La domiciliazione fiscale delle persone giuridiche
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La domiciliazione fiscale delle persone giuridiche
Aprile 1995 La domiciliazione fiscale delle persone giuridiche e le norme anti-paradisi fiscali di Umberto Di Nuzzo SOMMARIO Pag. 1. Premessa 1216 2. La domiciliazione fiscale delle società e degli enti residenti: l’art. 87 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 1217 3. La domiciliazione fiscale delle società e degli enti non residenti: gli articoli 112 e 113 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e il concetto di “stabile organizzazione” 1218 4. L’art. 76 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e le norme anti paradisi fiscali 1220 5. Considerazioni conclusive 1222 Appendice legislativa Decreto Ministeriale 24 aprile 1992 Artt. 96 e 76 del T.U.I.R. e artt. 28 e 30 del D.L. 41/95 1224 1225 1. Premessa Da un punto di vista fiscale la circolazione dei beni, dei servizi, dei capitali e conseguentemente dei redditi ha determinato il fenomeno della “doppia imposizione”, quando non addirittura quello della “non imposizione”. Strettamente correlato a tali fenomeni vi è quello dell’allocazione del domicilio fiscale in quei Paesi ove le norme tributarie hanno un peso minore o più agevole; molto spesso, infatti, accade che le imprese cercano di trasferire ricchezza imponibile all’estero. Di conseguenza assume precipua importanza, ai fini impositivi, l’attribuzione della qualifica di residente Finanza & Fisco pag. 1216 o di non residente. Con riferimento alle persone giuridiche, l’art. 87 del D.P.R. n. 917 del 1986, nell’indicare i criteri che determinano lo status di residente, prescrive che si considerano residenti “le società e gli Enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede amministrativa o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”. Detti criteri, che sono rivolti alla ricerca dell’effettività della vita societaria e che hanno, pertanto, riguardo alla sede dell’amministrazione o al luogo dove si persegue l’oggetto principale dell’impresa, non attribuiscono rilevanza ad elementi di carattere formale contenuti nell’atto costitutivo della società, spesso intesi a mascherare il tentativo dei soci di sottrarre la società stessa all’applicazione della legge statale. Analogamente a quanto viene previsto per le persone fisiche, anche per la soggettività passiva dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche è richiesto che i menzionati criteri abbiano una permanenza nel tempo (“per la maggior parte del periodo d’imposta”). Quando la sede amministrativa non coincide con quella legale, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, essa si individua nel luogo dello svolgimento dell’attività direttiva e amministrativa e cioè dove si trattano gli affari e dove i diversi fattori dell’impresa vengono organizzati e coordinati per l’esplicazione e il raggiungimento dei fini sociali (tra le tante, Cass., 4 ottobre 1988, n. 5359 e 9 giugno 1988, n. 3910). Ai fini dell’individuazione della sede sociale, non rileva quindi il domicilio di uno o più ammini- Aprile 1995 stratori (o procuratori) o dei soci, ma il luogo ove gli amministratori determinano, in effetti, le scelte dell’attività della società e impartiscono le direttive per la loro realizzazione. Queste preliminari considerazioni portano ad attribuire minore importanza al luogo di costituzione della società, tant’è che le società costituite all’estero, ma aventi nel territorio dello Stato l’oggetto principale dell’impresa, sono soggette alla legge italiana (art. 2505 c.c.); invece le società che si costituiscono nel territorio dello Stato sono soggette alle disposizioni della legge italiana, anche se l’oggetto della loro attività si svolge all’estero (art. 2509 c.c.). In proposito occorre rammentare che, per le imprese e le società, l’iscrizione nel registro delle imprese deve essere richiesta presso l’Ufficio nella cui circoscrizione viene fissata la sede sociale (artt. 2196 e 2296 c.c), per cui esse debbono essere, comunque, classificate come residenti nello Stato, per effetto della sede. 2. La domiciliazione fiscale delle società e degli enti residenti: l’art. 87 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 La norma in esame nel fornire un’ elencazione dei soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche, distingue tra: 1) le società di capitale, nonchè gli enti pubblici e privati (commerciali e non) diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato; 2) le società e gli enti di ogni tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato. In merito alla prima categoria di soggetti, lo stesso art. 87, al comma 3, nel fornire una definizione, precisa che si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale. Ciò significa che una società può essere considerata “fiscalmente residente” in Italia, quando uno dei suddetti elementi sia localizzato o localizzabile nel territorio dello Stato, a nulla rilevando che la società sia stata costituita all’estero. Nella circostanza in cui nell’atto costitutivo o nello statuto è stabilita la sede legale, occorre avere riguardo a questa, riscontrando - comunque - che non si tratti di un’indicazione puramente “formale” (cosiddetto “criterio di effettività”). Se questa non è indicata o non risulta in Italia, la residenza viene stabilita avendo riguardo alla sede dell’amministrazione, cioè il luogo in cui la società svolge in via prevalente la sua attività direttiva ed amministrativa per l’esercizio dell’impresa, centro effettivo dei suoi interessi, desumibile, oltre che dalle risultanze dell’atto costitutivo, anche da elementi concreti, quali l’esistenza di uffici amministrativi, l’indicazione su documenti o fatture e simili. Secondo la dottrina prevalente, la sede dell’amministrazione va individuata nel luogo da cui partono gli impulsi volitivi inerenti all’attività amministrativa della società, anche quando l’esecuzione pratica dell’attività si svolge fuori Italia; quando, invece, manchi nel territorio dello Stato anche la sede dell’amministrazione, si avrà riguardo alla localizzazione dell’oggetto principale dell’attività, desumibile dalle risultanze dell’atto costitutivo, e, in mancanza, dall’attività effettivamente esercitata. L’applicabilità del criterio di effettività (rilevante non soltanto per la definizione dell’oggetto principale della società, ma anche per l’individuazione della sua sede legale e/o dell’amministrazione) non opera solo in via residuale, in mancanza, cioè, delle risultanze formali relative alla società, ma anche in via principale ed, eventualmente, in contrasto con tali risultanze. La stessa Suprema Corte (Sez.III, con sentenza n. 4172 del 10 dicembre 1974) ha stabilito che, ai fini dell’applicabilità ad una società estera della normativa italiana vigente in materia societaria e tributaria, le risultanze dell’atto costitutivo, dello statuto e degli altri atti ufficiali costituiscono condizione sufficiente, ma non necessaria, giacchè se la localizzazione in Italia di tale società è riscontrabile di fatto, il presupposto per l’applicabilità si verifica anche in assenza di riscontro sugli atti ufficiali o in contrasto con gli stessi. Finanza & Fisco pag. 1217 Aprile 1995 3. La domiciliazione fiscale delle società e degli enti non residenti: gli articoli 112 e 113 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e il concetto di “stabile organizzazione”. Il legislatore fiscale nel disciplinare tale domiciliazione ha operato una distinzione basata sul possesso o meno, da parte delle società e degli enti non residenti, di una “stabile organizzazione” nel territorio dello Stato; difatti gli artt. 112 e 113 del D.P.R. n. 917/1986 prescrivono che: organizzazione, la concessione del credito d’imposta sulle imposte prelevate a titolo definitivo dal Paese straniero sugli utili della stabile organizzazione ivi localizzata e così via. Nella ricerca di una più univoca definizione del concetto di stabile organizzazione un punto di riferimento è senza dubbio quello fornito dallo schema di convenzione contro le doppie imposizioni dell’OCSE del 1977, che oltre a definire la “stabile organizzazione” una sede fissa d’affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività, si preoccupa di precisare quali sono i requisiti minimi che tale sede deve presentare per poter essere considerata come autonomo centro di imputazione di redditi. a) per le società non residenti prive di stabile organizzazione nello Stato, il reddito complessivo è formato soltanto dai redditi prodotti nel territorio dello Stato, ad esclusione di quelli esenti da imposta e di Secondo lo schema OCSE sono considerate staquelli assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di im- bili organizzazioni: posta o ad imposta sostitutiva; - una sede di direzione; - una succursale; b) per le società non residenti con stabile organizzazione Stato, il reddito complessivo è determina- un ufficio; - un’officina; to secondo le medesime disposizioni applicabili alle società residenti, sulla base di un apposito conto pro- un laboratorio; - una miniera, cava o comunque un luogo di fitti e perdite relativo alla gestione della stabile organizzazione e alle altre attività produttive di redditi estrazione di risorse naturali; - un cantiere di costruzione o di montaggio la imponibili in Italia. In particolare, il 1° comma dell’art. 112 ribadi- cui durata oltrepassi 12 mesi. sce che per le società e gli enti di ogni tipo, con o senza personalità giuridica, comprese le società ed Non si considera, invece, che vi sia una stabile associazioni indicate nell’art. 5, non residenti in Ita- organizzazione quando: lia, il reddito complessivo da assoggettare a tassazione agli effetti dell’IRPEG, è costituito esclusivamen- è fatto uso di un’installazione al solo scopo di te dai redditi che, ai sensi dell’art. 20 del T.U.I.R., si deposito, di esposizione o di consegna merce apparconsiderano prodotti nel territorio dello Stato. Con tenente all’impresa; riguardo ai redditi d’impresa, lo stesso art. 20 prevede il loro assoggettamento ad imposta in Italia, solo - merci appartenenti all’impresa sono immagazse derivano da attività esercitate mediante stabili or- zinate al solo scopo di deposito, di esposizione o di ganizzazioni nel territorio dello Stato. consegna; Come si può notare l’ordinamento tributario, se da un lato prevede quale condizione necessaria per -merci appartenenti all’impresa sono immagazla domiciliazione in Italia di tali redditi l’esistenza di zinate ai soli fini della trasformazione da parte di un’aluna stabile organizzazione, dall’altro non definisce tra impresa; legislativamente tale nozione, riconducendo tuttavia ad essa importanti effetti giuridici, quali la non impo-una sede fissa d’affari è utilizzata al solo fine nibilità ai fini ILOR dei redditi derivanti da attività di acquistare merci o raccogliere informazioni per commerciali condotte all’estero mediante una stabile l’impresa; Finanza & Fisco pag. 1218 Aprile 1995 -una sede fissa di affari è utilizzata, per l’impresa, al solo fine di pubblicità, di fornire informazioni, di ricerche scientifiche e di attività analoghe che hanno per l’impresa un carattere preparatorio o ausiliario. È poi ulteriormente precisato che: - anche le persone fisiche possono costituire una stabile organizzazione purchè esse, sia sotto il profilo giuridico che economico, dipendano esclusivamente dall’impresa per la quale svolgono la loro attività e siano, quindi, legittimate a concludere affari nel nome dell’impresa; - non si ha stabile organizzazione in uno Stato di un’impresa di altro Stato per il solo fatto che questa eserciti nello Stato la propria attività per mezzo di un mediatore, di un commissario generale o di un altro intermediario che goda di uno status indipendente, purchè costoro agiscano nell’ambito della loro ordinaria attività; - il fatto che una società residente di uno Stato controlli o sia controllata da una società residente in altro Stato, ovvero in quest’ultimo svolga la propria attività (mediante oppure no una stabile organizzazione), non costituisce di per sé motivo sufficiente per far considerare l’una o l’altra delle due società come una stabile organizzazione dell’altra. Sempre sul piano dell’individuazione del concetto di stabile organizzazione, la dottrina e la stessa giurisprudenza hanno manifestato difficoltà “a dare corpo” a tale figura, fondandosi esclusivamente sul tentativo di una sua “traduzione” in termini civilistici. In sostanza, la posizione assunta si risolve nel trasferire in campo fiscale la fattispecie civilistica: così si è affermato che la stabile organizzazione consiste in una figura assimilabile al “ramo d’azienda” oppure si è sottolineata la necessità di una “autonomia economica e gestionale” (1). L'interpretazione ministeriale, dal canto suo, afferma in linea di massima che “in mancanza di una definizione legislativa, occorre far riferimento all’unica fonte disponibile in materia emergente dagli accordi internazionali per l’eliminazione della doppia imposizione” e, quindi, allo schema OCSE. Con riguardo, infine, ai criteri di determinazione del reddito derivante dall’esercizio di attività d’impresa mediante una stabile organizzazione, il modello OCSE adotta il principio del “dealing at arm’s length”, in virtù del quale, secondo quanto stabilito all’art. 7 dello schema di convenzione, “quando l’impresa di uno Stato contraente svolge attività nell’altro Stato per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata, in ciascuno Stato contraente vanno attribuiti a detta stabile organizzazione gli utili che si ritiene sarebbero stati da essa conseguiti se si fosse trattato di un’impresa distinta e separata”. Va da ultimo segnalato l'art. 20-bis (vedi pag. 1226) del D.P.R. n. 917/1986, introdotto dall'art. 30 del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, conv. con mod. dalla L. 85/95 contenente "Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica e per l'occupazione nelle aree depresse". Detta norma, al primo comma, stabilisce che "il trasferimento all'estero della residenza o della sede dei soggetti che esercitano imprese commerciali, che comporti la perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi, costituisce realizzo, al valore normale, dei componenti dell'azienda o del complesso aziendale, salvo che non siano confluiti in una stabile organizzazione situata in territorio dello Stato. La stessa disposizione si applica se successivamente i componenti confluiti nella stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato ne Nota (1) — Sul concetto di stabile organizzazione si vedano, tra gli altri: - Carbone, La nozione di stabile organizzazione e la sua operatività nell’ordinamento italiano, in AA.VV., Il reddito d’impresa nel nuovo testo unico, Padova, 1988; - Garbarino, I redditi prodotti all’estero mediante stabili organizzazioni, in AA.VV., Operazioni internazionali e fiscalità, Milano, 1987, p. 349; - Liccardi, Il trattamento tributario delle stabili organizzazioni. Problemi e considerazioni, in “L’ordinamento tributario”, Padova, 1988; - Lovisolo, Il concetto di stabile organizzazione nel regime convenzionale contro la doppia imposizione, in “Dir. prat. trib.”, 1983, p. 1127; - Pessina, Regime impositivo delle stabili organizzazioni estere di società italiane, in AA.VV., Operazioni internazionali e fiscalità, Milano, 1987, p. 349. Finanza & Fisco pag. 1219 Aprile 1995 vengano distolti. Si considerano in ogni caso realiz- con i commi 7 bis e 7 ter dell’art. 76 è quello di diszate, al valore normale, le plusvalenze relative alle suadere le imprese a delocalizzare i propri utili in Stati stabili organizzazioni all'estero. Per le imprese indi- o territori stranieri a fiscalità privilegiata; viduali si applica l'art. 16, comma 1, lettera g)." - non si tratta di un sistema di consolidazione visto che gli utili realizzati nelle filiali sono oggetto 4. L’art. 76 del D.P.R. 22 dicembre 1986, di una imposizione distinta, ma è soltanto il flusso di reddito che può essere reintegrato, n. 917 e le norme anti paradisi fiscali Come è noto, i provvedimenti anti elusivi si dirigono su due fronti: i possibili componenti negativi di reddito che provengono da Paesi a bassa fiscalità ed i dividendi distribuiti da società ivi situate. In tale ambito assume rilievo l’art. 76 del T.U.I.R., (vedi pag. 1225) approvato con il D.P.R. n. 917/1986, al quale per effetto dell’art. 11, comma 12 della L. n. 413/ 1991 - sono stati aggiunti i commi 7 bis e 7 ter. L’art. 7 bis prescrive l’indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi inerenti ad operazioni intercorse tra imprese residenti e società domiciliate in Stati o territori non appartenenti alla CEE aventi un regime fiscale privilegiato, le quali direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa ai sensi dell’art. 2359 c.c. . Da ciò deriva che per operare la suindicata indeducibilità occorre non solo che gli Stati esteri non siano membri della CEE ma anche che sussista in tali Stati un regime fiscale privilegiato, il quale si configura come tale in dipendenza del fatto che i redditi conseguiti dalle predette società o sono esclusi dalle imposte sul reddito ovvero vi sono soggetti in misura inferiore alla metà di quella complessivamente applicata in Italia sui redditi della stessa natura. L’art. 7 ter fa salva, qualora ricorrano le condizioni suindicate, la facoltà per l’impresa residente di sottrarsi all’onere fiscale conseguente alla indeducibilità delle spese e di altri componenti negativi, a condizione che fornisca la prova dalla quale risulti che le società estere svolgano un’attività commerciale effettiva ovvero che le operazioni poste in essere rispondano ad un effettivo interesse economico e che le stesse abbiano avuto concreta esecuzione. preme meglio delineare le condizioni e gli effetti scaturenti dall’applicazione dell’articolo 76 in esame. Per quanto concerne le condizioni necessarie per la sua applicazione, visto che a partire dall’anno d’imposta 1992, non sono più ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti e determinate società fiscalmente domiciliate in Stati extra - comunitari che godono di un regime fiscale privilegiato, scaturisce che vengono colpite da siffatta restrizione le società estere che, direttamente o indirettamente controllano l’impresa Italiana, ne sono controllate o sono controllate da una terza società che controlla parimenti l’impresa italiana. Con riferimento alla nozione di controllo, essa va intesa in senso strettamente tecnico, stante l’eplicito richiamo all’art. 2359 del codice civile, così come riformulato dal D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127. Il legislatore considera fiscalmente privilegiato lo Stato o il territorio estero nel quale non vi sono imposte sul reddito o queste, se esistenti, gravano sui redditi delle società locali in misura inferiore alla metà di quella complessivamente applicata in Italia sui redditi della stessa natura. Va tuttavia sottolineato che gli operatori italiani non sono costretti ad una difficile ricognizione in quanto il D.M. 24 aprile 1992 (riportato integralmente a pag. 1224) (in G.U. n. 104 del 6 maggio 1992) ha stilato la cosiddetta black list degli Stati e dei territori a regime fiscale privilegiato. Gli Stati considerati paradisi fiscali sono: Andorra, Anguilla (isole Leeward), Antille Olandesi, Aruba, Bahama, Barbuda (isole Leeward), Bermuda, Gibuti, Grenada, Hong Kong, Isole del Canale (Guernsey, Jersey e Sark), Isole Cayman, Isola di Man, Atteso, quindi, che: Isole Turks e Caicos, Isole Vergini Britanniche, Liechtenstein, Macao, Nauru, Nevis (Isole Leeward), - lo scopo che il legislatore fiscale si è prefisso Oman, Saint Kitts (Isole Leeward), Seichelles, Finanza & Fisco pag. 1220 Aprile 1995 Vaunatu (nuove Ebridi), Western Samoa (2). L’art. 2 di detto decreto stabilisce poi che il Baharain e gli Emirati Arabi Uniti sono inclusi tra i Paesi sopra evidenziati, salvo che per il trattamento riservato alle società che svolgono attività di esplorazione, estrazione e raffinazione nel settore petrolifero. Circa gli effetti dell’applicazione dell’art. 76, secondo il disposto della norma in parola, si presume che le operazioni della società straniera abbiano come unico effetto quello di permettere la localizzazione di utili in un Paese a fiscalità privilegiata. In altri termini l’amministrazione finanziaria, ai sensi del comma 7 ter, utilizza l’inversione dell’onere della prova e quindi spetta al contribuente dimostrare che le operazioni della società estera non abbiano come principale scopo la localizzazione di utili in Paesi a fiscalità privilegiata, ma quella di svolgere attività reali. Al fine di rendere meno delicato l’onere della prova per l’impresa italiana la legge considera che la prova è fornita se sono soddisfatte le seguenti condizioni: - la società stabilita fuori dall’Italia deve esercitare principalmente un’attività commerciale effettiva (le attività civili o liberali non sono invece considerate). Per quanto riguarda la nozione di attività principale, si considera in pratica che se l’attività rappresenta più del 50%/60% del fatturato il suo carattere principale dovrebbe essere provato; - la società deve esercitare un’attività effettiva ed essere realmente situata nel Paese; - le operazioni poste in essere devono rispondere ad un effettivo interesse economico; - le operazioni devono avere concreta esecuzione. Nella loro attività di controllo, gli uffici finanziari, prima di emettere l’avviso di accertamento, dovranno notificare l’avviso con cui si concede al- l’impresa italiana la possibilità di fornire tali prove, entro novanta giorni. Qualora poi gli uffici non vorranno ritenere idoneo quanto prodotto dal contribuente, dovranno darne specifico conto nella motivazione dell’avviso stesso. Ai sensi del comma 13 dell’art. 11 della L. n. 413/1991, non riprodotto nel T.U.I.R., non sarà necessario fornire alcuna prova se il soggetto italiano, in relazione all’operazione potenzialmente elusiva, abbia preventivamente richiesto l’avviso dell’Amministrazione finanziaria in merito alla natura ed al relativo trattamento tributario, seguendone poi le eventuali prescrizioni: il richiamo è alle disposizioni dell’art. 21 della citata L. n. 413/1991 che ha introdotto il cosiddetto tax ruling o diritto di interpello. Relativamente ai dividendi esteri, l’art. 96, (vedi anche pag. 1226) del D.P.R. n. 917/1986, dispone: «1. Gli utili distribuiti da società collegate ai sensi dell’art. 2359 c.c. non residenti nel territorio dello Stato concorrono a formare il reddito per il 40% del loro ammontare, ma si computano per l’intero ammontare ai fini delle disposizioni relative alla maggiorazione di conguaglio di cui agli artt. 105, 106 e 107. Le minusvalenze e gli altri componenti negativi di reddito derivanti dalle partecipazioni nelle società indicate nel periodo precedente sono deducibili limitatamente, per ciascun periodo di imposta, all’ammontare che eccede quello dei relativi utili non concorrenti a formare il reddito ai sensi del presente comma (3). 1-bis. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli utili distribuiti da società collegate residenti in Paesi non appartenenti alla Comunità economica europea aventi un regime fiscale privilegiato individuati con i decreti del Ministro delle finanze, di cui al comma 7 bis dell’articolo 76. 1-ter. Nel caso in cui abbia trovato applicazione l’articolo 76, comma 7 bis, gli utili distribuiti non concorrono a formare il reddito per l’ammontare corrispondente alle spese e gli altri componenti negativi non ammessi in deduzione.». Nota (2) — Anche altri Stati aderenti all’Unione europea hanno emanato una simile lista nera di Paesi, ai fini più o meno analoghi a quelli italiani, ove sono stati inseriti tra i Paesi a bassa fiscalità anche Campione d’Italia e la Repubblica di San Marino. Nota (3) — Le disposizioni in neretto si applicano dal 24/02/1995 Finanza & Fisco pag. 1221 Aprile 1995 5. Considerazioni conclusive Tra le condotte elusive internazionali, il fenomeno dei “paradisi fiscali”, cioè la domiciliazione puramente formale nei Paesi in cui le imposte sul reddito sono basse o sono previste agevolazioni per particolari categorie di redditi, è stato affrontato dalla nostra Amministrazione finanziaria solo nel 1991 con la legge “413”, che ha aggiunto all’art. 76 del T.U.I.R. i commi 7 bis e 7 ter e con il D.M. 24 dicembre 1992, che ha individuato gli Stati ed i territori aventi tale regime privilegiato. Per effetto della suddetta normativa, si ha che: - è stata presa in considerazione solo l’ipotesi di regimi fiscali privilegiati per le persone giuridiche e non anche per le persone fisiche, lasciando così aperta la porta ad operazioni che possono essere condotte con soggetti esteri aventi forme diverse da quelle societarie, si pensi ad esempio alle fondazioni, figura questa che ha larga diffusione negli ordinamenti esteri; - sono stati individuati e colpiti come paradisi fiscali Paesi più lontani dove è più difficile la collocazione di società controllanti o controllate, mentre non sono stati presi in considerazioni alcuni paradisi fiscali all’interno della C.E.E., come il Lussemburgo, la Svizzera e le isole dell’arcipelago britannico (4); - quando la legge parla di imposta sul reddito in misura inferiore alla metà di quella “complessivamente” applicata in Italia sui redditi della stessa natura, non è chiaro se debbano considerarsi tutte le imposte che non sono con certezza riconducibili all’imposta sul reddito, ovvero sul patrimonio, come ad esempio l’imposta sui “capital gains”. Occorre, infine, fare un breve cenno ad un’altra tecnica di elusione molto attuata a livello internazionale: il transfer price o tecnica del controllo dei prezzi di trasferimento. Tale operazione, molto praticata dalle cosiddette imprese multinazionali, consiste nella determinazione dei prezzi di trasferimento di beni o servizi nell’ambito delle unità economiche operanti in differenti Paesi al fine di dirottare profitti di una società del gruppo residente in un Paese ad elevata pressione fiscale ad un’altra società del gruppo residente in uno Stato con una ridotta pressione fiscale. In sostanza, la tecnica in questione consente di predeterminare i prezzi delle transazioni commerciali effettuate tra le varie entità, residenti in più Stati, secondo parametri di valutazione ancorati alle esigenze generali delle holding dal punto di vista gestionale, organizzativo e tributario, anzichè sulle effettive condizioni di mercato. Il reddito imponibile di ciascuna entità interessata viene così ad essere ripartito entro ordinamenti fiscali plurinazionali prefissando, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate dall’entità del gruppo, un prezzo-corrispettivo maggiore o minore rispetto al valore oggettivo di mercato al fine di spostare il carico fiscale verso quelle entità sottoposte ad un minor prelievo fiscale o operanti in aree a bassa o privilegiata fiscalità (5). Nel nostro ordinamento fiscale è il quinto comma dell’art. 76 del D.P.R. n. 917/1986 che disciplina in ordine ai prezzi di trasferimento, rinviando - quanto alla determinazione del valore normale delle transazioni internazionali - al comma 2 dello stesso articolo che, a sua volta, si collega al comma 3 dell’art. 9 dello stesso decreto. _____________ Nota (4) — La Svizzera, ad esempio, può definirsi un paradiso fiscale ad interesse specifico poichè favorisce il regime delle “Holdings” ed il “segreto bancario”, che - unitamente ad una notevole stabilità politica e ad una assenza di controllo dei cambi - rappresenta il punto di forza del loro sistema fiscale. _____________ Nota (5) — Mandarino, "I transfer pricing nelle transazioni internazionali", in “Finanza & Fisco Mensile ” di Aprile 1994, p. 1475. Finanza & Fisco pag. 1222 Aprile 1995 Secondo quest’ultima disposizione per valore normale “si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore”. Si ricorda, in proposito, che il Ministero delle finanze con circolare n. 9/2267 del 22 settembre 1980 ha emanato istruzioni riguardanti i transfer prices ed ha fornito indicazioni di carattere pratico per la predeterminazione di valori normali, quali, ad esempio: - per quelle tra il 2% e il 5% possono essere ritenuti congrui in presenza di particolari dati tecnici; - al di sopra del 5% solo in casi eccezionali, giustificati dall’alto livello tecnologico del settore economico o da altre circostanze. A livello comunitario si segnala la Convenzione di Bruxelles del 23 luglio 1990 sui prezzi di trasferimento tra imprese collegate e residenti in Stati membri diversi (ratificata dall’Italia nel 1993 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1995). Detta Convenzione precisa i principi applicabili in caso di rettifica fiscale degli utili di una stabile organizzazione e prevede una procedura arbitrale se le correzioni apportate dall’Amministrazione finanziaria di un Paese sono difformi da quelle apportate nello Stato dell’impresa associata. Concludendo questa rapida panoramica sul fenomeno sempre crescente della internazionalizzazione della vita dei traffici e la connessa allocazione dei - per le transazioni relative a beni immateriali profitti, si auspica che attraverso un più ampio coorsono ritenuti accettabili canoni fino al 2% del fat- dinamento tra i legislatori degli Stati interessati a returato; golamentare i flussi finanziari si possa realizzare una reale pianificazione fiscale internazionale tesa ad evitare sia le doppie tassazioni che l’elusione. Nelle pagine seguenti si riporta l'appendice legislativa: Pag. D.M. 24 aprile 1992 «Individuazione degli Stati e dei territori non appartenenti alla Comunità economica europea aventi un regime fiscale privilegiato» 1224 D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 «Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi», art. 76 «Norme generali sulle valutazioni» 1225 D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, conv. con mod. dalla L. 22 marzo 1995, n. 85 «Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica e per l'occupazione nelle aree depresse» Artt. 28 «Svalutazioni e perdite derivanti da società collegate estere» e 30 «Trasferimento di sede all’estero» e la relativa relazione al decreto legge 1226 Finanza & Fisco pag. 1223 Aprile 1995 APPENDICE LEGISLATIVA D.M. 24 aprile 1992 Individuazione degli Stati e dei territori non appartenenti alla Comunità economica europea aventi un regime fiscale privilegiato Art. 1 Le disposizioni di cui all’art. 76, commi 7 bis e 7 ter, e di cui all’art. 96 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, quale modificato dall’art. 11 (a), commi 12, 13 e 14 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, si applicano ai seguenti Paesi e territori esteri, aventi un regime fiscale privilegiato: Andorra, Anguilla (Isole Leeward), Antille Olandesi, Aruba, Bahama, Barbuda (Isole Leeward), Bermuda, Gibuti, Grenada, Hong Kong, Isole del Canale (Guernsey, Jersey e Sark), Isole Cayman, Isola di Man, Isole Turks e Caicos, Isole Vergini Britanniche, Liechtenstein, Macao, Nauru, Nevis (Isole Leeward), Oman, Saint Kitts (Isole Leeward), Seychelles, Vaunatu (Nuove Ebridi), Western Samoa. Art. 2 Il Baharain e gli Emirati Arabi Uniti sono inclusi tra i Paesi di cui all’art. 1, salvo che per il trattamento riservato alle società che svolgono attività di esplorazione, estrazione e raffinazione nel settore petrolifero. Art. 3 Le disposizioni indicate nell’art. 1 si applicano ai seguenti Paesi e territori esteri limitatamente ai soggetti e alle attività per ciascuno di essi indicate: 1) Antigua (Isole Leeward), con riferimento alle “società internazionali” (“international business companies”), esercenti le loro attività al di fuori del territorio di Antigua, quali quelle di cui all'«International Business Corporation Act» (IBCA) n. 28 del 1982 e successive modifiche e integrazioni, nonchè con riferimento alle società che producono prodotti autorizzati quali quelli di cui alla locale legge n. 18 del 1975 e successive modifiche e integrazioni; 2) Barbados, con riferimento alle “società internazionali” (“international companies”), quali quelle costituite ai sensi dell’«International Business Corporation Act» del 22 dicembre 1987 e successive modifiche e integrazioni, nonchè con riferimento alle compagnie di assicurazioni esercenti attività all’estero, quali quelle di cui al “Companies Amendment Act” del 1986 e successive modifiche e integrazioni; 3) Cipro, con riferimento alle società i cui proventi affluiscono da fonti estere, quali quelle disciplinate dalla locale legge n. 15 del 1977 e successive modifiche ed integrazioni; 4) Costa Rica, con riferimento alle società i cui proventi affluiscono da fonti estere, nonchè con riferimento alle società esercenti attività ad alta tecnologia; 5) Dominica, con riferimento alle “società internazionali” (“international companies”) esercenti attività all’estero; 6) Filippine, con riferimento alle attività direzionali (“head quarters”) delle società finanziarie multinazionali; Finanza & Fisco pag. 1224 7) Giamaica, con riferimento alle “società internazionali” (“international companies”) esercenti l’attività all’estero; 8) Isole Cook, con riferimento alle “società internazionali” (“international companies”); 9) Libano, con riferimento alle società i cui proventi affluiscono da fonti estere, quali quelle disciplinate dal locale codice delle imposte sui redditi; 10) Liberia, con riferimento alle società i cui proventi affluiscono da fonti estere, quali quelle disciplinate dal locale codice delle imposte sui redditi; 11) Malesia, con riferimento alle società nazionali i cui proventi affluiscono da fonti estere; 12) Malta, con riferimento alle società i cui proventi affluiscono da fonti estere, quali quelle di cui al “Malta International Business Activity Act” del 30 giugno 1989 e successive modificazioni e integrazioni; 13) Montserrat, con riferimento alle “società internazionali” (“international companies”); 14) Panama, con riferimento alle società i cui proventi affluiscono da fonti estere; 15) Portorico, con riferimento alle società esercenti attività bancarie, quali quelle di cui all’«International Banking Centre Regulation Act» n. 52 dell’11 agosto 1989 e successive modifiche e integrazioni; 16) Saint Lucia, con riferimento alle “società internazionali” (“international companies”) esercenti l’attività all’estero; 17) Saint Vincent, con riferimento alle “società internazionali” (“international companies”) esercenti l’attività all’estero; 18) Singapore, con riferimento alle società i cui proventi affluiscono da fonti estere; 19) Svizzera, con riferimento alle società non soggette alle imposte cantonali e municipali, quali le “società holding”, “ausiliarie” e di “domicilio”; 20) Uruguay, con riferimento alle società esercenti attività bancarie. Nota (a) L. 30 dicembre 1991, n. 413 Art. 11, comma 13 13. Fermo restando il potere dell’Amministrazione di controllare l’effettiva esecuzione dell’operazione, le prove di cui al comma 7 ter dell’articolo 76 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, non devono essere fornite qualora il contribuente abbia preventivamente richiesto, secondo le disposizioni di cui all’articolo 21 della presente legge, di conoscere l’avviso dell’Amministrazione finanziaria in merito alla natura ed al relativo trattamento tributario dell’operazione che intende porre in essere e l’abbia realizzata nei termini proposti tenendo conto delle eventuali prescrizioni dell’Amministrazione. Aprile 1995 D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi Art. 76 Norme generali sulle valutazioni 1. Agli effetti delle norme del presente capo che fanno riferimento al costo dei beni senza disporre diversamente: a) il costo è assunto al lordo delle quote di ammortamento già dedotte e degli eventuali contributi; b) si comprendono nel costo anche gli oneri accessori di diretta imputazione, esclusi gli interessi passivi e le spese generali. Tuttavia per i beni materiali ed immateriali strumentali per l’esercizio dell’impresa si comprendono nel costo, fino al momento della loro entrata in funzione, e per la quota ragionevolmente imputabile ai beni medesimi, gli interessi passivi relativi alla loro fabbricazione, interna o presso terzi, nonchè gli interessi passivi sui prestiti contratti per la loro acquisizione, a condizione che siano imputati nel bilancio ad incremento del costo stesso. Nel costo di fabbricazione si possono aggiungere con gli stessi criteri anche i costi diversi da quelli direttamente imputabili al prodotto per gli immobili alla cui produzione è diretta l’attività dell’impresa si comprendono nel costo gli interessi passivi sui prestiti contratti per la loro costruzione o ristrutturazione; c) il costo dei beni rivalutati s’intende comprensivo delle plusvalenze iscritte nello stato patrimoniale che hanno concorso a formare il reddito o che per disposizione di legge non concorrono a formarlo nemmeno in caso di successivo realizzo; c-bis) per i titoli a reddito fisso, che costituiscono immobilizzazioni finanziarie e sono iscritti come tali in bilancio, la differenza positiva o negativa tra il costo d’acquisto e il valore di rimborso concorre a formare il reddito per la quota maturata nell’esercizio. 2. Per la determinazione del valore normale dei beni e dei servizi, e con riferimento alla data in cui si considerano conseguiti o sostenuti, per la valutazione dei corrispettivi, proventi, spese e oneri in natura o in valuta estera, si applicano, quando non è diversamente disposto, le disposizioni dell’art. 9; tuttavia i corrispettivi, i proventi, le spese e gli oneri in valuta estera, percepiti o effettivamente sostenuti in data precedente, si valutano con riferimento a tale data. La conversione in lire dei saldi di conto delle stabili organizzazioni all’estero si effettua secondo il cambio alla data di chiusura dell’esercizio e le differenze rispetto ai saldi di conto dell’esercizio precedente non concorrono alla formazione del reddito. La valutazione, secondo il cambio alla data di chiusura dell’esercizio, dei crediti e dei debiti in valuta estera risultanti in bilancio, anche sotto forma di obbligazioni o titoli similari, è consentita se effettuata per la totalità di essi. Si applica la disposizione dell’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 72, qualora i contratti di copertura non siano valutati in modo coerente. Per le imprese che intrattengono in modo sistematico rapporti in valuta estera è consentita la tenuta della contabilità plurimonetaria con l’applicazione del cambio di fine esercizio ai saldi dei relativi conti. 3. I proventi determinati a norma degli artt. 57 e 78 e i componenti negativi di cui ai commi 1 e 7 dell’art. 67, agli artt. 69 e 71 e ai commi 1 e 2 dell’art. 73 sono ragguagliati alla durata del- l’esercizio se questa è inferiore o superiore a dodici mesi. 4. In caso di mutamento totale o parziale dei criteri di valutazione adottati nei precedenti esercizi il contribuente deve darne comunicazione all’ufficio delle imposte nella dichiarazione dei redditi o in apposito allegato. 5. I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato che, direttamente od indirettamente, controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne deriva aumento del reddito; la stessa disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, ma soltanto in esecuzione degli accordi conclusi con le autorità competenti degli Stati esteri a seguito delle speciali ‘procedure amichevoli’ previste dalle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi. La presente disposizione si applica anche per i beni ceduti e i servizi prestati da società non residenti nel territorio dello Stato per conto delle quali l’impresa esplica attività di vendita e collocamento di materie prime o merci o di fabbricazione o lavorazione di prodotti. 6. La rettifica da parte dell’ufficio delle valutazioni fatte dal contribuente in un esercizio ha effetto anche per gli esercizi successivi. L'ufficio tiene conto direttamente delle rettifiche operate e deve procedere a rettificare le valutazioni relative anche agli esercizi successivi. 7. Agli effetti delle norme del presente titolo che vi fanno riferimento il cambio delle valute estere in ciascun mese è accertato, su conforme parere dell’Ufficio italiano dei cambi, con decreto del Ministro delle finanze pubblicato nella G.U. entro il mese successivo. 7-bis. Non sono ammesse in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti e società domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti alla Comunità economica europea aventi un regime fiscale privilegiato, le quali direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile. Si considera privilegiato il regime fiscale dello Stato o del territorio estero che esclude da imposte sul reddito o che sottopone i redditi conseguiti dalle predette società ad imposizione in misura inferiore alla metà di quella complessivamente applicata in Italia sui redditi della stessa natura. Con decreti del Ministro delle finanze, sono indicati gli Stati o i territori esteri aventi un regime fiscale privilegiato. 7-ter. Le disposizioni di cui al comma 7-bis non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le società estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione. L’Amministrazione, prima di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento di imposta o di maggiore imposta, deve notificare all’interessato un apposito avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, nel termine di novanta giorni, le prove predette. Ove l’Amministrazione non ritenga idonee le prove addotte, dovrà darne specifica motivazione nell’avviso di accertamento. Finanza & Fisco pag. 1225 Aprile 1995 D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, conv. con mod. dalla L. 22 marzo 1995, n. 85 D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, conv. con mod. dalla L. 22 marzo 1995, n. 85 Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica e per l'occupazione nelle aree depresse Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica e per l'occupazione nelle aree depresse (in neretto si riportano le parole aggiunte dalla legge di conversione) Art. 30 Trasferimento di sede all’estero 1. Dopo l’articolo 20 del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è inserito il seguente articolo: «Art. 20-bis. - 1. Il trasferimento all’estero della residenza o della sede dei soggetti che esercitano imprese commerciali, che comporti la perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi, costituisce realizzo, al valore normale, dei componenti dell’azienda o del complesso aziendale, salvo che non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato. La stessa disposizione si applica se successivamente i componenti confluiti nella stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato ne vengano distolti. Si considerano in ogni caso realizzate, al valore normale, le plusvalenze relative alle stabili organizzazioni all’estero. Per le imprese individuali si applica l’articolo 16, comma 1, lettera g). 2. I fondi in sospensione d'imposta, inclusi quelli tassabili in caso di distribuzione, iscritti nell’ultimo bilancio prima del trasferimento della residenza o della sede, sono assoggettati a tassazione nella misura in cui non siano stati ricostituiti nel patrimonio contabile della predetta stabile organizzazione.». 2. Con decreto del Ministro delle Finanze, da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabilite specifiche modalità di attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 20-bis del Testo unico indicato nel comma 1, mediante approvazione di appositi modelli e dei relativi allegati, per la indicazione dei beni e degli altri elementi patrimoniali e reddituali relativi all’impresa e di quelli attribuiti alla stabile organizzazione. Con lo stesso decreto possono essere individuate idonee misure cautelari o di garanzia per il pagamento delle imposte dovute anche a seguito di rettifica delle dichiarazioni o di accertamenti effettuati ai fini delle imposte sul reddito. Art. 28 Svalutazioni e perdite derivanti da società collegate estere 1. Al comma 1 dell’articolo 96 del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è aggiunto il seguente periodo: «Le minusvalenze e gli altri componenti negativi di reddito derivanti dalle partecipazioni nelle società indicate nel periodo precedente sono deducibili limitatamente, per ciascun periodo di imposta, all’ammontare che eccede quello dei relativi utili non concorrenti a formare il reddito ai sensi del presente comma.». 2. La disposizione del comma 1 si applica per le minusvalenze e gli altri componenti negativi di reddito i cui presupposti di deducibilità si verificano a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto e relativamente agli utili percepiti da tale data. Relazione al decreto legge L’integrazione del primo comma dell’articolo 96 del testo unico delle imposte sui redditi è volta ad applicare agli utili percepiti da società estere con le quali sussiste un rapporto di collegamento ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile un regime analogo a quello previsto dal comma 5 dell'articolo 96-bis del medesimo testo unico per le partecipazioni in società «comunitarie» ai sensi della direttiva 90/435/CEE (regime fiscale applicabile alle società madri e figlie di Stati membri della Comunità europea). Analogamente al richiamato comma 5 dell’articolo 96-bis, il periodo che si introduce nel comma 1 dell’articolo 96 stabilisce la deducibilità delle componenti negative di reddito (svalutazioni, minusvalenze e perdite da realizzo) derivanti dalle partecipazioni nelle predette società collegate fino ad un importo pari alla parte degli utili che, ai sensi del medesimo comma, non concorre o non ha concorso a formare il reddito. A tal fine, si considerano gli utili percepiti dalla data di acquisto della partecipazione, anche se formati in epoca precedente. Evidentemente, se gli utili vengono incassati in esercizi successivi a quello in cui è stata dedotta la svalutazione, il principio di irrilevanza fiscale sopra enunciato comporterà la sopravvenuta indeducibilità delle svalutazioni operate e, quindi, la necessità di apportare una variazione in aumento del reddito. Per effetto della modifica introdotta, resta impregiudicato il principio generale della deducibilità di tali componenti negative, deducibilità che viene, tuttavia, limitata alla parte che eccede il limite suindicato, per evitare che il regime di favore previsto per tali utili (esenzione del 60 per cento del loro ammontare ai fini IRPEG per attenuare in via forfetaria la doppia imposizione economica dovuta alle imposte eventualmente assolte dalla società partecipata nello Stato estero di residenza) si presti a comportamenti elusivi. In ragione della natura innovativa della previsione, essa si applica alle componenti negative di reddito i cui presupposti di deducibilità, ai sensi degli articoli 61 e 66 del testo unico delle imposte sui redditi, si verificano a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Finanza & Fisco pag. 1226 Relazione al decreto legge La disposizione tende a consolidare i rapporti tributari inerenti a presupposti verificatisi nel territorio dello Stato in capo a soggetti che, a seguito del trasferimento all’estero della residenza fiscale, non sono più assoggettabili alle imposte italiane, sempre che gli elementi aziendali relativi all’impresa non conservino la loro rilevanza ai fini impositivi nell'ambito di una stabile organizzazione. Tale operazione può infatti determinare, a prescindere dall'intento elusivo della stessa, la perdita definitiva delle imposte implicite nei plusvalori o nei potenziali maggiori ricavi risultanti dalla differenza fra valori e costi fiscalmente riconosciuti e valore normale dei beni facenti parte dell’azienda e, in ogni caso, nei fondi in sospensione d’imposta, ancorché tassabili solo in caso di distribuzione. È infatti evidente che il mutamento della residenza fiscale, non deve consentire il conseguimento di indebiti vantaggi fiscali, come del resto è previsto dagli altri ordinamenti fiscali, e in particolare da quelli comunitari. Il trattamento deve essere conseguentemente quello applicabile in sede di realizzo dell’azienda, limitatamente peraltro alla differenza tra costo fiscale e valore normale dei beni che permangono nella titolarità del soggetto trasferito; per quanto concerne i fondi che per qualsiasi motivo sono ancora in sospensione d’imposta, gli stessi devono comunque essere assoggettati ad imposizione tenuto conto che questa non sarebbe più possibile in caso di trasferimento di sede all’estero. Ovviamente tale trattamento non riguarda gli elementi aziendali o i fondi che vengono recepiti nel patrimonio contabile della stabile organizzazione eventualmente costituita, beni per i quali peraltro è coerentemente previsto che vengano assoggettati ad imposizione, sempre con riferimento al loro valore normale, qualora vengano distolti dall’azienda successivamente alla sua costituzione.