Diocesi di Pisa - Veglia - Movimento Lavoratori di Azione Cattolica

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Fin dalla sua prima pagina, la Bibbia ci presenta la creazione come uscita dal
lavoro del Creatore e consegnata al lavoro della creatura di cui lo sforzo intelligente
deve metterla in valore, completarla per così dire umanizzandola, al suo servizio. Perciò
il lavoro è, secondo il pensiero divino, l’attività normale dell’uomo, e rallegrarsi e
godere dei suoi frutti sono un dono di Dio, poiché ciascuno è retribuito naturalmente
secondo le sue opere.
Ma, se l’uomo può disporre della creazione, non gli appartiene tuttavia di
decidere per sé di ciò che è buono o di ciò che è male: ciò rialza dell’ordine delle cose,
ordine voluto da Dio ed al quale l’uomo deve sottoporsi. In questo brano della Genesi,
l’uomo appare come questa creatura misteriosa che proviene interamente dalla terra, ma
nella quale è stato posto il soffio di Dio. Se viviamo, se respiriamo, se ci muoviamo, è a
causa di questo soffio divino.
La celebrazione del 1° Maggio ci offre l’opportunità di considerare, alla luce del
mistero pasquale, un altro aspetto importante dell’esistenza umana. Voglio parlare della
realtà del lavoro, collocata oggi al centro di cambiamenti veloci e complessi, e che
purtroppo oggi, è all’origine della crisi che conosce una grande parte dell’umanità,
l'Italia compresa. La Bibbia, in numerose pagine, evidenzia che il lavoro appartiene alla
condizione originaria dell’uomo. Quando il Creatore creò l’uomo a sua immagine e
somiglianza, l’invitò a lavorare la terra (cf. Gn 2,5-6). E fu a causa del peccato dei nostri
primi antenati che il lavoro diventò sforzo e fatica (cf. Gn 3,6-8), ma nel progetto
divino, il lavoro conserva intatto tutto il suo valore. Il Figlio di Dio, in ogni cosa simile
a noi, si dedicò durante molti anni alle attività manuali, al punto di essere conosciuto
come il "figlio del falegname".
L’attività professionale deve servire al vero bene dell’umanità, permettendo
"all’uomo, considerato come individuo o come membro della società, di sbocciare
secondo la pienezza della sua vocazione" (GS 35). Affinché ciò accada, la qualifica
tecnica e professionale, anche se è necessaria, non basta; la creazione di un ordine
sociale giusto ed attento al bene di tutto non è neanche sufficiente. Bisogna vivere una
spiritualità che aiuti i cristiani a santificarsi attraverso il lavoro, imitando San Giuseppe
che, ogni giorno, seppe provvedere ai bisogni della Santa Famiglia dalle sue proprie
mani e che, per questa ragione, la Chiesa l’ha scelto come Padrone dei lavoratori. La
sua testimonianza mostra che l’uomo è il soggetto e l’attore del lavoro. Confidiamo
dunque i giovani che riescono con difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro a San
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Giuseppe, i disoccupati e quelli che soffrono a causa dei problemi dovuti all’importante
crisi del lavoro che genera la crisi economica, familiare, di speranza.... Con Maria, sua
Sposa, San Giuseppe veglino su tutti i lavoratori, su tutti quanti soffrono per il
mantenimento delle loro famiglie, ed ottengano per le famiglie e per tutta l’umanità,
serenità e pace. Che girando lo sguardo verso questo grande santo, i cristiani imparino a
manifestare in modo di Cristo, sorgente di solidarietà vera e di pace stabile.
Nel Vangelo, come al deserto, il popolo è nutrito miracolosamente. I gesti che
Gesù fa per moltiplicare i pani sono al tempo stesso il richiamo dell’esodo e l’annuncio
dell’Eucarestia: l’unico cibo, il vero pasto che può saziare il cuore dell’uomo. Cristo
aspetta anche di noi di portargli il frutto dei nostri sforzi, ed Lui lo moltiplicherà, lo
cambierà nel suo Corpo e nel suo Sangue, per la fame e la sete dell’umanità.
Ogni Eucaristia deve prima di tutto offrire ai partecipanti l’opportunità di un
incontro e di un colloquio personale con il divino Emmanuelle, il Dio con noi (cfr Mt
1,23), il cui epilogo sia la comunione spirituale e, se possibile, sacramentale. Come tutti
sappiamo, in questo è racchiuso il segreto della fedeltà e della perseveranza dei cristiani,
della sicurezza e solidità della loro "casa" interiore in mezzo alle afflizioni e alle
difficoltà del mondo; di fronte a questa crisi e tribolazioni che conosce ognuno. Di fatto,
il Vangelo insegna che la stabilità della casa dipende fondamentalmente non dalla
violenza delle tempeste né dalla furia dei venti, ma dal fatto di essere o no fondata sulla
roccia (cfr Mt 7,24-27). La IIa Assemblea del Sinodo dei Vescovi dedicata all’Europa
aveva esortato a rafforzare le fondamenta interiori di quella "casa di Dio" che è ogni
cristiano, ogni comunità ecclesiale, l’umanità intera che ha accolto Dio fatto uomo: "In
una società e cultura spesso chiuse alla trascendenza, soffocate da comportamenti
consumistici, schiave di antiche e nuove idolatrie, riscopriamo con stupore il senso del
"mistero"; rinnoviamo le nostre celebrazioni liturgiche perché siano segni più eloquenti
della presenza di Cristo Signore; assicuriamo nuovi spazi, al silenzio, alla preghiera e
alla contemplazione". Bisogna quindi evitare gli scogli dell’attivismo, dove sono
naufragati i migliori piani pastorali e tante vite impegnate fino al limite delle loro forze,
e del secolarismo, dove Dio non ha voce né posto, il che impedisce il suo avvento sulla
terra degli uomini.
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Se nella moltiplicazione dei pani (cfr Lc 9,12-17) i discepoli non avessero fatto
giungere alla moltitudine i pezzi risultanti dai cinque pani e dai due pesci benedetti dal
divino Maestro, certamente non si sarebbe potuto dire che "tutti mangiarono e si
saziarono". Certamente, non è mancata la generosità della Chiesa a fornire a Cristo "i
cinque pani e i due pesci", come non è mancata la moltiplicazione degli stessi pani e
pesci.
Di fronte a situazioni umanamente così complesse per l’annuncio del Vangelo, il
racconto della moltiplicazione quasi spontaneamente ci verrà in memoria. I discepoli
esprimono a Gesù la loro perplessità nei confronti della folla che, avendo fame della sua
parola, l’ha seguito fino nel deserto, ed essi gli propongono: "Dimitte turbas.... Congeda
questa folla"... (Lc 9,12). Forse hanno paura, non sapendo proprio non che fare per
saziare un numero tanto importante di persone. Un atteggiamento analogo potrebbe
spuntare nel nostro spirito, tanto potremmo essere scoraggiati dall’enormità dei
problemi che pesano sulla Chiesa e sul mondo, soprattutto di fronte a questa crisi che
prende di più, dimensioni vastissime, e di cui conseguenze tristi ci sono riportate quasi
ogni giorno, nella rubrica della "cronaca" dei canali di televisione. Conviene, in questo
caso, di ricorrere a questa nuova immaginazione della carità che deve spiegarsi non solo
e non tanto nei soccorsi offerti con efficacia, ma più ancora nella capacità di diventare
vicini di quelli che sono nel bisogno, permettendo ai poveri di sentirsi a casa loro, in
ogni comunità cristiana.
Tuttavia Gesù ha un modo che gli è proprio di risolvere i problemi. Provocando
quasi gli Apostoli, dice loro: "Dategli voi stessi da mangiare" (Lc 9,13). Conosciamo
bene la fine del racconto: "Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti loro avanzate
furono portate via dodici ceste. (Lc 9,17). La storia è piena anche dei casi di questi
"santi", di queste associazioni che, di fronte alle difficoltà dei loro concittadini, si
dedicarono per venir loro in aiuto. Come Sant Basile, per esempio che volle costruire,
alle porta di Cesarea, una vasta struttura di accoglienza per quelli che erano nel bisogno,
"una vera cittadella della carità" che in riferimento a lui prese il nome di Basiliade. Di
ciò appare chiaramente che "la carità delle opere dà una forza incomparabile alla carità
delle parole": è questo che fa purtroppo difetto. Molti vivono ancora questa carità
verbale, se si passasse da questo aspetto verbale a quello prammatico, concreto, reale,
più di una persona in difficoltà reali avrebbe trovato soddisfazione, consolazione e
sorriso.
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Allora, per noi, dove trovare il pane necessario per portare una risposta alle
domande così numerose, all’interno o all’esterno delle Chiese e della Chiesa ?
Potremmo essere tentati di lamentarci, come gli Apostoli di Gesù : «Dove potremo noi
trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?». (Mt 15,33).
La nostra prima risorsa, trascendente, è la carità di Dio, che Lui stesso ha sparso
nei nostri cuori per mezzo dello spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5,5). L’amore di
cui Dio ci ha amati può sempre aiutarci a trovare le giuste strade che permettono di
raggiungere il cuore degli uomini e delle donne di oggi, cuori feriti, rattristati, disperati
in seguito alle condizioni troppo precarie di vita. Ad ogni istante, il Signore ci dà, con la
forza del suo Spirito, la capacità di amare e di inventare le forme più belle e più giuste
dell’amore, poiché è l’amore che cambierà veramente la faccia la terra.
Preghiamo per i componenti delle società, siano coinvolti tutti per il destino
felice di tutti in genere, e di ognuno in particolare: come la speranza non delude,
continuiamo a ricercarla anche in mezzo e di fronte alla crisi che ci colpisce tutti.
Don Félix EKUKWA EGBOLO.