Lotta ai cambiamenti climatici e lotta alla povertà energetica

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Lotta ai cambiamenti climatici e lotta alla povertà energetica
RISORSE
di Alberto Clô*
LOTTA AI CAMBIAMENTI
CLIMATICI E LOTTA
ALLA POVERTÀ ENERGETICA:
QUALE PRIORITÀ?
Policies to mitigate climate change may face a turning point at
the next Paris Conference if United States and China – the most
emitting countries in the world that so far have refused to undertake any binding commitment – will accept to sign an international
climate agreement. Two the major challenges. First: is it possible,
and to which extent, to structurally reform the fossil fuel-based energy systems, by breaking their historical path-dependent dynamics?
Second: in light of current budget constraints, are those climate
policies consistent with the other not-less important goal of reducing
energy poverty which is affecting the other half of the world?
La lotta ai cambiamenti climatici potrebbe conoscere alla prossima
Conferenza di Parigi un punto di svolta qualora si registrasse l’adesione dei paesi più responsabili delle emissioni clima-alteranti,
Stati Uniti e Cina in testa, che sinora si erano sottratti ad ogni
vincolante impegno. Due le questioni dirimenti. Primo: se e in che
misura sia possibile modificare in modo sostanziale i sistemi energetici, basati sulle fonti fossili, forzando le dinamiche inerziali che
li hanno forgiati. Secondo: se la lotta ai cambiamenti climatici sia
compatibile, dati i vincoli delle risorse disponibili, con l’altra non
meno prioritaria lotta alla povertà energetica che attanaglia l’altra
metà del mondo.
I
* Direttore Responsabile «Energia»
28
timori sui rischi di eventi catastrofici causati dal global
warming vanno diffondendosi con crescente intensità
nei governi, negli organismi internazionali, nella Chiesa,
nell’industria energetica (1), che
pure ne è ritenuta la principale
causa, ma soprattutto nell’opinione
pubblica allarmata dalle sempre
più frequenti calamità naturali.
Il 21 settembre 2014 400.000 persone hanno marciato a New York
– nella più imponente delle 2.600
manifestazioni tenutesi nel mondo
quello stesso giorno – per chiedere ai leader di governo riuniti nella
città in un climate summit di passare dalla retorica ai fatti in vista
della Conferenza di Parigi (COP 21)
del prossimo dicembre. A ventitre
anni da Rio de Janeiro, generale è
il convincimento che sia urgente
por mano ad aggressive politiche
capaci, si sostiene, di rivoluzionare
i sistemi energetici mondiali in due
direzioni.
Prima: riorientare la struttura
dell’offerta per fonti e modelli di
produzione. Per fonti: detronizzando le risorse fossili (2014: 86,3%) (2),
prime responsabili delle emissioni
di gas serra, a favore di risorse low
carbon – le «nuove rinnovabili», in
primis solare ed eolico – che in un
decennio hanno quadruplicato la
loro produzione, rimanendo però
ancora marginali nell’offerta di
elettricità (2012: 5%) (3), cui sono
massimamente destinate, e ancor
più in quella di energia primaria
(2014: 2,5%). Per modelli di produzione: passando nella generazione
elettrica da modelli centralizzati
su grandi dimensioni a modelli territorialmente decentrati su piccola
scala con l’ausilio di reti intelligenti capaci di gestire in tempo reale
produzione e consumo. Seconda
direzione: contenere la crescita
della domanda di energia con un
miglioramento della sua efficienza d’uso – inverso dell’intensità o
produttività energetica (energia/
output) – innalzandone di molto le
traiettorie rispetto a quelle sostanzialmente costanti degli ultimi due
secoli (4). L’America, ad esempio, è
oggi oltre due volte energeticamente più efficiente di mezzo secolo fa.
ENERGIA 3/2015
Di margini nei paesi avanzati ve ne
sono ancora, nonostante il declino
della loro domanda da un decennio in qua, non tale comunque da
contrastare l’esponenziale crescita
di quella dell’altra parte del mondo: con un saldo netto nel periodo
di circa 2,4 mld. tep a poco meno
di 13,0 mld. tep nel 2014, il 23% in
più di un decennio prima. Largo è
comunque il consenso che una simile «transizione energetica» sia
effettivamente, se non facilmente,
realizzabile.
Solide analisi empiriche dimostrano d’altronde che i costi indiretti del «non agire» sarebbero
superiori in termini di ricchezza
perduta a quelli diretti di politiche
climatiche preventive (Stern 2007,
Brechet e Tulkens 2015, Citi 2015).
Ad esserne convinta è soprattutto l’Unione Europea che si è data
un’ambiziosa road map per abbattere sino agli otto-nove decimi le
sue emissioni di CO2 entro la metà
del secolo (Commissione europea
2011). Un arco di tempo nel mondo dell’energia abbastanza limitato
qualora si considerino i tempi degli
investimenti e della necessaria drastica modifica dello stock di capitale sul versante sia dell’offerta che
della domanda. Le cose temo non
siano così facili. Per averne consapevolezza, evitando di alimentare
costose illusioni, è utile analizzare
le dinamiche storiche che hanno
forgiato gli attuali sistemi energetici. Non per respingere la necessità
dell’auspicata rivoluzione, in una
sterile e stucchevole contrapposizione fossili-rinnovabili, ma – al
contrario – per aver contezza di
cosa realmente significhi.
1. ALCUNI IRRISOLTI MA DIRIMENTI INTERROGATIVI
Cinque sono gli interrogativi
cui il dibattito ha prestato scarsa
attenzione, che elenchiamo senza
pretesa di darvi risposta. Primo: se
e in quale misura – anche traendo
insegnamento dal sapere passato –
il futuro dell’energia possa, solo volendolo, essere ridisegnato in modo
radicale per orientarlo verso determinate finalità, prescindendo dalle
dinamiche inerziali che lo forgiano, dal mutare delle condizioni esogene dei mercati (es. prezzi relativi
dell’energia e/o delle singole fonti),
dalla sostenibilità economica degli
interventi che si propongono. Secondo: chi possa deciderlo (Stati?
istituzioni sovranazionali?) e con
quali politiche di lungo periodo
che sappiano essere impermeabili
alle contingenze momentanee cui
la politica normalmente risponde
e capaci (eventualmente) di garantire la redditività di un fabbisogno
di investimenti – in media 2.000
mld. doll. costanti l’anno tra 2014
e 2040 (5) solo sul versante dell’offerta – di gran lunga superiore ai
flussi correnti. Terzo: se l’imposizione di modelli energetici low-carbon non abbia a significare, come
va accadendo (Clô A., Clô S., Boffa F. 2014), il pesante ritorno degli
Stati nel governo e nella pianificazione centralizzata dell’energia,
sottraendo al libero mercato quella
centralità che le liberalizzazioni gli
avevano assegnato e restringendo i
gradi di libertà degli agenti economici da cui peraltro dovrebbe provenire la più parte delle risorse da
investire. Un ritorno al passato, se
così fosse, quando la politica dominava sulle convenienze di mercato
– ieri per rafforzare la sicurezza
energetica, oggi per abbattere le
emissioni inquinanti – senza però
che gli Stati dispongano degli strumenti di intervento di un tempo
(sussidi, imprese pubbliche, prezzi
amministrati, etc.). Quarto: se la
lotta ai cambiamenti climatici sia
compatibile – dato il vincolo di limitate risorse – con la non meno
prioritaria e urgente lotta alla povertà energetica. Quinto: se e in
quale misura il futuro dell’energia
non sia, invece, in larga parte predeterminato dalla path dependence
indotta dalle rigidità che vincolano
lo stock di capitale nelle sue infinite
articolazioni e dall’organizzazione
socio-economica che attorno ad
esse è andata modellandosi e che
guida abitudini e comportamenti
individuali.
Nell’energia più che altrove history matters: dipendendo il futuro
ampiamente dal passato. Va da sé
che la path dependence tenda ad
acuirsi al crescere della dimensione dello stock di capitale, da cui
dipendono le costanti di tempo dei
sistemi energetici stilizzate nelle
curve logistiche del succedersi delle
fonti impiegate (Fig. 1). Modificarle, forzandone l’ordine interno, per
conseguire particolari finalità è oltremodo complesso, mentre non
soccorrono similari passate esperienze. L’auto elettrica, ad esempio,
verso cui vanno riversandosi molte
speranze e investimenti e delle cui
potenzialità già a fine Ottocento
era convinto Thomas Edison impegnando molti denari «nella carica delle batterie di accumulatori»
(Ford e Crowther 1931, p. 10) (6),
richiede lunghi tempi di penetrazione per sortire uno spiazzamento
significativo dei carburanti petroliferi (che oggi soddisfano il 95% del
trasporto globale), stante una flotta
di autoveicoli che dagli attuali 900
milioni di unità – il doppio del 1980
– è prevista aumentare a 1.600 milioni entro il 2040, anche se a quella data modelli ibridi ed altri avanzati rappresenteranno una quota
significativa dei nuovi veicoli. Lo
stesso può dirsi per il parco residenziale – volendone migliorare gli
standard d’efficienza energetica –
previsto raddoppiare a quella data
a 2,8 miliardi di unità. La conclusione è che gli scenari energetici –
almeno nell’arco della prossima generazione – possono dirsi in buona
parte predeterminati dal lato sia
della domanda che dell’offerta.
2. RIMPIANGERE IL PASSATO?
Per darne ragione, vale riprendere il significato che l’energia ha
assunto nel vivere moderno e la
necessità di garantirne la piena disponibilità – guardando al futuro e
all’altra parte del mondo che non
ne dispone – se non si voglia regredire sulla via del progresso, escludendo questa sia la prospettiva verso cui si vuol tendere. L’energia è
29
ENERGIA 3/2015
vita. Senza, non vi è acqua, non vi
è nutrizione. Vi è solo miseria. La
capacità dell’uomo di vivere, crescere, produrre ricchezza è strettamente legata alla disponibilità e
all’impiego dell’energia.
Se confrontiamo la qualità della
vita di chi, nei paesi ricchi, ne dispone sino ad abusarne, e chi, in
quelli poveri, ne è privo, abbiamo
visivamente conto delle disuguaglianze che attraversano il mondo
moderno e di cosa significasse,
significhi, vivere nell’era pre-moderna. Rimpiangere quei tempi
– come talora sembra trapelare
da documenti ecologisti – significa rimpiangere la miseria sociale,
le carestie, le epidemie, l’elevata
mortalità e, paradossalmente, condizioni ambientali del Pianeta di
gran lunga peggiori di quelle attuali. È negare la storia dei progressi
dell’uomo nella «lotta quotidana
contro l’ambiente» (Braudel 1977,
p. 34), che hanno consentito in due
secoli di aumentare le aspettative
di vita media da meno di 30 ad oltre 70 anni.
Ridurre queste disuguaglianze
è semmai l’imperativo cui dare
risposta. Come e con quali tecnologie è la sfida da affrontare. L’energia teoricamente disponibile è
infinita; quella effettivamente accessibile lo è molto meno. Dipende
dalla capacità delle società umane
di governarla e di approntare il capitale necessario a imbrigliarla in
modo economicamente efficiente.
produzione; l’economia dei trasporti; l’industria metallurgica. Ne
seguiva un aumento esponenziale
dei confini di accessibilità dell’energia e delle esigenze dell’uomo
cui dar soddisfazione. Il valore d’uso dell’energia si accresceva mentre se ne riduceva il costo
monetario e il valore di scambio.
Il carbone, prima fonte d’energia
commerciale, fu un elemento fondante della civiltà industriale e del
moderno vivere, consentendo, ad
esempio, di mettere i vetri a tutte le
case. La sua utilizzazione si afferma non tanto perché in natura più
abbondante e meno costoso della
legna che andava a sostituire, ma
perché più idoneo, per le caratteristiche chimico-fisiche, a combinarsi con le innovazioni che andavano
maturando.
È grazie allo straordinario ciclo
di innovazioni tecnico-scientifiche
a cavallo tra Ottocento e Novecento
che si consolida la biunivoca correlazione tra progresso ed energia.
È il corso delle innovazioni che ha
guidato i processi storici di sostituzione delle fonti – in un continuum
di «transizioni energetiche» – portando in ogni fase storica (Fig. 1) al
dominio di una fonte sulle altre in
ragione del nesso che la legava ai
nuovi paradigmi tecnologici, mentre poco o nulla vi influivano l’abbondanza o i prezzi relativi. Non è
stata la consistenza delle riserve a
decretarne il successo, così come
la scarsità a causarne il declino. Le
riserve di carbone sono, ad esempio, oggi più abbondanti di quelle
di un secolo fa, nonostante il suo
peso nel bilancio energetico mondiale sia inferiore di oltre la metà.
È grazie al petrolio che l’economia
moderna conosce nel secolo scorso la sua più straordinaria fase
espansiva (7). Se la penetrazione
del carbone, del petrolio, dell’elettricità era strettamente connessa
all’affermarsi di nuovi paradigmi
tecnologici – un intreccio che Joseph Schumpeter (1883-1950) individuerà come due onde lunghe o
«Cicli di Nikolaj Kondrat’ev» della
moderna economia capitalistica –
lo stesso non può dirsi, almeno con
la stessa intensità, per le altre fonti di energia che si affermeranno:
metano, nucleare, rinnovabili.
Alla penetrazione del metano,
terza fonte fossile di cui si alimentano i sistemi energetici, prima
considerato un inutile e costoso
sottoprodotto del petrolio, hanno
concorso le innovazioni nelle modalità di trasporto su grandi distanze e l’affermarsi della densità
spaziale dei consumi – consumo
pro-capite per densità della popolazione – che rendeva conveniente,
grazie alle economie di scala, la
realizzazione delle infrastrutture
di trasporto/distribuzione del metano o, similmente, dell’elettricità.
Così come l’acquedotto sostituiva il
secchio, metano ed elettricità rimpiazzavano i precedenti più poveri
succedanei. La maggior densità avvantaggiava nell’interfuel competition le risorse che più potevano
avvalersene, favorendo la crescita
dell’offerta/domanda di energia nei
3. ENERGIA E INNOVAZIONI
«Se la Rivoluzione Agricola è il processo mediante il quale l’uomo pervenne a
controllare e ad aumentare la disponibilità di convertitori biologici (piante e
animali), la Rivoluzione Industriale può
essere considerata come il processo che
permise di intraprendere lo sfruttamento su vasta scala di nuove fonti di energia
per mezzo di convertitori inanimati» (Cipolla 1962, tr. it., p. 52),
segnatamente la macchina a vapore che rivoluzionerà l’industria
carbonifera, moltiplicandone la
30
Fig. 1 - MONDO: FRAZIONI DI MERCATO PER FONTE PRIMARIA EQUIVALENTE (%)
80
Legna
Gas
Nucleare
Carbone
60
Petrolio
Idro
Rinnovabili
80
60
40
40
20
20
0
1860
1890
Fonte: Vestrucci et al. (2013), p. 55.
1920
1950
1980
2010
0
ENERGIA 3/2015
paesi avanzati, all’opposto di quel
che accadeva e accade nei paesi
poveri, ove larga parte della popolazione risiede in sperdute aree rurali, irraggiungibili con le tradizionali tecnologie energetiche.
4.LOTTA
AI CAMBIAMENTI CLIMATICI
Il dominio delle fonti fossili
avrebbe indotto mutamenti che
costituiscono altrettante condizioni della moderna relazione energia-sviluppo. Il primo è il superamento delle rigidità localizzative e
delle discontinuità produttive cui
erano costrette le economie dalla
prossimità delle foreste e dei corsi d’acqua o dalla mutabilità dei
venti. Rigidità che col passaggio al
carbone prendono ad allentarsi, in
misura però molto parziale, date le
sue difficoltà di movimentazione.
Il petrolio spezza queste rigidità,
per l’abbondanza e la dispersione geografica della sua offerta e
la facilità a veicolarlo verso ogni
dove, per divenire arena di scontro politico. La sicurezza dei suoi
approvvigionamenti diverrà tema
prioritario nell’agenda dei governi.
Il secondo è l’aumento della scala
dimensionale delle loro produzioni, la capacità di concentrare
grandi quantità di energia in spazi ristretti che stimoleranno altre
innovazioni (elettricità, chimica,
trasporti), portando all’affermarsi del modello di crescita fondato sull’espansione dei consumi. Il
terzo mutamento era dato dalla
progressiva riduzione dei costi reali dell’energia che costituiva una
formidabile leva all’aumento della
ricchezza.
Di questi mutamenti è necessario tener conto, venendo all’oggi e
guardando al futuro, in relazione
a due questioni. La prima, ciclicamente ricorrente ad ogni aumento
dei prezzi, è la finitezza fisica dei
combustibili fossili ed il paventato
rischio che abbiano a manifestarsi situazioni di loro scarsità, assoluta o relativa, tali da costituire vincolo alla crescita potenziale
o indurre uno stato stazionario,
come ebbero, erroneamente, a
profetizzare Thomas Robert Malthus (1766-1834) e Stanley Jevons
(1835-1882). La seconda è la sostenuta necessità di ridurre l’impiego
delle fonti fossili: il fattore umano
ritenuto dal «scientific consensus»
causa prevalente rispetto ai fattori
naturali del paventato futuro surriscaldamento della Terra (8). Se, si
sostiene, la crescita delle emissioni
di anidride carbonica (flusso), non
verrà drasticamente ridotta ne aumenterà la concentrazione (stock)
in atmosfera, impedendo al calore
dei raggi solari riflessi dalla terra di disperdersi nello spazio così
causando (9) irreversibili alterazioni degli ecosistemi. Di qui, la decisione di 180 paesi, tra cui in primis
quelli dell’Unione Europea, di sottoscrivere nel 1997 il Protocollo di
Kyoto, entrato in vigore nel 2005,
per ridurre le emissioni clima-alteranti.
Le misure messe in campo non
sono valse, tuttavia, a modificare nella sostanza i termini della
questione climatica. Le emissioni
di gas serra hanno toccato nuovi
massimi, con quelle di CO2 salite,
nonostante la recessione, del 52%
tra 1990 e 2013 (10). Il lodevole seppur molto oneroso impegno europeo le ha ridotte di nemmeno l’1%
e ancor meno (o addirittura le ha
aumentate) se si conteggiassero le
maggiori emissioni indotte dalle
delocalizzazioni industriali nei pa-
esi emergenti a più elevata intensità carbonica (11). Un gioco che,
guardando ai fatti, non è valsa la
candela. Altre sono tuttavia le prospettive e le speranze della lotta ai
cambiamenti climatici qualora la
platea dei paesi che vi aderiscono
dovesse allargarsi alla prossima
Conferenza di Parigi a quelli maggiormente responsabili delle emissioni clima-alteranti e quindi più
in grado di contenerle, Stati Uniti e
Cina in testa, come parrebbe dalla
loro intesa dello scorso anno (12).
Se così fosse, potrebbero essere
attivate politiche forti che si presume in grado di limitare a meno del
50% la probabilità che il surriscaldamento ecceda i fatidici 2 °C (13).
5. LOTTA
ALLA POVERTÀ ENERGETICA
La risposta all’una e all’altra
questione (finitezza delle risorse
fossili e loro impatti ambientali) è
stata, come detto, quella di avviare
una «transizione energetica» verso
nuovi modelli low-carbon. Il punto
dirimente, al di là della sua fattibilità, è se il concentrare immani risorse verso tale priorità sia compatibile con l’altra non meno prioritaria esigenza: soddisfare la fame di
energia del mondo e quindi di cibo
e di acqua. 2,4 miliardi di persone
non dispongono di energia in misura tale da assicurare loro minime
esigenze vitali; 1,3 non dispongono
di energia elettrica; 1,2 scarseggiano d’acqua (14). Al di là delle conseguenze di queste povertà nei paesi
che più ne soffrono, rilevanti sono
le esternalità negative globali che
ne derivano: per la desertificazione
delle terre indotte dalla deforestazione (15) e il conseguente minor assorbimento dell’anidride carbonica
rilasciata in atmosfera. Quasi un
terzo della popolazione mondiale –
impossibilitata ad accedere ai mercati energetici per acquistare ciò
che più abbisogna – utilizza per le
proprie esigenze elementari (cucina, illuminazione, riscaldamento)
biomasse, legna, residui agricoli,
sterco animale, sottraendoli ad al-
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ENERGIA 3/2015
tri alternativi utilizzi. La componente dominante è la legna: con un
consumo a fini energetici stimato
in 3-4 mld. m3 all’anno (16).
La povertà energetica – con livelli di consumo pro-capite sino di
uno a venti rispetto alle punte dei
paesi avanzati – attraversa larga
parte dell’Africa, specie Sub-Sahariana, le zone montagnose dell’Asia e andine dell’America del Sud.
Scarse disponibilità di biomasse
nelle aree rurali e crescenti prezzi
in quelle urbane hanno sottratto
alle famiglie quantità di tempo e
reddito sproporzionati per raccogliere tutto ciò che può servire
loro come combustibile (17). Le
sofferenze sono soprattutto legate
alla mancanza di elettricità, con
effetti sulla disponibilità di acqua
– per l’impossibilità ad alimentare impianti di desalinizzazione – e
sulle attività delle famiglie, non
potendo le donne generare altre
entrate, i bambini studiare anche
dopo il calar della luce, gli uomini irrigare i campi. La scarsità di
servizi energetici moderni mina la
produttività della popolazione impedendole, in un circolo vizioso, di
emanciparsi dal suo stato di povertà. Ancor più drammatiche le
conseguenze sulla salute causate
dall’indoor air pollution, responsabile, secondo l’Organizzazione
Mondiale della Sanità, di quattro
milioni di morti ogni anno, specie
donne e bambini.
Sconfiggere la povertà energetica è la sfida che il mondo moderno
deve affrontare. È la questione etica che i paesi ricchi, che dispongono e dissipano energia, non possono eludere. È la condizione pregiudiziale per attenuare la miseria
cronica in cui versa metà della
popolazione mondiale ed allentare
la pressione demografica ed i flussi
migratori verso il mondo ricco. Le
disuguaglianze nella distribuzione mondiale dei consumi di energia non sono altro che lo specchio
delle disuguaglianze mondiali nella distribuzione della ricchezza.
Rimuovere le prime è condizione
pregiudiziale per incidere sulle seconde.
32
Tab. 1 - MONDO: DOMANDA DI ENERGIA, 1970-2040 (mld. tep)
19701980
199020002012
2020 2040
Paesi OCSE Paesi non-OCSE
Totale domanda
3,7
69%4,04,55,2
54% 5,35,4 5,4
30%
1,7
31%3,04,04,5
46% 7,89,212,4
70%
5,4
100%7,08,59,7
100%13,1
14,617,8
100%
Fonte: nostra elaborazione da IEA, World Energy Outlook, anni vari.
6. OSTAGGI DELLE FONTI FOSSILI
Gli scenari elaborati dalla più
parte dei centri previsivi proiettano nel prossimo quarto di secolo
(Tab. 1) un aumento della domanda mondiale di energia di (almeno)
un terzo – quanto, a rendere l’idea,
il consumo attuale di Nord America ed Europa insieme – dietro
la pressione di un raddoppio del
reddito reale; di un aumento di circa un terzo della popolazione; del
quasi raddoppio della flotta di veicoli; del consolidarsi dei processi
di urbanizzazione, con la prospettiva che a metà secolo la popolazione mondiale viva per i sette decimi
nelle città rispetto all’attuale metà.
L’intero aumento della domanda di
energia è previsto nei paesi emergenti, mentre il suo baricentro è
previsto slittare verso Oriente, con
un capovolgimento della sua distribuzione tra paesi sviluppati e non.
Per soddisfare la fame di energia
bisognerà gioco forza fare affidamento sulle risorse fossili che resteranno dominanti – con un loro
apporto sul totale previsto ridursi
tra 2012 e 2040 di soli 7 punti, al
74% (–12 punti tra 1980 e 2040) –
ed una loro distribuzione sostanzialmente equivalente, intorno ad
un quarto del totale, tra carbone,
petrolio, metano (Tab. 2). Per la
Tab. 2 - MONDO: STRUTTURA PER FONTI
DELLA DOMANDA DI ENERGIA (%)
197019801990 2000 201220202040
Fonti fossili 86858180817974
- Solidi
28252523292824
- Petrolio 42 43 37 36 31 30 26
- Gas naturale17171921212124
Nucleare ..367567
Rinnovabili 13121313141519
- Idroelettrico2222233
- Biomasse (1)11101111101011
- Nuove
-......225
Totale 100100100100100100100
(1) Tradizionali e nuove.
Fonte: nostra elaborazione da IEA, World Energy
Outlook, anni vari.
prima volta nella storia dell’energia
nessuna fonte sarà dominante sulle
altre. L’assieme delle rinnovabili vi
contribuirà per meno di un quinto; quelle nuove solo per un ventesimo. L’idea che possano divenire
in tempi rapidi un’alternativa alle
fonti fossili resta, allo stato delle
cose, poco realistica. L’interrogativo si sposta allora sull’adeguatezza
fisica delle fonti fossili a soddisfare
la domanda nelle quantità/qualità
necessarie e a prezzi accessibili.
Se è innegabile la loro finitezza,
lo è altrettanto il fatto che il loro
stock di riserve provate (estraibili
ai prezzi e alla tecnologia attuali)
è andato nel tempo crescendo, nonostante l’esponenziale aumento
delle quantità estratte. L’ossessione sull’approssimarsi del «picco
di produzione» del petrolio, livello
oltre il quale è destinata irreversibilmente a declinare, è stata smentita dai fatti. Il rapporto riserve/
produzione, indice approssimativo
della scarsità fisica e dell’orizzonte
temporale di sfruttamento, è aumentato dal 1980 al 2013 da 29 a 53
anni per il petrolio; da 50 a 55 anni
per il metano; mentre per il carbone si è quasi dimezzato rimanendo
comunque superiore ad un secolo.
Che un giorno il petrolio o il metano finiranno è fuor di dubbio. Che
quel giorno sia molto là da venire lo
è altrettanto, specie alla luce delle
straordinarie prospettive dischiuse
dallo sfruttamento di idrocarburi
non convenzionali da formazioni
di scisti grazie al combinarsi delle
tecniche di fratturazione idraulica,
perforazione orizzontale, sismica
informatica. I risultati sono stati
straordinari. Dopo anni di un declino che appariva irreversibile, la
produzione americana di idrocarburi è aumentata di un terzo, divenendo prima al mondo, davanti a
Russia e Arabia Saudita.
Se non è la finitezza delle risorse
fossili a limitarne l’uso, altri fattori
ENERGIA 3/2015
motivano il perdurare del loro dominio. Il fatto, in particolare, che le
nuove rinnovabili non soddisfano,
allo stato delle tecnologie, anche se
consistenti progressi vanno osservandosi, le condizioni che connotano i moderni sistemi energetici
essendo disponibili solo là dove lo
consentono le condizioni climatiche, mentre le scale produttive
non possono che essere minimali
ed i costi ancora superiori a quelli
delle fonti che vanno a sostituire,
includendovi quelli necessari ad
adattare le infrastrutture alla loro
intermittenza. Svantaggi, per altro, che si attenuano computando
tra i benefici le esternalità negative
(costi non pagati) che sono in grado di ridurre. I cicli storici di sostituzione delle fonti mostrano che
la penetrazione di una nuova fonte
richiede un tempo nell’ordine di
mezzo secolo per raggiungere una
quota grosso modo di un quinto
dei complessivi consumi (Anderer
et al. 1981). Così è stato per il carbone, per il petrolio, per il metano.
Così sarà per le nuove tecnologie
rinnovabili.
Altra è la questione dell’impatto
ambientale delle fonti fossili. Riguardo la correlazione energia-ambiente paiono opportuni tre chiarimenti. Primo: non vi è fonte energetica che non alteri l’ambiente,
con effetti nocivi percepibili solo
nel tempo, anche in relazione agli
sviluppi delle conoscenze scientifico-sanitarie. L’energia ha impattato sull’ambiente
«sin da quando l’uomo, con il fuoco,
cominciò ad usare l’energia in modo
controllato [...] per distruggere boschi e
creare le praterie adatte agli animali che
cacciava» (Marchetti 1987, p. 11).
Secondo: i processi di sostituzione – grazie al progresso tecnologico incorporato – hanno attenuato l’impatto ambientale unitario
delle fonti (18), lungo un percorso
di loro progressiva decarbonizzazione. Così accadrà con la transizione alle nuove rinnovabili. Terzo:
l’intensità dell’impatto ambientale
delle singole fonti, nelle diverse e
spesso tardive conoscenze, cresce
con la dimensione del loro impiego. Piccoli impianti non suscitano particolari inquietudini se in
numero ridotto o isolati. Altro se
la loro diffusione dovesse moltiplicarsi ed estendersi ad ampi territori (19).
7. LA FORZA DELLA TECNOLOGIA
Guardando al domani con l’esperienza di ieri, non v’è comunque motivo per ritenere che le
nuove catastrofiche profezie sui
«cambiamenti climatici» abbiano
miglior fortuna di quelle passate
sui «limiti dello sviluppo» (Meadows et al. 1972). Che non vi siano
potenzialità, strumenti, modi per
fronteggiarle. La sfida è provvedervi con uno straordinario impegno
di R&S in grado di imbrigliare in
modo economicamente sostenibile
nuove fonti inesauribili. Impegno
disatteso – al di là delle retorica
delle buone intenzioni – ove si consideri che i bilanci pubblici nella
ricerca energetica sono stati tagliati dalle punte dei primi anni 1980
di quattro volte nell’Unione Europea (20) e sino a cinque volte negli
Stati Uniti (21).
Nonostante questo, riteniamo
che a salvare il mondo dai catastrofismi sarà – ieri come oggi – la
tecnologia nelle sue imprevedibili
traiettorie, combinata alla capacità del capitalismo di trarne profitto
in assetti aperti al mercato. È sulla sua forza, sull’intelligenza degli
uomini, sulla capacità innovativa
delle imprese che bisogna puntare,
come dimostra la shale revolution.
Lasciamole liberamente giocare.
Confortano in tal senso le prospettive che vanno dischiudendosi negli ambiti in cui si concentra
l’impegno di laboratori universitari, centri di ricerca, grandi corporations. Solo per citarne alcuni: (a)
convergenza elettricità/information
technology che attraverso reti intelligenti ottimizza il coordinamento
dei sistemi elettrici accrescendone
la compatibilità con la generazione
distribuita; (b) convergenza indu-
strie elettrica/telecomunicazioni,
finalizzata all’elettrificazione di
aree rurali isolate nei paesi poveri con piattaforme che combinano
generazione da piccoli impianti solari con sistemi locali di trasmissione off-grid e telefonia mobile
come strumento di pagamento; (c)
tecnologie e sistemi di accumulo
elettrico da risorse rinnovabili, che
rivoluzionerebbero l’intera economia e il design dei sistemi elettrici, allentando il vincolo della loro
intermittenza e imprevedibilità;
(d) elettrificazione dei trasporti in
competizione tra sistemi a batteria
e combinazione idrogeno-celle a
combustibili; (e) produzione di biocarburanti di nuova generazione
frutto della combinazione tra chimica, biotecnologia, genetica; (f)
sviluppo delle tecnologie di cattura
e sequestro del carbonio. Tutte tecnologie in grado di dar seguito alla
decarbonizzazione delle economie
anche se a costi «beyond astronomical», a dire di Bill Gates che pure
vi ha investito somme ingenti (22).
La prospettiva di dover dipendere ancora per decenni dall’impiego delle fonti fossili non libera
il mondo dalla necessità di operare sin d’ora per costruire il «dopo
fossili»: evitando di «trovarci con le
miniere esaurite e con i depositi di
sostanze inquinanti pieni» (Cipolla
1962, tr. it., p. 66). Su questo e non
su altro si misura la capacità della
politica di dar seguito al proprio
impegno nella lotta ai cambiamenti climatici. Come ha scritto Vaclav
Smil:
«La nostra civiltà è solo una fase di passaggio: diversamente da quelle da cui è
stata preceduta, essendo interamente
basata sullo sfruttamento di combustibili fossili, non potrà infatti protrarsi
per migliaia di anni, poiché le scorte di
energia fossile sono limitate e, anche se
usate nel modo più efficiente, comunque
destinate a esaurirsi tra mezzo millennio o poco più. In realtà, la fine della
nostra civiltà potrebbe verificarsi ben
prima dell’esaurimento fisico delle scorte di carbone e di idrocarburi: il costo
crescente, i crescenti rischi ambientali
legati all’uso dei combustibili fossili ob-
33
ENERGIA 3/2015
bligherà i nostri discendenti a ritornare
a sfruttare l’energia solare o a sviluppare nuove fonti di energia» (1994, tr. it.,
p. 223).
8. RISCHI CLIMATICI
E RISCHI D’OFFERTA
Operare per un futuro ambientalmente sostenibile non libera allo
stesso modo dall’esigenza di soddisfare la fame di energia: due priorità che bisogna conseguire congiuntamente evitando il mismatch
tra rischi climatici e rischi d’offerta. Se politiche ambientali forti
fossero, infatti, adottate in tempi
relativamente rapidi e con modalità cogenti, aspetto dirimente nella
lotta ai cambiamenti climatici, e
nell’ipotesi, per taluni eroica, che
raggiungessero gli obiettivi auspicati, una parte significativa (sino
alla metà) delle riserve fossili perderebbe di valore (carbon bubble),
affondando gli investimenti già
realizzati e disincentivandone di
nuovi (Mitchell et al. 2015, p. 36).
Col rischio che l’offerta incrementale di tali risorse sia inadeguata
alla bisogna per quantità e prezzi.
Se, per contro, un pur ampio
consenso politico internazionale
non dovesse – nei fatti – modificare
il corso delle cose, si accrescerebbero i rischi climatici mentre permarrebbe la necessità di dover far
affidamento anche in futuro sulle
risorse fossili col rischio, anche
in tal caso, che gli investimenti si
dimostrassero inadeguati a soddisfare la domanda. Un’eventualità
rafforzata dal crollo dei prezzi di
petrolio e metano di due terzi da
un anno in qua e dal conseguente
crollo degli investimenti. La conclusione è che mentre politiche
climatiche forti nulla garantiscono sui loro esiti di lungo termine,
gli effetti di deterrenza sugli investimenti tradizionali si manifesterebbero sin d’ora, in una misura
prevista nell’ordine di un terzo
nei prossimi due decenni (23), con
impatti negativi sugli equilibri di
mercato e ancor più sulla povertà
energetica.
Bologna, Settembre 2015
NOTE
(1) Si rimanda, in particolare, al documento Let’s partner on
climate action. Now, sottoscritto nell’aprile 2015 dai CEO di 43 imprese di 20 settori diversi, tra cui quello energetico.
(2) Dato tratto da BP (2015), BP Statistical of World Energy, June.
(3) Dato tratto da IEA (2014), p. 242. Includendo anche l’idroelettrica la percentuale sale al 21%.
(4) I consumi di energia nel mondo sono aumentati mediamente del 2,2% all’anno dal 1850 alla fine del 1900, mentre la popolazione è cresciuta dell’1,8% all’anno, così che l’aumento del consumo energetico pro-capite è stato grosso modo dello 0,5% medio
annuo (Marchetti 1987, pp. 2071-2072).
(5) Dato tratto da IEA (2014), p. 84.
(6) Si rimanda anche alla lettera inviata da Thomas Edison ad
Henry Ford citata in Citi (2015), p. 3.
(7) Con un aumento, nell’arco del XX secolo, di circa 46 volte
del reddito reale, di 12 volte di quello pro-capite, di 4 volte della
34
popolazione. Una crescita che spiega quasi interamente l’aumento
dei consumi di energia di circa 20 volte: trainato per la metà da
quelli di petrolio.
(8) Cfr. Konnin S.E. (2015), Climate Science Is Not Settled, in
«The Wall Street Journal», The Saturday Essay, 19 settembre.
(9) Tale concentrazione è passata dalle 280 parti per milione
(ppm) dell’era pre-industriale a livelli intorno a 400 ppm, con un
aumento della temperatura terrestre di 1 ° C. Agli attuali trend essa
potrebbe spingersi oltre i 600 ppm con un aumento della temperatura entro fine secolo di 4-5 ° C: ben oltre la soglia di salvaguardia
dei 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali (1860-1870).
(10) In termini assoluti le emissioni sono salite da 21 a 32 mld.
tonn. tra 1990 e 2013; cfr. IEA (2015), p. 155.
(11) Idem, p. 163. Tra 1990 e 2013 le emissioni dell’area OCSE-Europa sono diminuite da 3,9 a 3,6 mld. tonn., pari all’11%
delle emissioni mondiali.
ENERGIA 3/2015
(12) Cfr. White House Press Office (2014), US-China Joint Announcement on Climate Change, 11 novembre.
(13) È questo l’obiettivo delle strong policies delineate dall’IEA
nel World Energy Outlook 2014.
(14) Si rinvia all’articolo di G.B. Zorzoli in questo numero di
«Energia».
(15) Si stima che il tasso annuo di deforestazione (1990-2005)
ammonti tra i 40.000 e i 50.00 km2 nel paesi a più basso reddito e
tra i 30.000 e 40.000 in quelli a medio reddito; cfr. Clô e Proietti
Silvestri (2013).
(16) In Tanzania, dove l’uso della biomassa prevalentemente legnosa arriva a coprire livelli superiori al 90% del consumo energetico, si registrano i più alti tassi di deforestazione con una stima
di 412.000 ettari all’anno di foreste che scompaiono.
(17) In talune aree donne e bambini dedicano a questa attività
sino a 300 giorni all’anno e sino alla metà del proprio reddito. Cfr.
World Resources Institute (1986), World Resources, Basic Books,
New York, pp. 61 e 68. Secondo l’IEA quasi 2,7 miliardi di persone, circa il 40% della popolazione mondiale, fa uso delle biomasse
tradizionali per cucinare, rappresentando per i paesi dell’Africa
centrale tra il 70% e il 90% dei complessivi consumi di energia. In
Nigeria, più di 100 milioni di persone fanno uso di biomasse. Cfr.
IEA (2011), World Energy Outlook 2011, OECD/IEA, Parigi.
(18) La nocività delle risorse fossili è connessa alla loro combustione – reazione chimica in cui, a contatto con l’ossigeno dell’aria, essi bruciano, trasformando l’energia racchiusa in calore,
luce, anidride carbonica – con un’intensità, riguardo quest’ultima,
che è funzione diretta della combinazione dei due elementi fondamentali che li compongono: idrogeno (H) e carbonio (C). Al ridursi
della quota di quest’ultimo si riduce, quindi, l’impatto ambientale
riguardo le emissioni di CO2. Ed è quel che avvenuto nel succedersi dei processi di sostituzione energetica.
(19) Per installare una potenza eolica di 1,0 MWe necessitano
sino a 35 ettari. Una potenza di 25.000 MWe – realizzabile con
circa 16.000 turbine – richiederebbe un territorio sui 9.000 km2,
pari all’intera regione dell’Umbria.
(20) «Se i governi dell’UE investissero oggi agli stessi livelli di
allora la spesa pubblica dell’Unione dovrebbe essere quattro volte
superiore. Un fatto denunciato “come il più grande e il più grave fallimento del mercato mai visto”». Cfr. Commissione Comunità Europee (2007), Un Piano Strategico Europeo per le Tecnologie Energetiche (Piano SET), Comunicazione, 22 novembre, COM
(2007) 723 def., p. 3.
(21) La spesa federale americana nella ricerca energetica è
crollata dal 10% all’1% di quella complessiva. Cfr. Nemet G.F. e
Kammen D.M. (2007), U.S. energy research and development: declining investment, increasing need, and the feasibility of expansion,
in «Energy Policy», vol. 35, n. 1, pp. 746-755.
(22) Citazione tratta da Yergin D. (2015), The Power Revolutions,
in «The Wall Street Journal», The Saturday Essay, 21 agosto.
(23) Cfr. International Energy Agency (2014), World Energy Investments, Outlook, Special Report, OECD/IEA, Parigi.
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