Cronista Farfense 1062-1133
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Cronista Farfense 1062-1133
Gregorio da Catino Cronista Farfense 1062-1133 Gregorio da Catino offre alla Vergine il suo Regesto. Sec. XI (Biblioteca Vaticana n. 8487) 20 Castelli e Rocche nell’italia del medioevo L’Abate Berardo nel suo lungo abbaziato accolse in Monastero un giovanetto, originario del vicino castello di Catino; lo iniziò agli studi sacri e profani, che già dal tempo dell’Abbate Ugo rifiorivano a Farfa. Il giovane con grande piacere si applicò allo studio, specialmente alla storia, cui sentivasi fortemente inclinato; concepì la vastissima opera di narrare la storia del suo Monastero, il cui archivio gli offriva abbondante materiale, trascriverne i documenti delle bolle papali, i diplomi imperiali, atti di donazione. In un cinquantennio di indefesso lavoro egli realizzò il suo sogno giovanile in opere che tramandarono nei secoli l’eco di avvenimenti di primaria im portanza, non solo per Farfa, ma per la Chiesa e l’Impero. Già vecchio, canuto e quasi cieco, con l’ardore che in gioventù aveva avuto per intraprendere il lavoro, potè scrivere: “La sapienza era per me come un latte con il quale la Madre di Dio mi nutrì fino dall’infanzia”. Circa il valore storico della sua opera potè al termine della vita asserire di non aver detratto o aggiunto nulla alla pura e semplice verità. Monumento imperituro della sua operosità rimangono: il Regesto di Farfa, il Chronicon, il Largitorio, il Floriger. A Farfa questi preziosi codici oggi non si trovano più. Farfa 21 Il Regesto è alla Vaticana, altri in gran parte alla Nazionale di Roma o dispersi; i principali sono stati tutti pubblicati. La Biblioteca del Monastero conserva ancora un codice di questa epoca, testimone della attività calligrafica dello Scriptorium farfense. Di esso pub blichiamo una della più antiche immagini della Madonna, venerata da secoli a Farfa. Biblioteca di Farfa. Immagine della Madonna (Codice del sec. XI.) 22 Castelli e Rocche nell’italia del medioevo Farfa 23 Verso il Declino E’ sempre difficile mantenersi a quell’altezza di benessere, di tranquillità, di grandezza, una volta raggiunta. Anche Farfa provò questa ineluttabile decadenza; cercò di reagire, ma invano. La lotta per le investiture la irretì sempre più, la tirannia di vari signorotti di Roma e della Sabina, avidi dei beni abbaziali, l’impoverì, l’osservanza monastica si affievolì, il malgoverno degli abati finì per immiserirla sempre più. Purtroppo questa volta non sorse un Ugo o un Berardo I a risollevarla. Gli abati spesso vivevano lontani dalle comunità circondati da parenti e con siglieri a loro favorevoli; tenevano corte nel palazzo abbaziale. 1l vasto patrimonio, diventato vera azienda agricola, assorbiva l’attività di vari monaci fuori del cenobio; le rendite diminuivano; il vitto dei religiosi sempre più assottigliato; i monaci trascurati dai superiori, abbandonati a se stessi, dimentichi degli alti ideali monastici, vivacchiavano alla meno peg- La Commenda I Papi cominciarono a preporre alle grandi Abbazie come superiori delle persone estranee, benemerite per vari motivi della Chiesa, detti appunto Abati Commendatari. gio; scarso il reclutamento, le anime religiose erano attratte dai nuovi Ordini mendicanti, le cui forme di apostolato e di povertà rispondevano meglio agli ideali evangelici e ai bisogni della Chiesa. Ricomposto con il Concordato di Worms (1122) il dissidio tra Papato ed Impero, Farfa non fu più sotto la tutela imperiale, ma sotto quella pontificia. Le sue condizioni però non migliorarono. Queste misere condizioni non affliggevano soltanto Farfa, ma quasi tutte le grandi Abbazie; le varie riforme (Cluny, Citeaux, ed altre minori) ben presto erano anch’esse scivolate per lo stesso declino. Copiosi, ma poco efficaci, gli interventi dei Papi e dei Concili, finché, nella speranza di porre fine a tale stato di cose, si giunse alla Commenda, rimedio che fu peggiore del male. Farfa in una incisione del sec. XVII. 24 Castelli e Rocche nell’italia del medioevo Farfa 25 Legenda dell’incisione precedente. L’autorità passava quindi ad un estraneo, non monaco, non eletto dai monaci ed ignaro dell’ideale monastico, spesso altero, più spesso avido delle rendite abbaziali, per nulla curante del bene dei monaci, sempre più immiseriti ed angariati dai suoi esattori insaziabili. Con l’andar del tempo questa Commenda divenne ereditaria in alcune grandi famiglie, di modo che le abbazie vennero a far parte del loro patrimonio. A Farfa apre la serie degli Abati Commendatari il Cardinale Francesco Car- 26 bone Tomacelli, nipote di Bonifacio IX (1400). A lui si deve un tentativo di riforma con l’introduzione di un gruppo di monaci teutonici provenienti da Subiaco, dove avevano ottenuto ottimi risultati. Il che non avvenne purtroppo a Farfa, dove rimasero fino all’arrivo dei Cassinesi (1567). Il loro ricordo sussiste ancora in alcune opere d’arte, soprattutto nel grandioso Giudizio Universale (Flandrorum opus - 1561). Gli Orsini ebbero la Commenda farfense fino agli inizi del ‘500. La loro Castelli e Rocche nell’italia del medioevo memoria rimane tutt’ora nell’attuale Basilica da essi edificata e consacrata nel 1496; lo stemma Orsini ricompare nel portale e nel soffitto ligneo, il nome del Cardinale Giovanni Battista nella iscrizione ricordante la Consacrazione. Sotto Giulio II e Leone X la Commenda farfense passò ai Della Rovere, ma per tornare ben presto agli Orsini che la tennero fino al 1542; quindi ai Farnese. Sotto il Cardinale Alessandro Farnese il Monastero fu aggregato alla Congregazione Cassinese (1567). Purtroppo la Commenda non fu abolita del tutto. Il Farnese si tenne la giurisdizione civile e religiosa sugli abbaziali, ma concesse ai monaci piena autonomia, sotto il governo dell’abate claustrale. Il suo esempio fu poi seguito dai successori; ancora oggi il Vescovo di Sabina, tra gli altri suoi titoli, ha anche quello di Abate Perpetuo di Farfa. I benefici che si speravano con l’arrivo dei Cassinesi non furono tali da poter risollevare l’Abbazia all’antico splendore. L’osservanza monastica migliorò certamente; si ebbe anche qualche restauro ai fabbricati e nuove costruzioni, ma in generale Farfa, ormai privata dell’amministrazione del suo patrimonio e della giurisdizione su di esso, aveva perduto ogni importanza. Giunsero poi la soppressione napoleonica (1798) e quella italiana (legge Pe- poli 1861) a dare l’ultimo colpo. I beni ancora rimasti, passarono al demanio, il borgo e una parte del Monastero furono venduti a privati. Alcuni monaci rimasero in qualità di custodi. Gli eredi dell’ultimo proprietario, il conte Volpi, cedettero ai monaci la parte di monastero in loro possesso. Dal 1895 al 1912 santificò queste mura il monaco Don Placido Riccardi, morto a San Paolo nel 1915 e beatificato da Pio XII nel 1954. Nel 1920 un drappello di monaci paolini inviati dall’Abate Schuster (poi Cardinale), beatificato il 12 aprile 1996, ripopolò la vecchia Abbazia che attualmente è Priorato Benedettino indipendente con una decina di monaci. Con il ritorno dei monaci si intensificò l’interesse dell’Autorità e del pubblico sui vetusti fabbricati farfensi; la scoperta di importanti affreschi, occultati sotto gli intonaci, portò a quella più significativa della basilica carolingia e dell’Oratorio dell’Abate Sicardo. Il Governo, in considerazione di così importanti ritrovamenti, si affrettò a dichiarare Farfa monumento nazionale (1928). Passarono però ancora molti anni prima che si giungesse al progetto di un completo ripristino dei fabbricati. Intanto nuovi ritrovamenti reclamavano la soluzione dei più pressanti problemi. Farfa 27 La Basilica Arco d’ingresso e facciata Dal borgo di Farfa un grande arco immette nell’atrio della Basilica. Il portale romanico è caratterizzato da tre semicolonne addossate l’una all’altra che si restringono man mano che arrivano verso il centro, poggianti su basamenti molto alti e con capitelli corinzi; l’apertura è incorniciata, a sua volta, da due bordature: quella più esterna è decorata con girali d’acanto, fogliami e rosette; quella interna, invece, decorata con ovuli e dentelli. A destra, le foglie cedono il posto a un grifo e a due teste, una delle quali barbuta, accanto a cui è scritto Anselmo, da identificarsi con l’autore; in basso a sinistra invece è rappresentato il monaco committente dell’opera, dal viso rotondo, la fronte alta e spaziosa, tutt’intorno una fascia di capelli di cui si possono ben identificare le ciocche. Il volto del monaco è incorniciato dal cappuccio, intorno alla testa, e dall’abito monacale intorno al collo: un unico corpo che si fonde con la cornice del portale. Nella lunetta sovrastante, un affresco quattrocentesco raffigura la Madonna 28 adorante il Bambino con ai lati due santi e in basso a destra un monaco inginocchiato, probabilmente da identificare con il committente. Alla scena, ambientata di notte, fa da sfondo un prato fiorito sul quale svetta la basilica farfense con le due caratteristiche torri medievali; testimonianza iconografica tra le più importanti, in ordine di tempo, che permette di visualizzare la Farfa del XI secolo. Da questo portale esterno si entra nel grande sagrato sul quale si affaccia l’imponente facciata rinascimentale della basilica mariana. Sul finire degli anni 60 del XX secolo l’intera facciata è stata liberata dallo strato d’intonaco, riportando alla luce la struttura edilizia caratterizzata da blocchi calcarei provenienti dalla demolizione di antiche costruzioni; è costituita da un corpo centrale sormontato da un timpano terminante con una cornice in mattoni sagomati ed è fiancheggiata da pilastri a forte sporgenza. Tolto l’intonaco sono apparsi nel timpano e ai lati del finestrone frammenti di sarcofagi pagani e cristiani. Castelli e Rocche nell’italia del medioevo Farfa 29 Sui pilastri che dividono la facciata in tre zone sono seduti due leoni. La facciata, divisa dai pilastri in tre parti corrispondenti alle navate interne, ha tre porte, di cui quella centrale costituisce l’ingresso principale. Il marmoreo portale, sormontato da una lunetta a sesto acuto, è decorato da una fascia a girali adorni di rose, con un lungo cordone che avvolge i pilastri fino ai capitelli ionici; l’architrave è ornato da un ricchissimo motivo floreale stilizzato, fiancheggiato da due grandi fiori e sormontato da una cornice sorretta da due sottili colonne, con capitelli a volute che continuano ai lati della lunetta. Le rose e lo stemma sul portale rimandano alla famiglia Orsini, con particolare riferimento al cardinale Giovanni Battista, abate commendatario dal 1487 al 1503, che completò i lavori della basilica. L’affresco della lunetta, opera giovanile di Cola dell’Amatrice, realizzato probabilmente nel 1508, rappresenta la Vergine con il Bambino, incoronata da due angeli, fra i Santi Lorenzo Siro e sua sorella Susanna; in basso a sinistra è la figura di un monaco identificato con il committente. L’opera presenta gli elementi tipici dell’arte del “maestro raro e del miglior che fosse mai stato in quei paesi”, come lo definì Vasari: figure ben delineate e nitide, ingentilite nella composizione, ma spigolose nei particolari anatomici. 30 Castelli e Rocche nell’italia del medioevo Farfa 31