Baud Roussiller, precursore della moderna

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Baud Roussiller, precursore della moderna
FABRO – Partiamo all’ora zero di venerdì 16 giugno. Un manipolo composto da un centinaio di
fabresi e un traguardo distante mille e cento chilometri. Sul pullman s’inganna il tempo, ognuno a
modo suo. Varcato il confine che ci introduce in Francia siamo attesi da un cielo grigio e pesante,
granitico, che permane identico fino a Bas-en-Basset, meta remota della nostra spedizione. La
transizione richiede 14 ore e passa. Il primo impatto con la cittadina è un vago senso di ordine
diffuso: i portici in legno lucido, la cura maniacale per le aiuole e i tetti spioventi in file composte,
la coerenza urbanistica, la cintura dei monti intorno e tanta acqua da riempire gli occhi. La regione
dell’Alvernia è infatti ricca di laghi sparsi, che occupano i crateri un tempo scavati dall’impeto di
successive eruzioni esplosive. A zigzagare fra di essi c’è la lingua liquida della Loira, che scorre
indefessa, fiera e sontuosa. Bas-en-Basset si è agghindata per la festa: alberi e cancelli, schiere di
palloncini, tutti inneggianti alla quadricromia che unisce la bandiera italiana a quella francese:
bianco, rosso, verde e blu. Dopo un pranzo all’ombra di conifere alte quasi 40 metri, importate
dall’America da Lafayette in un trasbordo di qualche secolo prima, muoviamo verso una prima
escursione lacustre, dove gli eredi di Baud Roussiller, precursore della moderna pesca a mosca
francese, ci mostrano tecniche utili per stanare i pesci del posto. Al ritorno ognuno viene assegnato
a una famiglia nella quale alloggerà per la durata della trasferta. Tutti noi veniamo avvolti da
un’ospitalità non discreta, ma sfacciata, non riservata ma anzi appassionata e quindi sincera,
talmente profusa da sembrare quasi ostentata, imbarazzante per chi ha il dovere di ricambiare di lì a
poco. Un esempio di europeismo convinto, che parte dal basso, e che si riconosce nella curiosità per
le abitudini e per la storia dell’Altro, nel desiderio di accoglierle a fondo per comprenderle meglio.
Parlando con la gente di Bas-en-Basset sembra quasi un inganno il NO francese alla Costituzione
europea, un bluff, nient’altro che un macroscopico refuso nella sacra bibbia dell’integrazione, di cui
la Francia è stata purtuttavia protagonista con eminenti e ferventi ispiratori quali Jacques Delors e
Jean Monnet.
Il sabato è il giorno dell’ufficialità, delle cerimonie, della consacrazione del gemellaggio. Si
comincia presto, con l’allocuzione dell’europarlamentare francese Catherine Guy-Quint che
disquisisce circa l’importanza dell’incontro fra le alterità e sulla possibilità di uno sviluppo dolce
per il territorio (casualmente lo stesso argomento trattato due giorni prima in un interessante
dibattito avvenuto in quel di Parrano). A seguire, i pompieri locali predispongono alcune
dimostrazioni di intervento, non peritandosi di utilizzare i propri ospiti come cavie da salvare. Il
momento del gonfalone arriva nel pomeriggio, quando i sindaci di Fabro e Bas-en-Basset,
spalleggiati dai presidenti dei comitati per il gemellaggio Raffaele Sanzone e Mireille Hombert, e
dal senatore Adrien Gouteyron, suggellano, fasciati dai rispettivi tricolori, la nuova e reciproca
appartenenza, fra le note intonate dalle rispettive bande musicali, che trovano anch’esse l’intesa in
un’intensa esibizione congiunta. Si firmano quindi i primi documenti comuni, e i cugini d’oltralpe
ci fanno il dono prezioso ed esclusivo delle chiavi della loro cittadina. Ma le sorprese non sono
finite, ed ecco che una carrozza trainata da uno splendido cavallo conduce i sindaci Anacleto
Carboni e Joseph Chapuis verso l’inaugurazione di una targa inneggiante al gemellaggio e di un
monumento eretto ad hoc per l’occasione. Quest’ultimo è emblematico, perché nei suoi quattro lati
unisce con una cintura di stelle (simbolo della Ue, reso per l’occasione similare a un rampicante
d’edera che funge da legatura) l’effigie di Fabro, l’incudine, e di Bas-en-Basset, l’anfora. Entrambi
simboli di profusione: di energia il primo e di liquidi il secondo; ma mentre l’incudine è metafora
del fare e dell’impegno muscolare, l’anfora ha invece capienza per ospitare, per ricevere ma anche
per versare, è un ambivalente contenitore.
Ultimato il protocollo giunge il tempo della distensione, con una partita di calcio a squadre
rigorosamente miste per non ledere lo spirito del gemellaggio col troppo agonismo, e una cena in
una palestra addobbata a ristorante per conoscersi meglio nell’atmosfera del convivio. Scopriamo
così che la cucina francese, per noi inconcepibile perché priva di pasta e olio, può riservare
piacevoli sorprese e insperati accostamenti; scopriamo di non avere in comune solo la fisionomia e
qualche fisima, ma pure affinità nel modo di stare insieme e nella gerarchia dei valori fondamentali.
Scopriamo che in questo Barnum che è l’Europa, al di là degli artifizi fittizi che sono i confini,
esiste una realtà di frontiera che è ben più ampia che può abbracciare in un filo ideale popoli in
apparenza distanti e a cui purtroppo guardiamo troppo spesso col sospetto dell’ubbia più che con la
necessaria curiosità per l’alterità.
La metà di noi parte il giorno seguente disertando la giornata dedicata al castello di Bas-en-Basset,
che si erge superbamente appollaiato su una vetta imponente, e che vanta una storia molto lunga,
dal 1100 d.c. circa. Alla fine resta il retrogusto di una forte esperienza, e l’urgenza di dover
rielaborare una serie complessa di stimoli ricevuti, oltre che, s’intende, la voglia smaniosa di un
enorme piatto di pasta e di un caffè come si deve; una cosa è però chiara sin da subito, e ci
accompagna fedele lungo il dispiegarsi del viaggio: Bas-en-Basset val bene un gemellaggio.
Gabriele Martelloni