Scuola di Barbizon
Transcript
Scuola di Barbizon
LA SCUOLA DI BARBIZON Corot, Monet, Sisley e Pissarro. La Natura protagonista dal 06 marzo al 29 giugno 2010 Roma, Complesso del Vittoriano Dal 6 marzo fino al 29 giugno 2010, Roma ospiterà presso il Museo del Vittoriano un‟importante mostra sull‟impressionismo intitolata Corot, Monet, Sisley e Pissarro. La Natura protagonista. Saranno in esposizione circa 150 opere tra dipinti, disegni su carta e fotografie d‟epoca dei più famosi artisti del movimento artistico nato in Francia nella seconda metà dell‟Ottocento, tutte legate al tema dell‟evoluzione della rappresentazione della natura nell‟intera pittura impressionista. La mostra Corot, Monet, Sisley e Pissarro. La Natura protagonista è realizzata in collaborazione con prestigiose collezioni private e i maggiori musei di tutto il mondo, che hanno consentito di realizzare un suggestivo percorso tematico partendo dagli artisti della Scuola di Barbizon, che abbandonano la rappresentazione classica e pittoresca della natura per raffigurare un paesaggio più selvaggio, fino ad arrivare al nuovo linguaggio con cui gli impressionisti, dal 1870 circa, raffigurano il paesaggio, tentando di integrare natura e industria, città e campagna ''Da Corot a Monet. La sinfonia della natura'', dal 6 marzo al 29 giugno al Complesso Vittoriano di Roma presenta una prestigiosa esposizione che per la prima volta mette in relazione le straordinarie innovazioni, attraverso cui gli Impressionisti rivoluzionarono la pittura tradizionale, con una comprensione piu' ampia della natura, della cultura e della modernizzazione del loro tempo. Oltre 170 opere tra dipinti, opere su carta e fotografie d'epoca, queste ultime mai esposte prima in Italia, ripercorrono l'evoluzione della rappresentazione della natura nella pittura francese dell'Ottocento, partendo dalle prime innovazioni ai canoni classici apportate dai pittori della Scuola di Barbizon, esplorando a fondo la rivoluzione degli Impressionisti, per arrivare al trionfo cromatico delle Ninfee di Monet. Tanti prestigiosi musei di tutto il mondo, insieme ad importanti gallerie e collezioni private, hanno sostenuto questo ambizioso progetto. Tra gli altri il 'The Art Institute di Chiacago', il 'The Metropolitan Museum of Art' e 'The New York public Library di New York', 'The National Gallery of Art' e il The Corcoran Gallery of Art di Washington', il 'Toledo Museum of Art', e 'Kimbell Art Museum', Musee'e Marmottan' e 'Biblioteque nationale de France di Parigi, 'Musee Fabre di Montepellier', e ancora 'Hamburger Kunsthalle e The State Hermitage Museum. La mostra si apre con una selezione di opere a contrasto: da un lato i paesaggi classicheggianti, alla maniera dei Salon, come l'imponente 'Vista dell'isola di Capri' di Harpignies, dall'altro il nuovo approccio degli artisti della Scuola di Barbizon, che sceglievano, invece, di raffigurare luoghi meno spettacolari e di creare composizioni meno fedeli ai dettami della tradizione. Questa mostra è un occasione per ammirare opere mai viste in italia e per esplorare a fondo la rivoluzione degli impressionisti apportata dalla Scuola di Barbizon. Le opere proposte ripercorrono l'evoluzione della rappresentazione della natura nella pittura francese dell'Ottocento, partendo dalle prime innovazioni ai canoni classici apportate dai pittori della Scuola di Barbizon, esplorando a fondo la rivoluzione degli Impressionisti, per arrivare al trionfo cromatico delle Ninfee di Monet. L'esposizione mette in relazione le innovazioni attraverso cui gli impressionisti rivoluzionarono la pittura tradizionale, con una comprensione piu' ampia della natura, della cultura e della modernizzazione del loro tempo. I curatori, Stephen F. Eisenman e Richard R. Brettel, hanno puntato ambiziosamente sul rapporto tra Impressionismo, Natura e Modernità, indagandolo da una nuova prospettiva. Con che risultato? Che gli Impressionisti risultano tra i primi ecologisti. Sembra strano, ma la tesi dimostrata attraverso ben 170 dipinti, oltre a fotografie e documenti, risulta convincente. Si comincia dalle radici del fenomeno, da quei paesaggi classicheggianti che facevano bella vista nei Salon, molto tradizionali, come le belle ed eleganti vedute di HenriJoseph Harpignies. Per passare poi ai paesaggi più semplici, rurali e campagnoli, dei pittori della Scuola di Barbizon, che immortalavano sole e campi nella foresta di Fontainebleau, scegliendo soggetti umili e antitradizionali: le betulle e le stradine di Corot, le rive sull‟Oise di Daubigny. La natura en plein air fa il suo ingresso sulle tele, con una nuova attenzione alla luce e all‟atmosfera e una insolita spontaneità. È il vero punto di partenza degli Impressionisti, che amplificano e unificano le visioni dei maestri di Barbizon. Non si tratta più di rappresentare brani di natura, Federic Bazille «Veduta di un villaggio» come facevano quei bravi pittori, ma di immergersi nella natura stessa, nella sua luce, nelle sue acque, nel suo cielo, in paesi e città. Claude Monet «Ninfee, armonie in blu» Già, perché gli Impressionisti sulle tele infilavano anche fabbriche e mulini, battelli e spaccati urbani, ferrovie e stazioni, insomma la modernità. La natura dipinta diventa il risultato dell‟equilibrio e della commistione di tutte le parti del mondo, l‟insieme di sistemi umani e naturali collegati tra loro. Gli Impressionisti tenevano ben presenti riviste scientifiche come La Nature di Gustave Tissandier e gli studi geologici di Elisée Reclus. Così tra gli anni Settanta e Ottanta dell‟Ottocento, la luce irrompe sui dipinti di Monet a pennellate frenetiche, mentre i suoi treni sbuffano sulla neve, e a noi pare di essere lì dentro, a guardare dal finestrino alberi spogli e steccati. Mentre l‟acqua invade le opere di Alfred Sisley, maestro nel rappresentare i cicli della natura e il potere dell‟idrologia. E Bazille? Attraverso quella bella ragazza seduta su una zolla erbosa, ci fa entrare in un lussureggiante paesaggio provenzale. La rassegna, che comprende 170 opere, tra dipinti, opere su carta e fotografie d‟epoca, si apre con una selezione di opere a contrasto: da un lato i paesaggisti classicheggianti, dall‟altro gli artisti della Scuola di Barbizon, da Corot a Rousseau, da Dupré a Daubigny, che intorno al 1830 cominciarono a disegnare «en plein air». E si chiude con lo splendido ciclo delle Ninfee di Monet, conservato all‟Orangerie di Parigi. In mezzo, le opere di quasi tutti gli impressionisti. Stephen Eisenman, che cura la rassegna, vuole dimostrare che furono i primi «artisti ecologici» della storia. E lo fa mettendoli a confronto con gli scienziati che teorizzavano «l‟economia della natura», ovvero la visione della terra come un insieme di sistemi umani e naturali, con tutte le parti ugualmente vitali e vincolate l‟una all‟altra. Perciò i dipinti di Courbet sono appesi accanto ad alcune copie della rivista scientifica «La Nature», fondata nel 1873 da Gustave Tissandier, che riprendeva e diffondeva i concetti chiave del pensiero ecologico moderno teorizzati per la prima volta nel 1866 dal prussiano Ernst Haeckel. Tissandier era affascinato dall‟acqua come entità concreta e metaforica, dalle sue capacità distruttive e «riproduttive». Affermava che le onde «infliggono ferite» alla delicata epidermide della terra, ma al tempo stesso depositano sedimenti che creano nuova carne: «Se, come dicono alcuni, il ferro è lo scheletro della terra, allora l‟acqua ne è il sangue: il flusso e riflusso incessante, l‟evaporazione e il ritorno infinito corrispondono al battito del cuore umano e alla sua linfa vitale». Ed ecco Courbet dipingere quadri come « La Mosa a Freyr» e «L‟onda»: nel primo il fiume è simile a un‟arteria che scava la roccia e nel secondo le onde pronte a infrangersi sulla riva sembrano vere e proprie rappresentazioni delle potenti forze di erosione e sedimentazione descritte da Tissandier. Un altro scienziato affascinato dall‟acqua fu il geografo radicale Elisée Reclus. Anche di lui si possono esaminare in mostra alcune pubblicazioni. In «Storia di un ruscello» descrisse i cicli dell‟acqua definendoli un simbolo dell‟interazione tra natura e società e annunciando il sogno anarchico di cooperazione e aiuto reciproco: «I popoli si mischieranno con altri popoli come i ruscelli con i ruscelli e i fiumi con i fiumi; prima o poi formeranno una sola e unica nazione, così come tutte le acque di un unico bacino finiscono per confluire inseparabilmente in un unico fiume». La sua teoria, che l‟umanità costituisse un unico organismo destinato a progredire verso l‟emancipazione, influenzò profondamente il pensiero degli anarchici e dei pittori Camille Pissarro e Alfred Sisley. Soprattutto quest‟ultimo dedicò tutta la sua carriera a rappresentare i cicli della natura e il potere dell‟idrologia. Tra gli esempi in mostra, «L‟inondazione a Port-Marly», «L‟inondazione a Moret», «La Senna a St.Mammès», che raffigurano in maniera vivida ciò che Tissandier e Reclus avevano descritto a parole, ovvero che le piene sempre più frequenti dei fiumi francesi erano una conseguenza degli abusi dell‟uomo che distruggeva foreste per lasciare spazio all‟agricoltura. Ma anche il fatto che le comunità sono in grado di adattarsi ai cicli della natura e persino alle calamità provocate dalle azioni sconsiderate dell‟uomo. Da osservare attentamente il modo in cui Sisley dipinge l‟acqua del fiume nella tela «La Senna a St. Mammès»: con pennellate lunghe, simili ad anguille, che trascolorano dal nero all‟azzurro all‟arancio. Tuttavia nell‟angolo in basso a sinistra si notano lumeggiature eseguite con una vena pointillista tre o quattro anni prima che Seurat e Signac inventassero la tecnica e il critico Félix Fénéon ne desse una definizione. La mostra offre inizialmente da un lato i paesaggi classicheggianti, alla maniera dei Salon, come l‟imponente “Vista dell‟isola di Capri” di Harpignies, dall‟altro il nuovo approccio degli artisti della Scuola di Barbizon, che sceglievano, invece, di raffigurare luoghi meno spettacolari e di creare composizioni meno fedeli ai dettami della tradizione. La Scuola di Barbizon comprende quegli artisti, tra cui Corot, Rousseau, Diaz de la Pena, Dupré e Daubigny, che a partire dagli anni trenta dell‟Ottocento, si stabilirono proprio a Barbizon, una località della foresta di Fontainebleau, dove cominciarono a disegnare e, talvolta anche a dipingere, en plein aire con un‟attenzione particolare agli effetti transitori della luce e dell‟atmosfera. La foresta di Fontainbleau, poco lontana da Parigi, rappresentava per i francesi dell‟epoca un vero e proprio monumento naturale, da proteggere e preservare. La mostra si chiude con una testimonianza dello splendido ciclo delle Ninfee di Monet, oggi chiamato “Grandes Decorations . L‟avvento della Terza Repubblica nel 1879 cambiò nettamente la politica artistica dello stato francese, che, se in passato aveva favorito le forme più tradizionali del paesaggio rurale, incoraggiava ora attivamente la raffigurazione delle scene contemporanee. Fu forse anche questo che contribuì al trasferimento di Monet a Vétheuil e ad un atteggiamento nuovo: abbandono dei soggetti esplicitamente moderni, riduzione al minima della presenza umana. La fusione tra pratica artistica e vita privata che Monet attuò, poi, nella casa e nei giardini di Giverny è un esempio perfetto della tendenza antiurbana e introspettiva dell‟arte moderna fin de siècle. La mostra si chiude con una testimonianza dello splendido ciclo delle Ninfee, oggi chiamato Grandes Décorations, installato all‟Orangerie di Parigi e aperto al pubblico nel 1927, un anno dopo la morte dell‟artista. Una mostra che rende meritatamente orgogliosi gli organizzatori e da non perdere per il grande pubblico delle magiche occasioni e da una pittura dai tratti sugge stivi e forte ment e emoti vi. Frédéric Bazille Veduta di un villaggio, 1868 Olio su tela, 137,5 x 85,5 cm Montpellier Agglomération, Musée Fabre ©Cliché Frédéric Jaulmes Gustave Courbet Claude Monet La Mosa a Freyr, Campo di papaveri ca. 1856 Olio su a Vétheuil, 1880 tela, 58,5 x 82 cm Olio su tela, 73 x Lille, Palais des 60 cm Collezione Beaux-Arts privata ©RMN/Jacques Quecq d’Henripret Claude Monet Ninfee, armonia in blu, ca. 1914 Olio su tela, 200 x 200 cm Parigi, Musée Marmottan Monet ©Musée Marmottan, Paris / Giraudon / The Bridgeman Art Library Alfred Sisley Sentiero da By al Bois des RochesCourtaut – Estate di san Martino, 1881 Olio su tela, 59,2 x 81 cm The Montreal Museum of Fine Arts Acquisto John W. Tempest Fund ©The Montreal Museum of Fine Art, Christine Guest Camille Pissarro Paesaggio a Pontoise, 1878 Olio su tela, 53,9 x 65 cm Columbus Museum of Art Dono di Howard D. e Babette L. Sirak, the Donors to the Campaign for Enduring Excellence and the Derby Fund, 1991.001.052 La mostra L‟Impressionismo è certamente un periodo storico artistico al quale sono state dedicate innumerevoli esposizioni, studi e pubblicazioni, ma questa mostra al Complesso del Vittoriano, propone per la prima volta un‟analisi davvero approfondita e complessiva del rapporto tra Impressionismo e Natura e di come gli Impressionisti, con il loro linguaggio artistico innovativo, non solo abbiano reso testimonianza visiva dell‟impatto della modernità sul paesaggio francese, in una coesistenza di passato e presente, ma abbiano abbracciato una nuova prospettiva olistica, che rivela il dinamismo e la contingenza di ogni sistema sociale e naturale. La mostra si apre con una selezione di opere a contrasto: da un lato i paesaggi classicheggianti, alla maniera dei Salon, come l‟imponente Vista dell‟isola di Capri di Harpignies, dall‟altro il nuovo approccio degli artisti della Scuola di Barbizon, che sceglievano, invece, di raffigurare luoghi meno spettacolari e di creare composizioni meno fedeli ai dettami della tradizione. La Scuola di Barbizon comprende quegli artisti, tra cui Corot, Rousseau, Díaz de la Peña, Dupré e Daubigny, che, a partire dagli anni trenta dell‟Ottocento, si stabilirono proprio a Barbizon, una località della foresta di Fontainebleau, dove cominciarono a disegnare e, talvolta anche a dipingere, en plein air, con un‟attenzione particolare agli effetti transitori della luce e dell‟atmosfera, pur mantenendo un notevole rispetto per la tradizione artistica, raffigurando scene rurali solitarie, oltre che per gli elementi legati alla visione e alla vita materiale. La foresta di Fontainbleau, poco lontana da Parigi, rappresentava per i francesi dell‟epoca un vero e proprio monumento naturale, da proteggere e preservare. Come scrive Stephen Eisenman nel suo saggio: “Nel 1860 C.F. Denecourt, il celebre scrittore di guide di viaggio, rivolse un appello all‟imperatore Napoleone III affinché la foresta venisse protetta: „Con i suoi splendidi orizzonti, le superbe masse di rocce antidiluviane, le valli ombreggiate, gli spazi vuoti e gli alberi secolari... [questa foresta] è stata regalata da Dio alla Francia come un modello di paesaggio terreno‟ Théodore Rousseau, dal canto suo, descrisse le foreste come „l‟unico ricordo ancora vivo dell‟epoca eroica della madrepatria, da Carlo Magno a Napoleone‟ e nel 1852 sollecitò Napoleone III a istituire una riserva naturale nella foresta, cosa che quest‟ultimo fece nel 1861. Questa réserve artistique di 1.097 ettari fu uno dei primi parchi nazionali del mondo. (...) I dipinti di Barbizon, comprese le fotografie di Cuvelier, Le Gray, Le Secq e altri, - qui esposte - erano dunque intensamente nostalgici, giacché rievocano il sogno di un‟era in cui – almeno così si credeva – nobili e contadini vivevano in armonia, la terra era fertile e pacifica e le uniche tracce significative dello scorrere del tempo erano il mutare delle stagioni e la diversa intensità della luce nelle ore del giorno.” “Gli impressionisti, che ammiravano Daubigny e negli anni settanta dell‟Ottocento lo seguirono a Auvers“ – spiega Eisenman - amplificarono al massimo le innovazioni e minimizzarono il conservatorismo degli artisti di Barbizon. Nel 1872 Claude Monet si costruì uno studio galleggiante sull‟esempio di Daubigny (autore della serie di incisioni En bateau, 1872, New York Public Library, presenti in mostra), ma anziché guardare in basso verso le sponde dei fiumi per rappresentarne la particolare morfologia, di solito abbracciava con lo sguardo acqua, cielo, ponti, gitanti, passeggiatori, battellieri, braccianti e tutte le forme della natura e della cultura rivierasca. E invece di raffigurare quel mondo complesso gradualmente, con pennellate brevi, misurate e relativamente uniformi, utilizzava segni ampi ed espressivi, macchie, tocchi, riccioli e virgole di colore. Attraverso l‟unione di una superficie pittorica animata e una nuova gamma di soggetti, in effetti, Monet e gli impressionisti aprirono una serie di interrogativi critici sulla modernità che avrebbero stimolato l‟ambiziosa pittura europea per i decenni a venire. Essi sostituirono al nominalismo degli artisti di Barbizon un olismo nuovo e convincente: erano diventati artisti ecologici. “ Una rappresentazione della Natura come forza vitale, nella sua perpetua attività generatrice, priva di figure umane, è quella presentata da artisti come Courbet, Boudin e Cazin. Nelle opere degli Impressionisti appare, quindi, evidente questa nuova volontà di rappresentare una realtà che è frutto dell‟equilibrio e della commistione indissolubile tra tutte le parti del mondo naturale. Prendendo spunto dagli sviluppi della scienza a loro contemporanea, come testimoniano in mostra alcune copie della rivista scientifica La Nature di Gustave Tissandier e pubblicazioni del geologo radicale Elisée Reclus, i pittori impressionisti rappresentarono “l‟economia della natura”, ovvero la terra come un insieme di sistemi umani e naturali collegati tra loro, con tutte le parti ugualmente vitali e reciprocamente vincolate. Quella impressionista è una sfida al pittoresco convenzionale, sia nel virtuosismo della tecnica essenziale, sia in quello della composizione. Come spiega John House nel suo saggio in catalogo: “Le opere eseguite da Pissarro e Monet tra gli anni settanta e ottanta dell‟Ottocento chiariscono ulteriormente questi temi. Negli anni settanta Pissarro realizzò una sequenza di vedute delle rive dell‟Oise in cui le fabbriche giocano un ruolo prominente (vedi per es. in mostra La sente du Chou, Douai, Musée de la Chartreuse). Questa intrusione della contemporaneità equivaleva a un rifiuto delle immagini convenzionali del fiume rese popolari dai dipinti di Charles-François Daubigny, in cui le sponde verdi e nebbiose sono presentate come un rifugio incontaminato (per es. esposto Mattino sull‟Oise, Oshkosh, Paine Art Center and Gardens). A un primo sguardo le fabbriche di Pissarro sembrano accomunabili alla parodistica mietitura di Renoir, ma tra le due c‟è una differenza sostanziale: mentre in Renoir contava soprattutto la decisione di declinare il tema della mietitura in chiave antipittoresca, in Pissarro la rottura è provocata da un‟intrusione fisica nel paesaggio stesso, quella della fabbrica sulla riva del fiume. (...) Considerato nel suo insieme, questo progetto suggerisce che la presenza della modernità può assumere molte forme e che una pittura realmente moderna dovrebbe riunire quegli elementi contrastanti che le rappresentazioni di paesaggi tradizionali avevano escluso.” Anche Monet, nelle vedute di Argenteuil realizzate in questo stesso periodo, esplora un‟ampia gamma di tonalità e atmosfere. A volte il luogo è raffigurato come un villaggio rurale, ma più spesso sono i segni della modernità a imporsi, pur nella loro estrema diversità: fabbriche e ponti ferroviari, ma anche ville suburbane, chalet sulle rive del fiume e imbarcazioni in movimento, con una continua variazione tonale delle opere, che esplorano tutte le più disparate variazioni atmosferiche in una gamma di effetti visivi davvero straordinaria. L‟uomo entra nel paesaggio, come nel capolavoro di Frédéric Bazille dal Musée Fabre di Montpellier, nel quale la donna in primo piano si immerge completamente nella natura, invitando il nostro sguardo a sprofondare nel panorama della valle verdeggiante vicino al villaggio di Castelnau. Come spiega Eisenman, Alfred Sisley, invece, dedicò tutta la sua carriera a rappresentare i cicli della natura e il potere dell‟idrologia: “I suoi maggiori dipinti hanno per soggetto fiumi, laghi, oceani e alluvioni. Ne sono un esempio – tra le opere esposte - L‟inondazione a Port-Marly (1872, Washington, National Gallery of Art), L‟inondazione a Moret (1879, Brooklyn Museum) e La Senna a St.-Mammès (ca. 1882, Muskegon Museum of Art): essi raffigurano in maniera vivida ciò che Tissandier e Reclus descrivevano a parole, ovvero che le piene sempre più frequenti dei fiumi francesi, tra cui la Senna, il Rodano, la Loira e la Garonna, erano una conseguenza dell‟azione e degli abusi dell‟uomo, che tagliava alberi e siepi distruggendo le foreste per lasciar spazio all‟agricoltura. In effetti le grandi inondazioni del 1846, 1856 e 1875 furono ampiamente attribuite alla deforestazione. Ma i quadri di Sisley evidenziano anche un altro aspetto della visione di Reclus, ovvero che le comunità sono in grado di adattarsi ai cicli della natura e persino alle calamità esacerbate dall‟agire dell‟uomo.” La fusione tra pratica artistica e vita privata che Monet attuò, poi, nella casa e nei giardini di Giverny è un esempio perfetto della tendenza antiurbana e introspettiva dell‟arte moderna fin de siècle. Spiega Eisenman “Ormai prossimo alla fine della vita e della carriera, Monet ripensò alle opere dei grandi pittori di Barbizon Rousseau, Díaz, Dupré, Harpignies e Daubigny, nonché dei fotografi Eugène Cuvelier, Gustave Le Gray e Henri Le Secq, i quali avevano tutti posto l‟acqua – in particolare i fiumi e le paludi – al centro della loro visione. Al pari di questi artisti, anche lui considerava l‟acqua – come aveva scritto il naturalista Justus Liebig nel 1845, durante il periodo d‟oro di Barbizon – “l‟agente intermedio di tutta la vita organica”. Le sue ninfee erano forse “il piccolo e tiepido stagno” descritto da Darwin, il brodo primordiale da cui si svilupparono tutte le forme di vita.” La mostra si chiude con una testimonianza dello splendido ciclo delle Ninfee, oggi chiamato Grandes Décorations, installato all‟Orangerie di Parigi e aperto al pubblico nel 1927, un anno dopo la morte dell‟artista. “Queste immense tele panoramiche, che raggiungono un‟estensione totale di oltre novanta metri, segnano un netto passaggio concettuale dall‟originario obiettivo artistico di Monet, ovvero quello di recarsi in campagna e dipingere tutto ciò su cui si posava lo sguardo – terra, cielo, acqua, barche, gente, edifici – purché il risultato fosse una composizione pregevole e coerente.” L‟artista non raffigura più la natura come momento insieme immediato ed eterno, non è più interessato a fissare sulla tela il fondersi di passato e presente, antico e modernità, ma crea, piuttosto, un luogo dell‟anima, un ideale rifugio dalla contingenza della vita quotidiana. Conclude Eisenman: “Questo sforzo di monumentalizzazione è decisamente distante dalla deliberata contemporaneità e contingenza della precedente visione ecologica di Pissarro, Sisley e dello stesso Monet. L‟artista aveva quindi abbandonato l‟ecologia di Reclus, con la sua enfasi sul cambiamento e sull‟interdipendenza dinamica di natura e cultura, per tornare a una versione del paysage nature o natura naturans (la natura che genera se stessa) della scuola di Barbizon, ma stavolta senza la struttura di sostegno del classicismo. Il risultato è una straordinaria emancipazione dalle forze scoraggianti della modernizzazione, ma anche un terribile ritiro in un‟isola privata di sogni e ansietà. ROMA - Un viaggio al centro della terra, o meglio della natura. Anche per l'Impressionismo, questo febbricitante, rivoluzionario, seducente fenomeno artistico scoppiato nella seconda metà dell'Ottocento, può essere rintracciato un percorso avvincente che recupera il suo spirito primordiale, il suo cuore pulsante e ispiratore, la sua anima primigenia. In altre parole, le sue origini ideali. Ed è quello che prova a raccontare con temerarietà la mostra "Da Corot a Monet. La sinfonia della natura", in scena dal 6 marzo al 29 giugno al complesso del Vittoriano, puntuale variazione sul tema che da anni elargisce Comunicare Organizzando di Alessandro Nicosia. Questa volta, sotto la cura di Stephen F. Eisenman, professore della Northwestern University di Chicago, in collaborazione con Richard R. Brettell dell'Università del Texas a Dallas, l'obiettivo è focalizzare l'intima connessione dell'avanguardia impressionista con la natura, quasi un'ovvietà verrebbe da dire se non fosse per lo scrupolo di recuperare la coscienza moderna di Monet, Sisley, Pissarro &Co. Ossia le intuizioni dei pittori della cosiddetta scuola di Barbizon, così chiamata dal delizioso villaggio immerso nella foresta di Fountainebleau poco distante da Parigi (meta doverosa per viaggiatori appassionati di impressionismo) dove un manipolo di intrepidi artisti come Corot, Daubigny, Rousseau, Díaz de la Peña e Dupré negli anni Trenta dell'Ottocento si stabilirono per disegnare e dipingere talvolta anche, udite udite, en plein air, all'aperto. "Pittori, questi, che erano particolarmente attenti agli effetti transitori della luce e dell'atmosfera, e raffiguravano luoghi poco spettacolari che ad alcuni loro predecessori sarebbero apparsi estremamente inadatti alla realizzazione di opere compiute" racconta il curatore. Un esempio clou, in mostra, è "Bordo dell'acqua a Optevoz" di Daubigny (1856 circa), nato sulla base di schizzi a olio eseguiti dal vero forse su una barca a remi, ed è tutto concentrato sulle minuzie naturalistiche, tra fiori selvatici, erbe, arbusti e alberi. Gli impressionisti, che ammiravano Daubigny, non fecero altro che "amplificare al massimo le innovazioni", rivela Eisenmann. Tant'è che Monet, com'è noto, si costruì il suo bateau-atelier, lo studio galleggiante sulla Senna sull'esempio di Daubigny, ma "anziché guardare in basso verso le sponde dei fiumi per rappresentare la particolare morfologia, preferiva abbracciare con lo sguardo acqua e cielo, ponti, gitanti, passeggiatori, battellieri, braccianti e tutte le forme della natura e della cultura rivieresca", dice il curatore. Ecco, allora, che un repertorio di oltre centosettanta opere, tra dipinti, acqueforti e soprattutto fotografie di illustri autori come Cuvelier, Le Secq e Le Gray, mai esposte prima in Italia che colgono l'attimo della vitalità naturalistica (e forse la nota più interessante della mostra), ripercorrono questa sinfonia della natura. A partire dai maestri, dalle betulle, i canali, le strade in salita di Corot, alle paludi di Rousseau alle onde e alle gole nelle foreste di Courbet, alle montagne di Bonheur, ai fiumi di Duprè, alla foresta di Fontainebleau di Díaz de la Peña, agli intrecci di rami di Bresdin. Per poi gradualmente esplorare i guizzi di modernità radicale che spiccano nelle pennellate nuove, brevi come tocchi, dinamiche come virgole o riccioli, pastose, cromaticamente audaci degli allievi. Dal ciclo di foreste, dei pini tagliati, delle vedute delle rive dell'Oise di Pissarro (con la sua personale dialettica del paesaggio), alle suggestioni acquatiche (veri e propri saggi sui fenomeni idrologici) di Sisley, alle primavere di Berthe Morisot (una delle poche donne pittrici del gruppo). Fino all'apoteosi con gli scorci paesaggistici di Monet, "pioniere della pittura ecologica" lo definisce il curatore. Un repertorio di dodici quadri sfoggia i suoi geniali guizzi di impressioni, dall'"Effetto di neve al tramonto" (1875) ai "Giardini delle Tuileries" (1876), al "Ramo della Senna vicino Vetheuil" (1878) al "Prato" (1879) fino al "Campo di papaveri a Vétheuil" (1880), a segnare l'inizio delle sua divagazione visionarie verso lidi semi-astratti. E le "Ninfee" (con quattro esemplari dal Museo Marmottan di Parigi) dove l'acqua, la sua amata acqua, viene posta al centro delle visioni. La mostra si chiude con una piccola grande testimonianza del ciclo delle Grandes Décorations, installato all'Orangerie di Parigi, aperto al pubblico nel 1927 un anno dopo la morte dell'artista, considerato la Cappella Sistina dell'Impressionismo. Opere nate nella sua casa-giardino di Giverny dove Monet volle realizzare, come dice Eisenmann "un'isola utopica" dove vivere la fusione totale con la natura.