la tutela dell’ambiente e degli
ecosistemi, la salvaguardia della salute umana e il pieno rispetto del diritto all’informazione dei
consumatori, la difesa della biodiversità e delle produzioni tipiche e locali, la garanzia che la
diffusione delle biotecnologie non penalizzi ulteriormente le aspettative di sviluppo dei Paesi
poveri.
Lo studio di tecnologie innovative, di per sé legittimo, non può portare automaticamente
all’impiego su larga scala delle nuove tecnologie messe a punto: la scelta, in questo campo, va fatta
considerando i vantaggi che tali innovazioni possono recare ai bisogni e agli interessi della
collettività. L’orientamento della ricerca biotecnologica non può essere lasciato alla discrezionalità
della grandi multinazionali, che finora hanno preteso di fornire esse stesse alle autorità preposte ai
controlli le “prove” della innocuità della varietà manipolate: bisogna invece incrementare gli
investimenti pubblici in questo settore, e occorre che anche le organizzazioni agricole s’impegnino
attivamente, fornendo sia risorse umane che economiche per contribuire alla definizione delle
priorità della ricerca.
12
BIOTECNOLOGIE E SETTORE AGROALIMENTARE
Le agrobiotecnologie, in particolare gli OGM trovano applicazione soprattutto in campo alimentare,
agricolo, zootecnico e medico. In Italia sono già in commercio notevoli quantità di mais, soia, colza,
radicchio e tabacco geneticamente modificati, provenienti soprattutto dagli USA. I derivati della
soia (olio, farina e lecitina) sono presenti nel 60% dei prodotti confezionati dall'industria alimentare
(biscotti, merendine, cioccolato ecc.)
In quest’ultimo decennio l’evoluzione della ricerca ha offerto nuove opportunità in termini di
incremento e miglioramento qualitativo della produzione. Oltre alla possibilità di innalzare lo
standard qualitativo, le biotecnologie hanno fornito la possibilità di ottenere piante ed animali con
resistenza a patogeni e a condizioni ambientali avverse, tali da favorire l’incremento della
produzione alimentare anche in quelle nazioni in cui essa ha incontrato gravi ostacoli. L’importanza
dei risultati raggiunti è notevole se si considera la previsione di incremento della popolazione
mondiale, stimabile nel 2050 a 10 miliardi di abitanti.
Per quanto riguarda gli alimenti di origine vegetale le biotecnologie hanno consentito di ottenere
nuove varietà di piante capaci di crescere in terreni aridi, desertici e salati, tolleranti di erbicidi e
pesticidi, resistenti a insetti, virus, funghi, dotate di maggior valore nutrizionale e di aumentato
tenore di aminoacidi essenziali e di vitamine.
Gli OGM rappresentano quindi un significativo strumento per la produzione industriale del settore
alimentare, ma ciò non implica che si possa attraverso gli OGM risolvere il problema della “fame
nel mondo”, infatti occorre considerare che la loro produzione deriva dalle stesse multinazionali che
sfruttando le risorse naturali, la manodopera e il lavoro minorile, aggravano la situazione delle
nazioni più deboli a causa del loro unico interesse economico. Per apportare miglioramenti al
problema della fame nel mondo, è necessario affrontare, infatti, l’impostazione delle risorse e dei
consumi, pensando che il 20% della popolazione mondiale (abitanti dei Paesi definiti “ricchi”)
consuma l’80% delle risorse disponibili. Si tratta appunto di modificare l’attuale impostazione
economica e finanziaria mondiale.
Da uno studio effettuato e pubblicato dai dottori Payne e James nei rapporti dell’AMELP,
Associazione Medici Laboratori Prevenzione di Milano, emerge che nel periodo 1986-1997 sono
state effettuate oltre 25.000 sperimentazioni sul campo con piante transgeniche (GMT) di oltre 60
specie vegetali con segmenti genetici modificati in 45 Paesi distribuiti in tutto il mondo. In Europa i
campi sperimentali valicati sono 1.459, di questi 242 vengono attribuiti all’Italia, mentre nel ‘99
risultano aumentati a 1504 in Europa e 250 in Italia e solo 4 sono i prodotti autorizzati dalla
Commissione europea per l’immissione in commercio: tabacco, colza, soia e mais.
Importanti risultano essere anche gli aspetti economici derivanti dall’applicazione delle
biotecnologie che, infatti, permettono di avere una minore perdita di derrate alimentari, valutabili in
circa 5 miliardi di tonnellate annue, per fattori parassitari ed un aumento della produttività del 1025%.
LE AGROBIOTECNOLOGIE NEL CONTESTO INTERNAZIONALE
In tutti i Paesi occidentali sono in vigore severe misure di autorizzazione e controllo sullo sviluppo
e l’impiego degli OGM. Le norme per la sicurezza delle biotecnologie sono tutte di natura
precauzionale e particolarmente attente a sottolineare l’importanza nell’attuare accurate valutazioni
di rischio prima di intraprendere attività di ricerca e sviluppo o di produrre e vendere prodotti
derivanti dall’uso di agrobiotecnologie.
In Paesi come Stati Uniti, Canada e Giappone dotati di infrastrutture ed attrezzature specializzate
per questo tipo di attività, è prevalso il criterio di valutare l’efficacia e la sicurezza d’uso dei
prodotti, senza soffermarsi sulle tecnologie con cui essi sono stati creati. In particolare negli Stati
Uniti la valutazione di rischio è affidata a tre organismi e agenzie federali: Usda (United States
Departement of Agricolture) il ministero dell’agricoltura americano, la Fda (Food and Drug
13
Administration) l’ente responsabile del controllo di alimenti e farmaci, la Epa (Environment
Protection Agency) l’agenzia federale per la protezione dell’ambiente. Nella valutazione degli
OGM ha avuto, inoltre, una grande importanza il lavoro del Group of National Experts (GNE) on
Safety of Biotechnology, che ha operato per l’Organizzazione per la Cooperazione e Sviluppo
Economico (OCSE). Dall’operato di questo gruppo si è creato un Protocollo internazionale di
biosicurezza, conosciuto come “Protocollo di Cartagena”, poi firmato a Montreal nel gennaio del
2001, nell’ambito dell’ONU, che ha per obiettivo la definizione di misure da adottare per l’impiego
sicuro delle biotecnologie e dei prodotti che ne derivano.
In Europa è, invece, prevalsa l’opzione di imporre per legge “regolamentazioni di tecnologia”,
collegate a meccanismi di notifica e autorizzazione sia nelle fasi di ricerca che in quelle produttive.
In entrambe le regolamentazioni, americana ed europea, esistono comunque delle lacune per quanto
riguarda i termini di efficacia nel garantire i necessari livelli di sicurezza, infatti vi è una eccessiva
burocrazia soprattutto nei Paesi europei per i quali si manifestano tempi più lunghi per ottenere
l’autorizzazione degli OGM ad uso agricolo e alimentare.
SITUAZIONE EUROPEA
L’Unione europea deve concentrare molte delle sue forze nell’identificazione e nell’adozione di
politiche efficaci per far prosperare il settore delle biotecnologie, che è ancora in fase di crescita. Le
misure per promuovere l’imprenditorialità e la competitività devono però tenere conto delle
preoccupazioni di natura ambientale, sanitaria e di sicurezza, tenendo in considerazione che il
settore delle biotecnologie è una delle aree-chiave dell’economia fondata sulla conoscenza. La sua
importanza è stata riconosciuta nel corso del Vertice dei Capi di Stato e di Governo di Stoccolma
nel Marzo 2001, durante il quale si è sottolineata la necessità di un approccio integrato allo sviluppo
economico e sociale improntato ad un aumento della competitività del settore, senza tralasciare i
problemi legati alla sicurezza e all’etica.
E’ riconosciuta, quindi, l’importanza delle biotecnologie come punto di forza nelle strategie del
medio e lungo termine dell’Unione europea, così come accade per il settore delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione (ICT) che già da qualche tempo rappresenta una delle leve
trainanti del settore dell’hi-tech.
In entrambi i settori, Ict e biotecnologie, il know how specifico è posseduto da un elevato numero
di piccole imprese innovative, che devono essere aiutate a crescere e svilupparsi per essere
maggiormente competitive nei confronti delle grandi concorrenti statunitensi.
L’occupazione nel settore in Europa ha raggiunto 61 mila unità nel 2000, mentre negli Usa la quota
è salita a 162 mila.
Il problema più allarmante, non è però quello occupazionale, bensì quello relativo alla ricerca vera e
propria; l’Europa deve, infatti, porre maggiore attenzione alla cosiddetta “fuga dei cervelli” che
potrebbe compromettere in modo permanente la concorrenza con gli Stati Uniti ed una conseguente
posizione stabile di secondo posto nel settore. La partenza verso gli Stati Uniti ed il Canada di molti
degli specialisti europei in biotecnologia lascerebbe l’Unione priva delle forze basilari essenziali per
trasformarla nell’economia fondata sulla conoscenza più dinamica al mondo.
SETTORE AGROALIMENTARE: REGOLAMENTAZIONE NELL’UNIONE
Nell’ambito più specifico del settore agroalimentare si presentano le seguenti, come le principali
norme in vigore:
il Regolamento 258/97 per la vendita dei “Novel Foods”, i nuovi alimenti ottenuti con
materie prime derivate da organismi geneticamente modificati;
la Direttiva 2001/18/CE sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente
modificati che supera la precedente Direttiva 90/220/CEE
14
Queste norme sono redatte nel pieno rispetto degli orientamenti internazionali in materia di
sicurezza agricola, ambientale e alimentare, ma sono state finora soggette in modo eccessivo alle
decisioni di natura politica. In particolare la Direttiva 90/220/CEE è stata di fatto bloccata per molti
anni; la recente direttiva 2001/18/CE, che la sostituisce, intende semplificare le procedure e
attribuire maggiore importanza alle valutazioni scientifiche espresse in sede comunitaria.
Tuttavia alcuni Paesi membri hanno espresso l’intenzione di non approvare la commercializzazione
di nuovi OGM prima che siano adottati ulteriori regolamenti.
Il Regolamento 258/97, sulla vendita di nuovi alimenti, stabilisce che i prodotti e gli ingredienti
alimentari derivati da OGM non devono presentare rischi per il consumatore, non lo devono indurre
in errore, non devono creare svantaggi nutrizionali, nel caso vadano a sostituire prodotti o
ingredienti tradizionali. Esso adotta per i “Novel Foods”, la nozione di “equivalenza sostanziale”
come elemento discriminante ed accettato a livello internazionale: due alimenti (uno tradizionale e
l’altro ottenuto con materie prime di derivazione biotech) cono considerati sostanzialmente
equivalenti quando non presentano alcuna differenza da punto di vista nutrizionale, organolettico e
della sicurezza.
In alcuni Paesi dell’Unione Europea si deve invece considerare “discriminante” lo stesso impiego
delle biotecnologie nella produzione alimentare: basta che un solo ingrediente, additivo o aroma sia
ottenuto (anche casualmente o parzialmente) da materie prime geneticamente modificate perché i
due alimenti non siano più considerati equivalenti.
Di conseguenza, le autorità nazionali di controllo hanno difficoltà a certificare l’equivalenza
sostanziale di tutti gli alimenti loro sottoposti, in funzione delle diverse letture del Regolamento
operate dai singoli Stati, e si crea una diversità di applicazione delle norme comuni a livello
nazionale.
SETTORE AGROALIMENTARE IN ITALIA
L'industria alimentare è la maggiore utilizzatrice di prodotti agricoli nel nostro Paese, e si situa
come terzo settore industriale in termini di fatturato. Essa rappresenta probabilmente uno dei campi
più importanti di applicazione delle biotecnologie, anche perché si avvale tradizionalmente, da
secoli, di bioconversioni per la trasformazione dei prodotti agricoli: basti pensare a quanti comuni
alimenti sono in realtà prodotti di fermentazione (pane lievitato, vino, aceto, yogurt, crauti…).
Negli ultimi anni le ricerche in campo alimentare si sono indirizzate verso l'individuazione di
processi di trasformazione sempre più selettivi e specifici, al fine di ridurre il più possibile i danni di
tipo meccanico, termico e chimico a carico dei prodotti alimentari derivanti da diversi tipi di
lavorazione delle materie prime agricole, e più in generale al fine di produrre alimenti con
caratteristiche meglio definite (sia in termini di uniformità della qualità, sia per quanto riguarda le
garanzie di igiene e sicurezza).
Il settore, che comprende i prodotti ortofrutticoli, floricoltura, zootecnia, pesca e alimentari, incluso
vini e bevande, conta circa 70.000 imprese e oltre 450.000 addetti. Il sistema agroindustriale
italiano è composto in prevalenza da PMI, ma oltre il 60% del fatturato proviene da imprese
multinazionali e da grandi gruppi industriali. La debolezza strutturale è compensata dal fatto che
molte PMI italiane offrono prodotti tipici e di elevata qualità, spesso a denominazione di origine,
che permette loro di conquistare nicchie di mercato, al riparo della concorrenza dei grandi gruppi
industriali, nelle fasce alte del mercato, sia interno che estero. Il 22% del fatturato è esportato e si
contano oltre 16.000 imprese esportatrici.
Nonostante i successi raggiunti nel campo della ricerca scientifica, il settore agroalimentare sta
attualmente subendo una tendenza negativa come dichiarato da un comunicato stampa dell’ISMEA,
che si occupa dei servizi per il Mercato Agricolo Alimentare. Il bilancio del settore agricolo rispetto
al mercato estero ha chiuso, infatti, in rosso per quasi 6 miliardi di euro a tutto novembre 2003.
L’Ismea evidenzia, un aumento del deficit del 17%, rispetto ai primi undici mesi del 2002. Le
importazioni, nel complesso, hanno determinato un esborso di 23 miliardi di euro, in crescita del 3,4
15
su base annua. Sul fronte delle esportazioni, i consuntivi di novembre mostrano, invece, una battuta
d’arresto (-1% circa) per un introito pari a 17 miliardi di euro.
In linea generale, si rileva un aumento delle importazioni di animali vivi e carni, dei prodotti lattiero
caseari, ortofrutticoli, vini e cereali foraggeri. Le esportazioni, risultano buone per il settore lattiero
caseario, ma scarse quelle relative a tutti gli altri settori, in particolare i vini, l’ortofrutta e la pasta.
REGOLAMENTAZIONE ITALIANA
Il Decreto legislativo n.92 del 3 marzo 1993, che recepisce la Direttiva 90/220/CEE sull’emissione
nell’ambiente degli OGM, prevede una valutazione preventiva di rischio prima di ogni rilascio
nell’ambiente di un nuovo tipo di organismo geneticamente modificato e che nessun rilascio possa
essere effettuato senza il via libera del Ministero della Salute.
Il Decreto prevede, inoltre che, nei casi in cui le conoscenze scientifiche sul tipo di modifica
genetica effettuata e sull'OGM che ne viene ottenuto richiedano ulteriori approfondimenti
tecnicoscientifici, la Commissione interministeriale di coordinamento per le biotecnologie (CIB)
possa chiedere il parere del Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie e anche
quello del Consiglio Superiore di Sanità, prima di concedere l’autorizzazione, rendendo quindi
l’iter molto più lungo.
Durante la fase di rilascio, deliberato dell’organismo geneticamente modificato, la CIB effettua
ispezioni per verificare la conformità degli esperimenti, gli effetti dell’organismo geneticamente
modificato sull’ambiente circostante, le pratiche agronomiche utilizzate, i trattamenti dopo il
raccolto dell’area interessata, la conservazione o l’eliminazione dell’organismo geneticamente
modificato.
Al termine dell’esperimento di rilascio, il privato o l’impresa che ha ottenuto il nulla osta alla
ricerca sull’OGM deve presentare una relazione conclusiva sull’esperimento, sulla base di linee
guida elaborate dalla CIB, mirata sulla valutazione dell’impatto ambientale e della sicurezza: questa
valutazione è uno degli elementi necessari per richiedere l’autorizzazione all’immissione sul
mercato dell’OGM in questione.
Per quanto riguarda l’attuazione in Italia del Regolamento 258/97/CE concernente l’immissione sul
mercato di nuovi prodotti alimentari derivati da ingredienti, aromi e additivi ottenuti da materie
prime geneticamente modificate, è stata istituita un’apposita Commissione interministeriale di
coordinamento per la valutazione delle notifiche ai fini della commercializzazione dei nuovi
prodotti e nuovi ingredienti alimentari. Questa Commissione è inserita nel Ministero della Salute. A
questo organismo competono le valutazioni sulla sicurezza d’uso nell’alimentazione umana o
animale degli organismi geneticamente modificati e dei loro derivati.
Chiunque intende mettere in vendita nell’Unione Europea un OGM o un alimento derivato da OGM
o i suoi derivati deve quindi presentare domanda di autorizzazione allo Stato membro sul cui
territorio vuole vendere per la prima volta questi prodotti, inviando contemporaneamente copia
della richiesta alla Commissione Europea. La documentazione presentata deve contenere una serie
di dati scientifici per la verifica della sicurezza d’uso del prodotto e, nel caso di prodotti ottenuti
tramite l’applicazione delle tecniche del DNA ricombinante (le biotecnologie) e che contengano o
siano costituiti da OGM, la valutazione dei rischi per l’ambiente. La domanda deve contenere
informazioni tecnico-scientifiche che dimostrino che il nuovo alimento presenta le garanzie
richieste dal Regolamento 258/97/CE, nonché una proposta di etichettatura del prodotto: questi
elementi devono permettere all’autorità competente dello Stato destinatario della domanda la
valutazione sulla sicurezza d’uso del prodotto.
16
IL SETTORE AGROALIMENTARE: CARATTERISTICHE E TENDENZE
In Italia l’agroalimentare è, con il metalmeccanico e il tessile-abbigliamento, uno dei principali
settori, in termini di fatturato, numero di imprese e occupazione; inoltre contribuisce
significativamente all’immagine del Made in Italy e dell’Italian Style of Life nel Mondo.
Il settore è composto per la massima parte da PMI specializzate in produzioni titiche che
permettono di posizionare i prodotti in fasce di mercato sicure e quindi al riparo dalla concorrenza
dei grandi gruppi industriali, che ad ogni modo detengono oltre la metà del fatturato. Nel comparto
agroalimentare italiano, quindi, coesistono e si sono affermati in modo permanente differenti
tipologie di prodotti di qualità (prodotti cioè con caratteristiche qualitative controllate e certificate a
diversi livelli):
i prodotti riconosciuti e garantiti:
•
•
•
•
•
•
Denominazione di origine protetta - Dop
Indicazione geografica protetta - Igp
Specialità tradizionale garantita - Stg
Denominazione di origine controllata - Doc
Denominazione di origine controllata e garantita - Docg
Indicazione geografica tipica - Igt
i prodotti di marca del produttore o della Grande distribuzione organizzata - GDO
i prodotti riconosciuti dal consumatore indipendentemente dal loro segno
identificativo (marchio, riconoscimento nazionale e/o comunitario) o dal loro sistema
di “garanzia”, ancorché non regolamentato (i cosiddetti prodotti tradizionali).
Nonostante tali caratteristiche la bilancia agroalimentare italiana presenta un deficit
strutturale, che si concentra prevalentemente su alcune commodity agricole e sulla cosidetta
bilancia alimentare rigida, con le esportazioni di prodotti alimentari italiani rivolte
principalmente all'Unione Europea e al Nord America. In particolare, quattro Paesi
(Germania, Francia, Regno Unito e Stati Uniti) assorbono quasi il 60% del totale delle
esportazioni.
I dati elaborati dalle statistiche ISMEA-ACNielsen hanno infatti confermato a dicembre 2001 un
calo dei volumi rispetto al precedente anno attestatosi al -3,3%, ma la crescita registrata nei prezzi
medi al consumo (+4,8%) rende positiva la spesa che, con una variazione del +1,3% si attesta, su
valori pari a 44,67 miliardi di euro. Il fenomeno si pone in controtendenza all'anno precedente nel
quale a sostenere la spesa erano stati invece i maggiori volumi. Risultano stabili, invece i prezzi al
consumo.
Si sintetizza di seguito il consumo delle famiglie italiane e si conferma che la spesa per i beni
alimentari pesa per oltre i 2/3 sul bilancio domestico alimentare a livello nazionale.
17
La spesa domestica alimentare per classe di prodotto in Italia (%)
C O N S U M I D O M E S TIC I
latte & derivati
17%
caffè, thè, zucc
e sale
3%
pasta e riso
3%
carne e uova
24%
pesce
8%
dolcium i
5%
vini
3%
oli & grassi
4%
ortofrutta
18%
bevande &
alcolici
8%
pane, cereali e
derivati
7%
Fonte: elaborazioni su dati del Panel famiglie ISMEA-ACNielsen
Nel comparto agroalimentare europeo non si è assistito ad un aumento significativo dei
consumi, quanto piuttosto ad una maggiore diversificazione della domanda, con due aspetti
contraddittori:
Da una parte, l’omogeneizzazione e la globalizzazione dei consumi, caratterizzate
dall’inserimento in diversi mercati di “nuove” tipologie di prodotti o varietà e dalla
destagionalizzazione di alcuni prodotti, soprattutto quelli freschi. Ciò determina la
necessità di forniture da tutte le latitudini, anche dell’emisfero opposto, al fine di
assicurare il prodotto tutto l’anno.
Dall’altra parte, una segmentazione sempre maggiore del consumo, dovuto ad un
atteggiamento più attento da parte del consumatore, sempre più determinato nella
ricerca di prodotti consoni ai propri bisogni e alle proprie possibilità di spesa, che
ovviamente variano tra le classi sociali oltre che tra le aree geografiche. Diventa
quindi sempre più importante il rapporto qualità-prezzo; in tale ambito però la qualità
incorpora diversi fattori (estetica, gusto, maturazione, freschezza, salubrità,
ecocompatibilità, servizio, ecc.), ognuno dei quali assume un peso diverso secondo
la propensione del consumatore. Ne discende che il concetto di qualità, dal punto di
vista soggettivo, non è più univoco, ma varia a seconda della categoria di
consumatore.
Elencate quindi le caratteristiche della domanda si presume che per il mondo della produzione la
sfida diviene duplice e consiste:
nell'assicurare diversificazione dei prodotti, continuità nella fornitura e massa critica di
distribuzione;
nell'essere in grado di segmentare il mercato con diverse categorie di prodotto in
maniera da rispondere alle attese di un consumatore sempre più esigente.
18
La globalizzazione derivante dagli accordi GATT e WTO, come già sottolineato, sta perciò
modificando le condizioni di competizione del comparto agroalimentare a livello internazionale e le
imprese stanno adottando politiche strategiche in molti casi completamente nuove come:
Politiche di mergering - attuate mediante fusioni, acquisizioni, joint venture ed
alleanze - finalizzate soprattutto ad integrare sempre più le filiere e ad ottimizzare la
relazione competitiva - operativa e strategica - tra la funzione di produzione e la
funzione di commercio.
Politiche di downsizing, volte a rendere sempre più snella e responsabile la
struttura interna.
Politiche di valorizzazione degli intangibles d’offerta, dirette a contrastare la
volatilità della domanda ed a fidelizzare la clientela. Peraltro molti prodotti
agroalimentari nazionali (soprattutto i prodotti freschi) non dispongono attualmente
del più importante degli intangibles, costituito dal patrimonio di marca (brand
equity). Ciò significa che queste produzioni, per colmare la posizione di svantaggio
nel rapporto con la GDO, debbono concentrare la politica relativa agli intangibles
sui servizi, con particolare riferimento alla logistica.
PUNTI DI FORZA E PUNTI DI DEBOLEZZA DELL’AGROALIMENTARE ITALIANO
L’analisi delle caratteristiche generali del comparto agroalimentare italiano, dell’evoluzione
del settore a livello nazionale, europeo e mondiale e dei comportamenti del consumatore
evidenzia alcuni punti di forza e di debolezza che costituiscono la base per la definizione di
specifici piani di azione.
Di seguito si evidenziano in forma sintetica i punti di forza e di debolezza strutturale relativi
all’agroalimentare italiano, infine si accennano gli eventuali punti su cui fare attenzione.
Punti di forza
Punti di debolezza strutturale
L’agroalimentare, nell’economia nazionale, è
uno dei settori che maggiormente contribuiscono
all’immagine positiva del “Made in Italy” e dell’
”Italian style of life” nel mondo.
Bassa qualità ed efficienza delle reti di trasporto
ed in generale del sistema infrastrutturale per la
logistica agroalimentare, fattore decisivo per la
riduzione delle esternalità negative (tra le quali
l’impatto sull’ambiente).
Una politica di formazione delle risorse umane
inadeguata a garantire al sistema le
figure professionali richieste, nonostante la
massa considerevole di fondi nazionali e
comunitari a disposizione, nel quadro di una
nuova attenzione agli strumenti
innovativi diretti ad affermare anche la “qualità
del lavoro”.
Una insufficienza di azione politica diretta a
favorire i processi di aggregazione delle
aziende agroalimentari e di supporto
all’internazionalizzazione delle imprese.
La dispersione degli interventi pubblici sia in
termini di mancato coordinamento che
di duplicazione e di frammentazione delle fonti
di finanziamento.
Alcune caratteristiche fondamentali relative a
particolari prodotti rientrano nell’immagine
tipica del made in Italy: alta qualità, gusto e
tradizione.
In alcuni Paesi (Germania, Francia, Inghilterra,
USA) il consumo di prodotti italiani
dell’agro-alimentare è già molto diffuso.
19
Punti di attenzione
L’approccio ai mercati esteri è da un lato concentrato su pochi Paesi, che
presentano, per il prodotto italiano, margini di crescita modesti e dall’altro si mostra
poco incline alla ricerca di nuovi mercati, geograficamente più lontani, ma
potenzialmente più interessanti.
La composizione del settore, che vede un sostanziale equilibrio, a livello di fatturato,
tra grande impresa e PMI, porta la necessità di attuare politiche che bilancino le
esigenze delle industrie italiane di marca con le PMI a forte radicamento territoriale
ed orientate a mercati di nicchia;
Le aspettative del consumatore e la necessità di spingere sulla comunicazione e sulla
promozione del “Made in Italy” in Italia e all’estero determinano la necessità di fare
della qualità globale un vero e proprio sistema di gestione, affidabile nel tempo e nel
livello degli standard;
Il numero limitato di imprese che finora ha fatto ricorso alla certificazione volontaria
di qualità;
La ricerca nel settore agroalimentare, sia a livello pubblico che privato, deve ancora
essere finalizzata all’innovazione ed al miglioramento qualitativo delle produzioni in
termini di sicurezza igienico-sanitaria, di caratteristiche chimiche, fisiche,
organolettiche e nutrizionali dei prodotti;
L’eccessiva articolazione del sistema di controllo pubblico, forse il più articolato e
complesso dell’Unione europea, che genera costi amministrativi e gestionali al
sistema delle imprese del comparto;
La storica disattenzione della politica alle problematiche del settore agroalimentare ed
al suo valore trainante nello scenario dell’economia nazionale.
RICERCA SCIENTIFICA E TECNOLOGICA
La qualità, intesa nella sua accezione più vasta, comporta una riorganizzazione aziendale completa
che va dall'analisi delle tecniche produttive ai sistemi di controllo e di certificazione, dalla logistica
all'organizzazione commerciale, per arrivare infine al miglioramento del rapporto con il sistema dei
servizi.
Ruolo fondamentale in tal senso è attribuito alle istituzioni coinvolte nella ricerca scientifica, il cui
obiettivo principale nel settore agroalimentare deve essere la creazione di una nuova generazione di
tecnologie biologiche, informatiche ed organizzative, coerenti con la strategia della qualità e della
sicurezza alimentare.
La riforma degli enti di ricerca vigilati dal Ministero delle politiche agricole e forestali ha
contribuito all'evoluzione degli studi, ma ciò risulta ancora insufficiente.
A tale riguardo occorre sottolineare che il Consiglio nazionale delle ricerche mostra qualche
difficoltà nelle strategie progettuali, essendo impegnato sulle questioni di riassetto
patrimoniale. Probabilmente potrebbe essere utile riprendere l’originaria ispirazione della
riforma, favorevole all’accorpamento degli enti di ricerca in agricoltura per grandi aree
tematiche e centri di eccellenza.
Va riaffermato che la promozione della ricerca ed il trasferimento delle innovazioni
costituiscono un binomio inscindibile.
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Le organizzazioni di rappresentanza hanno infine un ruolo significativo nel sistema; sulla base del
principio di sussidiarietà, esse entrano a pieno titolo nel sistema della ricerca, insieme alle
istituzioni della ricerca, alle amministrazioni centrali e regionali.
PROMOZIONE DEI PRODOTTI DELL'AGROALIMENTARE ITALIANO
Accanto alla razionalizzazione e valorizzazione degli strumenti operativi già esistenti come
l’ICE, è diffusamente avvertita la necessità di creare una struttura specializzata per la
promozione e lo sviluppo della commercializzazione dei prodotti dell'agroalimentare italiano.
Tale struttura, la cui eventuale costituzione sarà concertata con il Ministero delle attività
produttive, avrebbe le seguenti finalità:
Garantire un legame con gli indirizzi generali del governo in materia di qualità
del sistema agro alimentare italiano.
Avere una struttura agile che consenta di raggiungere gli scopi sociali con la
celerità e le opportune garanzie di trasparenza ed efficacia. In questo senso
tale struttura potrebbe operare all'estero ricorrendo a reti già esistenti quali le
Camere di commercio italiane all'estero (CCIE), gli Istituti di cultura italiani,
le Ambasciate, le strutture dell’ICE.
Garantire la possibilità alle imprese agroalimentari di poter promuovere il
proprio prodotto in Italia e all’estero con azioni che permettano di legare la
qualità del prodotto ad un determinato territorio con riferimento anche alla
sua rintracciabilità d’origine.
Garantire la possibilità di azioni di promozione sia su tipologie di prodotto
agricolo ed alimentare che per singoli prodotti.
Promuovere forum tra aziende agricole ed agroalimentari per lo sviluppo di
eventuali partnership nazionali ed internazionali.
Offrire consulenza e sostegno a tutti i soggetti che intendono promuovere i
propri prodotti agricoli ed alimentari in Italia e all’estero.
Per raggiungere quest’ultimo obiettivo si propone di avviare un progetto di mobilitazione di
tutti i soggetti (centrali e locali; pubblici e privati; istituzionali, culturali, tecnici, associativi ed
economici) interessati allo sviluppo pregiato, all’innovazione ed al miglioramento continuo di
quel complesso inscindibile di risorse (materiali, culturali e professionali) che determinano la
qualità agroalimentare allargata.
MANIFESTAZIONI RILEVANTI PER IL SETTORE AGROALIMENTARE
Una fiera di rilevante importanza in Italia è il Cibus di Parma, "la più grande vetrina del food
europeo", che si svolgerà nel mese di maggio 2004, arrivata alla sua dodicesima edizione con i suoi
130.000 mq di area espositiva e 2500 espositori di cui 500 provenienti da 25 Paesi. Il salone ripone
il suo successo sull'offerta alimentare europea, la più importante del mondo per fatturato
complessivo (circa 700 mld di euro), export (oltre 120 mld di euro) e forza della tradizione
gastronomica.
Al centro dell’attenzione vi è naturalmente il modello alimentare italiano, un modello che identifica
uno stile diventato punto di riferimento per élites di consumatori in tutto il mondo e un sistema
alimentare industriale assolutamente unico per numero di aziende (7.000), stratificazione
dimensionale (grandi gruppi ma tante e tantissime medie e piccole imprese), livello di
specializzazione (spesso influenzata da quella territoriale legata alle produzioni tipiche), estensione
della gamma produttiva, capillare diffusione in tutte le regioni e province (ma si potrebbe dire
Comuni) della penisola.
Un sistema industriale che trasforma il 70% delle produzioni agricole nazionali, adotta tecnologie
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nel rispetto della materia prima e dei processi produttivi tradizionali, e soggiace a controlli rigorosi
e frequentissimi dell’autorità (720 mila ispezioni nell’ultimo anno, con una media di 5 controlli
mensili per stabilimento) ed ogni giorno affronta i giudizi di una giuria, la cui competenza non ha
paragoni nel mondo, costituita dalla vastissima platea dei consumatori italiani. Attualmente (stime
2003) il giro d'affari dell' industria alimentare italiana è valutato oltre 100 miliardi di euro con
esportazioni prossime al 15% dell'intera produzione, per un valore di circa 15 miliardi.
I consumi alimentari domestici dovrebbero toccare i 120 mld di Euro con gli extrafamiliari, cioè
ristorazione e catering, a quota 55 mld con un complessivo stimato di 175 miliardi di euro, che
andranno ad incidere per il 16/17% sul totale dei consumi nazionali.
Dal 1984 ad oggi "Cibus" ha sempre accompagnato la crescita dell’italian food : un contributo
importante all’internazionalizzazione del sistema industriale, alla diffusione della conoscenza dei
suoi prodotti, al suo posizionamento qualitativo.
Altra eccellente manifestazione è il Sial di Parigi, definita come evento "multispecialistico"
dedicato all'offerta agroalimentare mondiale, che si svolgerà nel mese di ottobre 2004. Da fonti
prestigiose come la CIAA, l'ANIA e l'Enjeux les Echos si conta che il commercio al dettaglio nella
sola Unione europea ammonta a 1.705 mld di euro, inoltre 11 dei 20 leader mondiali della
distribuzione alimentare risiedono in Europa. Occorre ricordare non da ultimo l'industria
agroalimentare è il primo settore nell'Unione con 626 mld di euro solo nel 2001.
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LE MARCHE
A causa della mancanza di dati statistici sufficientemente dettagliati, risulta estremamente difficile
ricostruire un quadro chiaro della situazione marchigiana a livello di ricerca e sperimentazione nel
campo delle agrobiotecnologie.
E’ però facilmente rilevabile che lo scenario agricolo delle Marche sta affrontando una
trasformazione profonda che vede come cambiamenti principali l’aumento dell’invecchiamento
(v.tab.1), il decremento del numero di aziende e il saldo negativo della bilancia commerciale della
filiera agroalimentare ed ittica.
Per questi motivi l’attività programmatica dei prossimi anni deve necessariamente essere dinamica e
deve raccordare gli indirizzi strategici, le azioni e le dotazioni finanziarie di cui la regione può
disporre per attuare un Piano Agricolo triennale efficace, caratterizzato da continuità e coerenza con
il Programma regionale di sviluppo, denominato PSR, approvato nel 2000. Esso è lo strumento
amministrativo di diretta derivazione alla regolamentazione comunitaria e per la prima volta
riunisce in un solo documento tutti gli interventi cofinanziati dall’Unione Europea per il settore
agricolo.
Tabella. 1
Fonte: Elaborazione dati sul Censimento Agricoltura Istat
SOGGETTI COINVOLTI NEL SETTORE AGROALIMENTARE
Dalle ricerche effettuate si può, inoltre, fare chiarezza sui soggetti sia pubblici che privati fatti
partecipi dell’andamento del settore nella regione.
Innanzitutto, si può porre in rilievo il ruolo svolto dal CIPE, il Comitato Interministeriale per la
Programmazione Economica, che è la sede della formazione del bilancio dello Stato e della
definizione delle risorse da assegnare alle numerose attività pubbliche, insieme al MIUR, il
Ministero dell’Università e delle Ricerca Scientifica e Tecnologica, che si occupa in particolare
della programmazione e del coordinamento nel settore della ricerca scientifica.
In secondo luogo ci sono le amministrazioni e gli enti che hanno specifiche responsabilità nella
formulazione di programmi e nella gestione di risorse per la ricerca agricola nella regione.
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Le maggiori istituzioni sono:
la rete universitaria, posta sotto il controllo del MIUR;
il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (MiPAF), che controlla a sua volta l’Istituto
Sperimentale per l’Orticoltura di Bologna, che ha una sezione dislocata a Monsampolo del
Tronto (Ascoli Piceno) e l’Istituto Sperimentale per la Colture Industriali di Salerno che ha
una sede periferica a Osimo (Ancona);
la Regione Marche, dotata di una serie di enti-istituti, come l’Agenzia per i Servizi nel
Settore Agroalimentare (ASSAM), il Centro Ricerche e Sperimentazione per il
Miglioramento Vegetale (CERMIS) e quattro Istituti Zooprofilattici Sperimentali.
E’ stato, inoltre, creato un Osservatorio Agroalimentare della regione, seguito dal dott. Andrea
Arzeni, che si è negli anni precedenti occupato di raccogliere ed analizzare le fonti informative e
statistiche disponibili, riguardanti il settore agricolo ed agroalimentare delle Marche. Il risultato
delle attività svolte dal gruppo di ricerca si sintetizza nel “Rapporto 2002”, pubblicato dall’editrice
ESI, ma la pubblicazione si inserisce in un filone di ricerca più ampio iniziato nel 2000 presso il
Dipartimento di Economia dell’Università Politecnica delle Marche.
L’attività principale che viene svolta attualmente nel settore agroalimentare è il “Progetto di
implementazione del Sistema Informativo Agricolo Regionale” promosso dal Servizio agricoltura
della Regione Marche in collaborazione con il Servizio Informatica.
Affinché la regione possa crescere nel settore agroalimentare è fondamentale, inoltre, pianificare
strategie per lo sviluppo dell’agricoltura marchigiana, che perseguano il principio di sostenibilità
ambientale ed economica e che stimolino l’innovazione, infatti l’obiettivo della qualità è divenuto
una scelta obbligata proprio a causa dell’aumentata competizione nel mercato mondiale.
IL PSR
Il PSR, Piano di Sviluppo Regionale relativo al periodo 2000/2006 trova la sua origine dall’accordo
politico concluso dai capi di Stato e di governo al termine del Consiglio europeo di Berlino del
1999. Detto accordo, noto come “Agenda 2000” si presenta come un programma di azione che si
prefigge di rafforzare le politiche comunitarie e di dotare l’Unione europea di un nuovo quadro
finanziario per il periodo evidenziato.
Agenda 2000 ha dato origine a una circa venti testi di legge riguardanti i seguenti obiettivi:
•
stimolare la competitività europea, integrare maggiormente le considerazioni ecologiche,
garantire agli agricoltori redditi equi, semplificare la normativa giuridica e decentrarne
l'applicazione;
•
accrescere l'efficacia dei Fondi strutturali e del Fondo di coesione;
•
potenziare la strategia di preadesione dei paesi candidati mediante due nuovi dispositivi
finanziari: lo strumento strutturale di preadesione (ISPA), per contribuire a migliorare le
infrastrutture di trasporto e di salvaguardia dell'ambiente, e lo strumento agricolo di
preadesione (SAPARD), per favorire l'adeguamento a lungo termine del settore agricolo e
delle zone rurali nei paesi candidati;
•
adottare un nuovo quadro finanziario per il periodo 2000-2006.
Uno dei più importanti obiettivi individuati da tale accordo riguarda proprio la competitività
raggiungibile attraverso una politica di razionalizzazione dei costi e la ricerca della qualità dei
prodotti.
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I regolamenti comunitari di maggiore importanza riguardanti la nuova programmazione sono:
il 1260/99, recante disposizioni generali sui Fondi strutturali;
il 1257/99, sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di
orientamento e di garanzia (FEAOG)
il 1750/99, modificato dal Reg.(CE) 445/2002, recante norme applicative del precedente.
La Regione Marche ha predisposto un proprio Piano di Sviluppo Rurale per il periodo 2000/2006,
presentato alla Commissione europea a fine ’99 e in corso di adeguamento alle osservazioni
presentate dalla Commissione stessa.
Il PSR prevede per il periodo 2000-2006 una spesa pubblica nella regione di circa 450 milioni di
Euro di fondi pubblici per lo sviluppo delle aree rurali. Tali fondi svilupperanno investimenti
complessivi per oltre 690 milioni di Euro.
Nel corso del 2001 l’attuazione del Piano di Sviluppo della Regione Marche ha raggiunto una fase
di piena operatività ed un aspetto di notevole rilievo dell’attuazione del Piano è stata l’adozione di
un sistema informatizzato delle procedure, che se da un lato ha supportato i funzionari regionali
nell’istruttoria dei progetti, dall’altro ha introdotto alcune difficoltà nelle fasi attuative, rispetto ai
metodi di lavoro consolidati e all’innovatività e alla complessità del sistema stesso.
QUESTIONE OGM
Per quanto riguarda le coltivazioni di mais e soia geneticamente modificati, la Magistratura ha
accertato che dette colture sono in grado di inquinare le vicine colture di mais tradizionale e/o
biologico. In proposito la Regione ha costituito nel 2003 il “Nucleo operativo per la prevenzione e
l’intervento in materia di Organismi Geneticamente Modificati” ed ha predisposto il “Piano
complessivo delle attività necessarie per la prevenzione e l’intervento di contrasto in materia di
OGM”. I campioni di granella vengono prelevati dal Corpo Forestale dello Stato mentre l’attività di
controllo analitico dei campioni è effettuato dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e
delle Marche (laboratori di Fermo e Perugia). Inoltre è stata attivata una collaborazione con il
MIPAF al fine di evitare duplicazioni dei controlli, infatti quest’ultimo provvederà a fornire
l’elenco delle analisi effettuate a livello statale.
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“Bibliografia”
www.assobiotec.it
www.ismea.it
www.24oreagricoltura.com
www.politicheagricole.it
www.ice.gov.it
http://digilander.libero.it/flaimo/settore.htm
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