Lotta ai cambiamenti climatici e lotta alla povertà energetica
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Lotta ai cambiamenti climatici e lotta alla povertà energetica
RISORSE di Alberto Clô* LOTTA AI CAMBIAMENTI CLIMATICI E LOTTA ALLA POVERTÀ ENERGETICA: QUALE PRIORITÀ? Policies to mitigate climate change may face a turning point at the next Paris Conference if United States and China – the most emitting countries in the world that so far have refused to undertake any binding commitment – will accept to sign an international climate agreement. Two the major challenges. First: is it possible, and to which extent, to structurally reform the fossil fuel-based energy systems, by breaking their historical path-dependent dynamics? Second: in light of current budget constraints, are those climate policies consistent with the other not-less important goal of reducing energy poverty which is affecting the other half of the world? La lotta ai cambiamenti climatici potrebbe conoscere alla prossima Conferenza di Parigi un punto di svolta qualora si registrasse l’adesione dei paesi più responsabili delle emissioni clima-alteranti, Stati Uniti e Cina in testa, che sinora si erano sottratti ad ogni vincolante impegno. Due le questioni dirimenti. Primo: se e in che misura sia possibile modificare in modo sostanziale i sistemi energetici, basati sulle fonti fossili, forzando le dinamiche inerziali che li hanno forgiati. Secondo: se la lotta ai cambiamenti climatici sia compatibile, dati i vincoli delle risorse disponibili, con l’altra non meno prioritaria lotta alla povertà energetica che attanaglia l’altra metà del mondo. I * Direttore Responsabile «Energia» 28 timori sui rischi di eventi catastrofici causati dal global warming vanno diffondendosi con crescente intensità nei governi, negli organismi internazionali, nella Chiesa, nell’industria energetica (1), che pure ne è ritenuta la principale causa, ma soprattutto nell’opinione pubblica allarmata dalle sempre più frequenti calamità naturali. Il 21 settembre 2014 400.000 persone hanno marciato a New York – nella più imponente delle 2.600 manifestazioni tenutesi nel mondo quello stesso giorno – per chiedere ai leader di governo riuniti nella città in un climate summit di passare dalla retorica ai fatti in vista della Conferenza di Parigi (COP 21) del prossimo dicembre. A ventitre anni da Rio de Janeiro, generale è il convincimento che sia urgente por mano ad aggressive politiche capaci, si sostiene, di rivoluzionare i sistemi energetici mondiali in due direzioni. Prima: riorientare la struttura dell’offerta per fonti e modelli di produzione. Per fonti: detronizzando le risorse fossili (2014: 86,3%) (2), prime responsabili delle emissioni di gas serra, a favore di risorse low carbon – le «nuove rinnovabili», in primis solare ed eolico – che in un decennio hanno quadruplicato la loro produzione, rimanendo però ancora marginali nell’offerta di elettricità (2012: 5%) (3), cui sono massimamente destinate, e ancor più in quella di energia primaria (2014: 2,5%). Per modelli di produzione: passando nella generazione elettrica da modelli centralizzati su grandi dimensioni a modelli territorialmente decentrati su piccola scala con l’ausilio di reti intelligenti capaci di gestire in tempo reale produzione e consumo. Seconda direzione: contenere la crescita della domanda di energia con un miglioramento della sua efficienza d’uso – inverso dell’intensità o produttività energetica (energia/ output) – innalzandone di molto le traiettorie rispetto a quelle sostanzialmente costanti degli ultimi due secoli (4). L’America, ad esempio, è oggi oltre due volte energeticamente più efficiente di mezzo secolo fa. ENERGIA 3/2015 Di margini nei paesi avanzati ve ne sono ancora, nonostante il declino della loro domanda da un decennio in qua, non tale comunque da contrastare l’esponenziale crescita di quella dell’altra parte del mondo: con un saldo netto nel periodo di circa 2,4 mld. tep a poco meno di 13,0 mld. tep nel 2014, il 23% in più di un decennio prima. Largo è comunque il consenso che una simile «transizione energetica» sia effettivamente, se non facilmente, realizzabile. Solide analisi empiriche dimostrano d’altronde che i costi indiretti del «non agire» sarebbero superiori in termini di ricchezza perduta a quelli diretti di politiche climatiche preventive (Stern 2007, Brechet e Tulkens 2015, Citi 2015). Ad esserne convinta è soprattutto l’Unione Europea che si è data un’ambiziosa road map per abbattere sino agli otto-nove decimi le sue emissioni di CO2 entro la metà del secolo (Commissione europea 2011). Un arco di tempo nel mondo dell’energia abbastanza limitato qualora si considerino i tempi degli investimenti e della necessaria drastica modifica dello stock di capitale sul versante sia dell’offerta che della domanda. Le cose temo non siano così facili. Per averne consapevolezza, evitando di alimentare costose illusioni, è utile analizzare le dinamiche storiche che hanno forgiato gli attuali sistemi energetici. Non per respingere la necessità dell’auspicata rivoluzione, in una sterile e stucchevole contrapposizione fossili-rinnovabili, ma – al contrario – per aver contezza di cosa realmente significhi. 1. ALCUNI IRRISOLTI MA DIRIMENTI INTERROGATIVI Cinque sono gli interrogativi cui il dibattito ha prestato scarsa attenzione, che elenchiamo senza pretesa di darvi risposta. Primo: se e in quale misura – anche traendo insegnamento dal sapere passato – il futuro dell’energia possa, solo volendolo, essere ridisegnato in modo radicale per orientarlo verso determinate finalità, prescindendo dalle dinamiche inerziali che lo forgiano, dal mutare delle condizioni esogene dei mercati (es. prezzi relativi dell’energia e/o delle singole fonti), dalla sostenibilità economica degli interventi che si propongono. Secondo: chi possa deciderlo (Stati? istituzioni sovranazionali?) e con quali politiche di lungo periodo che sappiano essere impermeabili alle contingenze momentanee cui la politica normalmente risponde e capaci (eventualmente) di garantire la redditività di un fabbisogno di investimenti – in media 2.000 mld. doll. costanti l’anno tra 2014 e 2040 (5) solo sul versante dell’offerta – di gran lunga superiore ai flussi correnti. Terzo: se l’imposizione di modelli energetici low-carbon non abbia a significare, come va accadendo (Clô A., Clô S., Boffa F. 2014), il pesante ritorno degli Stati nel governo e nella pianificazione centralizzata dell’energia, sottraendo al libero mercato quella centralità che le liberalizzazioni gli avevano assegnato e restringendo i gradi di libertà degli agenti economici da cui peraltro dovrebbe provenire la più parte delle risorse da investire. Un ritorno al passato, se così fosse, quando la politica dominava sulle convenienze di mercato – ieri per rafforzare la sicurezza energetica, oggi per abbattere le emissioni inquinanti – senza però che gli Stati dispongano degli strumenti di intervento di un tempo (sussidi, imprese pubbliche, prezzi amministrati, etc.). Quarto: se la lotta ai cambiamenti climatici sia compatibile – dato il vincolo di limitate risorse – con la non meno prioritaria e urgente lotta alla povertà energetica. Quinto: se e in quale misura il futuro dell’energia non sia, invece, in larga parte predeterminato dalla path dependence indotta dalle rigidità che vincolano lo stock di capitale nelle sue infinite articolazioni e dall’organizzazione socio-economica che attorno ad esse è andata modellandosi e che guida abitudini e comportamenti individuali. Nell’energia più che altrove history matters: dipendendo il futuro ampiamente dal passato. Va da sé che la path dependence tenda ad acuirsi al crescere della dimensione dello stock di capitale, da cui dipendono le costanti di tempo dei sistemi energetici stilizzate nelle curve logistiche del succedersi delle fonti impiegate (Fig. 1). Modificarle, forzandone l’ordine interno, per conseguire particolari finalità è oltremodo complesso, mentre non soccorrono similari passate esperienze. L’auto elettrica, ad esempio, verso cui vanno riversandosi molte speranze e investimenti e delle cui potenzialità già a fine Ottocento era convinto Thomas Edison impegnando molti denari «nella carica delle batterie di accumulatori» (Ford e Crowther 1931, p. 10) (6), richiede lunghi tempi di penetrazione per sortire uno spiazzamento significativo dei carburanti petroliferi (che oggi soddisfano il 95% del trasporto globale), stante una flotta di autoveicoli che dagli attuali 900 milioni di unità – il doppio del 1980 – è prevista aumentare a 1.600 milioni entro il 2040, anche se a quella data modelli ibridi ed altri avanzati rappresenteranno una quota significativa dei nuovi veicoli. Lo stesso può dirsi per il parco residenziale – volendone migliorare gli standard d’efficienza energetica – previsto raddoppiare a quella data a 2,8 miliardi di unità. La conclusione è che gli scenari energetici – almeno nell’arco della prossima generazione – possono dirsi in buona parte predeterminati dal lato sia della domanda che dell’offerta. 2. RIMPIANGERE IL PASSATO? Per darne ragione, vale riprendere il significato che l’energia ha assunto nel vivere moderno e la necessità di garantirne la piena disponibilità – guardando al futuro e all’altra parte del mondo che non ne dispone – se non si voglia regredire sulla via del progresso, escludendo questa sia la prospettiva verso cui si vuol tendere. L’energia è 29 ENERGIA 3/2015 vita. Senza, non vi è acqua, non vi è nutrizione. Vi è solo miseria. La capacità dell’uomo di vivere, crescere, produrre ricchezza è strettamente legata alla disponibilità e all’impiego dell’energia. Se confrontiamo la qualità della vita di chi, nei paesi ricchi, ne dispone sino ad abusarne, e chi, in quelli poveri, ne è privo, abbiamo visivamente conto delle disuguaglianze che attraversano il mondo moderno e di cosa significasse, significhi, vivere nell’era pre-moderna. Rimpiangere quei tempi – come talora sembra trapelare da documenti ecologisti – significa rimpiangere la miseria sociale, le carestie, le epidemie, l’elevata mortalità e, paradossalmente, condizioni ambientali del Pianeta di gran lunga peggiori di quelle attuali. È negare la storia dei progressi dell’uomo nella «lotta quotidana contro l’ambiente» (Braudel 1977, p. 34), che hanno consentito in due secoli di aumentare le aspettative di vita media da meno di 30 ad oltre 70 anni. Ridurre queste disuguaglianze è semmai l’imperativo cui dare risposta. Come e con quali tecnologie è la sfida da affrontare. L’energia teoricamente disponibile è infinita; quella effettivamente accessibile lo è molto meno. Dipende dalla capacità delle società umane di governarla e di approntare il capitale necessario a imbrigliarla in modo economicamente efficiente. produzione; l’economia dei trasporti; l’industria metallurgica. Ne seguiva un aumento esponenziale dei confini di accessibilità dell’energia e delle esigenze dell’uomo cui dar soddisfazione. Il valore d’uso dell’energia si accresceva mentre se ne riduceva il costo monetario e il valore di scambio. Il carbone, prima fonte d’energia commerciale, fu un elemento fondante della civiltà industriale e del moderno vivere, consentendo, ad esempio, di mettere i vetri a tutte le case. La sua utilizzazione si afferma non tanto perché in natura più abbondante e meno costoso della legna che andava a sostituire, ma perché più idoneo, per le caratteristiche chimico-fisiche, a combinarsi con le innovazioni che andavano maturando. È grazie allo straordinario ciclo di innovazioni tecnico-scientifiche a cavallo tra Ottocento e Novecento che si consolida la biunivoca correlazione tra progresso ed energia. È il corso delle innovazioni che ha guidato i processi storici di sostituzione delle fonti – in un continuum di «transizioni energetiche» – portando in ogni fase storica (Fig. 1) al dominio di una fonte sulle altre in ragione del nesso che la legava ai nuovi paradigmi tecnologici, mentre poco o nulla vi influivano l’abbondanza o i prezzi relativi. Non è stata la consistenza delle riserve a decretarne il successo, così come la scarsità a causarne il declino. Le riserve di carbone sono, ad esempio, oggi più abbondanti di quelle di un secolo fa, nonostante il suo peso nel bilancio energetico mondiale sia inferiore di oltre la metà. È grazie al petrolio che l’economia moderna conosce nel secolo scorso la sua più straordinaria fase espansiva (7). Se la penetrazione del carbone, del petrolio, dell’elettricità era strettamente connessa all’affermarsi di nuovi paradigmi tecnologici – un intreccio che Joseph Schumpeter (1883-1950) individuerà come due onde lunghe o «Cicli di Nikolaj Kondrat’ev» della moderna economia capitalistica – lo stesso non può dirsi, almeno con la stessa intensità, per le altre fonti di energia che si affermeranno: metano, nucleare, rinnovabili. Alla penetrazione del metano, terza fonte fossile di cui si alimentano i sistemi energetici, prima considerato un inutile e costoso sottoprodotto del petrolio, hanno concorso le innovazioni nelle modalità di trasporto su grandi distanze e l’affermarsi della densità spaziale dei consumi – consumo pro-capite per densità della popolazione – che rendeva conveniente, grazie alle economie di scala, la realizzazione delle infrastrutture di trasporto/distribuzione del metano o, similmente, dell’elettricità. Così come l’acquedotto sostituiva il secchio, metano ed elettricità rimpiazzavano i precedenti più poveri succedanei. La maggior densità avvantaggiava nell’interfuel competition le risorse che più potevano avvalersene, favorendo la crescita dell’offerta/domanda di energia nei 3. ENERGIA E INNOVAZIONI «Se la Rivoluzione Agricola è il processo mediante il quale l’uomo pervenne a controllare e ad aumentare la disponibilità di convertitori biologici (piante e animali), la Rivoluzione Industriale può essere considerata come il processo che permise di intraprendere lo sfruttamento su vasta scala di nuove fonti di energia per mezzo di convertitori inanimati» (Cipolla 1962, tr. it., p. 52), segnatamente la macchina a vapore che rivoluzionerà l’industria carbonifera, moltiplicandone la 30 Fig. 1 - MONDO: FRAZIONI DI MERCATO PER FONTE PRIMARIA EQUIVALENTE (%) 80 Legna Gas Nucleare Carbone 60 Petrolio Idro Rinnovabili 80 60 40 40 20 20 0 1860 1890 Fonte: Vestrucci et al. (2013), p. 55. 1920 1950 1980 2010 0 ENERGIA 3/2015 paesi avanzati, all’opposto di quel che accadeva e accade nei paesi poveri, ove larga parte della popolazione risiede in sperdute aree rurali, irraggiungibili con le tradizionali tecnologie energetiche. 4.LOTTA AI CAMBIAMENTI CLIMATICI Il dominio delle fonti fossili avrebbe indotto mutamenti che costituiscono altrettante condizioni della moderna relazione energia-sviluppo. Il primo è il superamento delle rigidità localizzative e delle discontinuità produttive cui erano costrette le economie dalla prossimità delle foreste e dei corsi d’acqua o dalla mutabilità dei venti. Rigidità che col passaggio al carbone prendono ad allentarsi, in misura però molto parziale, date le sue difficoltà di movimentazione. Il petrolio spezza queste rigidità, per l’abbondanza e la dispersione geografica della sua offerta e la facilità a veicolarlo verso ogni dove, per divenire arena di scontro politico. La sicurezza dei suoi approvvigionamenti diverrà tema prioritario nell’agenda dei governi. Il secondo è l’aumento della scala dimensionale delle loro produzioni, la capacità di concentrare grandi quantità di energia in spazi ristretti che stimoleranno altre innovazioni (elettricità, chimica, trasporti), portando all’affermarsi del modello di crescita fondato sull’espansione dei consumi. Il terzo mutamento era dato dalla progressiva riduzione dei costi reali dell’energia che costituiva una formidabile leva all’aumento della ricchezza. Di questi mutamenti è necessario tener conto, venendo all’oggi e guardando al futuro, in relazione a due questioni. La prima, ciclicamente ricorrente ad ogni aumento dei prezzi, è la finitezza fisica dei combustibili fossili ed il paventato rischio che abbiano a manifestarsi situazioni di loro scarsità, assoluta o relativa, tali da costituire vincolo alla crescita potenziale o indurre uno stato stazionario, come ebbero, erroneamente, a profetizzare Thomas Robert Malthus (1766-1834) e Stanley Jevons (1835-1882). La seconda è la sostenuta necessità di ridurre l’impiego delle fonti fossili: il fattore umano ritenuto dal «scientific consensus» causa prevalente rispetto ai fattori naturali del paventato futuro surriscaldamento della Terra (8). Se, si sostiene, la crescita delle emissioni di anidride carbonica (flusso), non verrà drasticamente ridotta ne aumenterà la concentrazione (stock) in atmosfera, impedendo al calore dei raggi solari riflessi dalla terra di disperdersi nello spazio così causando (9) irreversibili alterazioni degli ecosistemi. Di qui, la decisione di 180 paesi, tra cui in primis quelli dell’Unione Europea, di sottoscrivere nel 1997 il Protocollo di Kyoto, entrato in vigore nel 2005, per ridurre le emissioni clima-alteranti. Le misure messe in campo non sono valse, tuttavia, a modificare nella sostanza i termini della questione climatica. Le emissioni di gas serra hanno toccato nuovi massimi, con quelle di CO2 salite, nonostante la recessione, del 52% tra 1990 e 2013 (10). Il lodevole seppur molto oneroso impegno europeo le ha ridotte di nemmeno l’1% e ancor meno (o addirittura le ha aumentate) se si conteggiassero le maggiori emissioni indotte dalle delocalizzazioni industriali nei pa- esi emergenti a più elevata intensità carbonica (11). Un gioco che, guardando ai fatti, non è valsa la candela. Altre sono tuttavia le prospettive e le speranze della lotta ai cambiamenti climatici qualora la platea dei paesi che vi aderiscono dovesse allargarsi alla prossima Conferenza di Parigi a quelli maggiormente responsabili delle emissioni clima-alteranti e quindi più in grado di contenerle, Stati Uniti e Cina in testa, come parrebbe dalla loro intesa dello scorso anno (12). Se così fosse, potrebbero essere attivate politiche forti che si presume in grado di limitare a meno del 50% la probabilità che il surriscaldamento ecceda i fatidici 2 °C (13). 5. LOTTA ALLA POVERTÀ ENERGETICA La risposta all’una e all’altra questione (finitezza delle risorse fossili e loro impatti ambientali) è stata, come detto, quella di avviare una «transizione energetica» verso nuovi modelli low-carbon. Il punto dirimente, al di là della sua fattibilità, è se il concentrare immani risorse verso tale priorità sia compatibile con l’altra non meno prioritaria esigenza: soddisfare la fame di energia del mondo e quindi di cibo e di acqua. 2,4 miliardi di persone non dispongono di energia in misura tale da assicurare loro minime esigenze vitali; 1,3 non dispongono di energia elettrica; 1,2 scarseggiano d’acqua (14). Al di là delle conseguenze di queste povertà nei paesi che più ne soffrono, rilevanti sono le esternalità negative globali che ne derivano: per la desertificazione delle terre indotte dalla deforestazione (15) e il conseguente minor assorbimento dell’anidride carbonica rilasciata in atmosfera. Quasi un terzo della popolazione mondiale – impossibilitata ad accedere ai mercati energetici per acquistare ciò che più abbisogna – utilizza per le proprie esigenze elementari (cucina, illuminazione, riscaldamento) biomasse, legna, residui agricoli, sterco animale, sottraendoli ad al- 31 ENERGIA 3/2015 tri alternativi utilizzi. La componente dominante è la legna: con un consumo a fini energetici stimato in 3-4 mld. m3 all’anno (16). La povertà energetica – con livelli di consumo pro-capite sino di uno a venti rispetto alle punte dei paesi avanzati – attraversa larga parte dell’Africa, specie Sub-Sahariana, le zone montagnose dell’Asia e andine dell’America del Sud. Scarse disponibilità di biomasse nelle aree rurali e crescenti prezzi in quelle urbane hanno sottratto alle famiglie quantità di tempo e reddito sproporzionati per raccogliere tutto ciò che può servire loro come combustibile (17). Le sofferenze sono soprattutto legate alla mancanza di elettricità, con effetti sulla disponibilità di acqua – per l’impossibilità ad alimentare impianti di desalinizzazione – e sulle attività delle famiglie, non potendo le donne generare altre entrate, i bambini studiare anche dopo il calar della luce, gli uomini irrigare i campi. La scarsità di servizi energetici moderni mina la produttività della popolazione impedendole, in un circolo vizioso, di emanciparsi dal suo stato di povertà. Ancor più drammatiche le conseguenze sulla salute causate dall’indoor air pollution, responsabile, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, di quattro milioni di morti ogni anno, specie donne e bambini. Sconfiggere la povertà energetica è la sfida che il mondo moderno deve affrontare. È la questione etica che i paesi ricchi, che dispongono e dissipano energia, non possono eludere. È la condizione pregiudiziale per attenuare la miseria cronica in cui versa metà della popolazione mondiale ed allentare la pressione demografica ed i flussi migratori verso il mondo ricco. Le disuguaglianze nella distribuzione mondiale dei consumi di energia non sono altro che lo specchio delle disuguaglianze mondiali nella distribuzione della ricchezza. Rimuovere le prime è condizione pregiudiziale per incidere sulle seconde. 32 Tab. 1 - MONDO: DOMANDA DI ENERGIA, 1970-2040 (mld. tep) 19701980 199020002012 2020 2040 Paesi OCSE Paesi non-OCSE Totale domanda 3,7 69%4,04,55,2 54% 5,35,4 5,4 30% 1,7 31%3,04,04,5 46% 7,89,212,4 70% 5,4 100%7,08,59,7 100%13,1 14,617,8 100% Fonte: nostra elaborazione da IEA, World Energy Outlook, anni vari. 6. OSTAGGI DELLE FONTI FOSSILI Gli scenari elaborati dalla più parte dei centri previsivi proiettano nel prossimo quarto di secolo (Tab. 1) un aumento della domanda mondiale di energia di (almeno) un terzo – quanto, a rendere l’idea, il consumo attuale di Nord America ed Europa insieme – dietro la pressione di un raddoppio del reddito reale; di un aumento di circa un terzo della popolazione; del quasi raddoppio della flotta di veicoli; del consolidarsi dei processi di urbanizzazione, con la prospettiva che a metà secolo la popolazione mondiale viva per i sette decimi nelle città rispetto all’attuale metà. L’intero aumento della domanda di energia è previsto nei paesi emergenti, mentre il suo baricentro è previsto slittare verso Oriente, con un capovolgimento della sua distribuzione tra paesi sviluppati e non. Per soddisfare la fame di energia bisognerà gioco forza fare affidamento sulle risorse fossili che resteranno dominanti – con un loro apporto sul totale previsto ridursi tra 2012 e 2040 di soli 7 punti, al 74% (–12 punti tra 1980 e 2040) – ed una loro distribuzione sostanzialmente equivalente, intorno ad un quarto del totale, tra carbone, petrolio, metano (Tab. 2). Per la Tab. 2 - MONDO: STRUTTURA PER FONTI DELLA DOMANDA DI ENERGIA (%) 197019801990 2000 201220202040 Fonti fossili 86858180817974 - Solidi 28252523292824 - Petrolio 42 43 37 36 31 30 26 - Gas naturale17171921212124 Nucleare ..367567 Rinnovabili 13121313141519 - Idroelettrico2222233 - Biomasse (1)11101111101011 - Nuove -......225 Totale 100100100100100100100 (1) Tradizionali e nuove. Fonte: nostra elaborazione da IEA, World Energy Outlook, anni vari. prima volta nella storia dell’energia nessuna fonte sarà dominante sulle altre. L’assieme delle rinnovabili vi contribuirà per meno di un quinto; quelle nuove solo per un ventesimo. L’idea che possano divenire in tempi rapidi un’alternativa alle fonti fossili resta, allo stato delle cose, poco realistica. L’interrogativo si sposta allora sull’adeguatezza fisica delle fonti fossili a soddisfare la domanda nelle quantità/qualità necessarie e a prezzi accessibili. Se è innegabile la loro finitezza, lo è altrettanto il fatto che il loro stock di riserve provate (estraibili ai prezzi e alla tecnologia attuali) è andato nel tempo crescendo, nonostante l’esponenziale aumento delle quantità estratte. L’ossessione sull’approssimarsi del «picco di produzione» del petrolio, livello oltre il quale è destinata irreversibilmente a declinare, è stata smentita dai fatti. Il rapporto riserve/ produzione, indice approssimativo della scarsità fisica e dell’orizzonte temporale di sfruttamento, è aumentato dal 1980 al 2013 da 29 a 53 anni per il petrolio; da 50 a 55 anni per il metano; mentre per il carbone si è quasi dimezzato rimanendo comunque superiore ad un secolo. Che un giorno il petrolio o il metano finiranno è fuor di dubbio. Che quel giorno sia molto là da venire lo è altrettanto, specie alla luce delle straordinarie prospettive dischiuse dallo sfruttamento di idrocarburi non convenzionali da formazioni di scisti grazie al combinarsi delle tecniche di fratturazione idraulica, perforazione orizzontale, sismica informatica. I risultati sono stati straordinari. Dopo anni di un declino che appariva irreversibile, la produzione americana di idrocarburi è aumentata di un terzo, divenendo prima al mondo, davanti a Russia e Arabia Saudita. Se non è la finitezza delle risorse fossili a limitarne l’uso, altri fattori ENERGIA 3/2015 motivano il perdurare del loro dominio. Il fatto, in particolare, che le nuove rinnovabili non soddisfano, allo stato delle tecnologie, anche se consistenti progressi vanno osservandosi, le condizioni che connotano i moderni sistemi energetici essendo disponibili solo là dove lo consentono le condizioni climatiche, mentre le scale produttive non possono che essere minimali ed i costi ancora superiori a quelli delle fonti che vanno a sostituire, includendovi quelli necessari ad adattare le infrastrutture alla loro intermittenza. Svantaggi, per altro, che si attenuano computando tra i benefici le esternalità negative (costi non pagati) che sono in grado di ridurre. I cicli storici di sostituzione delle fonti mostrano che la penetrazione di una nuova fonte richiede un tempo nell’ordine di mezzo secolo per raggiungere una quota grosso modo di un quinto dei complessivi consumi (Anderer et al. 1981). Così è stato per il carbone, per il petrolio, per il metano. Così sarà per le nuove tecnologie rinnovabili. Altra è la questione dell’impatto ambientale delle fonti fossili. Riguardo la correlazione energia-ambiente paiono opportuni tre chiarimenti. Primo: non vi è fonte energetica che non alteri l’ambiente, con effetti nocivi percepibili solo nel tempo, anche in relazione agli sviluppi delle conoscenze scientifico-sanitarie. L’energia ha impattato sull’ambiente «sin da quando l’uomo, con il fuoco, cominciò ad usare l’energia in modo controllato [...] per distruggere boschi e creare le praterie adatte agli animali che cacciava» (Marchetti 1987, p. 11). Secondo: i processi di sostituzione – grazie al progresso tecnologico incorporato – hanno attenuato l’impatto ambientale unitario delle fonti (18), lungo un percorso di loro progressiva decarbonizzazione. Così accadrà con la transizione alle nuove rinnovabili. Terzo: l’intensità dell’impatto ambientale delle singole fonti, nelle diverse e spesso tardive conoscenze, cresce con la dimensione del loro impiego. Piccoli impianti non suscitano particolari inquietudini se in numero ridotto o isolati. Altro se la loro diffusione dovesse moltiplicarsi ed estendersi ad ampi territori (19). 7. LA FORZA DELLA TECNOLOGIA Guardando al domani con l’esperienza di ieri, non v’è comunque motivo per ritenere che le nuove catastrofiche profezie sui «cambiamenti climatici» abbiano miglior fortuna di quelle passate sui «limiti dello sviluppo» (Meadows et al. 1972). Che non vi siano potenzialità, strumenti, modi per fronteggiarle. La sfida è provvedervi con uno straordinario impegno di R&S in grado di imbrigliare in modo economicamente sostenibile nuove fonti inesauribili. Impegno disatteso – al di là delle retorica delle buone intenzioni – ove si consideri che i bilanci pubblici nella ricerca energetica sono stati tagliati dalle punte dei primi anni 1980 di quattro volte nell’Unione Europea (20) e sino a cinque volte negli Stati Uniti (21). Nonostante questo, riteniamo che a salvare il mondo dai catastrofismi sarà – ieri come oggi – la tecnologia nelle sue imprevedibili traiettorie, combinata alla capacità del capitalismo di trarne profitto in assetti aperti al mercato. È sulla sua forza, sull’intelligenza degli uomini, sulla capacità innovativa delle imprese che bisogna puntare, come dimostra la shale revolution. Lasciamole liberamente giocare. Confortano in tal senso le prospettive che vanno dischiudendosi negli ambiti in cui si concentra l’impegno di laboratori universitari, centri di ricerca, grandi corporations. Solo per citarne alcuni: (a) convergenza elettricità/information technology che attraverso reti intelligenti ottimizza il coordinamento dei sistemi elettrici accrescendone la compatibilità con la generazione distribuita; (b) convergenza indu- strie elettrica/telecomunicazioni, finalizzata all’elettrificazione di aree rurali isolate nei paesi poveri con piattaforme che combinano generazione da piccoli impianti solari con sistemi locali di trasmissione off-grid e telefonia mobile come strumento di pagamento; (c) tecnologie e sistemi di accumulo elettrico da risorse rinnovabili, che rivoluzionerebbero l’intera economia e il design dei sistemi elettrici, allentando il vincolo della loro intermittenza e imprevedibilità; (d) elettrificazione dei trasporti in competizione tra sistemi a batteria e combinazione idrogeno-celle a combustibili; (e) produzione di biocarburanti di nuova generazione frutto della combinazione tra chimica, biotecnologia, genetica; (f) sviluppo delle tecnologie di cattura e sequestro del carbonio. Tutte tecnologie in grado di dar seguito alla decarbonizzazione delle economie anche se a costi «beyond astronomical», a dire di Bill Gates che pure vi ha investito somme ingenti (22). La prospettiva di dover dipendere ancora per decenni dall’impiego delle fonti fossili non libera il mondo dalla necessità di operare sin d’ora per costruire il «dopo fossili»: evitando di «trovarci con le miniere esaurite e con i depositi di sostanze inquinanti pieni» (Cipolla 1962, tr. it., p. 66). Su questo e non su altro si misura la capacità della politica di dar seguito al proprio impegno nella lotta ai cambiamenti climatici. Come ha scritto Vaclav Smil: «La nostra civiltà è solo una fase di passaggio: diversamente da quelle da cui è stata preceduta, essendo interamente basata sullo sfruttamento di combustibili fossili, non potrà infatti protrarsi per migliaia di anni, poiché le scorte di energia fossile sono limitate e, anche se usate nel modo più efficiente, comunque destinate a esaurirsi tra mezzo millennio o poco più. In realtà, la fine della nostra civiltà potrebbe verificarsi ben prima dell’esaurimento fisico delle scorte di carbone e di idrocarburi: il costo crescente, i crescenti rischi ambientali legati all’uso dei combustibili fossili ob- 33 ENERGIA 3/2015 bligherà i nostri discendenti a ritornare a sfruttare l’energia solare o a sviluppare nuove fonti di energia» (1994, tr. it., p. 223). 8. RISCHI CLIMATICI E RISCHI D’OFFERTA Operare per un futuro ambientalmente sostenibile non libera allo stesso modo dall’esigenza di soddisfare la fame di energia: due priorità che bisogna conseguire congiuntamente evitando il mismatch tra rischi climatici e rischi d’offerta. Se politiche ambientali forti fossero, infatti, adottate in tempi relativamente rapidi e con modalità cogenti, aspetto dirimente nella lotta ai cambiamenti climatici, e nell’ipotesi, per taluni eroica, che raggiungessero gli obiettivi auspicati, una parte significativa (sino alla metà) delle riserve fossili perderebbe di valore (carbon bubble), affondando gli investimenti già realizzati e disincentivandone di nuovi (Mitchell et al. 2015, p. 36). Col rischio che l’offerta incrementale di tali risorse sia inadeguata alla bisogna per quantità e prezzi. Se, per contro, un pur ampio consenso politico internazionale non dovesse – nei fatti – modificare il corso delle cose, si accrescerebbero i rischi climatici mentre permarrebbe la necessità di dover far affidamento anche in futuro sulle risorse fossili col rischio, anche in tal caso, che gli investimenti si dimostrassero inadeguati a soddisfare la domanda. Un’eventualità rafforzata dal crollo dei prezzi di petrolio e metano di due terzi da un anno in qua e dal conseguente crollo degli investimenti. La conclusione è che mentre politiche climatiche forti nulla garantiscono sui loro esiti di lungo termine, gli effetti di deterrenza sugli investimenti tradizionali si manifesterebbero sin d’ora, in una misura prevista nell’ordine di un terzo nei prossimi due decenni (23), con impatti negativi sugli equilibri di mercato e ancor più sulla povertà energetica. Bologna, Settembre 2015 NOTE (1) Si rimanda, in particolare, al documento Let’s partner on climate action. Now, sottoscritto nell’aprile 2015 dai CEO di 43 imprese di 20 settori diversi, tra cui quello energetico. (2) Dato tratto da BP (2015), BP Statistical of World Energy, June. (3) Dato tratto da IEA (2014), p. 242. Includendo anche l’idroelettrica la percentuale sale al 21%. (4) I consumi di energia nel mondo sono aumentati mediamente del 2,2% all’anno dal 1850 alla fine del 1900, mentre la popolazione è cresciuta dell’1,8% all’anno, così che l’aumento del consumo energetico pro-capite è stato grosso modo dello 0,5% medio annuo (Marchetti 1987, pp. 2071-2072). (5) Dato tratto da IEA (2014), p. 84. (6) Si rimanda anche alla lettera inviata da Thomas Edison ad Henry Ford citata in Citi (2015), p. 3. (7) Con un aumento, nell’arco del XX secolo, di circa 46 volte del reddito reale, di 12 volte di quello pro-capite, di 4 volte della 34 popolazione. Una crescita che spiega quasi interamente l’aumento dei consumi di energia di circa 20 volte: trainato per la metà da quelli di petrolio. (8) Cfr. Konnin S.E. (2015), Climate Science Is Not Settled, in «The Wall Street Journal», The Saturday Essay, 19 settembre. (9) Tale concentrazione è passata dalle 280 parti per milione (ppm) dell’era pre-industriale a livelli intorno a 400 ppm, con un aumento della temperatura terrestre di 1 ° C. Agli attuali trend essa potrebbe spingersi oltre i 600 ppm con un aumento della temperatura entro fine secolo di 4-5 ° C: ben oltre la soglia di salvaguardia dei 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali (1860-1870). (10) In termini assoluti le emissioni sono salite da 21 a 32 mld. tonn. tra 1990 e 2013; cfr. IEA (2015), p. 155. (11) Idem, p. 163. Tra 1990 e 2013 le emissioni dell’area OCSE-Europa sono diminuite da 3,9 a 3,6 mld. tonn., pari all’11% delle emissioni mondiali. ENERGIA 3/2015 (12) Cfr. White House Press Office (2014), US-China Joint Announcement on Climate Change, 11 novembre. (13) È questo l’obiettivo delle strong policies delineate dall’IEA nel World Energy Outlook 2014. (14) Si rinvia all’articolo di G.B. Zorzoli in questo numero di «Energia». (15) Si stima che il tasso annuo di deforestazione (1990-2005) ammonti tra i 40.000 e i 50.00 km2 nel paesi a più basso reddito e tra i 30.000 e 40.000 in quelli a medio reddito; cfr. Clô e Proietti Silvestri (2013). (16) In Tanzania, dove l’uso della biomassa prevalentemente legnosa arriva a coprire livelli superiori al 90% del consumo energetico, si registrano i più alti tassi di deforestazione con una stima di 412.000 ettari all’anno di foreste che scompaiono. (17) In talune aree donne e bambini dedicano a questa attività sino a 300 giorni all’anno e sino alla metà del proprio reddito. Cfr. World Resources Institute (1986), World Resources, Basic Books, New York, pp. 61 e 68. Secondo l’IEA quasi 2,7 miliardi di persone, circa il 40% della popolazione mondiale, fa uso delle biomasse tradizionali per cucinare, rappresentando per i paesi dell’Africa centrale tra il 70% e il 90% dei complessivi consumi di energia. In Nigeria, più di 100 milioni di persone fanno uso di biomasse. Cfr. IEA (2011), World Energy Outlook 2011, OECD/IEA, Parigi. (18) La nocività delle risorse fossili è connessa alla loro combustione – reazione chimica in cui, a contatto con l’ossigeno dell’aria, essi bruciano, trasformando l’energia racchiusa in calore, luce, anidride carbonica – con un’intensità, riguardo quest’ultima, che è funzione diretta della combinazione dei due elementi fondamentali che li compongono: idrogeno (H) e carbonio (C). Al ridursi della quota di quest’ultimo si riduce, quindi, l’impatto ambientale riguardo le emissioni di CO2. Ed è quel che avvenuto nel succedersi dei processi di sostituzione energetica. (19) Per installare una potenza eolica di 1,0 MWe necessitano sino a 35 ettari. Una potenza di 25.000 MWe – realizzabile con circa 16.000 turbine – richiederebbe un territorio sui 9.000 km2, pari all’intera regione dell’Umbria. (20) «Se i governi dell’UE investissero oggi agli stessi livelli di allora la spesa pubblica dell’Unione dovrebbe essere quattro volte superiore. Un fatto denunciato “come il più grande e il più grave fallimento del mercato mai visto”». Cfr. Commissione Comunità Europee (2007), Un Piano Strategico Europeo per le Tecnologie Energetiche (Piano SET), Comunicazione, 22 novembre, COM (2007) 723 def., p. 3. (21) La spesa federale americana nella ricerca energetica è crollata dal 10% all’1% di quella complessiva. Cfr. Nemet G.F. e Kammen D.M. (2007), U.S. energy research and development: declining investment, increasing need, and the feasibility of expansion, in «Energy Policy», vol. 35, n. 1, pp. 746-755. (22) Citazione tratta da Yergin D. (2015), The Power Revolutions, in «The Wall Street Journal», The Saturday Essay, 21 agosto. (23) Cfr. International Energy Agency (2014), World Energy Investments, Outlook, Special Report, OECD/IEA, Parigi. BIBLIOGRAFIA A nderer J., H aefele W., McDonald A., Nakicenovic N. (1981), Energy in a Finite World, Ballinger Publishing Co., Cambridge (Mass.). Braudel F. (1977), La dinamica del capitalismo, il Mulino, Bologna. Brechet T. e Tulkens H. (2015), Climate Policies: a Burden, or a Gain, in «The Energy Journal», vol. 35, n. 3, pp. 155-169. Cipolla C.M. (1962), The Economic History of World Population, Penguin Books, Harmondsworth; tr. it. (1966), Uomini, Tecniche, Economie, Feltrinelli, Milano. Citi GPS (2015), Energy Darwinism - Why a Low Carbon Future Doesn’t Have to Cost the Earth, August. Clô A. (1993), Energia, fonti di, Enciclopedia delle Scienze Sociali, Treccani, pp. 570-585. Clô A., Clô S., Boffa F. (2014), Riforme elettriche tra efficienza ed equità, il Mulino, Bologna. 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