SCHEDA 1 Adriano Banchieri, dal Festino nella sera del Giovedì

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SCHEDA 1 Adriano Banchieri, dal Festino nella sera del Giovedì
da: Ilaria Barontini, “Lo ‘spirito’ imitativo dell’onomatopea”, in EAD, Musica e umorismo, ETS, Pisa 2009
SCHEDA 1
Adriano Banchieri, dal Festino nella sera del Giovedì grasso avanti cena op. 18:
Capricciata e Contrappunto bestiale alla mente
Il nobile ‘sound’ madrigalistico, senza abbandonare
l’impegno esecutivo e con la massima serietà,
si impegna anche in queste mirabili e spassose ‘sciocchezze’.
Fausto Petrella
Il Festino nella sera del Giovedì grasso avanti cena, pubblicato a Venezia come op. XVIII (da
R. Amadino) nel 1608, è costituito da ventuno brani a 5 voci, tutti, eccetto tre, su testo proprio, in
stile prevalentemente omofonico.
Insieme alla sua opera La pazzia senile i brani della raccolta rientrano nel filone dei madrigali
rappresentativi1 parodistici, fioriti tra la fine del Cinquecento ed i primi decenni del Seicento;
l’aggettivo ‘rappresentativi’ non indica in realtà una destinazione scenica, ma si riferisce al fatto che
il testo è ‘drammatico’, costituito cioè da dialogo, personaggi ed azione immaginati. I madrigali
drammatici o rappresentativi incarnano un gusto popolaresco e pungente, che rasenta spesso il
grottesco.
L’autore, Adriano Banchieri (1568-1634), originale monaco benedettino, noto anche come
Adriano da Bologna (e con vari pseudonimi, tra cui il Dissonante e Attabalibba dal Perù), fu
organista, compositore, letterato2, costruttore di strumenti (arpichitarrone, detto anche arpitarrone),
insegnante, fondatore dell’Accademia de’ Floridi (1615), poi Accademia dei Filomusi. Di umore
vivace ed incline al bizzarro, si dimostrò anche un innovatore nella didattica della composizione,
inserendo nei suoi scritti esempi tratti dagli autori più originali del suo tempo, quali Gesualdo e
Monteverdi. Nelle sue opere profane egli si rifà ad Orazio Vecchi, rimanendo nei confini del
madrigale drammatico.
Il Contrappunto bestiale, il n. 12 («Fa la la»3) del Festino, è detto alla mente, perché gli intrecci
melodici erano in origine improvvisati. È preceduto da una Capricciata4, in cui tre voci annunciano:
Nobili spettatori, udrete or ora
quattro belli umori:
un cane, un gatto, un cucco, un chiù
per spasso far contrappunto bestiale alla mente sopra un basso
Le cinque voci, che imitano i versi di animali, sono sostenute da un severo basso d’armonia con
il testo in latino maccheronico, ironica parodia del cantus firmus5, solitamente derivato dal
repertorio liturgico:
1
Cfr. Cap. 1, Parte II, p. 57.
2
Con lo pseudonimo di Camillo Scaligeri della Fratta, scrisse commedie in prosa, in un grammelot di dialetti
(compreso il toscano), tra cui Il furto amoroso (1613) e la Minghina da Barbian (1621).
3
Cfr. Cap. 1, Parte II, p. 57.
4
Composizione vocale o strumentale, in uso dal secolo XVI, di carattere estemporaneo ed estroso.
Nulla fides gobbis,
similiter est zoppis;
si sguerzus bonus est
super annalia scribe.
Non fidarti dei gobbi,
né degli zoppi;
se un guercio è buono
questa è una cosa da scrivere negli annali.
Il Festino è una vera e propria commedia madrigalesca, in cui l’azione si sviluppa attraverso il
susseguirsi di madrigali. Questa vivace e variegata opera, ricca di locuzioni dialettali e di brillanti
effetti timbrici, si contrappone con spirito pungente alla coeva produzione colta. Già dal titolo è
evidente l’intento parodistico che informa l’opera e che rivela la comicità spontanea e mordace
dell’autore. Si tratta di una festa di carnevale, in cui i cantori si esibiscono in una vera e propria
vetrina di personaggi (vecchietti, zitelle, venditori, giovani innamorati) che si susseguono tra danze
e onomatopee d’ogni sorta: imitazione di strumenti musicali, come la lira, il biobò cio e il caca
pensieri e di versi di animali. Nel Contrappunto bestiale alla mente, dopo un’introduzione «Fa la
la» prevalentemente omoritmica (Es. 1), i cantori briosamente contrappuntano su un Basso, facendo
le voci di un cane, un gatto, un chiù (l’assiolo).
Sopra al Basso, si intrecciano il cane (T), il gatto (A), mentre ai Soprani I e II è affidato il ruolo
di ‘uccellini’ (chiù e cucù). Come in un perfetto ingranaggio ogni intervento si esprime e tiene
insieme, simultaneamente e distintamente, il preciso tessuto contrappuntistico, che procede con
grande naturalezza ritmica e con coinvolgente ilarità. Il basso descrive una linea più ad arco – gradi
congiunti con alcuni salti di terza, quarta e quinta: d’altra parte è l’unica voce umana! Le altre voci
hanno una maggiore fissità e meccanicità: il ‘cane’ (Ba-bau) ha la stessa cellula (due Do ribattuti:
) in ostinato fino alla fine (batt. 44); il ‘gatto’, dopo quattro battute sul Mi (madrigalismo del
Mi-aou!) si muove su un ambito di cinque note (Re-La) con note ribattute e tendenza a reiterare la
stessa cellula ritmico-melodica con piccole varianti al suo interno; il ‘chiù’ (S II) ripete fino alla
fine identica la sua sequenza di quattro battute (per sette volte):
Il ‘cucù’, secondo un topos ormai fisso, intona il suo salto di terza discendente-ascendente (MiDo) con il caratteristico ritmo. (Es. 2)
Es. 1 (☊ file n. 68, traccia n. 23)
5
Nella pratica polifonica, dal XII sec., il cantus firmus rappresenta quella linea che, affidata ad una voce, fungeva da
base all’intreccio delle altre voci.
Es. 2
Tutti questi meccanismi autonomi, sapienti e precisi, si fondono in una superiore organizzazione
ritmica e contrappuntistica, che trasforma le singole formule in uno spassoso e irresistibile gioco,
vario e fantasioso.